Fidest – Agenzia giornalistica/press agency

Quotidiano di informazione – Anno 35 n°185

Archive for 16 gennaio 2012

Liberalizzazioni del servizio taxi

Posted by fidest press agency su lunedì, 16 gennaio 2012

La vicenda delle liberalizzazioni del servizio Taxi sta avendo l’effetto contrario allo spirito della legge che disciplina quell’attività. Secondo la legge n. 21/92, infatti, “il servizio di taxi ha lo scopo di soddisfare le esigenze del trasporto individuale o di piccoli gruppi di persone; si rivolge ad una utenza indifferenziata”. Ripartiamo da qui per capire che cosa dev’essere fatto. Se la funzione del servizio è soddisfare le esigenze dell’utenza, si può davvero credere che limitare il numero delle licenze sia il modo migliore per farlo? La realtà dei fatti, visto che quella stessa legge lo consente, ci dice che si è creato un perverso meccanismo secondo il quale il trasferimento della licenza è divenuto il fulcro della vicenda. I tassinari fanno sentire la loro voce non per garantire all’utenza il miglior servizio, come vorrebbe la legge, ma per difendere quel privilegio che gli consente di lucrare, ahinoi legittimamente, su un interesse pubblico. In perfetto stile corporativo. Se poi si pensa che perfino gli eredi del tassista possono guadagnare sulla sua licenza, si comprenderà la paradossalità della situazione. Bisogna avere il coraggio di fare scelte che rimettano al centro dell’attenzione chi, secondo quella legge, dovrebbe essere favorito: il consumatore. Ed allora il Governo Monti, come per altre ben più ricche corporazioni (farmacie, notai, banche, settore autostrade, ecc.), abbia il coraggio di effettuare una rivoluzione copernicana. Basterebbe dire che le licenze possono essere accordate, in qualsiasi momento e senza limitazioni numeriche e territoriali, a tutti coloro che posseggono i requisiti atti a garantire la sicurezza dei trasportati. Sarà poi il mercato a stabilire quanti tassisti devono esserci in Italia. E’ troppo difficile? Certo, qualcuno resterà deluso ma non può essere altrimenti. (Alessandro Gallucci, legale Aduc)

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I pediatri e la manovra Monti

Posted by fidest press agency su lunedì, 16 gennaio 2012

La FIMP, il Sindacato italiano dei pediatri di libera scelta, prende posizione nei confronti delle manovre che autorizzano – nel Decreto Legge 6 dicembre 2011 n. 201 “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità ed il consolidamento dei conti pubblici” – il sospetto di un attacco mirato all’Enpam. Attraverso una circolare interna, firmata dal suo presidente Giuseppe Mele, la FIMP si è associata ad altre categorie sindacali per condividere obiettivi, strategie e azioni comuni di difesa dell’autonomia delle casse previdenziali dei liberi professionisti.“Ciò significa”, ha puntualizzato nella circolare il presidente Mele, “che il sindacato dei pediatri concorderà internamente nei prossimi giorni una serie di azioni basate sui seguenti punti: diniego di una gestione pubblica dei risparmi previdenziali dei medici; difesa dell’autonomia delle casse che offrono migliori rendimenti dei contributi e la corretta tutela del patto fra le generazioni; rifiuta a rappresentare un ulteriore aggravio per l’erario attraverso l’Inps.” La Fimp riunirà la propria Segreteria Nazionale (19 Gennaio) e il Consiglio nazionale in convocazione straordinaria (21 Gennaio) per concordare una linea sindacale in un quadro comune ed unitario con altre sigle sindacali. Il presidente FIMP ha comunque auspicato “che alcune prime risposte al nostro disagio possano arrivare dal prossimo incontro del 18 gennaio con il Ministro della Salute, Renato Balduzzi, appuntamento scaturito proprio da una lettera inviata da una Intersindacale che ha visto allo stesso tavolo medici dipendenti e convenzionati, uniti a salvaguardia del SSN e della dignità e dei diritti degli operatori medici del SSN stesso”.

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Governo e conflitti d’interesse

Posted by fidest press agency su lunedì, 16 gennaio 2012

“Le dimissioni del Sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei Ministri Malinconico non bastano a riscattare l’immagine di un Governo nato nel segno del conflitto d’interesse. Sono tanti e troppi i nodi, ancora, da sciogliere”. Così l’Onorevole Domenico Scilipoti, Segretario politico del Movimento di Responsabilità Nazionale, in merito alle nomine operate nella costituzione di un Governo all’insegna dei Poteri Forti e delle Lobbies bancarie. “Sono molti gli argomenti imbarazzanti che vengono celati agli Italiani – continua il Deputato MRN – dall’appartamento che si affaccia sul Colosseo del Ministro Patroni Griffi, acquistato a meno di un quarto del suo valore; all’emblematico caso di conflitto d’interesse che investe il Ministro Corrado Passera e il suo Vice Mario Ciaccia, entrambi ex capi di Intesa San Paolo, che si trovano ad approvare una serie di finanziamenti per appalti miliardari nel campo delle infrastrutture, decisi nel loro precedente ruolo; il Sottosegretario Guido Improta, che fino a ieri era capo delle relazioni istituzionali dell’Alitalia. Oggi è nelle loro mani il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, ambito dal quale, chiaramente, provengono. Il sottosegretario alla Difesa Filippo Milone è invischiato nell’inchiesta Enav-Finmeccanica per un’intercettazione telefonica con Lorenzo Borgogni, sospettato dai PM di essere finanziatore occulto della politica. Il Ministro per l’Ambiente Corrado Clini è anche Presidente del Consorzio per l’area di ricerca scientifica e tecnologica. E l’elenco continua”. “Ritengo che sia lecito – conclude l’Onorevole Scilipoti – diffidare dell’onestà del singolo come garanzia di correttezza per difendere gli interessi del Popolo Italiano”.

