Rimangono gli 80 euro, l’aumento dell’indennità di vacanza contrattuale, la possibilità seppur con risorse esigue di rinnovare i contratti, l’aumento delle ore nei licei musicali ottenuto da Anief e quello relativo a duemila posti in tempo prolungato, la stabilizzazione dei 12 mila Lsu e la trasformazione di alcuni contratti par time, l’abolizione del FIT, dei nuovi concorsi riservati per i precari con 36 mesi e degli ambiti territoriali nella mobilità, tutti provvedimenti decisi nella legge di stabilità (art. 1, legge 145 del 30 dicembre 2018, commi 436, 440, 730, 738, 760, 792, 796). I provvedimenti attuativi dovranno essere presi da un esecutivo di transizione o da un nuovo esecutivo politico di legislatura. Salta, invece, l’accordo di Palazzo Chigi del 24 aprile 2019 per il quale i sindacati rappresentativi, eccetto Anief, avevano revocato lo sciopero generale alla vigilia delle elezioni europee, perché il nuovo Governo, di qualsiasi scopo sia, non avrà più la stessa maggioranza politica per trovare la copertura di un aumento di 100 euro (dopo quattro mesi mai aggiornata nel DEF) e mettere paletti a un’autonomia differenziata, mai fortunatamente definita. E salta anche il testo sconosciuto di un Decreto legge, salvo o meglio senza intese, approvato il 6 agosto da quel Governo oggi in crisi con annesso quel piano straordinario, inutile, sul precariato che avrebbe salvato 24 mila precari con 36 mesi e lasciato nel limbo gli altri 200 mila. E i concorsi ordinari? Bisognerà leggere il prossimo disegno di legge di stabilità dopo che la Commissione Ue avrà multato l’Italia per aver tradito le norme euro-comunitarie sull’abuso dei contratti a termine.Il bilancio di un anno di Governo è, pertanto, negativo per la scuola, ma non lo dice un sindacato. In verità, sono i politici che lo ammettono. Una per tutte, la dichiarazione dell’ex vice-premier Salvini sulle tante cose fatte bene che trova un Sì per la scuola, università e ricerca, soltanto nelle telecamere che avrebbe voluto introdurre nelle scuole come in un carcere e in violazione della normativa comunitaria, dimentico del proprio ministro della Lega, Bussetti, quasi che non fosse stato mai a Viale Trastevere in questi 14 mesi.
Archive for 16 agosto 2019
Scuola – Crisi di Governo: quali provvedimenti rimangono in vigore e quali potrebbero saltare
Posted by fidest press agency su venerdì, 16 agosto 2019
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Quando la cronaca si fa storia
Posted by fidest press agency su venerdì, 16 agosto 2019
Da 55 anni faccio il cronista e in questa veste mi è capitato di essere testimone di rivolte e ho raccolto le testimonianze dei sopravvissuti. Mi capita ora di leggere sui libri di storia eventi che ho vissuto ora in presa diretta ed ora desunta da accadimenti che hanno fatto parte, nel bene e nel male, del mio tempo o giù di lì. Poteva essere quanto accaduto a mio padre che si è visto catapultato in due guerre mondiali da militare di carriera. Ricordo che mi parlava della vita di trincea nella prima guerra mondiale e nella successiva dello sbarco a Durazzo con il suo reggimento in Albania per poi raggiungere Elbassan. Lo faceva tralasciando gli aspetti più cruenti considerato che il racconto era diretto ad un bambino di otto anni. In seguito, da me sollecitato, mi spiegò molte altre cose, di quelle che non si trovano nei libri di storia e che cercai d’approfondire con altre letture e dalla visione film che riportavano, sia pure romanzate, le fasi più cruciali di guerre terribili. Se ora mi soffermo ad evidenziare tali circostanze lo faccio per informare chi non ha avuto modo, per sua fortuna o per ragioni anagrafiche o perché vive in un paese che non ha conosciuto la guerra come la Svizzera, di conoscere il lato oscuro dell’essere umano, la sua barbarie ma anche la testimonianza di chi riusciva a riscattare l’altra faccia, quella del bene e della solidarietà nel momento che si affrontavano grandi sofferenze e rinunce proprie e altrui.
Durante l’ultima guerra mondiale ho sofferto la fame ed ero con mia madre e mia nonna inferma a letto mentre mio padre era sul fronte. Posso capire i giovanissimi che si trovano nelle mie stesse condizioni di allora anche se presumo siano in condizioni di gran lunga peggiori. Perché la guerra tende a fare più vittime civili che fra i militari, essendo combattuta tra le strade delle piccole e grandi città, nelle case e nei cortili e con armi sempre più sofisticate e laceranti.
Ho pensato di riprodurre ampi stralci dei miei racconti sulla guerra, dei motivi che l’hanno originata per portare, sia pure nel mio piccolo, una testimonianza di ciò che significa essere sotto un bombardamento, tra le case sventrate e i morti nelle strade e i feriti che con un filo di voce si lamentano e altri che gridano per attirare l’attenzione dei pochi soccorritori. Uno scenario apocalittico dipeso dalla follia di un uomo e dei suoi accoliti, per sete di potere e fame di gloria. Di gloria? Si proprio così. E’ l’aspetto più folle di tutto questo scenario degli orrori. (Riccardo Alfonso)
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La pace desiderata dai tedeschi
Posted by fidest press agency su venerdì, 16 agosto 2019
Una pace che fu desiderata, durante gli anni di guerra, non solo dagli italiani ma da una parte dei tedeschi se pensiamo a tanti tentativi per spezzare il corso degli eventi drammatici con un delitto “eccellente.” Ancora sussulti di battaglie e di congiure quando il 20 luglio del 1944 alle 12,42 un ordigno esplose nel bunker (la lagebaracke della wolfsschanze = tana del lupo) di Hitler mentre era in riunione con alcuni alti ufficiali. Molti morirono ma Hitler rimase solo lievemente ferito. Mussolini arrivato a Rastenburg, verso le quattro del pomeriggio di quel fatidico giorno, si vide venire incontro un Hitler allucinato e seppe direttamente da lui cosa era successo.
Sia Shirer, sia Wheeler-Bennet, i due massimi storiografi della caduta del terzo Reich, descrivono il Duce prima sbigottito, poi convinto di scorgere nello scampato pericolo del Fuhrer, un segno della provvidenza la quale stava dalla loro parte. In privato, ad Anfuso, lasciò capire come in fondo non gli dispiacesse la faccenda: anche i tedeschi, questo popolo senza “traditori”, avevano avuto il loro 25 luglio. Venne così alla luce il terzo attentato al Fuhrer. Tutti e tre gli eventi puntavano alla realizzazione di un solo risultato.
Nei progetti delle alte gerarchie militari tedesche tali tentativi, se fossero andati a buon segno, avrebbero potuto portare l’Europa alla pace. In quest’ultima circostanza la bomba fu piazzata dal colonnello Klaus Philip Schenk, conte di Stauffenberg, trentasettenne e con uno splendido passato militare. Egli non era nuovo a queste iniziative e già altre due volte ci aveva provato, ma in entrambe Hitler si era sottratto, per un puro caso, e all’ultimo momento.
