Fidest – Agenzia giornalistica/press agency

Quotidiano di informazione – Anno 35 n°185

Archive for the ‘Confronti/Your and my opinions’ Category

Your and my opinions

Il primo centro di ricerca italiano sulla biodiversità

Posted by fidest press agency su giovedì, 25 Maggio 2023

Parte dall’Italia un messaggio concreto per promuovere la gestione sostenibile della biodiversità, che svolge un ruolo cruciale nel funzionamento di tutti gli ecosistemi del Pianeta ed è alla base della vita sulla Terra, con un impatto diretto sul benessere della collettività e del singolo. La varietà biologica in tutte le sue forme, dai microbi alle piante e agli animali, fino alla specie umana con le sue diversità culturali, è nel Mediterraneo – e in particolare in Italia – un patrimonio ancor più prezioso, visto che nel nostro Paese è concentrata una diversità biologica tra le più significative di tutta l’Europa, con 60.000 specie animali, 10.000 piante vascolari e oltre 130 ecosistemi (dati Ispra). Per studiare e tutelare questa ricchezza – la cui protezione ora è sancita anche dall’articolo 9 della Costituzione italiana, modificato nel febbraio 2022 proprio per includervi il riferimento al concetto di biodiversità, unitamente alla nuova formulazione dell’articolo 41 circa la tutela della salute e dell’ambiente – nasce NBFC, il primo Centro nazionale di ricerca dedicato alla biodiversità. Istituito e finanziato dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), NBFC è uno dei cinque centri nazionali dedicati alla ricerca di frontiera. Promosso dal Cnr insieme a 49 partner, tra università, centri di ricerca, fondazioni e imprese, ha la sua sede centrale a Palermo. Per questo progetto è previsto un finanziamento di 320 milioni di euro per tre anni, dal 2023 al 2025, e il coinvolgimento di 2000 ricercatori, la metà dei quali sono donne. I bandi rivolti all’esterno del network coinvolgeranno poi una moltitudine di altri soggetti, nel segno della massima inclusività.Una grande comunità che metterà a sistema tutte le ricerche italiane sulla biodiversità e le istituzioni già impegnate sul territorio (parchi, riserve, aree marine protette, associazioni ambientaliste, comunità e reti locali), rendendole un obiettivo strategico del Paese e lasciando in eredità, nel 2026, progetti che possano proseguire autonomamente. Attraverso questa rete nazionale estesa di università, centri di ricerca, associazioni e altri soggetti privati ​​e sociali, il Consorzio avrà la possibilità di intraprendere azioni concrete, efficaci e immediate per arrestare la perdita di biodiversità, contribuendo a perseguire l’obiettivo di proteggere il 30% del territorio italiano entro il 2030, come chiede l’Unione Europea, e promuovendo, nella scienza e nella politica, i processi di conservazione, ripristino e valorizzazione nella biodiversità. Saranno create reti di collegamento tra la comunità scientifica, le amministrazioni nazionali e locali, il mondo imprenditoriale e i territori. Saranno sviluppate nuove tecnologie per migliorare la ricerca, creando nuove opportunità di lavoro e formando, come prevede il Pnrr, una nuova classe di ricercatori, cioè gli scienziati di domani.

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ACS fornirà mezzo milione di euro per i primi aiuti alla Siria

Posted by fidest press agency su lunedì, 13 febbraio 2023

Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) fornirà almeno mezzo milione di euro di aiuti immediati ai cristiani in Siria colpiti dal devastante terremoto che ha ucciso oltre 20.000 persone in quel Paese e nella vicina Turchia. Dati i molti anni di guerra e il collasso economico della Siria, l’organizzazione aveva già progetti in atto e partner sul campo in città come Aleppo e Lattakia, entrambe con considerevoli comunità cristiane. ACS è anche in contatto con il Comitato misto di Aleppo, un organismo che rappresenta tutte le Chiese, per contribuire a finanziare un progetto per coprire i costi di affitto delle case per le famiglie i cui edifici hanno subito danni più ingenti, o sono stati completamente distrutti. Senza tale progetto le famiglie dovrebbero aspettare settimane, se non mesi, per trovare una nuova casa o tornare nella propria, una volta ristrutturata. Quanti hanno potuto, hanno lasciato le città più colpite per altri luoghi. Padre Fadi Azar, sacerdote cattolico di Lattakia, dove otto cristiani sono rimasti uccisi, si stava preparando a fare proprio questo. «Inizialmente avevamo pensato di lasciare Lattakia, ma abbiamo trovato tante persone nella nostra parrocchia, anche molte che non avevano auto, ed erano venute a rifugiarsi nella nostra chiesa, così abbiamo deciso di restare con loro. Ci stanno aiutando tanti ragazzi e ragazze della nostra parrocchia», spiega. Il sacerdote ha visto anche segni di solidarietà tra la gente. «Siamo rimasti profondamente commossi quando uno dei parrocchiani che di solito aiutiamo è venuto oggi con delle pagnotte da offrire agli altri», conclude.

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La storia mi ha sempre affascinato

