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Quotidiano di informazione – Anno 35 n°185

Posts Tagged ‘conflitti’

Falsi equilibri: Rapporto su conflitti e diseguaglianze

Posted by fidest press agency su domenica, 12 dicembre 2021

«La via della pace, che risana i conflitti e rigenera la bellezza della fraternità, è segnata da una parola: dialogo» ha detto papa Francesco nel suo recente viaggio a Cipro, aggiungendo che occorre alimentare «la speranza con la forza dei gesti anziché sperare in gesti di forza». Tutto questo è ancor più urgente in un mondo ferito dalla pandemia che ha acuito le disuguaglianze e allo stesso tempo risvegliato un comune senso di apparte­nenza all’unica famiglia umana. Siamo al bivio di scelte decisive per il presente e il futuro dell’umanità, per superare i “Falsi equilibri” di cui parla il Rapporto su diseguaglianze e conflitti dimenticati pubblicato da Edizioni San Paolo e presentato da Caritas Italiana, in collaborazione con Avvenire, Famiglia Cristiana e Ministero dell’Istruzione, alla vigilia della Giornata Internazionale dei Diritti Umani.

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Traffico di minori in aumento in Mali a causa di conflitti e COVID

Posted by fidest press agency su sabato, 5 dicembre 2020

L’UNHCR, Agenzia ONU per i Rifugiati, avverte oggi che conflitti, insicurezza, il COVID-19 e il deterioramento delle condizioni economiche stanno portando a un aumento del traffico di minori, del lavoro forzato e del reclutamento forzato da parte di gruppi armati in Mali.Nella prima metà di quest’anno sono stati registrati più casi di reclutamento di minori (230 casi) rispetto all’intero 2019 (215 casi), secondo un recente rapporto pubblicato dal Global Protection Cluster, una rete di agenzie delle Nazioni Unite e ONG guidata dall’UNHCR che fornisce protezione alle persone colpite da crisi umanitarie.Poiché le scuole rimangono chiuse a causa di conflitti, insicurezza, COVID-19 o scioperi degli insegnanti, anche i minori sono spinti verso le miniere d’oro informali, in particolare a Gao e Kidal, dove molte zone sono controllate da gruppi armati. Alcuni minori sono arrivati sul posto a “credito”, cioe’ con il trasporto e il cibo finanziati da una parte terza. Altri hanno riferito di aver lavorato per giorni senza essere pagati. I minori sono costretti a lavorare per un tempo non specificato fino a quando non saldano il loro “debito”. Le vittime sono sia maliani che rifugiati, richiedenti asilo o migranti.Dalla regione di Mopti sono arrivate segnalazioni di comunità di donne e ragazze rapite, aggredite sessualmente e stuprate; sono stati registrati oltre 1.000 casi nel 2020. L’UNHCR teme anche una spirale di matrimoni infantili, in un Paese in cui si stima che il 53 per cento delle ragazze sia sposato prima dei 18 anni.I profili dei trafficanti e dei loro complici vanno da gruppi criminali organizzati o armati, capi tribù o autorità statali, a, in alcuni casi, perfino genitori, parenti o membri della comunità. Nonostante le violazioni dei diritti umani, tra cui la violenza di genere, la tratta e il reclutamento di minori in aumento, un nuovo rapporto pubblicato ieri avverte che quasi 40 milioni di persone sfollate all’interno del paese o coinvolte in conflitti potrebbero non ricevere sostegno a causa di finanziamenti insufficienti. Secondo il rapporto, i finanziamenti di quest’anno per la protezione delle persone più bisognose di assistenza nelle crisi umanitarie hanno ricevuto solo il 25% di quanto necessario.