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Il 12 gennaio 2012 è mancato Giorgio Franceschini

Posted by fidest press agency su lunedì, 16 gennaio 2012

Presidente della Sezione di Ferrara dell’Associazione Nazionale Partigiani Cristiani. Giorgio Franceschini nato a Ferrara il 15 maggio 1921 è stato un dirigente della gioventù dell’Azione Cattolica. Ha prestato servizio militare nella seconda guerra mondiale con il grado di Sottotenente di Fanteria. Nel 1944 ha fondato il primo nucleo clandestino della Democrazia Cristiana ferrarese e la ha rappresentata nel Comitato di Liberazione Nazionale Clandestino della provincia di Ferrara. E’ stato Segretario provinciale della DC e Sindaco di Masi Torello. La presidenza nazionale ricorda con dolore e riconoscenza il contributo dato da Giorgio Franceschini alla vita civile e politica della nostra patria seguendo i principi che avevano animato la Resistenza e la rinascita del nostro paese. Rivolge le sue più sentite condoglianze alla famiglia ed al figlio On. Dario Franceschini.

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Memorizzare informazioni in pochi atomi: l’ultima sfida della Ricerca IBM

Posted by fidest press agency su lunedì, 16 gennaio 2012

A sottolineare 30 anni di ricerca nella nanotecnologia, i ricercatori IBM sono riusciti a memorizzare informazioni in appena 12 atomi magnetici, uno spazio significativamente inferiore alle unità disco di oggi, che utilizzano circa un milione di atomi per memorizzare un singolo bit di informazioni. Una volta sviluppato pienamente, questo risultato potrebbe condurre a una classe del tutto nuova di memoria, per dispositivi che vanno dai server aziendali ai telefoni cellulari, ai computer e altro ancora.Adottando un approccio nuovo e partendo dalla più piccola unità di storage dei dati – l’atomo – i ricercatori hanno dimostrato uno storage magnetico almeno 100 volte più denso degli hard disk e dei chip di memoria a stato solido di oggi. Le future applicazioni delle nanostrutture, che vengono costruite un atomo alla volta e che applicano una forma non convenzionale di magnetismo, denominata antiferromagnetismo, potrebbero consentire a persone e aziende di memorizzare 100 volte più informazioni nello stesso spazio. La ricerca è stata pubblicata oggi nella rivista Science.

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Lavoro: liste mobilità

Posted by fidest press agency su lunedì, 16 gennaio 2012

Nel 2011 sono stati oltre 46mila (46.637) i lavoratori provenienti dalle liste di mobilità ricollocati attraverso le Agenzia per il Lavoro, con un aumento del 76% sul 2010 (in quell’anno erano stati 26.531). L’incremento più rilevante ha riguardato i lavoratori con più di 44 anni di età, passati da 6.241 a 17.275 (+ 177%). Anche la durata media delle missioni per i lavoratori provenienti dalle liste di mobilità registra risultati straordinari: è, infatti, passata dai 53 giorni del 2010 ai 109 giorni del 2011. I dati derivano da una elaborazione di Assolavoro, l’Associazione Nazionale delle Agenzie per il Lavoro, messa a punto attraverso un’indagine effettuata su un campione rappresentativo del 68% del mercato del lavoro in somministrazione e proiettata sull’interno settore. Considerando il maggiore gettito fiscale e contributivo e il risparmio in termini di indennità di mobilità, nel biennio 2010 -2011 ne deriva un “contributo” per le casse dello Stato stimato in 250 milioni di euro circa. «Si tratta di risultati straordinari che dimostrano come le Agenzie per il Lavoro hanno un ruolo essenziale non solo come porta di ingresso per i giovani ma anche nel ricollocare i lavoratori in uscita da un contratto – ha dichiarato Federico Vione, Presidente di Assolavoro. «È stato possibile ricollocare in due anni oltre 73mila lavoratori provenienti dalle liste di mobilità grazie a una sperimentazione avviata con la Finanziaria del 2010, che ha semplificato per questa categoria l’accesso al lavoro attraverso la somministrazione. «Estendere quella semplificazione (ovvero l’eliminazione dell’indicazione della causa dai contratti di somministrazione, come è già negli ordinamenti dei Paesi più avanzati) è una riforma a costo zero, che non comprime alcun diritto e favorisce l’ingresso al mondo del lavoro attraverso la flessibilità più tutelata, ovvero quella che passa dalle Agenzie per il Lavoro. «Il tavolo aperto presso il Ministero del Lavoro in merito al recepimento della direttiva europea n.104/2008 nel nostro ordinamento rappresenta un’occasione unica per ampliare questa semplificazione che ha dimostrato di funzionare, – ha concluso Vione – così da rendere più semplice accedere al lavoro flessibile con tutti i diritti, a scapito delle forme di lavoro meno tutelate o irregolari ancora troppo diffuse nel nostro ordinamento».

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In libreria: Walter Ferreri

Posted by fidest press agency su lunedì, 16 gennaio 2012

“La verità sul 2012”, La Zisa, Pagine: 112, euro 8,90 (ISBN: 978-88-95709-55-0) Dalla lettura di questo libro ognuno di noi potrà rendersi perfettamente conto “come il 2012 sia un anno come gli altri e che la sua elezione a “anno del giudizio” non sia nient’altro che un’invenzione di alcuni autori, scaturita da una loro interpretazione acritica del calendario Maya, al quale si è voluto attribuire un significato che non trova riscontro tra gli studiosi di questo popolo. Il motivo che li ha indotti a fare queste previsioni è essenzialmente di tipo economico […]: un libro che tratta di future catastrofe di eventi spettacolari o eccezionali ha molto facilmente più successo di uno […] che si limiti a raccontare la realtà dei fatti”. “La storia è permeata da “profeti” e “veggenti” che hanno previsto innumerevoli volte la fine del mondo. Spesso questi comportamenti sono stati dettati da una interpretazione letterale di scritti antichi, ai quali si attribuiscono grande autorità o addirittura infallibilità. Anche nel caso dei Maya, […] la tendenza è stata quella di sopravvalutare molto le loro possibilità di previsione, […] I Maya avevano una notevole conoscenza del cielo, ma […] La loro scienza non gli permetteva di fare previsioni precise su molti avvenimenti astronomici futuri”. (dalle Conclusioni dell’Autore) Walter Ferreri, astronomo, svolge la sua attività professionale presso l’Osservatorio Astronomico di Torino. È autore di una ventina di libri e fondatore, nel 1977, della rivista di astronomia “Orione”, della cui versione attuale – “Nuovo Orione” – ricopre la carica di direttore scientifico. Per le sue scoperte e ricerche nel campo degli asteroidi l’Unione Astronomica Internazionale ha conferito il nome “Ferreri” all’asteroide 3308 EP. http://www.lazisa.it/ferreri.html

