Valmontone (Rm) Nei prossimi giorni ci sarà una Mostra di Carlo Riccardi nel prestigioso Palazzo Doria Pamphili di Valmontone in provincia di Roma. Seguirà un’importantissima Mostra del Maestro a Brasilia nella capitale del Brasile, mentre persone di buona volontà e mecenati, realizzeranno in un prossimo futuro, un Museo della Fotografia in suo onore con ampie Sale dedicate alla sua arte fotografica e pittorica.
Da diversi anni seguo e sono diventato amico di Carlo Riccardi, il decano dei fotoreporter. Aveva legami di affetto con diversi personaggi dello spettacolo dell’epoca della “dolce vita”: Totò, Fabrizi, Mastroianni, Sordi che abitava nelle vicinanze della sua casa a Trastevere quando recitava in parrocchia, di Fellini, etc … e di tanti altri personaggi della cultura e dello spettacolo di epoche successive. Nonostante la veneranda età ed i molteplici impegni collegati alla sua attività professionale continua ad essere sempre presente alle numerose iniziative che ho organizzato in questi anni per ricordare “Totò”. Frequentandolo nel tempo
ho percepito che per il Principe Antonio de Curtis aveva un affetto particolare. Desideroso di conoscere maggiormente la vita di Carlo Riccardi per dipanare ed aprire degli squarci di verità sul periodo ed i luoghi che hanno caratterizzato la “dolce vita”, abbiamo convenuto di incontrarci in quei luoghi suggestivi e magici che hanno originato quel fenomeno. La “dolce vita” che Riccardi ama definire: “la belle epoque italiana” è il vero Rinascimento dell’Italia del dopoguerra” ed io vorrei aggiungere, come Toulouse Lautrec immortalò con i suoi dipinti “la belle epoque francese”, così Carlo Riccardi con le sue fotografie e con i suoi quadri che raffigurano Via Veneto, esposti più volte nella suddetta via dal gioielliere Nicola Capuano, (alcuni dei quadri erano di proprietà di: Federico Fellini, Alberto Sordi, Mastroianni, Nino Manfredi, Paola Borboni, Lino Banfi, Novella Parigini), ha immortalato scientemente la dolce vita. Riccardi

ha persino realizzato un quadro lungo cento metri, che è stato esposto più volte a Via Veneto ed in Piazza del Popolo. L’incontro con l’amico Riccardi si è dimostrato di particolare interesse, nella dicotomia tra la reticenza ed il grande desiderio di parlare, che alla fine ha avuto il sopravvento. Pertanto Carlo si è trasformato “in un fiume in piena” ed ha iniziato a raccontare la sua intensa vita. (…) : “ … Sono nato ad Olevano Romano, da una famiglia libraria, nella stanza sopra lo studio fotografico della zia, che ha iniziato l’attività sin dai primi anni del ‘900. Pertanto era naturale la familiarità ed il grande interesse che ho manifestato fin da piccolo per l’apparecchio fotografico. Oltre la zia ho avuto anche un altro familiare, mio nonno che seguiva ed amava la fotografia ed in particolare i pittori tedeschi, che rappresentavano l’avanguardia dell’evoluzione della fotografia e del mondo dell’arte. Ancora in giovane età sono stato travolto dalla fotografia ed ho dimostrato altresì l’interesse per la pittura. Ho iniziato come ritoccatore di lastre fotografiche. Avevo acquisito come altri una notevole esperienza nell’intervento che facevano i disegnatori sulle lastre fotografiche, specializzati in particolare nei ritratti per

ritoccare i difetti. Coloravamo le fotografie con le aneline (polverine che diluivamo con l’acqua nel produrre colori diversi). In questo lavoro ho imparato dallo stesso Maestro conterraneo di Guttuso, Saro Mirabella, che nel dopoguerra è diventato Presidente dell’Accademia delle Belle Arti di Roma”. Carlo Riccardi ancora nell’età giovanile ha manifestato una smisurata sensibilità artistica ed ha frequentato gli studi dei grandi Maestri, dai futuristi ai giorni nostri: Giorgio De Chirico, Monachesi, Sandro Trotti, Novella Parigini, Corrado Cagli, Turcato, Montanarini, Pericle