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Conflitti territoriali in Australia

Posted by fidest press agency su lunedì, 7 settembre 2020

Il conflitto per la miniera di carbone di Carmichael nello stato del Queensland in Australia, non è ancora arrivato ad una soluzione. Attualmente, gli indigeni Wangan e Jagalingou stanno bloccando la strada di accesso alla miniera, che si trova in gran parte sulla loro terra. Il blocco ha lo scopo di interrompere i lavori di costruzione sul sito. Il gruppo indiano Adani, che gestisce la miniera, abbandonerà il progetto. L’Associazione per i popoli minacciati (APM) ricorda come i Wangan e i Jagalingou non hanno mai accettato il progetto alle condizioni necessarie. La disputa legale con il gigante minerario li ha rovinati finanziariamente. Ora difendono la loro terra tradizionale con altri mezzi non violenti. Secondo le loro stesse dichiarazioni, i manifestanti vogliono riprendere il controllo del loro territorio per impedirne la distruzione.Proprio lo scorso maggio, un altro gigante minerario, la società mineraria Rio Tinto, ha fatto saltare in aria uno dei più antichi siti tribali del paese nell’Australia occidentale. Secondo le ricerche archeologiche, le grotte rocciose della gola di Juukan nella regione di Pilbara sono state utilizzate dall’uomo per almeno 46.000 anni. Ora Rio Tinto ha annunciato che taglierà i bonus per tre alti funzionari. Ma per i Puutu Kunti Kurrama e i Pinikura, le grotte sacre sono comunque andate perdute per sempre. Rio Tinto guadagnerà molto bene dalle otto milioni di tonnellate di minerale di ferro che estrarranno nel luogo sacro, oltre al fatto che a tutti i responsabili è stato permesso di mantenere il loro posto.Il governo centrale dell’Australia e i rispettivi stati hanno accettato il trasferimento dei territori alle compagnie minerarie e hanno anche approvato l’esplosione a Pilbara. Il vero problema è il sistema australiano del “Native Title”, che discrimina sistematicamente le popolazioni indigene. Se acconsentono a un progetto sul loro territorio, sono autorizzati a chiedere un risarcimento o un affitto entro certi limiti. Ma se si rifiutano di accettare, i progetti vengono di solito approvati comunque. Le popolazioni indigene, che tradizionalmente possiedono la terra, vengono poi lasciate a mani vuote. Finché gli indigeni australiani saranno costretti a realizzare progetti minerari enormi e dannosi per l’ambiente, i conflitti non troveranno certo una soluzione.

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Basta conflitti e violenza contro i civili, i migranti, le donne e i bambini in Libia

Posted by fidest press agency su sabato, 29 agosto 2020

Cosi il presidente della Comunità del mondo arabo in Italia (Co-mai) e l’associazione medici di origine straniera in Italia (Amsi) ,Foad Aodi nonché membro registro esperti Fnomceo ,commenta l’annuncio del cessate il fuoco da parte di Sarraji che arriva in un momento tragico per la popolazione libica dal punto di vista umanitario e sanitario e gli ospedali sono paralizzati in mancanza di tutto come ci riferiscono i medici locali e aumentano i contagiati con Coronavirus.Inoltre Aodi mette in evidenza le altre cause che hanno spinto Sarraji a questo annuncio; debolezza e corruzioni tra i generali e militari di tutte e due governi libici, aumentano le tragedie dei migranti irregolari ,i conflitti internazionali per la Libia si stanno intensificando specialmente per interesse del petrolio e di Leadership sulla pelle dei libici e la Libia .infine Aodi si augura che l’Italia possa recuperare il terreno perso in Libia e di riprendersi una posizione di primo piano e decisiva a favore della stabilità e del processo politico e concretizzare la proposta di elezioni a Marzo.

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Somalia: Conflitti e gravi inondazioni

