Scriveva Tito Livio: “Questa è l’indole della moltitudine o servilmente si sottomette o ferocemente signoreggia; non sa né misuratamente spregiare, né possedere la libertà che è nel mezzo.” Nel commento si legge: “La storia di tutti i tempi e di tutte le genti ci offre larga messe di esempi per dimostrare la profonda verità di questa sentenza. In ogni popolo sempre la libertà è divenuta anarchia, la sommissione cesarismo.” Cosa s’intende dire? Dobbiamo forse considerare che la grande massa, la parte più vitale di una nazione, finisce con l’essere governata più dall’istinto che dalla ragione, più dall’impeto che non conosce confini ed è inerte, grave, brutale? Quante volte assistiamo alla parola che riesce a provocare e ad abbagliare chi ascolta, ma trascorso il momento magico la stessa parola sarà trascinata nel fango, dall’irrisione e annegata nella gora della volgarità. Come la foresta ora il piano ora il dorso mostra delle foglie a seconda che vada o venga la raffica, e così la moltitudine ha entusiasmi e odi, a seconda di illogiche e fugaci variazioni. Dobbiamo, quindi, arguire, che quando più ferreo e insoffribile il giogo tanto più chi lo subisce lo tollera paziente e rassegnato? Ma fino a quando? Finché arriverà un imbonitore di turno che cavalcherà la speranza di una riforma, chiederà una rivoluzione, parlerà di una rinnovazione e si arriverà alla guerra? E dopo? Penso alla “Enciclopedia” che aveva preparato alla rivolta filosofica e che condusse alla Rivoluzione Francese e al Marxismo che aveva costruito le premesse per la Rivoluzione d’ottobre in Russia. Segue, logica e ineluttabile, la personificazione di questa rivolta che è sedata con la vittoria ma è pagata con l’arbitrio e già si pensa ad un’altra rivoluzione. E via di questo passo. La mia riflessione a questo punto s’incentra su un personaggio di mia creazione: Vulnus. Un uomo che ho collocato intorno al tremila d.C. ma con una dote particolare che gli ha permesso di ricordare il tempo in cui aveva vissuto nel XX secolo. Ciò mi consentì un parallelismo tra una società come la mia, in una crisi profonda d’identificazione, e quella possibile che avrebbe potuto scaturire un millennio dopo. L’interrogativo di fondo resta quello di chiedersi se fosse stato possibile costruire un modello di società in cui non vi fosse un popolo da sottomettere e un altro da sollevare in armi per spezzare il giogo che lo tiene imprigionato. La risposta che ho trovato è positiva ma a quale prezzo? E Vulnus sta lì a raccontarcelo in tutti i dettagli. (Riccardo Alfonso dal libro “Io scrivo”)
Archive for 29 agosto 2021
Dal passato remoto all’attualità: La lezione che viene da Tito Livio
Posted by fidest press agency su domenica, 29 agosto 2021
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“Chi biasima la pittura biasima la natura”
Posted by fidest press agency su domenica, 29 agosto 2021
Vi sono alcune cose nelle quali è insopportabile la mediocrità: la poesia, la musica, la pittura, i discorsi pubblici, ecc. Così la pensava La Bruyère. Come immaginare un mediocre in poesia, in quest’arte eletta di pensiero, che varca i limiti dell’individuazione e si ricongiunge ad altissimi cerchi di eternità? Così la musica, si può definire il linguaggio inespresso e inesprimibile dell’universo. A chi se non agli eletti essa prodiga la virtù dei suoi prodigiosi tesori? E gli eletti sono coloro che dell’arte hanno un sacerdozio, e servono in adorazioni assidue, si-lenziose, logoratrici, coloro per cui l’arte non è più godimento, ma sofferenza. I mediocri vi portano invece le loro consuetudini inerte e meschine. Il mediocre in arte si riconosce appunto dal suo agevole adattamento alle costrizioni della vita e le reputa necessarie e ineluttabili. Scrivendo i miei otto volumi sulla Storia della pittura non ho considerato in questo, come in altri campi, che vi possa essere stato una mediocrità. Si può accettare o respingere un’opera d’arte, una poesia, un’espressione musicale, ma tutto questo fa parte della personale sensibilità, della capacità o meno di recepire un segnale. D’altra parte, la creazione artistica di chi osserva un dipinto con occhio eccessivamente critico dovrebbe considerare, come argomenta Leonardo, che “Chi biasima la pittura biasima la natura, perché l’opera del pittore rappresenta la stessa natura e per questo il biasimatore ha carestia di sentimento.” Ne consegue che se l’opera del pittore rappresenta la natura