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Il carcere delle parole e delle assenze

Posted by fidest press agency su lunedì, 16 gennaio 2012

Nuova edilizia penitenziaria, otto per mille per ristrutturare gli istituti di pena, porte girevoli da arginare, condanne residue da scontare agli arresti domiciliari-penitenziari, nessun indulto né amnistia per tentare di consolidare un senso di giustizia equa a una disumana ingiustizia.Rimangono ancora tanti problemi e non di poco conto sul carcere italiano, i troppi extracomunitari da riconsegnare ai propri paesi, la miriade di tossicodipendenti abbandonati dentro le celle in attesa della prossima tirata, del prossimo buco, l’esercito di persone miserevoli con le tasche vuote, tanti rumori nella testa, la sofferenza nel cuore da curare, da accompagnare fuori da un carcere che non si piega a nessuna utilità, scopo e prevenzione sociale.Questo carcere costringe a torsioni innaturali quanto il reato commesso, su questa linea di confine che sembra non appartenere ad alcuno, è fin troppo facile affermare con una verità comprata al supermercato delle parole che in galera non ci finisce più nessuno.Eppure chi scrive vi è ristretto da quarant’anni, senza dubbio c’è chi muore strozzato e disperato in una cella, c’è persino chi ci entra come cittadino adulto e ne esce come un adulto bambino, pronto alla detonazione che senz’altro avverrà.In carcere ci si va e come, si resta in un angolo dimenticato, non per pensare al male fatto agli altri ed a se stessi, ma perché schiacciati nella violenza del nulla, spingendo la mente a mosse obbligate per contenere l’ingiustizia di una pena, che sortisce l’effetto ipnotico autoassolvente, che mette in scacco la propria colpevolezza, figuriamoci le eventuali responsabilità.C’è in atto un nascondimento della follia individuale, dimenticando quella sociale in fase di implosione, peggio, di indifferente fatalità, al punto da accettare passivamente la tesi di un recinto dove ognuno è potenzialmente un morto che cammina.Non si tratta di emanare un atto di clemenza, occorre ripensare davvero ai tetti spropositati delle condanne, alle celle anguste che devastano ciò che è già sufficientemente ammaccato, ai benefici carcerari ridotti al lumicino. E’ necessario pensare ai programmi, ai progetti fattibili perchè chi esce non abbia a ritornarvi.Ma quali investimenti sono approntati, per rendere inattuabile la pratica darwiniana dell’alzare il tiro onde assicurarsi un’impossibile impunibilità.Cambiare è possibile, cambiare mentalità e atteggiamenti è un ‘opera di ricostruzione attuabile, ma nessuno si salva da solo.Quel che è sotto gli occhi di tutti induce a richiedere subito questo balzo in avanti, perché nelle carceri le persone muoiono, esse non scontano soltanto una condanna, ma un sovrappiù che consiste nelle sofferenze fisiche e psicologiche, negli abbandoni e nelle rese di una sconfitta che non esprime alcuna pietà.Ci sono situazioni devastanti, degradanti: alcune assolutamente non scelte, né mai totalmente descritte dalla cronaca o dalla romanzata fiction televisiva, permane il parassitismo strutturale che non consente responsabilizzazione nell’irresponsabile, ma altera e compromette ogni processo cognitivo, creando un arretramento culturale galoppante e una sorda commiserazione.Allora è davvero urgente una riforma che sottenda un valore in sé e trascini con sé la volontà a progettare e organizzare percorsi alternativi al carcere, per evitare inutili effetti spostamento-trascinamento.Posso assicurare che in carcere non si sta bene, è un luogo di afflizione, ma il sopravvivere abbruttendosi non ha alcun valore di interesse collettivo. Fino a quando non si comprenderà che in carcere si va perché puniti e non per essere puniti, questa dicotomia spingerà il detenuto privato della libertà a sedersi a tavola con la morte, decidendo di guardarla in faccia e sfidarla. Senza però tenere in considerazione che la morte quasi sempre vince. E’ una prova questa, che indica la paura del potere della morte, ma ugualmente il carcere continua a rimanere un luogo non autorizzato a fare nascere vita nè speranza, non rammentando che l’uomo privato della speranza è un uomo già morto.Momento dopo momento, giorno dopo giorno, anno dopo anno, in compagnia del solo passato che ricompone la sua trama, e passato, presente e futuro sono lì, in un presente che è attimo dove non esiste futuro.
Quando il sentimento dell’amore è segregato, sei ancorato a una stanchezza che ti fa sentire perduto; hai in comune con il tuo simile solo un dolore sordo, che evita di guardare all’indietro nè di pensare al domani, e allora riconoscere i propri errori è un’impresa ardua.Le analisi sistematiche a questo punto servono poco, per rendere più umano l’inumano: sono più propenso a credere che dobbiamo convincerci noi, quelli dentro, della possibilità di raggiungere dei traguardi e degli obiettivi, per ritornare a volerci un po’ bene, per riuscire a essere persone e non solo numeri usati per la statistica.Finchè i ragionamenti saranno un’estensione degli atteggiamenti negativi, le rappresentazioni mentali si trasformeranno in eventi negativi.Spesso la voce sociale indica il carcere come extrema ratio sulla carta ma prima necessità nelle intenzioni di chi sta all’angolo della paura e della sofferenza. Un carcere-medico sprovvisto di lauree per intervenire sui sintomi, sulle malattie, le terapie da apportare, affinché sordi, muti e ciechi non abbiano a continuare a calpestare i diritti altrui.Quando l’investimento ( non mi riferisco esclusivamente a quello finanziario ) copre quasi interamente il comparto della sicurezza, riservando poca attenzione-volontà, quella vera per la prevenzione-ricostruzione individuale, si produce una torsione che ammutolisce la coscienza.La stessa richiesta di giustizia giusta, perché pronta, equa, corrispondente alla esigenza di riparazione, non riceve alcun conforto, così che la sensazione comune indossa la maschera e i denti affilati della solitudine, spingendo ad affidarci al carcere che ancora non c’è.Sicurezza, rieducazione, risocializzazione, riparazione, appaiono sempre meno come il collante che può tenere insieme una società e farla crescere, politica e stili di vita si travestono di ideologie d’accatto, gli obiettivi a tutela delle persone divengono esigenze contrapposte, una didattica inversa a una pedagogia in costante affanno, come se ognuna di queste facce della stessa medaglia fossero improvvisamente vissute come aut aut al fare sicurezza: mettere in salvo il benessere delle persone, eliminando la parte di interventi che riguardano un preciso interesse collettivo, quella ricomposizione della frattura sociale, da attuare attraverso pratiche, funzioni, trattamenti che rimandano a una giustizia che rispetta la dignità delle persone, di quanti sono detenuti e stanno scontando la propria condanna, e intendono ritornare parte attiva del consorzio sociale, non certamente come soggetti antagonisti, perché ancora delinquenti.Le parole tentano di nascondere assenze e mancanze politiche, giungendo a fare di qualche certezza il terreno fertile della dubitosità, al punto da raccontare che sulla giustizia, sulla pena, sul carcere, le modalità da registrare sono quelle che vorrebbero la prigione come un albero senza radici, una città senza storia, un luogo di castigo sommerso indicibile, una sopravvivenza-negazione di una reale possibilità di riscatto da parte di chi paga il proprio debito alla collettivitàQuest’ultima pretende giustamente sanzioni efficaci a ripristinare l’ordine violato, ma deve evitare che l’esclusione del reo diventi una mera conseguenza di un sonno intellettivo, rimandando a tempo indeterminato la rielaborazione del reato, soprattutto dell’atteggiamento criminale, diventato nel frattempo uno status quo per lo più miserabile, ma non per questo meno pericoloso.Istituzione carceraria bistrattata e umiliata nei suoi contenuti “tutti”, ma tirata per i gomiti senza tanti complimenti, allorché sale disperata la richiesta di assolvimento dei problemi sociali, una specie di strategia studiata a tavolino, affinché sul carcere scenda un silenzio auto-assolvente, che produce noncuranza indifferente sui doveri e pure su qualche diritto di chi sta in cella. Forse la condicio sine qua non per una carcerazione meno brutale sta nel non indulgere in umanitarismi falsificanti le responsabilità, ritornando a consegnare al carcere la sua funzione, che non può essere basata su un versante prettamente retributivo, in quanto ciò non combatte efficacemente la recidiva, anzi la aumenta spaventosamente. (Vincenzo Andraous)