La reazione nazista non si fece attendere. Nel processo “lampo” celebrato il 7 agosto dello stesso anno ci furono otto condanne a morte eseguite con l’impiccagione dei colpevoli ai ganci da macellaio e strozzati con corde di violino. In aula erano stati costretti a presentarsi senza cinture e bretelle in modo da doversi reggere i calzoni con le mani, rendendosi ridicoli. Difficile, in questa circostanza, sapere quanti fossero, nel complesso, le vittime della brutale reazione nazista all’attentato. Si parla, comunque, di 16/20mila uccisioni. Ultimi a morire furono quelli che sembravano ormai salvi, dimenticati nei campi di sterminio come Canaris, assassinato il 9 aprile del 1945, un mese prima della resa tedesca.
Tra il settembre del 1943 e il gennaio del 1944 fallirono almeno una mezza dozzina d’attentati contro Hitler. Ricordiamo, ad esempio, quello del 13 marzo del 1943 a-lorché il generale Schlabrendorff, con uno stratagemma, riuscì a piazzare una bomba ad orologeria sull’aereo in cui viaggiava il Fuhrer. Ma l’ingranaggio non funzionò. Ci riprovò nel novembre del 1943 il capitano Axel Von dem Bossche con un gesto da “kamikaze” portandosi in tasca del pastrano due bombe a mano e deciso di lanciarsi addosso al dittatore. Per sua sfortuna l’incontro fu rinviato sine die. Lo stesso tentativo avvenne nel febbraio successivo per opera del tenente Heinrich von Kleist e nuovamente fallì. Questi episodi non furono casuali. C’era stato a Monaco il movimento studentesco della “rosa bianca” finito il 18 aprile del 1943 con la barbara decapitazione, con la scure, dei fratelli Hans e Sophie Scholl e di altri martiri.
Tra le file della stessa Luftwaffe vi era una centrale di spionaggio denominata “Orchestra rossa” a favore dei sovietici e diretta dall’aristocratico conte Harold Schulze-Boysen. C’erano gli intellettuali del circolo di Kreisau, fautori non di attentati ma di resistenza passiva ai nazisti e capeggiati da un nome illustre della nobiltà tedesca: il conte Helmuth von Moltke. C’erano i politici come l’ex sindaco di Lipsia Carl Goerdeler e altri e c’era persino il capo dello spionaggio ammiraglio Canaris con i suoi agenti e pure due religiosi protestanti. Lo stato maggiore, scrive Silvio Bertoldi, in questo fermentare d’inquietudini, era stato il primo a opporsi ai nazisti in ordine di tempo.
Lo Stato Maggiore doveva vendicare tra l’altro, alcuni dei suoi capi più rappresentativi, caduti sotto i colpi di Hitler: dal generale Kurt von Schleicher, cancelliere del Reich al generale Kurt von Bredow, e più tardi, al capo di stato maggiore Werner von Blomberg, tolto di mezzo per avere sposato una ragazza di piccola virtù, per finire al generale Wilheim Fritsch, capo di stato maggiore dell’esercito, ignobilmente ricattato con la falsa accusa di intrattenere rapporti omosessuali. (Riccardo Alfonso)
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L’esercito russo alle prese con la Wermacht
Posted by fidest press agency su venerdì, 16 agosto 2019
Sul fronte orientale, i sovietici adottarono una diversa strategia in conformità alla vastità del terreno. Essa si imperniava sulla mobilità delle truppe ma questa volta per arretrare e non per avanzare. Una opportunità che avrebbe favorito i tedeschi, adusi a rapidi avanzamenti, ma questa volta non tennero in debito conto la vastità del territorio. In proposito dobbiamo, comunque, rilevare che il confronto con i tedeschi fu reso impari, almeno al primo impatto tra i due eserciti, soprattutto per le gravi deficienze registrate nelle capacità, dei quadri e degli alti comandi dell’esercito russo, di coordinare lo sforzo bellico. Era un qualcosa che andava oltre alla paventata duttilità o meno delle forze in campo. Queste lacune furono evidenti già con la campagna russa di Carelia, contro la Finlandia, sferrata nel 1939. Vi era, poi, una logica di combattimento che i russi preferivano. Era quella che permetteva la penetrazione dell’avversario per poi colpirlo lontano dai suoi centri di rifornimento. Per i tedeschi, invece, il calcolo era diverso. L’intendimento era di raggiungere le fonti energetiche, di cui la Russia disponeva in abbondanza in alcune parti del suo territorio, e da lì costituire un caposaldo per la soluzione finale e senza dover dipendere, in questo modo, dalle forniture militari e logistiche della Germania, posta, con l’avanzata prorompente dell’esercito tedesco, sempre più lontana dalle zone di operazioni. (Riccardo Alfonso)
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Il fronte russo salvò la Gran Bretagna dall’invasione tedesca
Posted by fidest press agency su venerdì, 16 agosto 2019
La circostanza favorì inoltre gli alleati con l’apertura di nuovi fronti da Nord a Sud e da Est a ovest. S’incominciò anche a concepire l’idea della necessità di operare degli sbarchi di truppe per la conquista di determinati territori. I tedeschi a loro volta, non avevano accantonata l’idea d’occupare la Gran Bretagna dopo averla indebolita con massicci bombardamenti aerei ma l’operazione fu accantonata essendosi aperto, nel frattempo, il fronte russo. Ci pensarono in seguito gli alleati sia per sbarcare in Sicilia dalla vicina Africa e poi procedendo alla conquista dell’Italia con altri importanti sbarchi: Salerno, Anzio, Termoli, e poi in Normandia e in Provenza. Di tutti questi sbarchi il più imponente fu, senza dubbio, quello di Normandia. Fu allestita un’enorme flotta d’invasione, la più grande della storia con nove corazzate, 23 incrociatori, 104 cacciatorpediniere, 71 corvette, 6483 navi da sbarco e da appoggio per 133mila fanti da sbarco mentre dall’aria erano stati lanciati nella notte 24 mila paracadutisti (sedicimila americani ed ottomila inglesi). L’ora X scattò alle 6,30 di mattina del 6 giugno 1944. A contrastarli vi erano 208 mila uomini al comando del feldmaresciallo Erwin Rommel. L’impresa, pur necessaria, apparve così azzardata che lo stesso comandante in campo degli alleati generale Eisenhower aveva già preparato il bollettino della… sconfitta: “Lo sbarco è… fallito. L’esercito, l’aviazione e la marina hanno fatto quello che dall’eroismo e dalla dedizione al dovere ci si poteva aspettare. Se c’è una colpa o una responsabilità nel tentativo è mia soltanto”.
A farvi da scenario fu soprattutto Dunkerque. Fu una sorta di vendetta della storia se si pensa che questa cittadina francese di 30.000 abitanti, in buona parte pescatori e marinai, passò alla storia per aver assistito al rientro in Gran Bretagna del corpo di spedizione inglese stretto nella morsa della Wehrmacht e colpito dal cielo da un intenso bombardamento e mitragliamento aereo. La città fu ridotta a un cumulo di macerie e la spiaggia di rena finissima, che si stende a perdita d’occhio fino al confine con il Belgio, fu letteralmente sconvolta dalle esplosioni e insanguinata da migliaia di morti e feriti.
Allora il corpo di spedizione inglese fu sospinto verso il mare, da cui era venuto, dalla possente pressione delle Panzergruppe di von Kleist e dall’armata tedesca che premeva da Nord-est.