il pittore deve essere convinto di studiare ciò che è la “natura”, non il deforme che pure è in natura ma non è la natura. In altri termini: “Il pittore disputa e gareggia con la natura”. E la natura, si sa, è equilibrio e armonia ed è quella che regge l’Universo. La pittura interpretando in tal modo la natura “ha il suo fine – a detta di Leonardo – comunicabile a tutte le generazioni dell’Universo, perché il suo fine è subietto della virtù visiva, e non passa per l’orecchio al senso comune con il medesimo modo che vi passa per il vedere. Questa non ha dunque bisogno d’interpreti di diverse lingue, come hanno le lettere, e subito ha soddisfatto all’umana specie, non altrimenti delle cose della natura. E non alla specie umana, soltanto, ma anche agli altri animali come avvenne di una pittura alla quale fecero carezze li piccioli figlioli che ancora erano nelle fasce e similmente il cane e la gatta della casa. Era cosa meravigliosa considerare tale spettacolo.” È perché la pittura è arte per eccellenza, Leonardo che non commentava certo per rivelarsi, come si suole dire, “Cicero pro domo” né per far emergere l’opera propria osserva: “La proporzione è dall’immaginazione all’effetto qual è dall’ombra al corpo ombroso, e la medesima proporzione è dalla poesia alla pittura. Perché la poesia pone le sue cose nell’immaginazione mentre la pittura riceve dall’occhio le similitudini come se fossero naturali. La poesia le dà senza similitudini e non passano all’impressione per la via della virtù visiva come la pittura.” E prosegue asserendo: “La pittura rappresenta al senso con più verità e certezza, le opere di natura, che non facciano le parole e le lettere, ma le lettere rappresentano con più verità le parole che non faccia la pittura. Ma diremmo essere più mirabile quella scienza che configura l’opera di natura che quella che rappresenta l’opera dell’operatore, cioè l’opera degli uomini che sono le parole, come della poesia e simili che passano per l’umana lingua.” Io non so se si possa in tutto convenire intorno all’eccellenza della pittura su tutte le arti, ma certo che potrei dinanzi all’armonia muta dei colori, chiedere se non prevalga sul sentimento umano e non giovi meglio all’educazione l’armonia vibrante della musica. Il discorso vale anche quando apriamo un libro e incominciamo a leggere o ascoltare chi lo legge. La prima cosa che cerco di fare è quella d’entrare in armonia con l’autore, di comprendere il suo intimo messaggio. Solo in questo modo posso mettere in attiva commozione il mio sentimento votato, per lo più, alla semplicità per disporre l’animo all’accoglienza. In tutto questo, a differenza di Leonardo, non cerco primati riconoscendo ad ogni espressione artistica e letteraria un suo predominio in sé che è volto alla sete del sapere, del conoscere e del riconoscerci con la natura e a cercare d’entrare con essa in simbiosi con la propria sensibilità percettiva.Ogni libro deve, quindi, attingere e profondamente agitare qualche, sia pur piccola, parte di noi, per conquistare ogni giorno una vetta e renderci coscienti di queste graduali conquiste. Di solito leggo un libro senza tener conto dei giudizi della critica convinto, come sono, che i libri non vanno considerati attraverso il parere altrui e così vale per tutte le altre espressioni artistiche compresa, ovviamente, la pittura. Come lettore cerco di mettere nella lettura qualcosa di me. Leggere, tuttavia, ha tanti significati quanti possono essere i lettori. Perciò se una lettura eccita in noi l’entusiasmo, l’angoscia, il dolore, qualunque insomma delle squisite e sterili emozioni dell’arte, non guardiamo sottilmente indagatori se qua vi è un refuso, là una manchevolezza e più in là una ripetizione o un madornale errore grammaticale o sintattico. Chi ama il libro che legge è certo capace d’amare molte altre cose belle nella vita e porterà nelle sue adorazioni la stessa dote di interesse e di raccoglimento e che va, indubbiamente, oltre la forma. Come esercizio e pratica di vita, la lettura è la più rapida preparazione culturale e la più efficace. Perché ci abitua a guardare entro le cose e ce le mostra in luce di purezza e di poesia. Del resto, non è ancora dimostrato che sia male penetrare nella vita con un poco di illusioni. Abituiamoci a non pretendere da un libro la perfezione e la cura del particolare. È uno sforzo che non è dell’uomo. Flaubert, giunto a sana e fisica maturità d’ingegno, impazziva intere giornate nella ricerca di un aggettivo. E questa malattia dell’aggettivo fu proprio di tutta un’età letteraria. Penso al Baudelaire e al Verlaine. (Riccardo Alfonso)