Posted by fidest press agency su martedì, 17 gennaio 2023

Già nei miei precedenti libri non ho mancato l’occasione per scrivere in proposito. Ora se passo a una trattazione con un titolo che traccia i tratti specifici di vicende che hanno interessato un secolo e si sono posti alla nostra attenzione per la loro drammaticità e per i lutti e danni provocati, è perché vi ho colto un passaggio epocale che si sta proiettando in maniera inquietante nel XXI secolo. Non potrei di certo con lo stesso animo descrivere i tempi e le vicende umane di altri eventi traumatici come la Rivoluzione francese, perché quella non l’ho vissuta come questa, sia pure con l’età di un ragazzo. Il primo impatto con l’idea della guerra che bussava alle porte l’ho vissuto quando con i miei genitori abitavo a Pistoia e nel 1941, i bombardieri inglesi avevano incominciato a martellare alcune città italiane ed io sentivo gli effetti delle bombe che cadevano e le cannonate della contraerea nelle aree vicine. Mio padre, allora, era militare di carriera. Aveva combattuto nella Prima guerra mondiale ed era stato ferito. Aveva vissuto il dramma del reduce e le incomprensioni della piazza nei confronti di chi per anni, riuscendo a salvare la pelle, si era trovato intrappolato in una trincea alla mercé dei cecchini e a dover respingere le sortite del nemico e a partecipare a quelle del proprio reparto per la conquista di un lembo di terra. Poi vennero il fascismo e poi ancora un’altra guerra che a differenza della prima non era circoscritta in un’aerea ben definita, ma si dilagava ovunque e, dove gli eserciti non guerreggiavano, ci pensava l’aviazione a provocare vittime civili e immani distruzioni. I miei genitori pensarono bene che sarebbe stato meglio, soprattutto per me, trasferirci in una località che ritenevano meno esposta ai rischi della guerra. Fu così che con mia madre ritornammo al nostro paese natio, Campobasso, una località fuori dalle grandi linee di comunicazione e di certo poco interessante dal punto di vista strategico sia per i bombardieri che negli anni successivi solcavano i cieli ed erano motivi di curiosità ma non certo di preoccupazione, sia per gli eserciti in movimento. Mio padre, invece, fu assegnato, dopo la campagna d’Albania, a Spoleto e lì visse i momenti più tragici dell’armistizio e della rabbiosa reazione dei tedeschi che si sentirono traditi dall’alleato italiano. Ma anche Campobasso, alla fine, non fu immune di un interesse militare tanto che mia madre pensò bene di mandarmi dalle zie paterne che vivevano in un paesino a quaranta chilometri dal capoluogo: Morrone nel Sannio. Lo fece anche perché mancavano le scorte alimentari e s’incominciava a fare la fame. Lei, invece, non poteva muoversi dovendo accudire alla madre semi paralizzata a letto e intrasportabile. Ma la guerra sembrava inseguirmi. Gli alleati sbarcarono a Termoli a una quarantina di chilometri da dove mi trovavo e considerarono Morrone del Sannio un paese da sottrarre ai tedeschi per la sua caratteristica di trovarsi abbarbicato sulla cima di una montagna e da dove era possibile avere un osservatorio naturale d’indubbio valore strategico per la loro successiva avanzata che avrebbe chiuso in una sacca le truppe tedesche che non avendo altri sbocchi erano costrette ad arretrare verso Campobasso e da dove, invece, sull’altro versante avanzavano gli alleati provenienti da Napoli. Per mia fortuna e quella dei morronesi avemmo a che fare con le truppe regolari tedesche e non da reparti di SS o elementi della Gestapo. Erano gentili e socievoli. Non solo. Con l’avvicinarsi delle truppe americane pensarono bene di lasciare il paese di notte alla chetichella. Da una parte fu un bene ma, dall’altra, ingenerò una malcelata preoccupazione per i paesani pensando che gli alleati potevano non sapere di questa evacuazione spontanea e incominciare con un fuoco preventivo prima di entrare in paese.Si ritenne, quindi, importante fare in modo d’avvisarli. Ma come? Io con altri bambini ascoltavo questi discorsi che preoccupavano gli adulti e che per noi erano motivo d’eccitazione. Io con altri, sfuggendo alla sorveglianza dei nostri parenti, ci portammo verso le ultime case del paese da dove si poteva osservare il tratto che degradando verso il piano, con scarsi alberi e con bassi cespugli giungevano sino al cimitero a ridosso del quale vi era un bosco che, a sua volta, lambiva la strada comunale che si allacciava, dopo quattro o cinque chilometri, allo stradone che collegava Termoli a Campobasso e alla vicina stazione ferroviaria di Ripabottoni. Ricordo che parlavamo tra di noi e cercavamo di scrutare con attenzione lo spazio antistante per riuscire a individuare qualche segnale che ci permettesse di capire dove potevano trovarsi i soldati alleati. Si sa che i ragazzi sono spesso impulsivi e non hanno ancora la percezione esatta del pericolo. Alla fine tra tanto parlottare e scrutare e persino individuare movimenti strani che altri poi smentivano categoricamente indicandone altri io mi decisi di rompere gli indugi e di corsa mi diressi a valle tra i campi incolti e qualche avvallamento che riuscii miracolosamente ad evitare finché mi ritrovai placcato e a terra con un soldato americano mentre sulla nostra testa sibilavano i proiettili di una mitragliatrice. Ciò permise, se non altro, agli americani d’individuare il nido di mitragliatrici della retroguardia tedesca e d’apprendere che in paese non vi erano tedeschi. Il resto fu trionfale. Il lieto fine, come si sa, è una liberazione dalle ansie patite in precedenza e mi permise di trasformare i rimbrotti delle zie impaurite dall’apprendere la mia bravata in un moto di gioia collettiva. Così offrii il mio contributo alla causa della guerra ma non mi liberai del tutto dai suoi fantasmi. Ricordo che fui portato a Campobasso dagli americani alcuni giorni dopo che la conquistarono su una loro jeep per andare da mia madre e mia nonna e ne approfittai per recare loro alcuni generi alimentari della campagna e dei generosi regali a base di cioccolato, latte in polvere, zucchero, carne in scatola e caffè avuti dopo che gli statunitensi appresero che una delle mie zie era una cittadina americana. Fu proprio un pomeriggio, mentre passeggiavo con mia madre nei pressi della villa cittadina, che fui preso da un attacco di panico. La causa scatenante fu il rullio di un tamburo della fanfara militare scozzese e che scambiai, probabilmente, con colpi di cannone. Questa paura mi perseguitò per anni e si riaffacciava tutte le volte che sentivo un forte e improvviso rumore. Da questa mia esperienza, ero un ragazzo che aveva da poco compiuto dieci anni, posso oggi capire cosa significa trovarsi nel bel mezzo di una battaglia, essere circondati da morti e feriti e soffrire la fame. Forse per questo motivo quelli della mia generazione sono stati più condiscendenti con i propri figli e aver loro permesso di vivere un’esistenza meno rigorosa anche se alla fine questa nostra indulgenza non ha giovato alla loro formazione. Le guerre, quindi, portano dei cambiamenti comportamentali sia nell’immediato rendendoci più maturi, sia perché fanno sentire i loro effetti a lungo e tendono a riverberarsi nelle generazioni successive e nei modi più imprevedibili. Forse non è stato solo un caso se le tante esitazioni mostrate dai governanti degli altri stati europei, nei confronti della Germania hitleriana, siano stati determinati proprio dal timore che si potesse scatenare un altro conflitto bellico con conseguenze probabilmente peggiori di quelle lasciate dal primo. Un atteggiamento da saggi ma anche da persone che pur non avendo preso coscienza di quanto fosse drammatico lo scenario di una guerra futura, che prevedeva ragionevolmente l’uso di armi sempre più sofisticate e distruttive come lo fu la bomba atomica, e ne hanno saputo qualcosa gli abitanti di Hiroshima e Nagasaki in Giappone, avvertivano il forte desiderio delle popolazioni, che sulla loro pelle avevano vissuto momenti tragici, e non volevano che i grandi della terra parlassero ancora di guerre. Del resto, l’occidente europeo non sembrava tanto preoccupato delle dittature di destra ma, semmai, lo era, di certo, per quelle sinistra, a partire dalla Russia. (Da Fidest: Io figlio della lupa)