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Web e democrazia. Le paure dell’Occidente e l’Italia che difende i segreti

Posted by fidest press agency su lunedì, 16 gennaio 2012

Di Carlo Ruta. Il web ha fatto presto a divenire un bisogno radicale, avendo intercettato una motivazione profonda, che è quella di esprimersi, relazionarsi in modo complesso e, soprattutto, interagire con il mondo. In questo senso, ha democratizzato i processi della comunicazione. È nell’ordine delle cose allora che si cerchi di limitarlo e controllarlo. Ma chi ha paura di internet? Le cronache degli ultimi anni hanno documentato repressioni plateali in Birmania, nella Cina Popolare, in Iran, in altri paesi. È comprovato poi il contributo che i social network hanno offerto, fino ad oggi, alle lotte per la democrazia, aiutando a rompere l’isolamento e a coordinare i progetti di resistenza. È quanto sta accadendo in diversi paesi arabi, dal Maghreb al Medio Oriente. La prima lezione che viene dai fatti chiarisce allora che il nesso tra web e democrazia è fondamentale. La questione è tuttavia complessa, perché le realtà appena citate rappresentano il limite estremo, mentre misure di controllo sofisticate vengono tentate nei paesi liberal, dove la rete rischia di finire in rotte di collisione con i poteri più forti della terra.
La vicenda di Wikileaks, l’organizzazione che ha svelato la guerra in Afghanistan, alcune stragi di civili in Iraq e i «punti di vista» della diplomazia statunitense nel mondo, dimostra che si è già alle scaramucce. L’establishment americano, come è noto, ha reagito con stizza. Il Pentagono ha definito la pubblicazione di 250mila cablogrammi delle ambasciate «un tentativo irresponsabile di destabilizzare la sicurezza globale». E le invettive sono state concomitanti con alcuni fatti. Julian Assange, l’attivista più noto della rete informativa, subito dopo la pubblicazione dei messaggi diplomatici, è stato arrestato, su disposizione di magistrati svedesi, per un reato disonorevole. In poco tempo ha subito il prosciugamento dei conti bancari su scala planetaria, come avviene nei casi di famigerati terroristi internazionali. Non solo: secondo i suoi avvocati, negli USA si starebbe lavorando in sordina perché possa essere incriminato per spionaggio, reato che viene punito con lunghe pene detentive. Non è detto che si voglia e si possa arrivare a questo. Sarebbe un fatto dirompente, che potrebbe risultare un boomerang per gli Stati Uniti, tenuto conto peraltro che una sentenza del 2010 della Corte Suprema americana ha sancito la liceità della pubblicazione di documenti segreti del Pentagono da parte di Wikileaks. È più verosimile allora che si tratti solo di una minaccia. Il clima comunque non è sereno e tende a peggiorare, mentre sullo sfondo di Wall Street esordisce la rivolta degli indignados americani. Nella prefazione a un libro uscito di recente, Dossier WikiLeaks. Segreti italiani, firmato da Stefania Maurizi, Assange parla di opinionisti della Fox che senza mezzi termini avrebbero invitano gli ascoltatori a ucciderlo. Potrebbe trattarsi di esagerazioni, di parole buttate lì, in contesti poco significativi. In ogni caso, diversi segnali attestano che la reazione in America è già in atto. È possibile allora un nuovo maccartismo, a tempo di internet?
La domanda è in fondo retorica, perché a conti fatti l’America, almeno su alcune linee strategiche, in particolare quella della «sicurezza nazionale», è rimasta fedele alla sua storia recente. Il paese che, infiammato dal Patriot Act, ha gestito per anni, e gestisce verosimilmente ancora oggi, il campo di Guantànamo non è lontano da quello che portò sulla sedia elettrica Julius ed Ethel Rosenberg. Questa America, fedele appunto a sé stessa, inizia a temere il web mentre ostenta di sostenerlo, e, da gendarme della terra, minaccia di reprimerlo quando occorre, in casa, a Stoccolma, ovunque sia necessario. Con quali giustificazioni? Al tempo dei Rosenberg, fino a tutti gli anni Ottanta, era facile esibire l’alibi della guerra fredda. Adesso le cose sono cambiate. Non si può sbandierare l’esistenza di una potenza nemica che minaccia con il proprio arsenale atomico il mondo cosiddetto libero. Wikileaks e le altre realtà del web che rivendicano la trasparenza della politica, non sono nelle mani del terrorismo islamico, né sono uno strumento d’assalto degli Stati outlaws, né un congegno subdolo della Cina, che insidia oggi, con ben altri mezzi, il primato economico mondiale degli States. I modi, più o meno travisati, con cui si cerca di colpire alcuni livelli della nuova informazione, rappresentati come «crimine oggettivo», meritano di essere considerati allora con attenzione.
Non si tratta, a ben vedere, di una questione contingente. Il web del presente crea apprensioni, ma tanto più suscita timori quello che si annuncia, di cui Wikileaks ha offerto fino a oggi solo un trailer, una sorta di anteprima. Il contrasto degli Stati e dei poteri forti può essere considerato in questo senso di livello preventivo. E la «prevenzione» è, guarda caso, il paradigma dei conflitti di oggi. La sfida della trasparenza non costituisce, ovviamente, una scoperta, né una prerogativa del web. Conta su una cultura, su una tradizione lunga, che nel secondo Novecento ha conosciuto proprio negli States momenti epici, soprattutto negli anni di Richard Nixon. Gli americani cominciarono a perdere per davvero la guerra del Vietnam nel 1971, quando, in piena escalation militare, il New York Times iniziò a pubblicare i documenti segreti del Pentagono, i Pentagon papers, sulle operazioni in Indocina dal dopoguerra al 1967. Gran parte dell’opinione pubblica statunitense si convinse a quel punto che si trattava di un affare sconveniente. Rimase sorpresa. Riuscì pure a indignarsi, perché non era stata sufficientemente informata su come andavano le cose. Più di quanto fosse avvenuto negli anni precedenti, rivendicò quindi il ritorno a casa dei suoi marines. Alla fine, i falchi del Pentagono furono indotti a rivedere i loro piani. Arrivava poi, con l’emersione giudiziaria dell’affare Watergate, ancora sull’onda di rivelazioni giornalistiche, dalle colonne del New York Times e del Washington Post, il benservito per Nixon, dopo che aveva ricevuto con il segretario di Stato Kissinger il Nobel per la pace.Era probabilmente il trionfo del «quarto potere». Ma con l’avvento di internet, e tanto più dopo l’avvento del web 2.0, che proprio adesso comincia a cedere però il passo al ben più sofisticato web semantico, la sfida della trasparenza, non intesa come optional ma come chiave di volta della democrazia, può fare balzi in avanti di livello esponenziale. Rischia di essere polverizzato, in particolare, il segreto di Stato, che, dilatatosi in modo abnorme negli anni della guerra fredda, nei sistemi liberaldemocratici è andato sostenendosi come una fatale necessità. Si può trarre da tutto questo una ulteriore conclusione. Il web, mentre espande la democrazia reale, mette alla