I tre porti d’imbarco di Boulogne, Calais e Dunkerque furono ridotti a uno solo: il 23 maggio del 1939 Boulogne cedé seguita da Calais tre giorni dopo. Disperatamente si cercò di tenere aperto un corridoio per consentire il flusso delle truppe verso Dunkerque.
Nonostante queste disperate condizioni il successo dell’operazione di sgombero dimostrò al mondo intero che la Gran Bretagna continuava ad essere la dominatrice dei mari. Vi fu anche un altro motivo di soddisfazione: furono impiegati con successo, e per la prima volta, i nuovi Spitfire, a sostegno degli Hurricane (bombardieri) e si rivelarono degni protagonisti del cielo. Si riuscì in questo modo a riportare in Gran Bretagna 338.226 uomini dei quali 120.000 francesi. La perdita tra morti, feriti e prigionieri fu di circa 69.000 uomini oltre ad un ingente materiale bellico, tra munizioni, cannoni, ecc.
Così passammo, in pochi anni, da una débâcle, dove tutto sembrava congiurare contro gli alleati, a un insperato trionfo militare pur segnato da migliaia di morti e da immani distruzioni. Lo sbarco in Normandia divenne in tal modo un’impresa militare straordinaria per la dimensione dello sforzo, per i suoi riflessi politici militari ed anche civili.
Ma se queste battaglie combattute in terra, in mare ed in cielo possono attrarci a tal punto che la cinematografia, in specie quella di Hollywood, ne fece il suo cavallo di battaglia riproducendo tali eventi in tanti modi diversi e riscuotendo dal pubblico enormi consensi, non devono distrarci dal considerare tutti quegli aspetti che hanno concorso a quel bagno di sangue che costò la vita a decine di milioni di uomini, donne, bambini ed anziani sui campi di battaglia e per le strade delle nostre città e nelle stesse case dove si erano rifugiati nell’estremo tentativo di proteggersi in qualche modo. Fu una sconfitta pagata a caro prezzo ma lo fu anche per i vincitori. (Riccardo Alfonso)
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Le aberrazioni del pensiero umano e le logiche capitaliste
Posted by fidest press agency su venerdì, 16 agosto 2019
Non possiamo, di certo, fare della dietrologia senza ignorare una realtà che allora si mostrava con un volto diverso da quello da noi considerato con il senno di poi. Quante volte, infatti, a scuola, nei conversari tra amici, nei dibattiti politici di questi ultimi anni abbiamo parlato del fascismo e del nazismo e abbiamo cercato di capire da dove questi movimenti hanno tratto la linfa per crescere e maturare intorno e dentro di noi fino a portarci verso la soglia di una grande guerra. Abbiamo pensato al “grande vecchio”. Abbiamo pensato a taluni capitani d’industria timorosi della valanga comunista e pronti a foraggiare chi sapesse contenerla con efficacia. Abbiamo pensato a una borghesia umiliata e che voleva uscire dalle sue frustrazioni legittimando con più forza la sua presenza e le sue idee conservatrici. Abbiamo pensato ad Alberto Pirelli (classe 1882 e morto nel 1971) fu uno dei massimi esponenti dell’imprenditoria italiana. Negli anni tra le due guerre mondiali gli furono affidati, da Mussolini, importanti missioni e i cui resoconti si possono leggere dal libro i “Taccuini” (edizioni Il Mulino) dove l’industriale si rifà agli avvenimenti mondiali, e italiani in particolare, dal 1922 al 1943. Alcuni passi si riferiscono ai contatti avuti da Pirelli nel novembre del 1942 con gli esponenti di spicco dell’industria europea e, nello specifico, con i francesi, i tedeschi, gli svizzeri e i belgi.
Le sue critiche nei confronti della Germania si appuntarono soprattutto sulla mancanza di psicologia politica verso i paesi occupati e verso gli alleati. Essa suscitava sentimenti d’odio e di ribellione in tutte le popolazioni dei paesi occupati.
Scrive, infatti, Pirelli: “Gli ungheresi sono malcontenti per l’eccessiva valorizzazione dell’esercito rumeno, il clero nella sua generalità è ostile e cresce la riprovazione da parte dei neutri e nei paesi occupati per gli eccessi contro gli ebrei. Lo stesso popolo russo, che aveva accolto i te-deschi come dei liberatori, oggi, per le angherie subite, si rivolta rabbiosamente contro. Una situazione di disagio che in Italia così si spiegava: abbiamo mandato in Germania numerosi operai, un corpo di spedizione italiano è presente sul fronte russo, larghe forze germaniche si sono stabilite in Italia e tuttavia la situazione debitoria, per molti miliardi, che la Germania ha saputo crearsi nei confronti degli italiani è oltremodo eccessiva e ingenerosa”.
Si registra, poi, la mancanza assoluta di combustibili solidi e liquidi che la Germania ci concede con il contagocce. Basti pensare che su un’estrazione annua in Germania di 230 milioni di tonnellate di carbone, 40 milioni sono impiegati per il solo riscaldamento in Germania e ci si limita a 12 milioni la fornitura per l’Italia, da utilizzare sia per gli usi industriali sia domestici.
E’ il solito discorso che è immaginabile da parte di chi nel periodo delle vacche grasse si culla nel benessere e nei successi e non sa immaginare un modo di vivere diverso. Allorché si presenta l’altra faccia della medaglia arrivano puntuali i ripensamenti, le critiche, le ragioni del contrasto e la consapevolezza degli errori commessi.
Alla fine l’ora precipita. Il declino del fascismo e del nazismo è stato determinato, anche se non soprattutto, dall’assenza di talenti e dalla mancata formazione di una élite politica ed industriale adeguata alle circostanze. Va poi ad aggiungersi che una volta conquistato il potere emerge il disprezzo per la nomenklatura. Esso è frequente nelle dittature e non solo in quelle: “Nasce – per Federico Rampini – anche quando un popolo si riconosce troppo nei difetti dei propri dirigenti”. E per Alexis de Tocqueville “La storia è una galleria di ritratti dove ci sono pochi originali, e molte copie.” E le copie devono essere brutte, anzi bruttissime, per fare risaltare di più la bellezza e il carisma del dittatore. Il fascismo, la guerra civile, la presa di potere e la corsa per accaparrarsi un posto in prima fila in Europa e nel mondo sono i passaggi obbligati per un dittatore. (Riccardo Alfonso)
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La forza del progresso umano a dispetto delle sue perversioni
Posted by fidest press agency su venerdì, 16 agosto 2019
Il XX secolo incomincia con le scoperte di Marconi e di madame Curie, le geniali intuizioni d’Einstein, Fermi e Fleming e si completa con i sogni d’intere generazioni verso una società migliore e più evoluta. In quegli anni pieni di tormenti esistenziali l’autorità sembra libertà quando succede all’anarchia. Succede in Italia, con il fascismo, e si ripete in Germania quando un ex caporale austriaco assume il potere a Berlino. E’ la prima avventura che devasta il precario equilibrio europeo. L’Europa vincitrice del 1918 muore all’alba del 7 marzo del 1936 quando Hitler rioccupa la Renania. E’ la prima tappa di una cavalcata che porterà i nazisti a Vienna, nei Sudeti, a Praga, a Danzica, a Varsavia, a Parigi.