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Le guerre giuste

Posted by fidest press agency su sabato, 7 gennaio 2023

Mentre nel Nord dell’Africa esplode un ordigno innescato da molto tempo e mantenuto silente con l’uso e l’abuso dell’autoritarismo dei governi che si sono succeduti, in questo Occidente si discute della guerra come di un fatto inevitabile, perché periodicamente l’uomo sente urgente la necessità di uccidere altri uomini. Ma se un uomo singolarmente uccide un altro uomo, si tratta di omicidio che gli altri uomini si alzerebbero a condannare; se invece ne uccide una decina, allora è una strage, oppure si identifica il serial killer, scomodando anche la criminologia, la psichiatria per identificare una malattia mentale che assolverebbe lo “stragista” perché incapace di intendere e volere; ma se la medesima persona si anima di buona volontà e uccide migliaia di suoi simili, allora scrive una pagina di storia, assume il governo, legifera, assolve o condanna a seconda del proprio immediato interesse e giura (anche sulla testa dei figli) di agire e operare solo ed esclusivamente nell’interesse supremo della nazione. I più sofisticati intellettualmente affrontano l’antico dilemma sulle guerre giuste o non giuste, con disquisizioni sottili, argomentazioni filosofiche, citazioni (quelle fanno sempre colpo e attribuiscono a chi le propone l’aureola del “dotto”) e fiumi di parole che ruotano intorno al medesimo problema, senza nulla togliere e nulla aggiungere alla crudele realtà che anima l’istinto represso della violenza. Affrontare il problema con semplici argomenti, apparirebbe riduttivo, semplicistico, ma rimane il fatto che l’idea stessa della guerra ha perduto la naturale repulsione per essere accettata come un evento non neutralizzabile. Nei tempi delle guerre guerreggiate, combattute frontalmente, si distinguevano le “guerre interne” intese come guerre di difesa da un’aggressione e “guerre esterne” di aggressione per i più svariati motivi. Oggi, in tempi tecnologicamente avanzati, le guerre hanno perso il dovere dell’onore, per cedere il passo al massimo utile con il minimo sforzo. La potenza tecnologicamente superiore non affronta il nemico, lo bombarda dall’alto, sostenendo di effettuare un bombardamento chirurgico di alta precisione; quando poi viene colpito un ospedale, un mercato nell’ora di punta, una chiesa o una moschea nell’ora della preghiera, quando viene centrato un autobus carico di studenti e trasformato in un Mc Donald con hamburger di carne umana, allora basta dispiacersi e appellarsi agli “effetti collaterali”. Qui scatta la trappola che consente la possibilità di onorare tutte le bandiere e i suoi portatori. La responsabilità del bene comune, cioè la condizione di comando di una nazione, di un popolo l’hanno avuta persone come Hitler, Pinochet, Mussolini, Stalin, Saddam, ecc. i quali, secondo queste considerazioni non proprio chiarissime, avrebbero gestito la responsabilità del bene comune attraverso le “guerre giuste”, in linguaggio confessionale, che, in linguaggio laico sono state chiamate “guerre preventive”, o in linguaggio ipocrita “missioni di pace”. Questo articolo è stato scritto quindici anni fa da un nostro amico e collaboratore Rosario Amico Roxas e resta drammaticamente d’attualità. (n.r. A nostro avviso le guerre non sono mai “giuste”. (Archivio Fidest)

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Il nostro blog ha poco più di trentacinque anni

Posted by fidest press agency su sabato, 7 gennaio 2023

Sino ad oggi abbiamo prodotto circa 196200 lanci d’agenzia con 150.300 tag e 45.900 commenti e 2400 editoriali. Tutto ciò è visibile gratuitamente. Abbiamo cercato in questa nostra iniziativa una copertura informativa attorno ai lettori per coinvolgerli in una relazione attiva che alimenti il sito con nuove informazioni. Tali funzionalità, accanto alle tradizionali informazioni generaliste su cronaca, business, economia, università, diritti, politica, arte, spettacoli, viaggi, ecc., tendono ad incoraggiare chi ci legge, a condividere e discutere le notizie, ad incontrarsi virtualmente e a coordinare le attività. Gli stessi “archivi aperti” e gratuiti diventano altrettante stazioni di lavoro a disposizione della comunità e dei ricercatori. Ora tocca a chi ci legge fare la sua parte: Il nostro impegno è di far circolare le notizie. La cortesia che chiediamo in cambio è di far “circolare” la Fidest. Più visitatori per noi, più lettori per voi. (La redazione di http://www.fidest.it o https://fidest.wordpress.com)

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Il compromesso di Menenio Agrippa

Posted by fidest press agency su domenica, 25 settembre 2022

Il senato inviò per sedare la secessione della plebe a parlare Menenio Agrippa, uomo eloquente e caro alla plebe, che raccontò quello che poi è diventato un famoso apologo: ‘‘C’era una volta in cui nell’uomo le parti non erano congiunte armonicamente in un solo organismo, ma ogni membro aveva la sua volontà e la propria voce. In quel tempo le altri parti del corpo, indignate perché le loro fatiche e i loro servigi servissero solo a procurare beneficio al ventre, che se ne stava tranquillo nel mezzo a non far altro che godere dei piaceri che gli erano procurati, si accordarono fra loro decidendo che le mani non avrebbero più portato cibo alla bocca, che la bocca non avrebbe accettato cibo, né i denti avrebbero più masticato. Accesi così dall’ira, mentre volevano domare il ventre con la fame, anche mani, bocca e denti, insieme a tutto il corpo, si ridussero in uno stato di estremo esaurimento. Fu allora chiaro che anche la funzione del ventre non era oziosa e che esso non è nutrito solo per il proprio vantaggio ma perché mandi in cambio a tutte le parti del corpo quel sangue che dà vita e forza e che riceve appunto in virtù del cibo digerito”. (Riccardo Alfonso)

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Anarchia o dittatura o qualcosa d’altro?

Posted by fidest press agency su domenica, 25 settembre 2022

In questi giorni i venti di una scelta politica “al buio” soffiano forte in tutte le direzioni rischiando di fare mulinello. C’è chi pensa che la colpa sia dell’antipolitica. Non direi. L’antipolitica espressa in questi termini è un “falso in bilancio” nel senso che la rabbia dei cittadini non sta tanto nella politica quanto nei politicanti. Il pericolo, semmai, è che “Simul stabunt vel simul cadent” ovvero “come insieme staranno così insieme cadranno” ed è questo e non altri l’effettivo problema. Occorre far riflettere sulla differenza di fondo che esiste tra le due facce della stessa medaglia in specie ora che alcuni esponenti politici hanno pensato di fondare partiti personali con il risultato di accrescere la diffidenza dei cittadini. Questa tendenza rischia d’indebolire la democrazia e di spianare il passaggio verso la dittatura, ma è anche vero che tenerli, come sono oggi, si va dritti verso l’anarchia. Ecco perché è necessario stabilire delle regole rigide per restituire alle istituzioni il prestigio e il rispetto che meritano e il primo passo è quello d’avere politici galantuomini e non come accadeva quando l’onorevole Antonio di Pietro era in parlamento vi fossero, come asseriva, a fargli compagnia “150 inquisiti e 150 loro difensori e che se un tempo al ladro, per sfuggire alla giustizia non gli restava altro che rendersi latitante o-gi gli basta diventare parlamentare”. E se la democrazia ha delle regole e se queste regole vogliamo farle rispettare a dispetto degli intrighi di palazzo: come è stata la legge elettorale denominata “porcellum” dal suo stesso ideatore e oggi si tende di contrabbandarla con altri più sofisticati e forse anche suggestivi nomi per continuare a favorire gli abusi e gli interessi personali. E si badi bene: non dimentichiamo che l’antipolitica porta tendenzialmente al non voto e ciò costituisce una beffa per il rinunciatario poiché toglie l’incomodo al dissenso e moltiplica il consenso. Se diciamo, infatti, il 60% degli elettori, vota e il 31% favorisce i soliti partiti costoro potranno dire di aver ottenuto il 51% dei consensi mettendo a tacere per sempre quel 40% che non è andato a votare, ma che se lo avesse fatto non avrebbe, di certo, fatto vincere gli indesiderati. E come si dice in questi casi: “riflettete gente, riflettete”. (Riccardo Alfonso)