prova i sistemi che si fregiano dell’appellativo liberal, potendone svelare con una efficacia inedita le illiberalità nascoste, le ipocrisie, gli affari fondamentali in ombra. Quale strumento di democrazia sostanziale, esso può costituire allora il tallone di Achille delle democrazie ufficiali, con implicazioni non indifferenti sotto vari profili. Ma come cambia, in dettaglio, la sfida della trasparenza dopo l’avvento del web? Negli anni settanta, quando la stampa americana viveva il momento più esaltante, una rappresentazione paradigmatica, e problematica, del «quarto potere» veniva offerta dal film I tre giorni del Condor di Sidney Pollack, tratto da un romanzo di James Grady. Eccone la trama, in estrema sintesi. Prima di varcare l’ingresso del New York Times, l’agente della CIA Joe Turner, nome in codice «Condor, interpretato da Robert Redford, è scampato a diversi attentati. A volerlo morto è un apparato segretissimo, interno alla stessa Intelligence statunitense, che sta pianificando una guerra in America Latina per il controllo dei pozzi di petrolio e che sta eliminando uno dopo l’altro i testimoni scomodi, interni alla stessa organizzazione. Uno di questi è appunto il Condor, autore di un rapporto riservato, deciso a far saltare tutto, denunciando l’intrigo alla stampa libera. Egli ritiene sia questa la sua salvezza e, soprattutto, la salvezza morale del paese. Alla fine, braccato dai suoi datori di lavoro, Turner consegna il report al giornale, ma il film di Pollack chiude con un interrogativo. Appreso che il rapporto è finito nella redazione del quotidiano, il funzionario Higgins, che ha diretto sul terreno le operazioni omicide, gela il Condor con queste parole: «Ma sei sicuro che lo stampano? Dove arrivi se poi non lo stampano?». Gli scenari adesso sono cambiati di gran lunga. Disponendo di un PC, l’attivista del web che rivendica, come il Condor degli anni settanta, la trasparenza politica non ha bisogno di attraversare uno spazio fisico, sobbarcandosi fatiche di livello mitologico, per varcare l’ingresso del New York Times. Attraverso la posta elettronica, i blog, you tube, twitter, facebook, e altro ancora, egli può comunicare con numeri altissimi di utenti, di tutti i continenti. Al «Condor» di oggi può bastare una banale connessione in rete per raggiungere con efficacia il suo scopo, mentre mette in discussione la verticalità del processo informativo. La deliberazione ultima non è demandata a un giornale, a un editore, dietro i quali può celarsi, appunto, un potere interessato. Viene assunta bensì, in tempi celerissimi, da un soggetto collettivo, che può finire con il coincidere in tutto e per tutto con l’opinione pubblica di un paese, o di un continente. E Wikileaks propone di questo modello il livello più radicale, raccogliendo informazioni top segret da ovunque per riversarle sull’intero pianeta. Parafrasando il Bogart de L’ultima minaccia, si può dire, con delle ragioni, «È il web, bellezza!», mentre va facendosi sempre più serrata la dialettica tra media vecchi e nuovi, fatta di sinergie e scambi costruttivi, ma pure di tensioni. Wikileaks ne offre ancora un saggio, prima con gli accordi siglati con il New York Times, il Guardian di Londra, il Pais spagnolo e lo Spiegel tedesco, poi con la clamorosa rottura. Alla fine, come è noto, ha deciso di trasferire centinaia di migliaia di documenti segreti in rete senza filtri di sorta. Ma un simile radicalismo, nel segno di una mitica trasparenza assoluta, è ancora coerente con un progetto di democrazia sostanziale o rischia contraccolpi pregiudizievoli alla stessa democrazia? È una questione aperta. Il caso italiano, infine. Diversamente da altre realtà dell’Occidente, questo paese ha scoperto il web con qualche ritardo. Agli inizi, negli ultimi anni novanta, si è trattato soprattutto di un affare economico, condotto in modo strategico dagli ambiti della telefonia, allora in pieno exploit. Poi, intorno al Duemila, saggiate le facoltà del nuovo strumento, la scena è andata movimentandosi, tanto più quando si è compreso che il web poteva essere usato come acceleratore dei processi di aggregazione civile e politica. In questo decennio più di altri ne hanno beneficiato, non per caso, i movimenti di opposizione: agli esordi del decennio, i girotondi di Moretti, poi il partito di Antonio Di Pietro e il movimento di Beppe Grillo; più di recente, con il supporto di Facebook, le reti del Popolo Viola e gli indignados. Pure in Italia il web che più provoca timori è comunque quello che si profila all’orizzonte, di cui i blog e le testate on-line, come altrove, hanno offerto finora solo dei trailer. La Repubblica si porta dietro una lunga vicenda di trame, animata da ambienti politici di fede atlantica, servizi segreti «deviati», alti gradi militari, terroristi, faccendieri, mafie. Ne è uscito un blob di segreti che, di delitto in delitto, di strage in strage, ha finito per condizionare fino al paradosso la vita del paese. Come in Turchia, resiste uno Stato profondo che impedisce nei tribunali la ricerca della responsabilità, mentre rimane in auge la dietrologia dei «misteri» che, polverizzando le piste investigative, aiuta in realtà a mantenerli e a moltiplicarli. In definitiva, diversamente da quanto è avvenuto in altre aree del globo, in America Latina per esempio, dove per Fujimori, Videla, Pinochet, Montesinos e numerosi altri è arrivata la stagione dei rendiconti, in Italia non si è mai aperta una reale discontinuità. Fa testo, al riguardo, il processo ad Andreotti. E il compromesso regge, in fin dei conti, in piena era berlusconiana. È sintomatico che un dirigente storico della sinistra italiana, Massimo D’Alema, pur non imputabile di tale Stato profondo, ma convinto forse, per ragioni di real politik, che i conti con il passato non costituiscano più una priorità, né una necessità, sia stato eletto con un voto ampio e bipartisan capo del Copasir, il comitato parlamentare di controllo dei servizi di sicurezza. A fare il resto sono poi le condizioni del paese nel presente: la corruzione pubblica dilagante, la collusione della politica e dei poteri finanziari con le holding criminali, la violenza continuata agli ambienti naturali e alle città. Tutto questo può aiutare a comprendere allora, in Italia, la condizione del web che fa informazione. Ai trailer, ai reportage e alle analisi negli ultimi anni hanno cercato di forzare il muro del segreto, in tutte le sue declinazioni, si è risposto talvolta in modo goffo e secco, con l’oscuramento di siti, la condanna di giornalisti-blogger in sede civile e penale, l’applicazione di leggi desuete. Ma si è operato soprattutto in chiave strategica, con tentativi continui di introdurre nuove regole, più o meno dirette. Le normative sollecitate dall’Agcom, formalmente per la tutela del diritto d’autore, come il recente ddl che vorrebbe imporre l’obbligo di rettifica su semplice richiesta di parti che si ritengono offese sono un po’ la sintesi di questo lavorio. Ed è storia di oggi