Fazzini di cui era stato il ragazzino di bottega. Riceveva inoltre la nomina di segretario nel sindacato degli artisti italiani, nel periodo che frequentavano il sindacato: Guttuso, Ennio Calabria, Mieli. Nel 1944 – 1945 con i primi americani che soggiornavano agli alberghi di Via Veneto, lavorava per il sindacato a Corso d’Italia come fotografo e frequentava la zona ed in particolare il “Caffè Strega” ed il “caffè Doney” di proprietà dell’Excelsior, dove andavano gli artisti ed importanti personaggi. La vera storia della “dolce vita”, inizia in questo periodo ed in questi locali. Si sviluppa negli anni successivi ad opera della Contessa, proprietaria della rivista “Le tout de Roma”, alla quale ha lavorato, fotografando attori, principi, artisti e personaggi dello spettacolo. Per un paio d’anni ha continuato a riprenderli senza il clamore che si è scatenato successivamente al film “La dolce vita” di Federico Fellini, quando gli editori ed i fotografi hanno scoperto questo filone redditizio e numerosi fotografi, si sono catapultati in quei luoghi diventando paparazzi. Prima di quel periodo gli autori delle foto non venivano menzionati, ma le stesse erano accompagnate dal nome della ditta della pellicola: Kodak, Ferraia, Tensi, Agfa, Gevart ; i fotografi lavoravano in nero ed erano licenziati senza alcuna difficoltà. Un ruolo importante per lo sviluppo della “dolce vita” è stato assunto dalla Contessa proprietaria della sopracitata rivista, che era organizzatrice delle serate mondane finalizzate anche per le esigenze degli americani, che tornavano dal fronte, ma soprattutto per consentire loro di fraternizzare con gli italiani. Altro importante obiettivo era rappresentato dal vitalizzare i luoghi di Via Veneto e stimolare la rinascita della città. Ennio Flaiano che frequentava Riccardi e suo padre, il poeta Cardarelli, Ilario Fiore e la Contessa organizzatrice dei festini, ha preso l’ispirazione in questi ambienti e dal vero paparazzo, amico e reale fotografo della dolce vita per scrivere la storia autobiografica, dalla quale è stato tratto il film omonimo, diretto nel 1960 magistralmente dal regista Federico Fellini, vincitore della Palma d’oro al 13° Festival di Cannes. Carlo Riccardi continua a raccontarci la sua vita, che definisce giustamente a tratti rocambolesca. “… Negli anni 1951 – 1952 lavoravo al “Giornale d’Italia”, che aveva l’edizione serale e collaboravo la notte al giornale “Il Tempo”. A quell’epoca era Direttore e proprietario, Renato Angiolillo, che decideva personalmente i suoi collaboratori con i quali era molto esigente, dovevamo infatti rispettare dei canoni di alta professionalità. Ho manifestato sempre un grande amore per la fotografia, effettuavo foto per il giornale ed altre per soddisfare la mia passione”. Nel fotoreporter Riccardi, è ancora vivo il ricordo di un’amica giornalista: “che era una grande scrittrice e lavorava al Giornale d’Italia. Si firmava Gianna Preda, il vero nome era Giovanna Predassi, lei e Maurizio Barenson, giornalista sportivo, che successivamente è diventato giornalista televisivo della Rai, mi hanno offerto dei validi insegnamenti per fare le fotografie, mentre Barenson ripeteva più volte studia i piedi del calciatore che va in attacco così sai dove finisce il pallone. La Predassi condivideva questo assunto ed aggiungeva in questo mestiere è fondamentale l’osservazione. Bisogna seguire sempre dove finiscono le cose. Mi aiutava inoltre nella scelta delle foto da distribuire ad altri giornali che avevano finalità diverse. A volte mi diceva queste fotografie portale ai giornali che prendono in giro tutti, come “Il Borghese”. Il giornale usciva ogni settimana e diversamente dalla maggiore parte, portavano il nome dell’autore. Altre volte suggeriva la “Tribuna Illustrata” dove lavorava il grande pittore Mino Maccari, che