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Crisi: La trappola con e senza la pandemia

Posted by fidest press agency su venerdì, 16 settembre 2022

Scriveva Altero Matteoli: “Il governo deve dare risposte immediate a una situazione finanziaria, economica e sanitaria internazionale difficile che ha riflessi anche sull’Italia oltre che su tutta l’Europa. Auspichiamo che in particolare il Pd, i suoi alleati ma anche i partiti dell’opposizione assumano adesso un atteggiamento collaborativo come meriterebbe il Paese e come i cittadini si aspettano. È un modo, rifacendoci all’attualità, di rappresentare il caso Italia dove ci appare sempre più chiaro che il vero problema non sta nello spremere le esangui casse dei lavoratori e pensionati che hanno già dato ma di rivolgersi a quanti hanno già lucrato in passato e pensano che crisi o non crisi debbano continuare a tenere il loro tenore di vita e a incrementare i loro profitti. E se ai poveri italiani si dice loro che è una grave crisi e che tutti dobbiamo rimboccarci le maniche allora perché non incominciamo a debellare gli sprechi? Ricordo in proposito che la Corte dei conti ha quantificato gli sperperi intorno ai 70 miliardi di euro, le evasioni fiscali sui 300 miliardi di euro, gli scialacqui della politica con altri 14 miliardi di euro. Un tempo si diceva quando si parlava di guerra: armiamoci e partite. Tradotto nel linguaggio odierno, ora andrebbe detto: spennateci ma salvaguardate le ricchezze di chi ha e dei loro lacchè. (Riccardo Alfonso)

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Renato Serra così riassunse il comune sentire negli anni che seguirono la Prima guerra mondiale

Posted by fidest press agency su venerdì, 26 agosto 2022

“La guerra non cambia niente.” Non migliora, non redime, non cancella, per sé sola. Non fa miracoli. Non paga i debiti. Non lava i peccati. […] Essa non cambia i valori artistici e non li crea. Non cambia nulla morale. E anche nell’ordine delle cose, anche nel campo della sua azione diretta… Che cosa è che cambierà su questa terra stanca, dopo che avrà bevuto il sangue di tanta strage. “Quando i morti e i feriti, i torturati e gli abbandonati dormiranno insieme sotto le zolle e l’erba sopra sarà tenera lucida nuova, piena di silenzio e di lusso al sole di primavera che è sempre la stessa?” Quanto di vero c’è ancora oggi da allora dopo decine di guerre regionali e l’ultima, la più assurda, scatenata da Putin lo zar della Federazione Russa. (Riccardo Alfonso)

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Rimembranze: divagazioni

Posted by fidest press agency su mercoledì, 24 agosto 2022

Di proposito ho adottato un metodo diverso per esporre i vari argomenti trattati lasciando il campo a differenti divagazioni. Il tutto vorrebbe trasformarsi in un “chiacchiericcio” vicino al caminetto di due amici, avanti negli anni ma ancora con la mente lucida. Sono seduti uno accanto all’altro su una comoda poltrona. Parlano ma non si guardano negli occhi. I loro sguardi sono rivolti alla fiamma del caminetto che si appanna e si ravviva, di tanto in tanto. A tratti uno indugia e l’altro incalza, uno sembra intento a raccogliere i ricordi prima di esternarli e l’altro incomincia a rievocare i suoi. Sono già lì seduti da qualche ora ma non sembrano avere voglia di andarsene. E’ già sera inoltrata. Hanno già fatto onore al desco con un pranzo frugale: una minestra di verdure e un po’ di pane con formaggio e un mezzo bicchiere di vino rosso. Non è la prima volta che si ritrovano lì seduti davanti al fuoco. Sono vicini di casa. Percorrono poco metri di strada acciottolata prima di ritrovarsi. Il loro passo è malfermo ma li aiuta un bastone a non perdere il loro ritmo lento ma sicuro. Le rispettive famiglie si sono affievolite: le mogli preferiscono ritrovarsi tra loro a ciacolare e soprattutto a pettegolare o a parlare di cucina, di vecchie amicizie e di antichi risentimenti. I figli già da qualche tempo li hanno lasciati ora per un lavoro in città e ora per una dolorosa perdita. Il figlio, infatti, di uno dei due vecchi è morto a trent’anni per un incidente. E’ stato un dolore cocente che ancora si fa sentire e a volte diventa insopportabile. I ricordi sono al primo posto nei pensieri del padre. Ora i due si leccano le ferite, si ritrovano dopo anni che furono separati per ragioni di lavoro: uno in città e l’altro in paese a curare la campagna lasciata dalla famiglia. Il loro più grande piacere è stare lì per ore tra lunghe chiacchierate inframmezzate a brevi pause e le loro donne lo sanno e li lasciano godere questi momenti di riposo. Oggi questo quadretto domestico non è più praticabile e allora cerchiamo con la lettura di sostituirci alla parola parlata per indurre chi legge a meditare sulle parole scritte e se vuole a ripercorrerle per stimolarne la riflessione e a ricercare un motivo per una replica, un’osservazione, una critica. (Riccardo Alfonso)

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I miei libri: da “L’ultima frontiera” e gli altri a seguire