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Imu sulla prima casa e la Convert Italia la paga per i suoi dipendenti

Posted by fidest press agency su lunedì, 16 gennaio 2012

Torna il welfare aziendale. Il governo reintroduce la tassa sulla casa? L’azienda la paga per i suoi dipendenti. Succede alla Convert Italia società romana che opera nel settore energetico, fotovoltaico e delle biomasse. Parla nel nuovo programma della domenica in onda alle 12.00 Su Radio 24 “Si può fare. Cronache da un Paese migliore” che va alla ricerca di storie virtuose per raccontare le buone pratiche degli italiani e scoprire che c’è un’ Italia che ce la può fare, l’amministratore delegato della Convert Italia Giuseppe Moro: “Con l’introduzione dell’ Imu mi è venuto spontaneo. Ero disturbato dal fatto che i miei dipendenti avrebbero avuto alla fine del mese 150/200 € in più da pagare e che gli avrebbe accorciato il fiato. Visto che l’azienda, siamo nelle rinnovabili, negli ultimi 2 anni le cose sono andate bene, – continua il racconto l’amministratore delegato della Convert Italia, Giuseppe Moro in ‘Si può fare’ su Radio 24 – ho portato la mia proposta al Cda e abbiamo deciso di pagare noi l’Imu ai 60 dipendenti che ne fanno richiesta. Sono esclusi i dirigenti”. Cosa si aspetta? Domanda Alessio Maurizi di Radio 24. ” Un effetto domino. Chi ha di più, paghi di più.” e la reazione dei suoi dipendenti? “Mi hanno commosso. Sono stato circondato da segnali di affetto” conclude a Radio 24. (Chioda Maria Luisa)

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Regione Lazio: bilancio sociale