La Germania inghiotte tutti questi paesi e lo fa, sia pure in modo diverso, con l’Italia di Mussolini. Questi è travolto dalle suggestioni naziste: bagni di folla, parate, grida di popolo. Non vi può essere pace né a Monaco né altrove. Hitler tratta solo sulla punta delle baionette. Diventa, così, l’anticamera della guerra con la sconfitta della sperata pace dei trattati e dei protocolli d’intesa. Il 1° settembre del 1939 si scatenano gli dei della guerra. Berlino da quel momento in poi è ubriaca di vittorie.
L’Italia resta sola di fronte a Hitler e Mussolini. Quest’ultimo, solo per paura e voglia di bottino, rende comune l’avventura. “Una guerra, per l’Italia, senza entusiasmo, senza mezzi, estranea agli interessi vitali del Paese. ”Mussolini aveva portato il suo Paese al disastro e alla rovina per una manciata di fichi secchi. Il 1941 incomincia con le preoccupazioni, prosegue con la rassegnazione del 1942 e lo sgomento del 1943 e poi verrà la guerra civile e sarà la pagina più crudele perché fraticida. (Riccardo Alfonso)
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Lotta di popolo, lotta di civiltà: Onore ad Amedeo d’Aosta
Posted by fidest press agency su venerdì, 16 agosto 2019
Il 17 maggio del 1941 sull’Amba Alagi il Duca d’Aosta firma la resa delle sue truppe. Nello stesso giorno e ora tramonta il sogno imperiale italiano. La resa del contingente italiano ebbe un prezzo altissimo in morti e feriti. Fu il conto pagato da una resistenza spinta sino ai limiti delle forze umane. Quel giorno Churchill scrisse: “Così terminava il sogno di Mussolini di un impero da creare con la conquista e da colonizzare nello spirito dell’antica Roma”. Amedeo D’Aosta morì nell’ospedale di Nairobi alle 3,45 del 3 marzo 1942, aveva 43 anni.
Ciano annotò nel suo diario: “E’ morto il duca d’Aosta. Scompare con lui una nobile figura di principe e d’italiano, semplice nei modi, largo nella comprensione, umano nello spirito. Non voleva la guerra. Era convinto che l’impero avrebbe potuto reggere soltanto pochi mesi. Poi detestava i tedeschi. Dalla vicenda che insanguina il mondo temeva più la vittoria tedesca che quell’inglese. Quando partì per l’Etiopia, nel maggio del 1940, ebbe il senso del suo destino: era deciso ad affrontarlo, ma era pieno di tristezza”. Il duca Amedeo d’Aosta, a detta del ras Abebe Aregai, capo della resistenza abissina e che lo aveva sempre combattuto: “E’ stato il più terribile nemico dell’Etiopia perché era riuscito a conquistare gli abissini e a far loro dimenticare l’amore per l’indipendenza”. Ecco per cosa gli italiani differivano dai tedeschi: la loro gran voglia di vivere in pace. Una pace che in Europa, come sappiamo, fu tanto desiderata mentre per i dittatori si era trasformata in un atto di codardia e di tacita sottomissione.
Il 1942 è l’anno della svolta. Il risveglio brusco da un sogno è tragico. La guerra prende una brutta piega. La fame incomincia a picchiare duro, i divieti si fanno più severi, i bombardamenti più fitti. Arriviamo a due passi da Alessandria d’Egitto, ma perdiamo il treno dell’Africa. Rommel non fa più miracoli, a El-Alamein Montgomery è troppo forte. Da Stalingrado non si passa. Nel 1943 molti avvenimenti precipitano. Il 25 luglio a Roma il Gran Consiglio del fascismo sfiducia Mussolini. E’ l’onda lunga che ha segnato in Russia la sconfitta della Germania: i russi sfondano sul Don, l’ARMIR, l’armata italiana sul fronte sovietico, è costretta a una precipitosa ritirata per non essere circondata e annientata.
Si combatte e si muore a quaranta gradi sotto zero. Le perdite assommano a oltre 80.000 uomini sui 120mila del corpo di spedizione. In Italia, intanto si vive come si può tra luci e ombre, sotto i bombardamenti e qualche evasione. Il film dell’anno è “Ossessione” con Luchino Vi-sconti. Aldo Fabrizi, al suo debutto, interpreta “l’ultima carrozzella”. Macario fa la donna nella “Zia di Carlo”, ma non ride nessuno. Così si compie il destino di un popolo con la sua avventura fascista. In quel momento riecheggiano le parole di George Sorel: “Un bosco impiega secoli per crescere, ma basta una notte per bruciarlo”. (Riccardo Alfonso)
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Shoah, Angelo De Fiore: il poliziotto che salvò centinaia di ebrei
Posted by fidest press agency su venerdì, 16 agosto 2019
Sembra una spy story. Una di quella da film, dove la suspense si mischia all’empatia nei confronti del protagonista. Nel nostro caso, il protagonista è Angelo De Fiore, vice questore di Roma negli Anni 40 del ‘900. Era il periodo dell’occupazione nazista, quando la Gestapo terrorizzava un’intera città. Il poliziotto del Trieste-Salario timbrava documenti falsi per salvare ebrei e oppositori al nazifascismo.Si racconta che un giorno, sentendo l’arrivo dei soldati tedeschi, mise in disordine la scrivania per nascondere le lista delle persone ricercate. Ad aiutarlo un suo fedele collaboratore con cui condivise un’avventura che lo portò a diversi richiami dei suoi superiori e degli occupanti tedeschi.Angelo De Fiore nacque a Rota Greca, in provincia di Cosenza, dove si laureò in giurisprudenza nel 1928 e vinse il concorso di funzionario della Pubblica sicurezza. Dopo aver prestato servizio in molte città, venne nominato vice questore a Roma, dove si trasferì all’età di 27 anni.Allo scoppio della Guerra, Angelo De Fiore venne richiamato nei granatieri con il grado di maggiore, ricoprendo contemporaneamente il ruolo di vice questore dirigente dell’Ufficio stranieri, nelle cui vesti collaborò segretamente con la Delasem, organizzazione della resistenza antinazista e con l’opera assistenziale di monsignor Hugh O’Flaherty.Per le sue eroiche gesta, ad Angelo De Fiore venne consegnata una medaglia d’oro nel marzo 1955 e venne riconosciuto come Giusto tra le nazioni Stato di Israele nel 1969 Nel gennaio dello 2018, su richiesta dell’Unione delle Comunità Ebraiche, la città di Roma gli ha dedicato una targa a via Clitunno, dove De Fiore viveva. Paolo De Fiore, figlio di Angelo, ha detto in un’intervista: “La caccia agli ebrei era spietata e mio padre ne salvò molti a rischio della sua vita. Mi domando da dove trasse tutta questa forza e questo coraggio. Probabilmente credeva nella sua professione: obbediente alla legge, ma prima di tutto a quella della coscienza. Credo che mio padre, quando compiva queste azioni, pensasse a noi figli e al dovere di non poterci lasciare un mondo malvagio e crudele”. Una bella storia che dimostra come si potesse fare qualcosa di più per non mandare a morire poveri innocenti.
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Pagine di storia: La lotta ai nazisti dalla Germania a paesi conquistati
Posted by fidest press agency su venerdì, 16 agosto 2019
Era ben nota l’avversione di alcuni ufficiali nei confronti del “piccolo caporale austriaco” e della sua dottrina nazista. Proprio per questo motivo sia taluni militari sia gli stessi capi di opposizione al nazismo presero contatto con gli inglesi già prima della dichiarazione di guerra del 1939. Si fa proprio risalire a questa “congiura dei generali” se gli inglesi ottennero a Dunkerque un po’ di respiro per far evacuare le loro truppe. Un’altra tesi, sull’argomento, vuole che fosse a deciderlo lo stesso Fuhrer più preoccupato di assicurarsi una neutralità inglese che non di puntare a un annientamento del nemico e alla prosecuzione della lotta sul suo territorio.