Posted by fidest press agency su domenica, 7 agosto 2022

Ho titolato tre miei libri “l’Ultima Frontiera”. Si tratta, in effetti, della stessa pubblicazione alla quale sono seguiti due aggiornamenti. Oggi hanno assunto una nuova veste titolandolo “Il laboratorio dell’Ultima frontiera” e annotando che “Non esiste una nuova frontiera se non pareggiamo i conti con l’ultima.” Il testo, per la prima volta, ha visto la luce nel 1980 e si è rifatto alla storia della fisica e del costume degli anni ’70. I vari argomenti trattati sono stati desunti da una raccolta dei miei saggi sul pensiero contemporaneo. Ho anche deciso di mettere insieme una parte dei miei lavori in tomi ripartendoli in nove volumi. In essi vi ho intravisto un ordine maggiormente in sintonia con la mia produzione e un legame più consono alla natura dei miei lavori che si sono sviluppati e articolati nel giro di un ventennio. A prescindere dalla mia produzione giornalistica, posso dire che ho sperimentato la strada della pub-blicazione libraria con una monografia titolata “Gli umili figli della terra” scritta con Raf-faele Ferraris, un “sanguigno” sindacalista della FISBA (federazione italiana Sindacato Braccianti Agricoli) del vercellese e che, più di recente, ho rielaborato scrivendo “Mon-dine in risaia”. Da qui è nato un primo raccordo: quello della condizione umana che è originato dalla prima monografica “rappresentazione”, con le lotte dei braccianti agricoli nell’agro vercellese, ed è seguita una visione più ampia e articolata della vita dei campi e dei suoi riflessi con l’uomo e il suo collegamento con la natura. Il successivo lavoro (5° tomo) parte con: “La terra dei padri” e segue con “Il fantastico reale” dove il progresso si misura con l’evoluzione della cultura informatica e la capacità dell’uomo di comunicare con i suoi simili e di lanciare dei “messaggi” attraverso la multimedialità. Nello stesso tempo rilevo le contraddizioni insite nella società. Esse incominciano a farsi sentire e nascono due modi di interpretarli. Il primo è attraverso l’ordine che c’è dato dal “diritto e il rovescio” quando sondiamo tra le pieghe delle regole che ci siamo imposte, le difficoltà ad applicarle o a farle osservare e accettare senza limiti o eccezioni. Seguono le “Ombre e Vulnus”, dove il tema proposto esce dallo schema umano per diventare surreale. Le mie ultime cinque produzioni avvertono un legame minore con i precedenti elaborati. Una di esse, la “Grammatica essenziale” (X), è assolutamente autonoma e si limita a uno studio grammaticale e sintattico della lingua inglese. L’altra parla delle “Mielle al di.” (XI). E’ uno stralcio delle lettere scritte dai miei lettori e raccolte nel corso della mia attività di direttore di alcune piccole testate di provincia. La terza è una “appendice glossario”(XII) dove parole, detti e pensieri vengono raccolti sistematicamente e se del caso sviluppati e sistemati come in un enorme crogiolo dove le idee sono messe a fuoco per essere fuse nelle forme che la fantasia del lettore vorrà definire. A loro volta “Uomini e finanza” e “Il dittatore” rappresentano gli effetti della vulnerabilità umana da una parte e il “potere” che, per contro, taluni possono esercitare nei confronti degli altri e i danni che essi provocano. Non è altro che la storia della condizione umana e la stessa conoscenza di una lingua in luogo di un’altra ci consente o ci impedisce di conoscere e di comprendere il senso che diamo alle cose e agli uomini. Nonostante tutto non ho certamente la pretesa, sia ben chiaro, di raccogliere la summa del sapere dai primordi a oggi. E’ solo, e resta tale, un tentativo limitatissimo di allacciare alcuni punti ritenuti fondamentali nel rapporto esistenziale dell’uomo affinché egli sappia ritrovare se stesso immerso com’è in un mare d’interessi tra i più contraddittori ed anche distorsivi della realtà. Sono valori che egli ha smarrito per strada distratto dalle attrazioni mondane, dai frutti perversi che la ricchezza, il benessere, l’egoismo e molte altre rappresentazioni che può offrirgli la vita e che sovente preferisce o se vogliamo subordina in luogo dell’amore e della fraternità umana e del rispetto che deve alla natura che lo ospita. Nello stesso tempo offro al mio simile l’occasione di assistere, sia pure comodamente seduto sulla poltrona di casa, a uno spettacolo che, all’interno della sua storia, rappresenta la visione di un film dove, a un certo punto, si osserva un personaggio intento a guardare la televisione. E proprio questo “gioco” delle immagini dentro altre immagini che, a mio parere, ci fa capire di cosa siamo fatti e del modo come possiamo entrare ed uscire dalla finzione alla realtà e dalla realtà alla finzione scenica. E’ ciò che ci dice nello specifico “Vulnus”. E’ solo fantascienza? Forse. L’informatica ci ha già introdotto nel fantastico reale e non è detto che io e voi tutti non siamo altro che degli esseri umani “virtuali” che un piccolo, e per noi invisibile, operatore ci manovri come se fosse un gioco e la nostra vita e la nostra morte non diventi altro che un “lampo”, un “guizzo” nell’infinito mondo di una realtà senza più confini. E a noi, minuti, irreali personaggi non ci resta che cantare: D’in su la vetta della torre antica,/ Passero solitario, alla campagna/ Cantando vai finché non more il giorno;/ Ed erra l’armonia per questa valle. (Leopardi da “Il passero solitario”) (Riccardo Alfonso)

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Povertà nel mondo: Appello a Papa Francesco

Posted by fidest press agency su sabato, 6 agosto 2022

In questi giorni ci siamo commossi sino alle lacrime sulla bontà e il carisma di questo Papa che pur di non mancare al suo appuntamento con i fedeli si è mosso in carrozzina. Lo ha fatto per restare coerente ad un discorso che va avanti da secoli nel quale la Chiesa ha sempre voluto dimostrare la sua vicinanza alla povera gente per consolarla, per affidarla alla felicità che non è di questo mondo. Ciò che oggi chiediamo alla Chiesa di Roma e a tutte le professioni di Fede è di essere conseguenti ai loro insegnamenti. Quando si afferma che esiste un altro diritto oltre la vita che è quello di poter vivere affrancandosi dalla povertà e dall’emarginazione perché le religioni tentennano limitandosi a pregare sui cadaveri di milioni di bambini che ogni anno muoiono di fame e per mancanza di medicine e non escono dalle loro ridotte per ribellarsi alla logica imperante di chi considera aberrante l’equa ripartizione delle risorse, vivendo del superfluo, mentre manca il necessario a miliardi di esseri umani? Se incontrassi il papa gli direi: Santo padre oggi non è più il tempo della sola preghiera. Occorre essere conseguenti poiché diventa sempre più stridente quel diritto a metà che dona la vita per riprendersela, subito dopo, imponendo la miseria e l’abbandono a miliardi di suoi figli. Oggi la sofferenza non è il frutto del sacrificio individuale, per la redenzione, ma la conseguenza degli egoismi di una minoranza di satrapi che fa delle proprie ricchezze il risultato di uno sfruttamento indecoroso dei propri fratelli sino a condurli alla morte. (Riccardo Alfonso)

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Giustizia: Tra garantisti e giustizialisti. Un excursus storico