Posted by fidest press agency su lunedì, 16 gennaio 2012

“Con la nostra riforma, introduciamo il bilancio sociale nel sistema socio-assistenziale regionale. In una fase di rigore, è tempo di innovare a partire dagli strumenti di verifica e controllo. Attraverso dei veri e propri indicatori di performance, misureremo l’efficacia e l’efficienza delle nostre politiche, nonché la loro ricaduta sulle persone e sui territori. Sarà uno strumento per una maggiore trasparenza nei confronti dei cittadini”. Lo ha dichiarato l’assessore alle Politiche sociali e Famiglia della Regione Lazio, Aldo Forte, intervenuto al convegno ‘I numeri del sociale: trasparenza e legalità’ organizzato dalla Federazione nazionale liberi circoli al Palacavicchi di Ciampino.
“Quello della trasparenza – ha spiegato Forte – è un tema prioritario oggi. Registriamo una crisi destinata a durare, una contrazione delle risorse statali e un aumento dei soggetti e delle famiglie bisognose di assistenza. In questo quadro, parlare di trasparenza significa affrontare al cuore la questione dell’ottimizzazione delle risorse. Significa verificare se i servizi programmati vengono attivati sul territorio e monitorarne l’utilità e la qualità. Significa, in altre parole, in un momento in cui ai cittadini sono chiesti grandi sacrifici, riconquistarne la fiducia a partire dal buon governo. E il bilancio sociale è, senz’altro, uno degli strumenti necessari. Uno strumento che deve essere adottato dalle istituzioni e da tutti i soggetti che forniscono servizi alla persona, utilizzando denaro pubblico e privato”. “Tutti sono chiamati a una maggiore responsabilità sociale – ha aggiunto Forte – anche i cittadini. Ecco perché per il Bonus Bebè abbiamo chiesto ai Comuni di vigilare attentamente sulle dichiarazioni Isee. In più, effettueremo anche come Regione verifiche sulla veridicità delle dichiarazioni dei beneficiari in accordo con la Guardia di Finanza. È importante – ha concluso Forte – che gli aiuti raggiungano solo chi ne ha realmente diritto e, soprattutto, bisogno”.

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Filetto, al via la raccolta degli oli vegetali

Posted by fidest press agency su lunedì, 16 gennaio 2012

Il Comune di Filetto (Chieti) ha attivato il servizio di raccolta dell’olio vegetale esausto, usato ad esempio per la conservazione degli alimenti, residuo di frittura o sotto forma di grassi, burro, strutto, margarina. Ciascuno di noi ogni anno produce 4 chilogrammi di olio esausto. Se disperso nell’ambiente diventa una sostanza altamente inquinante.
In prossimità del Campo sportivo il Comune ha fatto installare un apposito contenitore accessibile a tutti i cittadini. Basta raccogliere l’olio da cucina in semplici recipienti di vetro o plastica e portarli nel luogo di smaltimento. Qui sarà sufficiente ruotare e sollevare il coperchio, versare l’olio esausto e chiudere il coperchio.
Non si devono introdurre aceto, sali e zuccheri, residui di alimenti solidi, oli minerali (idraulici o per motori), detersivi e prodotti chimici in genere. L’invito rivolto dall’assessore comunale all’Ambiente, Riccardo Tullio, e dal sindaco di Filetto, Sandro Di Tullio, è di non abbandonare i recipienti usati per il trasporto, ma di riutilizzarli. La raccolta è riservata alle sole utenze domestiche. Tuttavia la ditta incaricata del servizio, Adriatica Ambiente, è disponibile a fornire agli esercizi commerciali dei contenitori adeguati, in comodato d’uso gratuito, e a effettuare la raccolta altrettanto gratuitamente.L’olio vegetale dopo la frittura si ossida e assorbe le sostanze inquinanti derivanti dalla carbonizzazione dei residui alimentari. Se gettato in acqua, galleggia e la rende non potabile, oltre a causare il cattivo funzionamento degli impianti di depurazione, con i conseguenti maggiori costi; nel suolo l’olio esausto forma una patina sottile che impedisce alle piante di assorbire le sostanze nutritive.
La corretta raccolta e il successivo trattamento degli oli alimentari usati permettono il riutilizzo in processi industriali per la produzione di lubrificanti, biodiesel, saponi, tensioattivi, inchiostri, distaccanti e altri prodotti.Per informare i cittadini il Comune ha realizzato un’apposita campagna di comunicazione: il manifesto e il relativo volantino sono scaricabili dal sito Internet dell’Unione dei Comuni della Marrucina (www.marrucina.it).

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Farmacisti e gogne mediatiche

Posted by fidest press agency su lunedì, 16 gennaio 2012

“Innanzitutto vorrei esprimere a nome del Comitato centrale la massima solidarietà al presidente Andrea Mandelli e al vicepresidente Senatore Luigi D’Ambrosio Lettieri, vittime di atti di intimidazione inqualificabili, che colpiscono tutta la professione” dice Maurizio Pace, segretario della Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani. “Mi sembra evidente a tutti che un gesto di questo tipo prova come le posizioni della Federazione di apertura al confronto su un reale ammodernamento e a un ampliamento della rete delle farmacie, ma netta nell’opporsi a uno smembramento di un servizio che funziona, abbiano toccato qualche nervo scoperto. Ma è bene chiarire subito che la Federazione intende tenere la barra diritta e che questi fatti non spostano di un millimetro la nostra linea di azione”. Le posizioni della Federazione, ricorda Pace, stanno del resto otten endo, con la sola forza del ragionamento, un significativo riscontro anche da parte di esponenti del Governo. “Ringraziamo il ministro della Salute Balduzzi, per cominciare, che ha chiarito come non si possa dire che ai farmacisti italiani non siano stati chiesti sacrifici, visto che comunque con il passaggio a OTC di molti farmaci di cui l’AIFA sta preparando la lista, ci sarà una ulteriore riduzione del fatturato delle farmacie, che già scontano anche i forti ritardi nei pagamenti da parte delle ASL. Così come vanno sottolineate le dichiarazioni del Sottosegretario Polillo che, ieri a Ballarò, ha ricordato come la liberalizzazione della distribuzione del farmaco non possa certo essere messa in cima alla lista di quel che serve per far ripartire il paese”. Ma per Pace, al di là delle posizioni politiche, ciò che risulta intollerabile, ed è alla base delle intimidazioni di questi giorni, è l’attacco mediatico scatenato contro la professione: “Si è cercato un capro espiatorio da additare alle reazioni di una cittadinanza spaventata e colpita dalla recessione. Faccio soltanto un esempio: su un quotidiano, ieri, un commentatore si è permesso di chiedere pubblicamente se i farmacisti si schieravano con gli evasori o con i cittadini per bene. Non lo chieda ai farmacisti: nelle farmacie il 65% del fatturato è costituito da ricette del Servizio sanitario e sui restanti prodotti i farmacisti fanno sempre lo scontrino, proprio perché sanno che i cittadini possono operare delle deduzioni fiscali. E molto spesso è lo stesso farmacista a ricordarlo al paziente”.
Secondo il Segretario della Federazione si è anche insistito strumentalmente sul carattere di monopolio del servizio farmaceutico:”Si denuncia un monopolio di 18000 persone, che diventerebbero molte di più se si adottassero le nostre proposte, senza dire però che laddove si è liberalizzato, dalla Norvegia alla Gran Bretagna, le farmacie sono finite nella quasi totalità nelle mani di due o tre grandi gruppi. E questo che cosa sarebbe? Azionariato popolare? Forse è questo che si vuole,il prevalere del grande capitale sull’iniziativa dei singoli, e soprattutto su un servizio sanitario frutto di una grande riforma che tutto il mondo apprezza, il che spiegherebbe il silenzio assordante di molti settori dell’economia solitamente prodighi di critiche e consigli ai Governi”. Ora è necessario abbassare i toni: ”Nei giorni scorsi avevamo chiesto un incontro anche al Presidente della Repubblica, che ha&n bsp; ritenuto non fosse il caso di riceverci, proprio per chiedergli di intervenire per ristabilire un clima più sereno. Mi auguro che almeno ora si passi a un confronto diverso. La Federazione è un ente pubblico ausiliario dello Stato e quindi abbiamo il massimo rispetto per le prerogative e il ruolo di Governo e Parlamento, ma crediamo che un paese democratico si regga sul confronto delle idee e sulla capacità di ascolto e, naturalmente, sul rispetto delle leggi che lo Stato si dà. Le gogne mediatiche non hanno nulla a che fare con la democrazia”.

