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Coronavirus, fase 2 in arrivo. Ecco come si ripartirà

Posted by fidest press agency su sabato, 2 Maggio 2020

Dal 4 maggio si partirà con la tanto temuta e allo stesso tempo desiderata fase 2 che concederà ai cittadini un minimo di libertà in più. Le parole chiavi saranno: test, app, mascherine, tamponi e cure a domicilio. L’aspetto più importante resta la prudenza, come evidenzia anche il commissario all’emergenza Domenico Arcuri. «Resto un convinto assertore della prudenza e della cautela e continuo a pensare che bisogna continuare ad avere cura di noi e dei nostri concittadini, perché i fatti valgono più dei desideri. Non ci può attendere che il rischio sia pari a zero per uscire da lockdown ma non si devono sottovalutare i rischi che corriamo». Si continuerà, quindi, a sottoporre i soggetti sintomatici ai tamponi, a cui ci aggiungeranno anche i test sierologici. Arcuri avverte: «Abbiamo saputo che in Germania l’indice R0 sarebbe risalito dallo 0,7 a 1,1 e che il Governo sta valutando se definire nuove zone rosse. Ecco perché uscire dal lockdown non è facile e perché’ essere costretti a tornare al lockdown non sarebbe difficile». Uno dei punti che sarà attenzionato con cura sarà quello riguarda l’app Immuni. Se un tampone indica che una persona è positiva, l’app diventa uno strumento importante per tracciare le persone con cui ha avuto contatti. Accese le polemiche che fin dall’inizio hanno accompagnato l’arrivo di questo strumento, soprattutto relative al suo carattere volontario e al rispetto della privacy. Il Governo dovrà presumibilmente varare un provvedimento che la renda operativa sul territorio nazionale.
È conto alla rovescia, inoltre, per i test sierologici forniti dall’azienda Abbott che dal 4 maggio dovranno individuare nel sangue gli anticorpi che testimoniano che l’infezione è avvenuta, da circa una settimana a circa un mese prima. In attesa di conoscere le norme applicative, sappiamo che saranno somministrati a un campione nazionale di 150.000 persone in 2.000 Comuni, secondo i criteri fissati da ministero della Salute e Istat. «Sesso, sei fasce d’età e attività economica sono fra i criteri che saranno considerati nella selezione del campione», ha detto il direttore centrale dell’Istat, Linda Laura Sabbadini, che guida la parte statistica dell’indagine. Ricostruire questo quadro permette di avere una stima degli asintomatici, ossia di quanti sono coloro che, avendo l’infezione senza sintomi, possono diffonderla. Una prima linea essenziale per scongiurare emergenze sanitarie sono le cure domiciliari. Questo forse è il punto più debole della catena. Si basano su circa 500 medici impegnati nelle Unità speciali di continuità assistenziale (Usca) incaricati di seguire i casi sospetti o conclamati di Covid-19 direttamente a casa. La legge ne prevede una ogni 50.000 abitanti, mentre al momento sono presenti solo in 13 regioni. Intanto la Fnopi chiede che venga istituita la figura dell’infermiere di famiglia. Una figura prevista nel Patto per la Salute ma che, nel nostro Paese, è a regime solo in due regioni. Il suo compito, portare l’assistenza sanitaria a casa del paziente, invece che il paziente in ospedale. Ad oggi, 80mila persone in 12 Regioni sono curate nelle Usca.
Altro strumento indispensabile per la riapertura della nazione è la mascherina. Ne esistono molti tipi in commercio, ma il Dpcm non si esprime a favore di un modello specifico: «Possono essere utilizzate mascherine di comunità», ovvero mascherine monouso o mascherine lavabili, anche auto-prodotte, in materiali multistrato idonei a fornire una adeguata barriera. Nelle prime settimane della pandemia, i medici e i ricercatori dell’Irccs Ospedale San Raffaele hanno avviato un maxi studio clinico osservazionale per capire di più della malattia. A guidare l’équipe Alberto Zangrillo, direttore delle Unità di Anestesia e Rianimazione generale e Cardio-Toraco-Vascolare, e Fabio Ciceri, vice direttore scientifico per la ricerca clinica e primario dell’unità di Ematologia e Trapianto di Midollo. L’analisi dei dati di quasi 1000 pazienti ricoverati traccia un preciso quadro del paziente a rischio e indica la strada per riuscire a convivere con il virus. I fattori di rischio primari per la mortalità da Covid-19 sono chiari: età avanzata, tumore maligno in corso, ipertensione arteriosa e malattia coronarica. È emerso, inoltre, che i pazienti a maggior rischio hanno un basso numero di linfociti nel sangue. «Attraverso gli indicatori che abbiamo individuato – spiega Ciceri – possiamo riconoscere i pazienti che svilupperanno la forma più grave della patologia. Su questi pazienti potremo intervenire più precocemente e con maggior efficaci a usando le terapie che già stiamo testando con discreto successo su pazienti in condizioni più avanzate». (Fonte Doctor33)

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