Posted by fidest press agency su mercoledì, 3 agosto 2022

Oggi, il concetto di detenzione, inteso come limitazione della libertà per chi contravviene alle regole della società e arreca danno agli altri, si è sovente contrapposto con il garantismo a tutto campo che tende a sua volta a stemperare le conseguenze della pena sino a vanificarla, in certi casi. Possiamo quindi asserire che le tendenze dell’uomo contemporaneo è ondivago tra garantismo e giustizialismo. C’è chi vuole una giustizia che educhi, e chi ritiene sia solo duramente repressiva. La giustizia, alla fine, se non si sceglie una strada ben definita, rischia di procedere in senso alternato rendendo un cattivo servizio alla società poiché si possono colpire con più durezza gli innocenti, in un procedimento indiziario, mentre i delinquenti abituali e recidivi possono godere i vantaggi del garantismo. In Italia si sono aggiunti, in maniera drammatica il sovraffollamento delle carceri e la lentezza dei procedimenti con tre gradi di giudizio e che sovente determinano la prescrizione del reato. E dire che siamo passati, in poco più di un secolo, da un estremo all’altro nel trattamento di un imputato. Per gli antichi la confessione è la più perfetta delle prove (confessio est regina probationum) tant’è che si praticò nelle questure e nelle prigioni l’interrogatorio di 3° grado. Era un termine tipico della terminologia popolare per intenderlo come un sistema di crudeli tormenti corporali inflitti a individui di cui si vuole strappare una confessione. Così possiamo dedurre le varie forme d’interrogatorio da quello di 1° grado, che si attiene alle disposi-zioni giuridiche e penali che lo riguardano a quello di 2° grado in cui entra in gioco un livello di tormento più morale, psicologico e psichico che materiale. Si tratta di continui interrogatori per più ore, mentre il soggetto è accecato da luci molto forti e sono poste domande trabocchetto ben congegnate dopo un incalzare fitto di altre domande e pretesa di risposte immediate. Resta comunque oltre la legalità l’interrogatorio di 3° grado che consentiva, in altri tempi, la tortura e che oggi, sia pure raramente, viene adottato da qualche polizia. Dagli Elleni all’ateniese Socrate (436-338 a.C.) “si partiva dal presupposto che, per sapere la verità, nulla fosse più sicuro del tormento”. Demostene e, in seguito i romani, ne approvarono i principi e la lex Julia ne sancì, per evitarne gli abusi, le modalità e le forme con leggi ben definite. Un tribunale stabiliva se un imputato doveva o meno es-sere sottoposto alla tortura dopo aver esaminato il suo caso attentamente. Tito Livio e Cicerone però non la pensavano allo stesso modo; per loro mentire sotto la tortura significava sfuggire ai tormenti. Preferivano morire affermando il falso piuttosto che soffrire il dolore. Dai romani ai barbari la tortura si affermò come sistema crudele di repressione non solo del crimine, ma del nemico politico e, nell’età del Rinascimento giuridico, si adottò per motivi discutibilmente religiosi con la “sacra inquisizione”. Era diventata una valvola di sicurezza alla defettibilità dell’organizzazione preventiva e repressiva della polizia. Perché il giudice potesse condannare con la piena confessione del reo egli passava con la minaccia “territio verbalis”, alla “territio realis” in cui era condotto alla camera del supplizio affinché si riuscisse ad estorcere la verità. Se questi due tentativi erano vani si stabiliva il sistema di tortura nei gradi voluti dalla sentenza alla presenza di un giudice, un cancelliere e un medico. La tortura terminava con la confessione del reo e dopo ventiquattro ore convalidata di nuovo da questi. Se era ritrattata la tortura riprendeva inesorabilmente. La rivoluzione francese riuscì a spazzare via per sempre questa eredità medioevale chiudendo ufficialmente una storia dolorosa che così a lungo tormentò i nostri avi. Oggi, ancora una volta, e sotto forme più “scientificamente” rifinite ritorna agli onori della cronaca il paventato “interrogatorio di terzo grado” facendo dell’uomo lo strumento di una forza che si richiama alla selvaggia legge del passato ed in nome di una giustizia che si chiama guerra, sterminio, crudeltà e non è altro, in definitiva, che miseria e debolezza.

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La geopolitica del XXI secolo e oltre

Posted by fidest press agency su giovedì, 21 luglio 2022

Partiamo dalla ricetta putiniana e dagli anni oscuri di quel passato in cui la discesa dei vandali dall’Oriente ha avuto per l’occidente europeo il suo effetto, associato alla violenza e alla crudeltà dei loro aggressori. E dire che, fino alla vigilia dell’invasione russa in terra ucraina, Putin passava nell’immaginario di non pochi occidentali come una grande statista, forse incompreso e quindi sottovalutato per le sue idee sul come riportare la Russia ai fasti dell’Urss e del suo ruolo di prestigio mondiale. Eppure i segnali non mancarono quando consolidò il suo potere all’Est sino ai confini con la Cina e le sue interferenze e spregiudicatezze che gli permisero di tessere rapporti con i paesi dominati da dittature in spregio ad ogni forma democratica di governance. E’ vissuto anche con la convinzione che gli Stati Uniti si avviavano al declino della loro leadership mondiale e che era necessario sostituirla con una solida alleanza con la Cina. Un’intesa che reputa perfetta tra il sistema produttivo industriale e commerciale cinese e le fonti energetiche e alimentari russe rese ancor più valide con la conquista dell’Ucraina o parte di essa. Con questo andazzo due sono gli aspetti che dobbiamo considerare: da una parte la guida politica e istituzionale affidata ad uomo solo o ad una ristretta cerchia di oligarchi e il secondo con una forma di democrazia compiuta dove le decisioni sono filtrate e gestite autonomamente attraverso i vari poteri dello stato: voto popolare, parlamento, sistema giudiziario ecc. Quest’ultima è un aspetto di governance che appare perdente perché l’opinione pubblica non si fida più di chi li governa “democraticamente”. Troppa corruzione, troppo lassismo, troppe falsità tra ciò che si promette e ciò che si realizza e via di questo passo. Così posta la questione o l’Occidente riesce a trovare una risposta confacente o deve dire addio alla sua democrazia compiuta e scegliere la strada dell’autoritarismo per giocare la partita delle contrapposizioni con le stesse armi dell’avversario e, possibilmente, rendendole più incisive. (Centro studi politici della Fidest Direttore Riccardo Alfonso)

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Libri nel cassetto in cerca di lettori: io figlio della lupa

Posted by fidest press agency su martedì, 19 luglio 2022

Il titolo del mio libro è “io figlio della lupa” Parte dalla storia personale dell’autore che indossa la divisa di figlio della lupa alla vigilia della seconda guerra mondiale. Negli anni seguenti la narrazione si riempie di “perché” Perché la Germania si sente umiliata dalle sanzioni, perchè è andato al potere in Germania Hitler e in Italia Mussolini. Il ruolo della Russia di Lenin e di Stalin e la logica dello “spazio vitale”. Una “logica” che si ripropone con Putin in termini territoriali (dopo averli persi dopo la caduta del muro di Berlino) mentre l’Occidente comincia a intravedere la necessità di controllare le fonti energetiche che tendono ad assottigliarsi sempre di più. Possiamo dire che la guerra tra Ucraina e la Russia da una parte e gli Stati Uniti dall’altra si può definire il primo conflitto per quello spazio vitale che oggi si identifica sempre di più con gli stati che come la Russia sono esportatori di gas e di petrolio e le carenze energetiche dell’Occidente. L’idea dell’autore è che se vogliamo comprendere bene i fatti di oggi dobbiamo ricordare quanto è accaduto nella prima metà del XX secolo. Per i lettori della fidest è possibile richiederlo gratuitamente su e-book o acquistarlo su Amazon. (Riccardo Alfonso)

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La geopolitica ha un futuro?