Posso a questo punto agevolmente rilevare come la resistenza al nazismo fosse un fenomeno internazionale e senza precedenti nella storia delle guerre. Penso, ad esempio, che alla capitolazione del governo francese rispose lo sviluppo progressivo dello spirito di resistenza. Il terreno fu minato sotto i passi del vincitore trionfante. La sua vittoria non avrebbe avuto senso senza l’adesione dei vinti. Costoro, da principio, soggiogati e a volte tentati, subirono lo strapotere tedesco. Ebbero, però, la forza di rialzarsi con un movimento forse lento ma potente. Del giugno del 1940 De Gaulle, da radio Londra lanciò ai francesi un proclama incoraggiandoli alla resistenza. Risposero per primi gli studenti parigini, l’11 novembre del 1940, con una sfilata che nelle intenzioni dei promotori avrebbe dovuto portarli davanti al Milite ignoto cantando la marsigliese e brandendo delle pertiche (deux guales) e che avrebbero dovuto salutare, con un gioco di parole, l’uomo di Londra. Intanto l’Intelligence Service inglese ricostruì le sue reti d’informazione in tutta Europa, ma soprattutto in Norvegia e in Olanda. Con l’inizio delle ostilità tedesche, sul suolo russo, anche i comunisti, dei paesi occidentali, dal 22 giugno del 1941, poiché fino allora si erano mantenuti neutrali, entrarono nella resistenza.
Da quel momento in poi la lotta contro l’occupante si fece senza quartiere. Si attivarono, nel 1942, numerose organizzazioni patriottiche: Liberation Nord et Sud, Combat, Front National, e Organisation Civile et Militaire. In Belgio il primo movimento di resistenza prende consistenza nel 1940 per merito del colonnello Lentz e dei suoi amici e collaboratori. In Olanda a scatenare la resistenza furono le forme sinistre, assunte dai nazisti, per la caccia agli ebrei. In Norvegia Quisling non riuscì a trascinare il suo popolo ariano lungo la scia hitleriana. Ma soprattutto nei paesi balcanici e slavi, spietatamente oppressi, la resistenza armata assunse fin dall’inizio, dimensioni notevoli prima ad opera del colonnello Drago Mihailovic e poi di Tito. Lo stesso accadde in Polonia, anche se in misura ridotta, per opera del generale conte Komorowsky. (Riccardo Alfonso)
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Pagine di storia: La resistenza in Italia al Nazi-fascismo
Posted by fidest press agency su venerdì, 16 agosto 2019
Sappiamo quanto fosse calata sin dal 1936 la popolarità dei fascisti e il carisma del Duce tra gli italiani, ma se non si tradusse subito in una rivolta popolare si dovette al fatto che molti capi dell’opposizione vivevano in esilio o marcivano nelle patrie galere. Ciò non di meno la resistenza passiva fu notevole sia nelle fabbriche sia altrove. La scintilla della ribellione covava, ad esempio, già sul fronte russo, dove i soldati italiani si sentivano mandati a morire per una guerra inutile. E l’ostilità contro i tedeschi si aggravò, abbandonati che furono all’attacco dei russi, nella loro ultima disperata battaglia con armi ed equipaggiamento assolutamente inadeguati. Dopo l’armistizio dell’otto settembre del 1943, eseguito in modo disastroso per colpa del re e del suo capo di governo maresciallo Badoglio, la situazione precipitò del tutto e si diede il via a una vera e propria guerra civile contro i nazisti e i loro fiancheggiatori della Repubblica Sociale Italiana, divenuta un “fantoccio” nazista. L’armistizio, non seguito da precise istruzioni per i militari, determinò un po’ ovunque uno sbandamento delle truppe da una parte e, dall’altra, a una lotta disperata e finita con un immane bagno di sangue. A Roma, a Porta San Paolo, i soldati si mescolarono nella battaglia dei popolani e degli antifascisti di sempre, come Emilio Lusso, Luigi Longo e Vincenzo Baldazzi e molti altri. Nelle isole greche migliaia di ufficiali e soldati italiani combatterono contro le truppe naziste e furono trucidati in massa. A sua volta la flotta fece ammirevolmente il suo dovere, unendosi, con gravi perdite, agli anglo-americani. Questa lotta ancora confusa assunse contorni sempre più definiti dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia alla Germania avvenuta il 13 ottobre del 1943.
“Ma – ricorda Leo Valiani – la resistenza italiana ha origini ben più lontane e che risalgono sicuramente agli anni 1920/21 allorché ci si opponeva alle violenze, incendiarie, spesso omicide aggressioni squadristiche fasciste contro le sedi dei loro oppositori”. Purtroppo fin da allora l’opposizione al fascismo non seppe contrapporre una via nazionale credibile e soprattutto unitaria nella sua lotta politica, tanto da farsi coinvolgere da interessi di parte e a progetti totalitari e rivoluzionari di segno opposto. Mancava, in altri termini, una via nazionale che sapesse superare le diffidenze e i timori di quanti vedevano, nel socialismo, un’opposizione settaria e anarchicheggiante in contrasto con i poteri costituiti che andavano oltre il Parlamento e si rivolgevano agli industriali e i rappresentanti dell’alta finanza. E i ceti moderati che formavano la piccola, media e alta borghesia si allearono con i “padroni” e lo stesso fece una parte della classe operaia timorosa di perdere il posto di lavoro. Costoro, così comportandosi, intendevano impedire l’avanzata di un sistema rivoluzionario dalle conseguenze imprevedibili, ma comunque capace, nell’immaginazione dei più, di portare nuovi lutti e disagi nella popolazione, soprattutto per una guerra sofferta sin troppo a lungo per le modeste risorse economiche italiane. (Riccardo Alfonso)
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Pagine di storia: Il malessere che serpeggia nel popolo e gli stimoli offerti alle dittature nascenti
Posted by fidest press agency su venerdì, 16 agosto 2019
Dopo la prima grande guerra ci troviamo con Stati soddisfatti, perché avevano beneficiato della sistemazione della pace e, pertanto, non aspiravano a rivendicazioni importanti e, con altri, che si ritenevano sacrificati. Tra costoro vi facevano parte sia i vincitori sia i vinti.
Pensiamo alla Germania, all’Italia e al Giappone. Dobbiamo poi aggiungere che di fronte a quest’opposizione prima latente e, in seguito, sempre più palese, fu fondamentale l’atteggiamento degli U.S.A. e dell’U.R.S.S. Da una parte prendevano piede le logiche capitalistiche con le sue cadute deteriori sul mondo del lavoro e del capitale dei singoli Stati e, dall’altra, la rivoluzione bolscevica faceva sentire la sua forza d’attrazione tra i ceti più umili e bisognosi di riscatto sociale.