Posted by fidest press agency su mercoledì, 13 Maggio 2020

Inondazioni devastanti, conflitti, un’economia paralizzata, incombenti invasioni di locuste del deserto e la diffusione esponenziale del COVID-19 stanno minacciando la sicurezza e il benessere sociale dei 2,6 milioni di sfollati interni presenti in Somalia.L’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, teme che l’insieme di queste molteplici emergenze causerà conseguenze devastanti, a meno che comunità internazionale, autorità somale nazionali e locali e attori umanitari non implementino un’azione efficace e coordinata per rispondere alle enormi esigenze umanitarie della popolazione.Dall’inizio dell’anno, più di 220.000 somali sono rimasti sfollati all’interno del Paese, di cui 137.000 a causa di conflitti. Le catastrofi naturali, o legate alle condizioni climatiche, tra cui siccità, con conseguente carenza di mezzi di sostentamento, e inondazioni rappresentano ulteriori fattori complessi e interconnessi che causano gli esodi.Nella Somalia meridionale e centrale, si stima che inondazioni improvvise e le prime alluvioni fluviali causate dalle piogge “Gu” stagionali abbiano già costretto alla fuga 90.000 persone e che altre ancora fuggiranno, andando ad aggravare in modo significativo le preesistenti esigenze umanitarie degli sfollati interni e delle comunità di accoglienza. Se le tendenze attuali continuano, le piogge di quest’anno lasciano chiaramente presagire che potrebbero costituire la stessa catastrofica minaccia portata dalle piogge “Deyr” del 2019, che costrinsero più di 400.000 persone a fuggire dalle proprie case. Sciami di locuste del deserto, l’insetto migratore più distruttivo al mondo, minacciano di decimare le coltivazioni e di causare una diffusa carenza di derrate alimentari dopo la stagione delle piogge “Gu”.All’inizio di questa settimana, l’UNHCR e il Governo della Somalia tramite ponte aereo hanno assicurato aiuti di emergenza quali taniche, sapone, coperte, materassi, set da cucina e teli impermeabili, per assistere più di 8.000 persone a Baidoa, Bardheere e Qardho. Un secondo ponte aereo previsto per oggi, con aiuti destinati a Qardho, Bardheere, Beletweyn e Berdale, dovrebbe consentire all’UNHCR di estendere l’assistenza a un totale di 37.000 beneficiari.A marzo e aprile, sono ripresi gli attacchi armati ai danni di Al Shabab nella regione del Basso Scebeli, costringendo oltre 50.000 persone a fuggire dalle proprie case. Durante la fuga, le comunità sono state esposte direttamente al fuoco incrociato e agli attacchi di mortaio, nonché alle esplosioni verificatesi lungo le strade. Inoltre, sono stati riportati casi di reclutamento di minori, violenza sessuale e di genere e arresti arbitrari. Infine, a Gedo, nell’Oltregiuba, si stima che, a inizio marzo, i combattimenti in corso tra le varie parti in conflitto nella regione abbiano costretto 40.000 persone a fuggire da Belet Xawoo.L’UNHCR ritiene che, con l’ulteriore diffusione del COVID-19, la situazione sul piano umanitario peggiorerà. La maggior parte dei 2,6 milioni di IDP presenti in Somalia vive in insediamenti sovraffollati e molti di questi, soprattutto i nuovi sfollati, vivono in alloggi di fortuna fatti di sacchi di plastica, cartone e ramoscelli. Praticare distanziamento fisico e sociale è pressoché impossibile, e la disponibilità di acqua potabile è appena sufficiente per dissetarsi, certamente non per lavarsi la mani. Sussistono le condizioni ideali per una diffusa trasmissione del virus.Il Governo della Somalia ha cominciato a effettuare i test per rilevare il COVID-19 in tutto il Paese. Tuttavia, decenni di conflitto, accompagnati dalla carenza di kit per i test su scala mondiale, hanno lasciato le infrastrutture sanitarie in una condizione troppo precaria per poter assicurare una risposta, qualora il virus dovesse diffondersi rapidamente. Nonostante la Somalia abbia registrato 928 casi confermati di COVID-19, solo uno ne è emerso tra la popolazione di sfollati interni.Molti sfollati interni somali hanno visto crollare il proprio reddito, dal momento che le misure di prevenzione da COVID-19 hanno generato disoccupazione o una riduzione degli orari di lavoro, in particolare ai danni dei lavoratori a giornata o dei commercianti nei mercati. L’UNHCR ha osservato come i rifugiati siano stati tra i primi a perdere il lavoro. Allo stesso tempo, i prezzi degli alimentari salgono mentre le rimesse, un’àncora di salvezza per milioni di somali, continuano a calare vertiginosamente.In questa fase di crisi, l’UNHCR esorta la comunità internazionale ad assicurare fondi ulteriori alle agenzie umanitarie e al Governo della Somalia. Ieri, nell’ambito di un piano di più ampia portata lanciato dalle Nazioni Unite, l’UNHCR ha sollecitato gli Stati, il settore privato e i singoli sostenitori a donare 745 milioni di dollari per finanziare l’appello dell’Agenzia contro il COVID-19 al fine di garantire assistenza e protezione alle popolazioni in fuga nel mondo.