Posted by fidest press agency su martedì, 19 luglio 2022

Vincenzo Olita non si sottrae ad una sua visione futuristica che attende il nostro pianeta ma nell’attesa che concretizi il suo pensiero in un articolo provo, sulla base dei segnali che già si avvertono di prospettare uno scenario possibile. Il problema è innanzitutto legato all’eccesso di popolazione che un tempo faceva grande una nazione e ora diventa un peso sempre più gravoso. Le tecnologie che incalzano, la robotica e la ricerca spasmodica di controllare le fonti energetiche ed alimentari a danno delle parti avverse sono altrettanti nodi gordiani difficili da sciogliere. Allorchè centinaia di milioni di persone in tutto il mondo hanno fame e sete diventano una micidiale arma destabilizzante sia nel provocare emigrazioni di disperati fuori controllo sia nell’aggravare la situazione negando loro una qualsivoglia forma di equa ripartizione delle risorse, Il rischio che la situzione possa sfuggire di mano è decisamente dietro l’angolo. La guerra che Putin ha scatenato ha colto questi segnali e li ha messi in conto per destabilizzare le economie e i sistemi politici occidentali. Ha ritenuto che fosse giunto il momento opportuno con un’Europa messa in ginocchio da una pandemia sempre più aggressiva, da milioni di emigranti che premono alle sue frontiere e dalla forte dipendenza dalle fonti energetiche russe che rischiano, se i rubinetti saranno chiusi, di mettere in ginocchio il sistema produttivo industriale e dei commerci che già oggi devono subire l’inflazione che appare fuori controllo anche per opera dei soliti speculatori. E l’Europa è quella dei mercanti che stanno già facendo la fila per blandire lo zar russo e disposti a svendersi anche l’Ucraina pur di salvare i loro commerci. In questo senso Putin ha ragionato bene e una guerra aggressiva e distruttiva non solo di beni ma anche rivolta agli abitanti di quel paese diventa un monito per quanti intendono contrastarlo e l’Europa non solo comunitaria non può permettersi la devastazione sistematica del suo apparato industriale. E ora mi appare profetico quanto mi disse un giornalista ucraino sul finire dello scorso secolo: L’Urss non è morta. Potrà attendere anni ma alla fine ritroverà il nuovo zar capace di riprendersi gli stessi territori che ha dovuto cedere e anche con gli interessi. Allora non fu merito della paventata civiltà occidentale ma di una lotta interna e di potere del sistema comunista. D’altra parte è più facile per Putin e al suo gruppo dominante offire le sue risorse energetiche in cambio di un sistematico controllo degli strumenti produttivi e di trasformazione europei. La democrazia, d’altra parte, ha un prezzo che non tutti in europa si sentono di difendere se va a ledere gli interessi commerciali e affaristici della sua leadership economica e finanziaria. (Centro studi politici della Fidest Direttore Riccardo Alfonso)

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“La Geopolitica dell’età adulta”

Posted by fidest press agency su domenica, 17 luglio 2022

Parte seconda: Con Vincenzo Olita direttore Società libera condivido la sua opinione “sull’europeismo che resta una visione postmodernista, che non ha nessi con storia, tradizione e ancor più con l’identità dell’Europa generando una iperburocrazia con la creazione di un super-Stato, estraneo al pensiero politico occidentale. Insomma un rissoso condominio, ridotto a diritto ed economia, in cui latitano obiettivi e progettualità a meno che non siano economici-commerciali. Un pensiero facile, troppo facile, al punto di affascinare non molti, di coinvolgere se non gli interessati, di non scaldare il cuore di nessuno.” E qui si potrebbero spiegare molte cose riguardo la tenacia e la ferocia di un Putin nella guerra scatenata in Ucraina. Già ora, infatti, prima che passi il dramma della guerra si stanno vedendo le crepe dell’Europa comunitaria, per quanto messe abilmente sotto traccia, “degli interessi contrapposti, dello smarrimento verso il futuro, del vassallaggio verso gli interessi statunitensi. La criticità della strategia politica della Dirigenza comunitaria, malgrado la benevolenza dell’informazione, è nei fatti, nei comportamenti da avanspettacolo, nelle banalità scenografiche, nell’inconsistenza di personalità quali: von der Leyen, Borrell, Dalli, Gentiloni, Johansson, Michel.” Questo deficit di leadership autorevole e qualificata che l’Europa comunitaria porta in dote non è molto dissimile dei leaders Francesi e anglosassoni alla vigilia della seconda guerra mondiale nei rapporti con le dittature di quel tempo. La stessa Nato come giustamente osserva Olita “era già in via di estinzione nell’ultimo decennio, con funerale conclamato il 15 agosto 2021 a Kabul ma già nel novembre 2019 Macron parlò di morte cerebrale, e pur non avendo fatto autocritica, sul suo severo giudizio, è stato semplicemente silenziato. La Nato deve la sua rinascita al presidente Biden e la guerra in Ucraina è stata il suo salvacondotto. E la Svezia e la Finlandia sono diventate le classiche ciliegine sulla torta per trasformarla in una poderosa Cortina anti Russia e soprattutto coinvolgerla in nuovi scenari. E’ avvenuto a Madrid nelle scorse settimane, dove è stato adottato un nuovo concetto strategico: il Madrid strategic concept in cui si sostiene che essendo le minacce globali e interconnesse con l’Alleanza essa dovrà disporre di più truppe di allerta rapida, che passeranno dalle attuali 40 mila alle 300 mila entro 7 anni, e di una difesa aerea più avanzata. In effetti, le forze NATO saranno integrate, con mezzi pre-posizionati, su 5 domini – terra, aria, mare, cyber e spazio. La sicurezza euro-atlantica non è solo rapportabile alla nuova guerra fredda con Mosca, il nuovo strategic concept parla della Cina indicandola come una delle sfide future della NATO: una sfida sistemica ai nostri interessi, ha affermato il solito bellicoso Stoltenberg. Un’alleanza, quindi, non più difensiva dello scacchiere occidentale ma coinvolta in una contrapposizione globale, preoccupante per tutta l’Umanità. Il riarmo e la strategia delle alleanze, naturalmente, non sono solo di pertinenza occidentale, altrimenti la pericolosità non sarebbe a questi livelli, la Cina e i suoi alleati muovono velocemente verso un riequilibrio di forze, e quindi verso una disputa per la leadership planetaria”. Ma se siamo giunti a questo punto è bene pensare come ci siamo arrivati se non altro per cercare di fare ammenda degli errori compiuti e delle mancate occasioni per cercare di sedare le sempre più pericolose tentazioni di una guerra globale che in questo caso si chiama atomica. (Centro studi politici della Fidest diretto da Riccardo Alfonso) Link prima parte: https://fidest.wordpress.com/2022/07/14/geopolitica-e-le-sue-malattie-infantili/

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Geopolitica e le sue malattie infantili