Con la grande crisi del 1929 toccammo con mano il primo impatto negativo nel campo delle relazioni internazionali. Divenne una conseguenza diretta la logica del protezionismo doganale, dell’autarchia ovvero dell’isolamento economico per cercare di non lasciarsi coinvolgere dalle crisi degli altri. A questo riguardo il discorso da economico si fece ben presto politico. Diciamo che in questa situazione le democrazie segnarono un grosso limite. Non a caso, possiamo affermare, che in Germania la crisi economica e sociale, venuta dopo il 1929, fu più grave e profonda rispetto agli altri paesi europei. Vi erano tutti gli ingredienti per scatenare una crisi dell’intero sistema. Nello stesso tempo il regime parlamentare si mostrò incapace di prendere dei rimedi, e l’esecutivo non era da meno, sia pure con l’uso e l’abuso dei decreti-legge. L’opinione pubblica si convinse, alla fine, che un regime autoritario era il più indicato a stabilire e a imporre la via della ripresa.
Hitler a questo punto non fece altro che interpretare le attese e i timori della folla in seguito alle sofferenze della crisi economica. Egli seppe mettere, come rileva Edmond Vermeil, alla portata di tutti, grazie ad una forma suggestiva ed accessibile, delle idee che corrispondono a talune vecchie aspirazioni dell’anima tedesca: da Paul de Lagarde e da Houston Chamberlain riprese i fondamenti della dottrina razzista. Da Nietzsche ritrovò la concezione di élite politica. Da Ratzel e dagli altri teorici, del pangermanesimo, raccolse le nozioni di “spazio vitale”. Da qui nacque e si diffuse la bibbia hitleriana del “Mein Kampf”. (Riccardo Alfonso)
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L’occasione perduta alla fine della seconda guerra mondiale
Posted by fidest press agency su venerdì, 16 agosto 2019
L’Europa non sembrò conscia che qualcosa era cambiato. Lo dimostrò il rituale di sempre svoltosi, questa volta, a Yalta. I protagonisti di questa messa in scena, consueta per gli storici per i suoi numerosi precedenti, vollero scientemente ignorare che eravamo giunti al secolo delle ideologie e non a una prosecuzione di un’Europa degli Stati tanto declamata ed esaltata nel secolo XIX. Si negò, di fatto, l’autodeterminazione dei popoli e ponendo così le premesse del confronto che ha portato alla ripartizione del mondo in blocchi e alla corsa agli armamenti.
Si disse che Yalta, in qualche modo, aveva garantito anni di pace dopo la fine della seconda guerra mondiale. Sono stati davvero anni di pace e non di sofferenza? Oggi, purtroppo, non siamo altro che gli eredi di tali calcoli operati a tavolino. Abbiamo esorcizzato una guerra totale, ma ne abbiamo accese molte altre regionali. Abbiamo fondato la libertà sulla sua stessa negazione. Libertà, sviluppo, democrazia, ma su quali basi? A pagarne il prezzo resta l’uomo con i suoi limiti e le sue dottrine aberranti. E’ mancata la voce di chi avrebbe potuto richiamarci alla concretezza della vita fondata su valori intramontabili e che noi abbiamo calpestato in nome di logiche consumistiche e d’ideologie repressive.
L’Italia di oggi, come del resto negli altri Paesi del mondo, è il frutto acerbo di questa civiltà che si rivolge all’uomo per negarlo, si rivolge ai grandi pensatori per strappare a loro, con l’inganno, un consenso che altrimenti non avrebbero, si proietta nel futuro lasciando irrisolti i grandi temi che determineranno il nostro futuro. E’ mancata, in poche parole, così com’è accaduto agli stati maggiori dell’esercito anglo francese, la consapevolezza che i tempi sono mutati e che per vincere la pace e costruire la stabilità politica ed economica di un paese non è più necessario trincerarsi dietro la linea Maginot dei partiti e dei loro interessi di etichetta e corporativi, ma è più efficace una lotta di movimento.
Non dimentichiamo che da qui a qualche anno la parola operaio o impiegato assumerà un significato diverso e non si andrà più in pensione perché si è vecchi a 57 anni o a 62. Stiamo cambiando le cose e la mentalità mentre, d’altro canto, la nostra consapevolezza generazionale giunge tardiva ed è questo il nostro vero motivo di disagio esistenziale.
Un disagio che nasce dal non essere in politica, come in economia, reali e aderenti al modo come viviamo invece di pensare e agire solo e comunque al modo come vorremmo essere o come taluni bramerebbero che fossimo migliori per calcolo e non per passione, per odio e non per amore. (Riccardo Alfonso)
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Pagine di storia: La pace in Europa e i suoi risvolti in Italia con l’operazione “sunrise”
Posted by fidest press agency su venerdì, 16 agosto 2019
Tra tante contraddizioni durante e prima la seconda guerra mondiale si arrivò alla fine di questo tunnel degli orrori con la resa incondizionata di tutte le forze tedesche che fu firmata a Reims nel quartiere generale di Einsenhower il 7 maggio 1945. Ma bisogna attendere fino al 2 settembre, dello stesso anno, per veder piegata la resistenza giapponese. Resta comunque da chiedersi se fosse stato possibile pervenire a quest’atto finale, in tempi così ravvicinati, se non fossero state sganciate dagli americani, sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki il 6 e il 9 agosto dello stesso anno, due micidiali bombe atomiche che rasero letteralmente al suolo, con centinaia di migliaia di vittime, soprattutto civili, le due città giapponesi.
A cavallo di queste due date, tanto funeste per tutta l’umanità, ed esattamente l’8 settembre 1945, l’U.R.S.S. dichiarò guerra al Giappone. Ora, con il senno di poi, dovremmo pensare che fu la fine di un incubo o che ci siamo infilati in un altro scenario se non di guerra di certo ricco di contraddizioni e di domande senza risposta? La responsabilità la dobbiamo assegnare ai tanti europei che non seppero comprendere che i tempi stavano mutando e nuove speranze e attese stavano presentandosi. A questo punto ci sembra troppo sbrigativo concludere queste reminiscenze pensando contestualmente ai fatti di casa nostra e di cui ci hanno dato ampia e documentata testimonianza Elena Agarossi e Bradley F. Smith nel loro libro Operation Sunrise (Editore Feltrinelli). Cito questo testo, in particolare, poiché lo considero un lavoro di ampio respiro per l’analisi applicata, da quella strettamente strategico militare, a quella politica, psicologica e filologica.
L’operazione “sunrise”, così denominata dai servizi segreti americani, intendeva portare alla resa il mezzo milione di soldati tedeschi di stanza in Italia e di evitare, soprattutto, la formazione, da parte tedesca, della “ridotta alpina” nel Tirolo, una specie di fortezza di Masada ma organizzata, questa volta, nelle grandi proporzioni di un sistema fortificato in un’imprendibile posizione naturale tra le Alpi.
Gli americani, per contro, avevano fretta di terminare lo scontro contemperandovi sia esigenze prioritarie, di natura strategica e politica, sia quelle di: pervenire al controllo militare del bacino del Mediterraneo, di ridurre al minimo le perdite di vite umane delle forze armate U.S.A. e di prevenire le turbative d’ordine politico (possibili sia in Africa del Nord che in Italia) suscettibili di complicare ed ostacolare le operazioni militari. Nel frattempo s’intravedeva la possibilità di favorire, al meglio, i processi di transizione, ma con l’accortezza di evitare la possibilità di una radicalizzazione della lotta politica a sinistra e lo scatenarsi una possibile guerra civile.