faceva le caricature, amico di Marasco e di altri grandi futuristi: Boccioni, Cangiullo, Vittorio Piscopo, pittore napoletano morto nella terra natia nel 2004 alla veneranda età di 91 anni e “dulcis in fundo” dell’ideologo del futurismo il poeta Marinetti”. La vita di Carlo Riccardi è stata sempre costellata dalle amicizie importanti: personaggi di grande spessore culturale e artistico. Lo stesso pittore Maccari, gli riconosceva che: “le fotografie erano delle caricature”. Anche la serie di foto fatte ad Amintore Fanfani, dove oggi c’è il Ministero dell’Interno e all’epoca c’era la sede del Governo, per il caricaturista Maccari: “erano una presa in giro”. La chiave di lettura era la stessa anche per Fanfani, che a tal proposito si era informato sulla persona di Riccardi e avendolo incontrato dopo alcuni giorni presso la Sede del Governo, l’aveva apostrofato “pappataci”. Il fotoreporter ignorando il significato della parola, aveva raccontato l’episodio e chiesto spiegazioni all’amico Ennio Flaiano. Il quale aveva immediatamente precisato il significato della parola: “… pappataci, è un dittero che pizzicandoti ti provoca la febbre per alcuni giorni”. Aveva anche aggiunto: “tuo padre vende i libri approfitta e leggili, troverai anche una derivazione del termine dal latino “pappataceus”. Con la sottile ironia ed il sorriso malizioso aveva generato “un latino maccheronico” o probabilmente aveva fatto derivare la parola dai due verbi latini pappo – as – avi – atum – are e taceo – es – tacui – tacitum – ere. Quando successivamente è uscito il film “La Dolce Vita”, Carlo Riccardi ha chiesto a Tazio Secchiaroli chi era il fotografo denominato paparazzo. Il quale tempestivamente gli aveva risposto: di non saperlo. Ne era a conoscenza Flaiano che l’aveva codificato”. Per Ennio Flaiano: “ … Carlo Riccardi era il paparazzo, il termine dispregiativo di pappataci. In tanti posti in dialetto li chiamano paparazzi”. Flaiano aveva una buona memoria e quindi nello scrivere la storia “La Dolce Vita” aveva preso l’ispirazione dalla parola utilizzata da Amintore Fanfani. Ennio Flaiano ha avuto un ruolo importante nella vita di Carlo Riccardi. Nel periodo del 1948 quando frequentava il “Caffè Strega”, Carlo Riccardi, ricorda con grande emozione: “… mi aveva invitato come fotografo ad andare a casa della Signora Bellonci, poiché il locale era frequentato da diversi scrittori e si parlava di organizzare un Premio per la narrativa. Ed io l’ho seguito come era mia abitudine. Quello era l’esordio del “Premio Strega”, che ha acquisito negli anni una grande notorietà. La prima edizione risale al 1948 ed il vincitore è stato Ennio Flaiano. Ogni anno si ripete a Valle Giulia presso il Museo Etrusco, dove io partecipo per fotografare i vincitori, ma soprattutto in queste celebrazioni ho il piacere di incontrare gli amici con i quali ci frequentavamo alla fine degli anni ’40 – ’50, come ad es. il Dr. Bisiac ed il Prof. Mirabella. In quelle occasioni si incontrano gli scrittori italiani, quelli della grande cultura”. Nella panoramica dei misteri della dolce vita, in questo mondo fantastico ad onore del vero dovrebbe essere fatta qualche precisazione sul “Café de Paris”. All’epoca del film di Federico Fellini, come ci informa Riccardi: ” … era all’inizio dell’attività. Il cameriere dell’Excelsior, Giorgio Ranieri convince il suo amico a prendere il Bar dell’Excelsior per fare un grande Bar nel 1956, che prende il nome di “Café de Paris” e ne diventa l’animatore. Al principio non andava bene, ma fortunatamente interviene Buffardeci, un italoamericano, che veniva dal sudamerica, proprietario di miniere di diamanti. Ha acquistato il locale e gli ha dato vita. L’uscita del film di Federico Fellini ha contribuito notevolmente ad accrescerne la notorietà”. Queste informazioni mi lasciano perplesso sul vero ruolo