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Africa: conflitti e pandemia di coronavirus

Posted by fidest press agency su lunedì, 20 aprile 2020

L’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ha intensificato gli sforzi volti a proteggere milioni di persone vulnerabili che in Africa occidentale e centrale sono esposte ai nuovi rischi derivanti dall’effetto combinato dei conflitti e della pandemia di coronavirus. Con 5,6 milioni di sfollati interni, 1,3 milioni di rifugiati, 1,4 milioni di rimpatriati ancora bisognosi di assistenza, e 1,6 milioni di apolidi, l’Africa occidentale e centrale ha una delle popolazioni di persone costrette ad abbandonare le proprie case di più vaste dimensioni di tutto il continente.Nella regione del Sahel, in Africa occidentale, il conflitto armato e gli attacchi ai danni dei civili hanno costretto alla fuga quasi 3 milioni di persone, di cui quasi un milione a partire da gennaio 2019, e oltre 5 milioni di persone ora devono sopravvivere con ridotte scorte alimentari.L’UNHCR esprime preoccupazione anche in merito alla possibilità che le persone in fuga possano essere respinte verso aree in cui vigono situazioni di pericolo, considerato che i potenziali movimenti di maliani, nigeriani, nigerini, camerunensi e sudanesi in cerca di protezione internazionale potrebbero essere ostacolati dalle restrizioni imposte. Oltre alla precarietà delle situazione in materia di sicurezza (specialmente nelle regioni del Sahel e del bacino del Lago Ciad), le restrizioni dovute al COVID-19 stanno inoltre impedendo agli aiuti umanitari di raggiungere le persone che hanno bisogno di assistenza.
In Burkina Faso, i rifugiati maliani sono fuggiti dagli attacchi perpetrati da gruppi armati ai danni del campo in cui vivevano a Goudoubo. Alcuni si sono rifugiati presso i sovraffollati insediamenti di sfollati interni presenti nel Paese. Il luogo in cui si trovano gli altri non è conosciuto. Anche le attività dell’UNHCR, tra cui la consegna di carte d’identità e lo svolgimento di altre procedure amministrative, sono attualmente sospese.
Nella Repubblica Centrafricana, il personale dell’UNHCR riferisce di gruppi armati che, in alcune località, costringono le persone sfollate a fare ritorno nelle loro terre d’origine, facendone capri espiatori per la potenziale diffusione del COVID-19.
In Mali, le campagne di sensibilizzazione su violenza sessuale e di genere (Sexual and Gender-based Violence/SGBV), diritti umani e coesione sociale, realizzate dall’UNHCR e dai partner sono temporaneamente sospese al fine di limitare le occasioni di assembramento in pubblico.
In Niger, l’accesso degli aiuti umanitari, già limitato nelle regioni settentrionali di Tahoua, Tillabery e Diffa per effetto dei crescenti episodi di violenza, è ora ulteriormente ridotto a causa della pandemia. Il programma di reinsediamento di rifugiati vulnerabili evacuati dalla Libia e attualmente in transito è temporaneamente sospeso a causa delle rigide restrizioni alla circolazione imposte in tutto il mondo. Malgrado le criticità che affliggono l’intera regione, l’UNHCR e gran parte del personale impegnato in prima linea continuano a lavorare. All’insegna del motto “Restiamo ad assicurare assistenza”, le operazioni dell’Agenzia si stanno adeguando alla situazione pur di raggiungere tutti coloro che hanno disperato bisogno d’aiuto. Il personale sul campo sta iniziando a garantire aiuto da remoto e a concentrare la gestione dell’assistenza in denaro per sostenere le popolazioni sfollate, tra cui vittime e sopravvissuti a SGBV e donne a rischio. Le misure prevedono consultazioni telefoniche online in linea con le raccomandazioni di distanziamento sociale volte a ridurre i rischi di contagio.Si stanno adeguando le attività didattiche in risposta alla diffusa chiusura delle scuole, che ha interessato oltre 140 milioni di bambini in tutta la regione. Questi dati includono i bambini sfollati inseriti nei sistemi d’istruzione nazionali.