Questa complessità delle motivazioni che ruotano intorno all’operazione “Sunrise” fa sì che essa, agli occhi dei più recenti studi storici sugli avvenimenti di quei tempi, riacquisti tutta la sua importanza e rappresenti, in un certo qual modo, una diversa chiave di lettura anche sulle operazioni militari e politiche operate nel resto dell’Europa e fuori di essa. Non dimentichiamo che in questo frangente vi possa essere stata una parallela identità di vedute tra il generale Wolff, comandante delle forze tedesche di stanza in Italia, e gli americani circa la possibilità di una collaborazione in chiave antisovietica.
Non a caso Wolff, dopo la resa, fu frettolosamente imbarcato alla volta degli Stati Uniti e ricoverato in una casa di cura, per dementi, per sottrarlo al processo di Norimberga.
Sta di fatto che per quanto concerne il Sud d’Europa si negò la partecipazione sovietica alla trattativa Sunrise e alla corsa per Trieste che la Sunrise stessa spianò il terreno, in modo decisivo, all’avanzata dell’armata anglo-americana. In questo “affaire” emerge il ruolo fondamentale svolto da Allen Dulles che diresse da Ginevra i contatti americani con il generale Wolff e il comando tedesco e li portò a termine con successo. Dulles, come si ricorderà, divenne il capo della CIA e fu lo stesso che affrontò la durissima prova della guerra fredda, sul finire degli anni quaranta. La resa dei tedeschi avvenne in Italia il 2 maggio del 1945. (Riccardo Alfonso)
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Pagine di storia: Finisce una guerra e si apre un cortocircuito che provoca la guerra fredda
Posted by fidest press agency su venerdì, 16 agosto 2019
La fine della seconda guerra mondiale non solo creò le premesse per innescare una nuova forma di guerra, quella fredda, ma anche per dirci che avevamo fatto una vera e propria scalata sul fronte degli armamenti militari aprendo la via a forme di distruzione di massa dalle conseguenze terribili per l’umanità. Parliamo, ovviamente, dell’arma atomica e non solo. E’ davvero una svolta storica e ben poca cosa appaiono ora le nuove strategie militari e le tecniche d’impiego degli eserciti con le guerre di movimento. Sembrava che potessero rappresentare la soluzione ideale per sconfiggere l’avversario dando ampio spazio ai mezzi corazzati, ai trasporti motorizzati e all’impiego massiccio dell’aviazione per i bombardamenti tattici e strategici di aree non solo di natura militare ma anche a solo uso civile per indebolire la resistenza della gente ammassata nei grandi agglomerati urbani. Ci sbagliavamo sebbene qualcosa già si avvertiva potendo mettere in campo armamenti tradizionali ma già capaci di essere risolutivi.
Si afferma, a questo proposito, che il Fuhrer non fu eccessivamente impressionato dallo sbarco degli alleati avvenuto in Normandia il 7 giugno del 1944.
Egli, infatti, pensava di capovolgere l’avversa situazione venutasi a creare, sul fronte occidentale, dando il via all’operazione “Cherry-pip”. Si trattava di lanciare contro Londra, entro qualche giorno, da 300 a 400 missili Cherry-pip con testate esplosive di grande potenza. Il tentativo, com’è noto, non riuscì se non per qualche gittata dimostrativa sul cielo di Londra.
Ma in cantiere vi erano ben altre minacce. Prima fra tutte la bomba atomica. Ci pensarono i tedeschi per primi, ma i loro scienziati non fecero in tempo a disporne un uso bellico sebbene ci arrivassero molto vicini. Intanto gli Usa già pensavano di adoperare la bomba in Germania se non fosse riuscito il loro sbarco in Normandia. Ci mancò poco, quindi, che gli ultimi bagliori della guerra non si trasformassero in “funghi atomici.” Ma anche le armi individuali ebbero il loro momento di celebrità. Ci si rese conto della loro importanza in specie se i combattimenti si svolgevano a distanza ravvicinata. Era il momento del mitra, delle granate a mano, delle armi automatiche, in genere, ed anche dei blitz operati nelle retrovie nemiche con uomini pronti a tutto per creare confusione tra le forze combattenti e per distruggere ponti e reti di comunicazione. Fu anche preparata un’altra guerra: quella partigiana che sfruttando le difese naturali del terreno, tra dirupi e boschi, si potevano colpire le colonne nemiche e ritirarsi prima che reagissero in forze. Una tecnica di guerriglia che fu poi esportata nelle città e con successo. Per contrastarla i tedeschi non trovarono di meglio che prendere degli ostaggi inermi del luogo e fucilarli senza pietà. Pensavano in questo modo di indebolire la rete di connivenze che si stava intessendo intorno ai partigiani, ma fu inutile.
La vera guerra, in questa come in altre circostanze, fu vinta anche dalla propaganda condotta dai comitati di liberazione nazionale che trasformarono le uccisioni a freddo dei tedeschi in tanti atti di eroismo delle vittime e in una grande voglia di riscatto da parte dei sopravvissuti. Ci fu il fenomeno dei “kamikaze” giapponesi che si lanciavano con gli aerei carichi di bombe sulle navi americane indifferenti alla morte e al fuoco di sbarramento delle loro contraerei. Oggi lo fanno gli islamici nei mercati, nelle piazze affollate e nei luoghi d’intrattenimento. Se ben consideriamo tali forme di lotta tanto diverse dai canoni tradizionali di una guerra di posizione ereditata dalla prima guerra mondiale, ci rendiamo perfettamente conto delle ragioni che ne hanno provocato il tracollo. E dire che tutto è avvenuto in pochi decenni.
Ricordiamo che gran parte degli stati maggiori anglo-francesi, fino alla travolgente azione militare tedesca sul fronte francese, rimasero fermi nei loro convincimenti anche se furono indirettamente testimoni di combattimenti svoltisi in Polonia con moduli d’intervento decisamente non tradizionali. Militari e politici francesi e inglesi furono a tal punto convinti di trovarsi al cospetto di una seconda guerra di posizione che trovarono persino normale vivere un semestre “irreale” di non belligeranza poiché si aspettavano un attacco in forze sulla linea Maginot e quindi restarono su quelle posizioni in “tranquilla attesa.” Da tutte queste considerazioni emerge qualcosa di più significativo da rilevare. La seconda guerra mondiale, a nostro avviso, resta l’ultima rappresentazione corale mostrata attraverso un reclutamento di milioni di uomini e dall’esistenza di uno o più fronti di combattimento.
Le nuove generazioni nate all’ombra delle tecnologie più evolute e dell’informatica non hanno più bisogno di milioni di armati per sconfiggere altri milioni di armati. Si è pensato in un primo tempo che ciò fosse possibile con l’arma atomica ora il discorso si fa in un modo diverso con l’uso del terrorismo e la subliminazione attraverso i media. Ora l’insidia sta diventando più sottile ed è inodore come il gas nervino. Resta da chiederci se chi ci governa ne è consapevole e ne sa trarre le dovute conclusioni.
I due momenti sono fondamentali, a mio avviso, per capire quanto avviene nel XX secolo e su quali traumi esistenziali si matura tutta la storia dell’umanità vissuta, questa volta, con la lente d’ingrandimento, per quanto riguarda il tempo in cui viviamo e, forse, un po’ prima e, nel cogliere i segni di ciò che ci attende, un po’ dopo.