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L’ape è quel meraviglioso insetto assunto dall’arte a simboleggiare l’industria
Posted by fidest press agency su domenica, 29 agosto 2021
Con il suo lavoro veramente assiduo, non solo edifica cellette ceree che costituiscono un vero reame ordinato e regolato sotto la reggenza di un’ape, detta regina, ma trae dai fiori con pazienza esemplare sotto ogni rapporto il succo che si tra-sforma in miele. Lavoro istintivo, senza dubbio, ma che noi eleviamo a simbolo per eccellenza. Se confrontiamo la sua attività con quella, ad esempio, del ragno entrambi possono essere considerati industriosi ma con la differenza che quest’ultimo costruisce la sua produzione con l’insidia. Anche se volessimo trascurare il miele che è la produzione industriale dell’ape dovremmo mettere in conto pure l’altro suo prodotto: la cera. Che vediamo nella cera se non un meraviglioso simbolo di luce? L’ape, dunque, ci ammaestra come il lavoro possa solo volgere in dolcezza e in luce ogni più amara e oscura fatica. Al contrario della formica l’ape nelle favole è rappresentata come simbolo spietato di vendetta. Eppure, nel pungere l’ape lascia il proprio pungiglione e muore. Essa muore per difendersi e nessuna morte è tanto grande quanto quella di questo insetto che dinanzi all’insidia sacrifica la sua vita. Il Fénelon proponeva l’esempio delle api al duca di Borgogna, suo allievo, il quale morì prima di essere re. Ecco l’esempio: “Un giovane principe all’apparire della primavera, quando tutta la natura si rianima, passeggiava in un delizioso giardino. Come udì un forte ronzio scorse un alveare. Si avvicinò per godere di quello spettacolo nuovo per lui, e con sorpresa vide l’ordine, la cura e il lavoro di quella piccola repubblica. Le cellette cominciavano a formarsi e ad assumere aspetto regolare. Le api in parte le riempivano con il loro dolce nettare, altri portavano fiori scelti tra la ricchezza della primavera. L’ozio e la pigrizia erano prescritti da quel piccolo stato, tutto era in moto ma senza confusione e senza tumulto. Tra le api, le più esperte guidavano le altre, le quali obbedivano senza rammarico e non nutrivano gelosia per quelle che erano le proposte. Mentre il giovane principe contemplava quella cosa, un’ape, che tutte le altre riconoscevano regina, si avvicinò a lui e disse: “La vista dell’opera nostra e della nostra condotta vi consola, ma essa deve ancora meglio istruirvi. Noi non soffriamo mai, nel nostro stato, né disordine né altro. Nel nostro ambiente si è autorevoli se gioviamo al benessere della nostra organizzazione. Il merito è l’unica via che elevi ai primi posti.” “Noi non ci occupiamo d’altro notte e giorno se non di cose dalle quali l’uomo trae ogni utilità. Possiate voi pure un giorno essere come noi e condurre nell’umana società l’ordine che tanto ammirate nel nostro piccolo stato. In questo modo voi lavorerete sia per la vostra felicità sia per quella degli uomini e adempirete così l’ufficio che il destino vi ha assegnato senza però sentirvi maggiore degli altri, se non per proteggerli, se non per impedire i mali che li minacciano, se non per procurare loro tutti i beni che hanno diritto di aspettare da un governo vigile e paterno.” La sapiente ape regina di Fénelon ignora il machiavellismo e si offre esempio vivente di senno e di generosità. C’è quindi una morale? Certo. Quante vespe umane dovrebbero da questo insetto imparare che cosa sia dignità di vita? E di questo ho trovato sufficiente materia per scrivere un libro per ribadire un concetto semplice nella definizione ma difficile nel volerlo realizzare e che posso riassumere in quello che è il diritto alla vita e a vivere. Abbiamo sostenuto, e a ragione, che il diritto alla vita è sacro mentre abbiamo reso molto sfumato l’altro diritto a vivere. È come dire noi ti garantiamo la vita ma al resto devi provvedervi personalmente. È senza dubbio un modo egoistico per affrontare la situazione. A mio avviso sono due diritti inscindibili tra loro. Che senso può avere, infatti, darsi tanto da fare per assicurare la vita se poi ce la riprendiamo non offrendo ai nascituri l’assistenza necessaria per crescere, maturare e prosperare nella vita a prescindere dai propri natali ma in nome di una solidarietà universale che si può anche chiamare dignità e diritto a voler spartire equanimemente le risorse disponibili sulla terra. (Riccardo Alfonso)