di questo locale nella “dolce vita”, nonostante la meraviglia ed il disorientamento che provocano non turbano la parte finale della chiacchierata, nella quale ho potuto soddisfare altre mie curiosità per sapere quando e come ha conosciuto Totò. Riccardi amorevolmente cattura dalla mente vecchi e piacevoli ricordi: ” … la prima volta l’ho incontrato a Napoli. Lavoravo nel periodo della guerra al porto, che all’epoca bombardavano. Andavo a dormire nel Palazzo dove si trovava il noto Teatro “Trianon”, fino al terzo piano c’erano rifugiati e sbandati. Dalla finestra si sentivano le voci di De Filippo e di Totò. Un giorno ho aspettato tanto tempo che uscissero dal teatro. L’attesa alla fine è stata ripagata bene. Sono riuscito a vedere, nonché a parlare con Totò, che era stato disponibile e cordiale. Gli avevo raccontato che prima della guerra facevo il fotografo. E lui mi aveva confessato che gli piaceva tanto la fotografia, era amante dei fotografi futuristi ed era amico di Ludovico Bragaglia, uno di loro noto all’epoca. Tornato a Roma continuai a fare le fotografie in Via Veneto, dove ci fu una serata alla quale era presente Totò. Ricordo che c’erano: anche Mike Buongìorno, appena arrivato dall’America, Gino Cervi, Aldo Fabrizi, Amedeo Nazzari, Alberto Rabagliati, Anna Magnani. La mia attenzione era catalizzata particolarmente sul grande Totò. L’ho fotografato, ci ho parlato ed ho ricordato il primo incontro al Trianon. Manifestò il desiderio di rincontrarsi, voleva conoscere maggiormente il mondo della fotografia, ma non fissammo alcun appuntamento. Dopo un certo tempo lo incontrai casualmente, mentre stava girando un film alla “De Paolis” in Via Tiburtina nei primi anni ’50. In quell’occasione mi ha invitato a casa, dovevo spiegargli l’uso di una macchina fotografica giapponese, che gli avevano regalato, la “Canon”. Dopo alcuni giorni sono andato a trovarlo a casa, che era bellissima ed arredata con straordinaria eleganza. Altri incontri nella sua abitazione si sono susseguiti nel tempo. Quel giorno gli avevo fatto notare che l’oculare del mirino della “Canon” era piccolo. Pertanto la difficoltà si manifestava per tutte le persone. A quel punto gli ho suggerito di comprare una macchina fotografica con un grande angolo, di posizionare l’obiettivo in direzione del soggetto che deve essere fotografato, di appoggiarlo sulla guancia o sulla testa e di non guardare nel mirino, perché riprendeva da un angolo all’altro. Totò aveva prontamente ascoltato il consiglio”. Infatti l’articolo è corredato dall’immagine di Totò, che fotografa Carlo Riccardi e lo guarda senza prestare attenzione all’obiettivo. Altro importante suggerimento di Riccardi: ” … era quello di sviluppare le foto dal suo amico, che era anche mio amico, un fotografo futurista, il quale doveva centrare solo la parte che interessava della fotografia e bisogna riconoscere che lo faceva benissimo”. Come si evince, la vita di Carlo Riccardi è veramente interessante. Questo profilo certamente non possiamo considerarlo esaustivo. Mi preme ricordare tra i suoi impegni professionali, l’attività di fotografo per: “l’Osservatore Romano della domenica con il Prof. Zuppi, il settimanale “Famiglia Cristiana”, “il Tempo”, il “Giornale d’Italia”, nonché corrispondente da Roma del “Corriere della Sera”. Carlo Riccardi ha un archivio che conta oltre un milione e trecentomila istantanee. In circa 60 anni di attività ha fotografato molti Capi di Stato, sei Pontefici, politici, personaggi della cultura e dello spettacolo. Ha fermato lo sguardo con il suo “magico clik” sui grandi interpreti, che nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale hanno contribuito alla crescita del cinema italiano in tutto il mondo. Riccardi con il trascorrere degli anni dopo avere raggiunto importanti risultati nell’arte della fotografia, ha ampliato