Prospettive su inflazione e politiche monetarie nel 2023
Posted by fidest press agency su martedì, 17 gennaio 2023
A cura di Jeffrey Cleveland, Chief Economist di Payden & Rygel. Il dato sull’inflazione USA pubblicato la scorsa settimana ha confermato le aspettative per il 2023: un rallentamento dell’inflazione è, infatti, ampiamente atteso e sembra essere stato già prezzato dai mercati. Per esempio, lo swap CPI statunitense a 1 anno è pari al 2,4%, mentre l’inflazione breakeven a due anni derivata dal mercato dei TIPS è già tornata al 2,1%. Poiché l’inflazione core si colloca attualmente tra il 5% e il 6%, il fatto che il mercato si aspetti una rapida decelerazione dell’inflazione non è affatto un’aspettativa sbagliata. Tuttavia, la storia non fornisce numerose prove di bruschi rallentamenti dell’inflazione. Ad esempio, l’ultima volta che l’indice Fed di Dallas ha registrato un aumento del 5% su base annua, ci sono poi voluti circa 15 anni per ritornare verso il 2%. Anche durante la Grande Recessione del 2008, che ha colpito in modo sproporzionato il mercato immobiliare, l’CPI dei servizi di base ha subito una decelerazione dal 3,3% su base annua all’inizio della recessione al 2,7% su base annua dopo un anno di recessione. In primo luogo, ci aspettiamo una deflazione per i beni core (che escludono i prezzi di cibo ed energia). In secondo luogo, ci aspettiamo che i costi per i servizi abitativi – gli affitti, per intenderci – raggiungano il picco nel secondo trimestre del 2023, per poi decelerare gradualmente verso la normalità. Infine, prevediamo che i servizi non abitativi rimangano sostanzialmente solidi fino a quando il mercato del lavoro non deteriorerà concretamente – e, in questo caso, le aspettative sono per il quarto trimestre 2023.Di conseguenza, il PCE core si attesterà ancora attorno al 4% entro la fine del 2023. Una decelerazione più rapida dei beni core, un calo più marcato dei prezzi dei servizi abitativi e una diminuzione sostenuta dei prezzi dei servizi non abitativi, però, cambierebbero la nostra view.Olivier Blanchard, ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale, e Jason Furman, ex presidente del Council of Economic Advisors, sostengono che il target dell’inflazione al 2% non sia un valore critico e che, di conseguenza, la Fed dovrebbe rivedere al rialzo l’obiettivo di inflazione.Questa nuova narrazione è diventata sempre più popolare tra i trader nel corso del 2022, ma sta facendo fatica a imporsi al di fuori dei circoli accademici e tra i principali fautori della politica monetaria. Il presidente della Banca Centrale americana Jerome Powell, infatti, non è incline: dopo la riunione della Fed di dicembre ha affermato che tale proposta non fosse nemmeno presa in considerazione, lasciando poco spazio a ripensamenti nell’immediato futuro. La più recente modifica del quadro di riferimento della Fed, il Flexible Average Inflation Targeting (FAIT), è il risultato di un processo pluriennale di revisione pubblica, che, solitamente, dura anni. La prossima revisione è prevista per il 2025: fino ad allora, dobbiamo convivere con il target del 2%. Ma se i policymakers della Fed, Jerome Powell incluso, iniziassero a discutere di possibili revisioni delle politiche o se le previsioni di inflazione sul lungo periodo venissero modificate, ciò porterebbe a una revisione del nostro outlook. Al momento, l’opinione più diffusa tra gli operatori di mercato è che la Fed non taglierà i tassi di interesse fino a quando l’inflazione non scenderà sotto il livello dei Fed Funds. L’idea alla base di questa narrazione è che l’inflazione non diminuirà, a meno che la Fed non comprima ulteriormente l’economia. Questo è la storia a insegnarcelo! In nessun ciclo storico – nemmeno in quello più mite del 2015-2019! – il tasso terminale sui Federal Funds si è attestato al di sotto del tasso annuo dell’inflazione core.
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