Posted by fidest press agency su giovedì, 14 luglio 2022

Vincenzo Olita direttore Società libera con il suo ultimo articolo, che mi ha inviato giorni fa, mi consente di aggregare alcuni suoi passaggi con le mie personali conversazioni che sullo stesso argomento ho avuto con giornalisti e politologi ucraini e russi conosciuti a Roma presso la sala stampa estera. Il tutto è iniziato quando, negli anni Novanta dello scorso secolo, in pochi mesi l’Urss si è dissolta lasciando al loro destino i diversi paesi dell’Europa orientale che aveva conquistato e dominato dalla fine della Seconda guerra mondiale. A questo riguardo Olita si spinge più indietro andando al “maggio del 1920 quando Vladimir Lenin pubblicò un saggio che sarebbe entrato nella storia del comunismo, un lavoro che influenzò non poco il cammino della Terza Internazionale definendo l’estremismo, una malattia infantile del comunismo.” E considerandolo “una connotazione patologica che spesso ha caratterizzato movimenti rivoluzionari sia in fase di nascita che di affermazione: in quest’ultima annoveriamo anche i maturi sistemi politici che, abbagliati dai propri risultati e dalle acquisite posizioni, hanno ritenuto di poter e dover osare per ulteriori traguardi. E’ il caso della Turchia di Erdogan, degli Usa di Biden, della Cina di Xi Jinping, non trascurando instabili sistemi come i talebani afghani o i nordcoreani di Kim Jong-un”. Si tratta di “un’ampia visione geopolitica, per gli affari esteri, che ha portato i grandi Paesi a praticare un estremismo diplomatico e militare che ha assunto, a tratti, veste imperiale”. E da questo precedente l’occidente non sembra averne avuta la piena consapevolezza e quindi la capacità di adottare adeguati antidoti. In pratica ci saremmo aspettati una risposta efficace dall’Occidente ed invece dobbiamo evidenziare su quel fronte “una crisi, legata alla perdita di qualsivoglia visione strategica soprattutto da parte di tre istituzioni: l’ONU, l’Ue e la NATO. Un deficit che è diventato plateale con la guerra in Ucrina e dalla necessità di riconsiderare molte delle sue Agenzie: dalla Fao all’OMS.L’Ue, ora vive un momento di buona visibilità, proprio grazie al conflitto in atto da cinque mesi. La vulgata è la straordinaria evidenza data all’unità politica dei 27, alla complessiva strategia per il sostegno all’Ucraina e per il superamento della crisi energetica, insomma, un vero modello di generale e unitaria resilienza: immancabile inservibile espressione, in cui tutto viene esaltato e magnificato, perfino un viaggio in treno di 3 leader politici comunitari è stato continuamente presentato come fatto storico che passerà alla storia. Noi, invece, crediamo che sostanzialmente nulla sia mutato. E in questa circostanza Putin, il Vladimir del XXI secolo, si trova nella stessa posizione di quell’indiano che seduto lungo la riva del Gange aspetta il passaggio del cadavere del suo nemico. (segue seconda parte dal titolo “La Geopolitica dell’età aduta” (Centri studi della Fidest diretta da Riccardo Alfonso)

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La crisi dei partiti e la risposta degli elettori

Posted by fidest press agency su venerdì, 24 giugno 2022

E’ stato scritto: “La partecipazione rende le persone forti, competenti, in grado di reclamare la propria voce e produrre cambiamenti che senza di loro sarebbe impossibile immaginare e realizzare”. E se gli italiani, partendo da questo presupposto, non vanno a votare significa che qualcosa non funziona nel nostro sistema e su quello occidentale, nel suo insieme. Se pensiamo ai partiti con i quali oggi interagiamo è evidente che essi stanno mostrando i loro limiti. Manca, innanzitutto, il dialogo con gli elettori, la presa di coscienza delle loro aspettative, la capacità di tradurle in atti concreti. La prima domanda che dovremmo farci è perché siamo arrivati a questo punto? E la risposta appare sin troppo ovvia: vi è troppa demagogia, vi sono troppe promesse che non si possono mantenere, vi sono delle gravi interferenze generate da gruppi di potere che cercano solo i loro interessi partigiani. La loro sete di potere permette loro di fare prosperosi affari a scapito dei più deboli. E così facendo dividono l’umanità tra chi ha e chi è. Tra la ricchezza di pochi senza limiti e la povertà di tanti. E’ così che gioiscono per il discredito delle istituzioni e dei partiti perché in questo modo possono meglio controllare il 30-40% degli elettori relegando gli altri a subire il loro strapotere lasciandoli disertare le urne. Sino ad oggi vi sono stati dei timidi tentativi per stimolare i partiti ad un cambiamento nel rapporto con i loro elettori: lo ha fatto negli anni cinquanta dello scorso secolo “L’uomo qualunque” e nel XXI il Movimento cinque stelle. Entrambi sono diventati, stando alla definizione coniata di recente dal vice presidente della Camera dei deputati Fabio Rampelli, “biodegradabili”. E perché sono nati dalla diffusa volontà di quell’elettorato che ha inteso utilizzarli per scuotere i partiti esistenti verso un processo virtuoso nella gestione della democrazia e del rispetto per i ceti più deboli, per una giustizia sociale autentica e non negoziabile con gli artifici di potere. E’ un incarico a termine ma alla fine sono stati sopraffatti prima ancora che fossero riusciti nel loro intento. La risposta, a questo punto, potrebbe apparire contraddittoria dicendo andiamo tutti a votare. Ma non lo è se sappiamo fare le nostre scelte, se non ci facciamo abbindolare dalle promesse impossibili da realizzare, se scegliamo dal mazzo le persone giuste che ci sono e che gli stessi partiti mettono nelle loro liste ma che hanno poca probabilità d’essere eletti perché poco noti e non sponsorizzati dai media. Se l’elettore alla vigilia del voto si propone di spendere una parte del suo tempo ad analizzare i programmi e la serietà e fattibilità di poterli realizzare e quali benefici possono arrecare al benessere collettivo. In altri termini si richiede una maggiore attenzione e una valutazione più critica da parte dell’elettore. In difetto dovremmo sperare che i pentastellati sopravvivano alla loro “biodegradabilità” mendandosi dei loro errori e soprattutto dalle scelte poco accorte dei loro candidati. Riccardo Alfonso dal Centro studi politici della Fidest)

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Quando la libertà diventa un peso

Posted by fidest press agency su martedì, 24 Maggio 2022

Mussolini nel marzo del 1923, da solo cinque mesi capo del governo, affermava: “Quando un gruppo o un partito è al potere esso ha l’obbligo di fortificarsi e di difendersi contro tutti. La verità palese è che oggi gli uomini sono forse stanchi di libertà.” Questa stanchezza dovrebbe in qualche modo giustificare le dittature di destra dal fascismo al Nazismo al franchismo spagnolo e quella comunista del socialismo reale? E oggi l’oligarchia di Putin. (dal libro di Riccardo Alfonso: Novecento. Storie del nostro tempo”)

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