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La Consulta dice no ai quesiti su legge elettorali: sconforto nell’ambiente universitario

Posted by fidest press agency su lunedì, 16 gennaio 2012

È all’ordine del giorno la bocciatura, da parte della Consulta, dei due quesiti sulla legge elettorale proposti dai promotori referendari. Quesiti entrambi volti a chiedere l’abolizione della legge elettorale attualmente in corso.
Molti i malumori sulla controversa decisione anche nell’ambiente universitario. A pronunciarsi al riguardo, il vice presidente nazionale di Azione Universitaria Dario Moscato « A differenza di quanto deciso dalla Consulta, riteniamo fondamentale l’importanza dell’introduzione delle preferenze all’interno delle liste elettorali e, soprattutto, di un codice etico che vada a regolamentare all’insegna della legalità la politica, salvaguardandola dalle varie ingerenze esterne».Anche il capogruppo di Studenti per le Libertà-Azione Universitaria al CNSU Erio Buceti, ha dichiarato: « Visto il no della Consulta ad oggi pressoché impossibile cercare di introdurre una nuova legge elettorale prima che si rinnovi la prossima legislatura. E questo è paradossale, dal momento che dovrebbero essere i cittadini a scegliere da chi farsi rappresentare e non subire le decisioni di chi sta in Parlamento solo perché rappresenta un lobby finanziaria o perché rappresentato dai partiti, senza alcuna legittimazione dal popolo.Per quanto riguarda l’istituzione del tanto discusso codice deontologico, anche Buceti condivide la necessità dell’istituzione di questo strumento in quanto «sia i partiti che qualsiasi soggetto operante nel settore pubblico, dovrebbero attenersi al rispetto di un codice etico riconosciuto e sottoscritto da tutti, tenendo come caposaldo del vivere quotidiano l’esperienza di vita trasmessa dai magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ancora oggi, esempi di massima onestà. Dobbiamo proprio a Paolo Borsellino una delle più importanti frasi che dovrebbero ispirare la politica attuale: “Un politico in odor di mafia anche se non condannato non va candidato”.

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La svolta politica

Posted by fidest press agency su lunedì, 16 gennaio 2012

Opinioni in rete. Le manovre in atto negli ambienti di una certa politica in Italia sembrano perseguire l’obiettivo d’incoraggiare l’assenteismo elettorale (siamo già al 30% e non è escluso che si arrivi al 35%) strumentalizzando tutto ciò che è negativo: politici corrotti e malavitosi “scudati” dai loro colleghi, privilegi di casta, intese sottobanco poco chiare tra i vari partiti, di maggioranza e di opposizione, e perseguimento di iniziative non dissimili tra loro tanto da farli apparire “complici” dello stesso sistema. Il fine è quello che è più controllabile il 60-65% dell’elettorato rispetto ad una percentuale maggiore. Non solo. Se si scremano i voti diretti alle ali estreme e ai partitini locali, le schede bianche e nulle si arriva tranquillamente ad una percentuale intorno al 50%.
Significa, in pratica, assicurare la leadership degli stessi partiti, i loro giochi di potere e i loro leader.
Contro questa linea di tendenza resta per gli elettori che vogliono seriamente un cambiamento e, sono, purtroppo, tra coloro, per lo più, che disertano le urne, una sola possibilità: quella di andare a votare e a votare quel partito che più degli altri ha provveduto ad un ricambio generazionale non tanto per l’età quanto per la mentalità dei candidati. Se tale mossa risultasse vincente avremmo, se non altro, la possibilità di ridurre di un buon 40% il numero dei soliti eletti. E sarebbe ancora più interessante avere un partito che fondasse il suo programma sulla tutela di due diritti: quello della vita e quello del vivere. Il ragionamento che ne scaturisce è semplice: noi abbiamo un obbligo nei confronti dei nuovi venuti. Non dobbiamo abbandonarli a se stessi una volta nati. Dobbiamo assicurare un minimo standard di esistenza dignitosa elevando a diritto inalienabile quello dell’assistenza universale, dell’istruzione, dell’alimentazione, del lavoro, della sicurezza e della tutela per i più deboli (handicappati, anziani, ecc.). Per questi impegni le risorse ci sono, se ne facciamo un buon uso, ovviamente.
Se ci convinciamo delle buone ragioni qui rappresentate allora il discorso si fa mediatico e come, a questo punto, non pensare alla rete? Avremmo un obiettivo a portata di mano, il tempo necessario per concretizzarlo e la possibilità di essere supportati da elementi validi da proporre come alternativa all’attuale leadership. Il mio invito, quindi, è quello di chiamare all’attenzione dei navigatori della rete questo progetto, di valutarlo e migliorarlo se necessario, di diffonderlo e di realizzarlo con atti concreti. (Riccardo Alfonso http://www.fidest.it)

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