Gianfranco Bartalotta: Carmelo Bene e Shakespeare
Posted by fidest press agency su domenica, 5 febbraio 2023
“… sono convinto”, sostiene Carmelo Bene in un’intervista, “che non sia possibile, che non sia legittimo mettere in scena i classici: Shakespeare, Marlowe ( che non a caso non viene mai rappresentato) erano grandissimi poeti, e rimangono in quanto tali i massimi esponenti della letteratura inglese. Ma mettere in scena oggi il loro teatro, comunque lo si ’rivisiti’ o lo si ’riscriva’, significa cadere nell’equivoco [ … ]. Il Sogno di una notte di mezza estate, lo stesso Romeo e Giulietta, sono stati teatro, e proprio per questo non lo sono più, non possono più esserlo. Io non metto in scena Shakespeare l’ho detto tante volte nè una mia interpretazione o lettura di Shakespeare, ma un saggio critico su Shakespeare”. Un’operazione critica che parte dall’Amleto (con cinque edizioni diverse hel corso di un trentennio) per continuare con Romeo e Giulietta spiatta tra i versi dei Sonetti shakespeariani, tra il profumo di giganteschi fiori e l’ebbrezza di un assonnato Shakespeare nella delusione, forse, di un incontro mancato. E ancora con Riccardo III dove le deformità ed escrescenze in variazione di un raccapricciante Gloucester che si aggira in una scena in demolizione e si costruisce come macchina da guerra ed erotica, in una serie di interminabili impedimenti, profilano il tramonto assoluto del gesto, la sospensione del tragico e l’attuazione del “nulla contro un mondo”. Un nulla che, nel totale immobilismo di un Otello sontuosamente chiuso in una cornice in bianco e nero in continua dissolvenza, celebra il suo trionfo e il suo ineluttabile declino. Otello, immemore persino del gesto, si addormenta: “L’immagine è ferma [ … ]. È sospeso illusoriamente il divenire; tutto è accecato e accecante, tutto è buio, silenzio e voce”. E proprio nella musicalità di questa voce, nell’uso sempre più sottile della strumentazione fonica, sta il superamento del nulla, l’affermazione di uno stile (Otello, appunto) e il recupero della phoné dell’attore e del teatro dell’antica Grecia. “C’è una mestizia morente”, si legge nel saggio La voce di Narciso, “delle cose che non ebbero mai un cominciamento, e una nostalgia di ciò che non fu mai. Nel tramonto del gesto senza gli occhi, non v’è altro amore del dire”. Un dire che diviene disarticolata e faticosa emissione di rumori e di suoni in Macbeth dove il corpo dell’attore, ridotto a mera cassa di risonanza, riesce in extremis a svellere le tavole del palcoscenico e scaraventarle nel vuoto prima del silenzio. PP: 200 CON ILLUSTRAZIONI PREZZO: 11,00€ ISBN: 978-88-8319-511-2 Bulzoni editore Via dei Liburni 14 Roma
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