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Le professioniste della sanità afghane non si fidano dei talebani e non tornano al lavoro
Posted by fidest press agency su domenica, 29 agosto 2021
“L’Afghanistan è al penultimo posto in quanto a indicatori di Sviluppo Umano. Per 10.000 abitanti ci sono 2 medici, 5 infermieri / ostetriche , 4 letti di ospedale” “Il Presidente Foad Aodi ( AMSI) con il consigliere diplomatico del Movimento Uniti per Unire, Prof. Laura Mazza sono al fianco delle donne afgane e delle donne che operano nell’ambito sanitario, auspicando che non si vanifichi la loro professionalità e il loro costante lavoro possa essere il perno del cambiamento per le pari opportunità. Sensibilizzare alla solidarietà con un grazie particolare al Governo italiano per aver restituito il sorriso per un futuro migliore a molti afghani in una situazione drammatica. “Dall’inizio della crisi e dell’emergenza in Afghanistan e dopo le prime dichiarazioni dei talebani le professioniste della sanità afghane hanno dichiarato che non si fidano delle buone promesse e nelle dichiarazioni dei talebani visto che contemporaneamente violentano le donne nelle case e ci sono ragazze morte per emorragia, costringono le donne in matrimoni forzati , spose bambine, non vogliono fare vaccini ,i contagi sono triplicati nelle ultime tre settimane ,costringono i medici sia maschi che femmine a curare solo i loro feriti.cosi dichiara Foad Aodi presidente Amsi (Associazione medici di origine straniera in Italia)e UMEM(Unione medica euro Mediterranea) e membro del registro esperti Fnomceo che insieme a Laura Mazza,Consigliera Diplomatica del Movimento internazionale Transculturale interprofessionale Uniti per Unire,ringraziano il Governo italiano per aver salvato circa 5000 afghane di cui donne e bambini ma bisogna continuare a salvare chi rischia la vita ancora in Afghanistan. Ufficio Stampa Amsi
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Welcome to our weekly newsletter highlighting the best of The Economist’s coverage of the pandemic and its effects
Posted by fidest press agency su domenica, 29 agosto 2021
This week, even more than last, chaos and misery in Afghanistan have nosed covid-19 out of the headlines. But the virus continues to spread. As Americans prepare to send their children back to school, our weekly polling with YouGov shows that most parents have either had their kids jabbed or plan to, and most back mask mandates.Early in the pandemic, Australia appeared a shining success story. By closing its borders, tracing contacts and rigidly enforcing quarantine restrictions, its “covid zero” strategy seemed to be working. (Geography helped, too: it is easier to keep a virus at bay on a remote island than in a country with long land borders.) The Delta variant has ended that strategy. As one doctor in Melbourne noted, even if contact-tracers find an infected person within 30 hours, that person’s contacts would already have passed the virus down several chains of transmission. The country is now putting its hopes in vaccines, and will allow cases to rise as long as hospitals can cope.China, where covid began, has been anxious about the World Health Organisation’s investigation into the disease’s origins. It vehemently rejects any suggestion that covid-19 escaped from a lab, but globally, infections acquired in labs are disturbingly common. China is coping with another sort of outbreak: African swine fever, which is harmless to people but is decimating the country’s immense pig population. The pandemic has sparked social and economic experimentation, as well as public-health innovations. It was long an article of faith, at least among right-leaning economists, that increasing the amount people receive from unemployment insurance (UI) would depress jobs. America’s experience during the pandemic suggests that is not true: states that restricted UI saw rises in hardship, but not employment. Adam Tooze, a historian, has written an “instant history” of the pandemic’s sizeable economic costs. And our Bartleby columnist ponders why women seem more eager than men for remote work to end and office life to resume. Zanny Minton Beddoes.Editor-In-Chief The Economist
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