La seconda guerra mondiale, probabilmente più della prima, per le armi impiegate e per le distruzioni sistematiche d’intere popolazioni, posso considerarla un evento che ha impresso, in profondità, una svolta epocale. Tutto posso dire, infatti, a proposito degli anni post-bellici, tranne che le cose hanno ripreso a procedere come se nulla fosse accaduto. (Riccardo Alfonso)
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Baxter to Present at the 2019 Wells Fargo Healthcare Conference
Posted by fidest press agency su venerdì, 16 agosto 2019
Baxter International Inc. (NYSE:BAX), a leading global medical products company, will present at the 2019 Wells Fargo Healthcare Conference in Boston on September 5, 2019. Jay Saccaro, Baxter’s chief financial officer, is scheduled to present at 1:20 p.m. Eastern Time.The live webcast of Baxter’s presentation can be accessed at http://www.baxter.com and will be available for replay through March 3, 2020.
Every day, millions of patients and caregivers rely on Baxter’s leading portfolio of critical care, nutrition, renal, hospital and surgical products. For more than 85 years, we’ve been operating at the critical intersection where innovations that save and sustain lives meet the healthcare providers that make it happen. With products, technologies and therapies available in more than 100 countries, Baxter’s employees worldwide are now building upon the company’s rich heritage of medical breakthroughs to advance the next generation of transformative healthcare innovations.
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LaVoieHealthScience Looks to the Future
Posted by fidest press agency su venerdì, 16 agosto 2019
LaVoieHealthScience (LHS), an integrated investor and public relations consulting agency focused on advancing health and science innovations, today announced the promotion of two of the agency’s senior-level employees. Sharon Correia, who has been with LHS full-time since 2016, will serve as Executive Vice President, Integrated Communications and Chief Strategy Officer. Ella Deych, who joined LHS in 2015 as the agency’s first executive overseeing finance and operations, is now Vice President, Finance and Chief Operations Officer.
Sharon is an industry veteran who boasts more than twenty years of experience in health and science communications. She joined LHS in 2016 as Vice President, Integrated Communications after previously serving the agency as a senior consultant since 2010, whilst ramping up on an orphan drug communication commercialization program for Pfizer. Prior to making a full-time move to LHS, she held the role of Senior Director, Corporate Communications at Navidea Biopharmaceuticals as well as other communications and PR roles at emerging biopharmaceutical companies.In 2015, Ella joined LHS from Racepoint Global, where she most recently served as the firm’s Finance Manager. Since starting at LHS as the agency’s Director of Finance and Operations, Ella has held several titles of increasing responsibility. “She has shown yearly growth and progression and has long been an important member of the senior leadership team,” said LaVoie.As the Vice President, Finance and Chief Operations Officer, Ella will be the senior executive tasked with overseeing the day-to-day administration and operational functions of the agency.
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Arkansas Virtual Academy Welcomes Students for the 2019-2020 School Year
Posted by fidest press agency su venerdì, 16 agosto 2019
Students at Arkansas Virtual Academy (ARVA), an online public charter school, will begin their 2019-20 school year on August 14. ARVA is available tuition-free to K-12 students across the state. Combining innovative technology with a rigorous curriculum led by state-licensed teachers, ARVA provides each student with a personalized learning experience. Students take a full course load across the core subjects of English/language arts, math, science and history, as well as world languages, art, and music.Through the school’s Destinations Career program, students can pair a solid academic foundation with hands-on learning experiences in growing career fields like information technology (IT), business, agriculture, and more. Even if a student doesn’t know exactly what they want to do, career readiness programs help open a world of what’s possible.Many families and students choose ARVA because it provides an alternative to traditional brick-and-mortar education. Athletes, advanced learners, and students seeking a bullying-free environment can balance a full academic course load along with extracurricular pursuits or medical needs.Outside of the virtual classroom, ARVA offers online student clubs and in-person activities such as field trips, community service opportunities and social gatherings, including an annual graduation ceremony for seniors. Students and their families are encouraged to attend an online or in-person information session hosted by the school. To learn more about enrollment and for a schedule of upcoming events, visit arva.k12.com or download the K12 enrollment app for iOS and Android devices.
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Scientists at Children’s Hospital Los Angeles Develop Breakthrough In Vitro Model
Posted by fidest press agency su venerdì, 16 agosto 2019
Kidneys work to constantly filter blood and remove toxins from the body. Conditions such as chronic kidney disease (CKD) are characterized by a reduced ability to perform this essential function. CKD incidence is growing and more than 1.4 million individuals depend on dialysis or kidney transplant for survival. Development of new treatments requires an understanding of the mechanisms of the disease progression, but scientists have not been able to accurately model kidney filtration in vitro – until now.
In a landmark study published in Nature Communications, scientists at Children’s Hospital Los Angeles demonstrate an in vitro kidney model that could change the course of research for diseases like CKD.The kidney contains specialized structures called glomeruli. Within each glomerulus is a filtration barrier made up of two thin layers of highly specialized cells and a membrane that acts as a selective filter. As blood moves through each glomerulus, toxins and small molecules can pass through, while proteins and other important components are kept in the bloodstream. “This filtration process breaks down in patients with kidney disorders,” explains Laura Perin, PhD, who is co-senior author on the study along with Stefano Da Sacco, PhD. “But because we haven’t had a good in vitro model, we still don’t know the mechanisms of injury to the glomerulus in CKD.” Dr. Perin and Dr. Da Sacco conduct research in the GOFARR Laboratory for Organ Regenerative Research and Cell Therapeutics in Urology along with co-director Roger De Filippo, MD, at CHLA’s Saban Research Institute. The lead author on the study was CHLA postdoctoral research fellow Astgik Petrosyan. Together, the team studies the structure of the glomerulus to better understand how and why their ability to filter blood breaks down.
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First Human Surgical Procedure with Injectable HA-Based Bone Repair Therapy
Posted by fidest press agency su venerdì, 16 agosto 2019
Anika Therapeutics, Inc. (NASDAQ: ANIK), a global, integrated orthopedic and regenerative medicines company specializing in therapeutics based on its proprietary hyaluronic acid (“HA”) technology, today announced the successful completion of the first human surgical procedure with its injectable HA-based bone repair therapy for the treatment of bone voids and other bone defects of the skeletal system caused by trauma or age-related degeneration. The case was performed by Dr. John J. Tierney, an orthopedic surgeon at the New England Baptist Hospital and President of the Greater Boston Orthopedic Center.“My surgical experience with Anika’s product was very positive, and its ease of use surpassed that of other products I have used,” said Dr. Tierney. “My case went very smoothly, from start to finish, and I have every reason to believe that my patient will recover quickly post-operatively.”Approximately 900,000 people require treatment for bone voids and other bone defects of the knee, which cause pain and impaired function that can lead to the need for total joint replacement therapy. This therapy combines calcium phosphate, an established precursor to the mineral component of bone, with Anika’s proprietary hyaluronic acid, which enhances flow and tactile feel during administration, to improve ease of use and procedural efficiency.
“Our injectable bone repair therapy is an innovative and easy-to-use treatment option, which is resorbed and replaced by the growth of new bone during the healing process,” said Joseph Darling, President and Chief Executive Officer of Anika Therapeutics. “We are excited about this important milestone, and look forward to an initial commercial launch of the product under our hybrid commercial model in September, leveraging our specially-skilled regional sales directors to penetrate the market. We also plan to discuss the benefits of this novel therapy and value of our hybrid commercial strategy at our upcoming analyst and investor day.”
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