i suoi interessi culturali, stimolando ulteriormente la creatività attraverso l’uso dei pennelli e dei colori. Anche nella pittura ha ottenuto straordinari risultati nell’uso delle diverse tecniche: tempere, colori ad olio e acrilici. Le sue opere sono intrise di pathos che coinvolgono emotivamente i fruitori delle stesse, stimolati altresì dall’effetto materico. Il suggestivo cromaticismo dei colori, contribuisce ulteriormente nell’affermazione dell’artista stimato ed adeguatamente quotato. Ha ricevuto numerosi premi, tra i quali: il primo Premio “Città Eterna” in Campidoglio a Roma in “ex aequo” con “il collega del pennello”, Amintore Fanfani, entrambi amici del pittore Montanarini, compaesano di Fanfani, che è stato Direttore dell’Accademia delle Belle Arti; il Premio di Via Condotti con una Giuria prestigiosa, della quale facevano parte, Guttuso e Cagli; Premio “Tavolozza d’oro” al più grande Premio di estemporanea europea a Marina di
Ravenna; Premio medaglia d’oro di pittura paesaggistica al “Giugno Napoletano” ed in tempi più recenti, un premio altrettanto prestigioso, la medaglia d’argento della Presidenza della Repubblica presso la Camera dei Deputati al Concorso Internazionale “Antonio de Curtis, Totò. Sono state organizzate Mostre fotografiche e pittoriche del Maestro Riccardi nei diversi continenti, accompagnate da un’adeguata informazione, infatti, gli sono state dedicate dalla stampa straniera intere pagine di giornali. Nei prossimi giorni sarà impegnato con una Mostra nel prestigioso Palazzo Doria Pamphili di Valmontone in provincia di Roma. Nel corso dell’anno parteciperà ad un’altra importante Mostra a Brasilia nella capitale del Brasile. Questo artista di grande spessore culturale, apprezzato a livello internazionale, sensibile al sociale, continua ad essere particolarmente disponibile per i “meno abbienti”, con frequenti interventi umanitari. Pertanto vive la sua quotidianità con modestia. Fondatore del movimento “della Quinta Dimensione”, che in passato ha fatto parlare molto. Dalla controversia giuridica scaturita ha ottenuto la sentenza favorevole del famoso Giudice Manlio Cruciani (ha collaborato alla stesura della legge sulla stampa nel dopoguerra). Alcune delle sue opere appartengono a collezioni pubbliche e private; presenti anche in alcuni Musei: Museo di Arte Sacra di Reggiano e Museo di Arte Sacra di Taranto, Museo di Roma, Museo del Cinema di Roma, Museo di Basilea in Svizzera. In un’epoca scevra di valori morali ed in una società dove la pochezza dei sentimenti regna sovrana e si alimentano con una continua crescita: l’egoismo e l’indifferenza, ancora esistono, seppure “come meteore”, persone di buona volontà e mecenati, che in un prossimo futuro realizzeranno un Museo, che sarà dedicato al Maestro dell’Immagine Carlo Riccardi, con ampie Sale dedicate alla sua arte fotografica e pittorica. Soggiogato dalla figura “carismatica” di Riccardi alla conclusione di questa storia avvincente ed attratto dalle interessanti rivelazioni a malincuore lo congedo. Mi chiedo è questa la vera storia del paparazzo della dolce vita? Qual è il confine tra la fantasia e la realtà? Come Ennio Flaiano nel raccontare la dolce vita ha scritto una storia autobiografica e attribuiva il merito a Federico Fellini della straordinarietà della stessa, che aveva trasformato abilmente con la sua fantasia, così Carlo Riccardi, che ha vissuto quell’epoca ed ha ancora vivido nel cuore in tutti questi anni, il ricordo della sua Via Veneto, pur avendo assunto un ruolo importante nella “‘dolce vita”, non ha mai rivendicato e preteso il giusto riconoscimento, lasciando ai nostri cuori di decidere: credere a queste parole o palesare il dubbio, che anche in questo caso la fantasia abbia avuto il sopravvento? (Alberto De Marco)
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