In Burkina Faso, la situazione è particolarmente drammatica a causa del numero di persone in fuga senza precedenti. L’UNHCR sta valutando la possibilità di trasferire alcuni tra coloro che vivevano a Dori presso il campo rifugiati di Goudoubo, che allo stato attuale è vuoto, ma dispone di impianto di approvvigionamento idrico, servizi igienico-sanitari e ambulatori.
In Camerun, nella regione orientale e in quella di Adamawa, il personale adibito alla registrazione ha messo a punto strumenti che consentono di riprendere la procedura di registrazione degli ospiti dopo una settimana di sospensione.
Dal momento che i rifugiati urbani attualmente sono tra i civili maggiormente colpiti dalle restrizioni alla circolazione, l’UNHCR ha istituito un servizio telefonico gratuito per organizzare l’accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo su appuntamento per quanto concerne la registrazione delle nascite e il rilascio di documenti.
In Ciad, si sta prendendo in considerazione la possibilità di effettuare la registrazione a domicilio per il nuovo campo di Kouchaguine, nella città di Farchana, su richiesta del governo. Materiali informativi e di sensibilizzazione sono condivisi regolarmente con i leader delle comunità. L’UNHCR, inoltre, sta lanciando un servizio volto a garantire continuità allo svolgimento delle attività di protezione dei minori.
Nella Repubblica Centrafricana (CAR), circa 30 referenti stanno assicurando continuità alle attività di monitoraggio delle esigenze di protezione nonostante la pandemia di COVID-19. Inoltre, sono stati istituiti un servizio di assistenza telefonica e un meccanismo di sorveglianza comunitario per monitorare le aree principali presso cui le persone in fuga hanno fatto ritorno.
L’UNHCR sta pianificando la distribuzione di un numero supplementare di teli impermeabili e kit di emergenza per decongestionare gli insediamenti di sfollati e incrementare le opportunità di praticare distanziamento sociale e fisico all’interno di questi siti.
In Mali, a Timbuctu e in altre località, continuano le attività di sensibilizzazione rivolte a bambine e bambini in materia di diritti dell’infanzia e prevenzione del COVID-19.
In Niger, l’UNHCR sta lavorando con le autorità per acquistare e distribuire materiali: matite e quaderni, nonché radio. È stato siglato un partenariato con una radio locale per poter continuare i programmi didattici tramite la trasmissione sulle radio locali in tutto il Paese. Si stanno producendo programmi di autoapprendimento e brochure per gli studenti iscritti agli ultimi anni di corso e i per rifugiati nigeriani che frequentano i Centri di insegnamento a distanza nella regione di Diffa.Sempre in Niger, l’UNHCR sta individuando i siti sovraffollati e ha iniziato a pianificare una gestione degli spazi che permetta di rispettare le distanze necessarie tra gli alloggi. Nel campo di Sayam Forage, l’unico campo rifugiati ufficiale del Paese, è in fase di costruzione un’area di transito supplementare.Nella Nigeria nordorientale, rifugiati, rimpatriati e richiedenti asilo continuano ad arrivare dai Paesi limitrofi, nonostante i confini siano chiusi. L’UNHCR sta dando seguito alle misure adottate dal governo per garantire lo svolgimento dei controlli sanitari oltre che l’accesso al territorio.I campi di sfollati interni nello Stato di Borno sono sovraffollati e questo rende impossibile il distanziamento sociale. L’UNHCR sta lavorando col Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) per ampliare i campi e le recinzioni a Banki, Ngala e Bama.
È necessario garantire maggiore sostegno per rispondere alle principali esigenze rilevate nella regione, tra cui la richiesta di un numero ulteriore di personale sanitario formato per rispondere nelle emergenze e adeguate unità di terapia, in particolare nelle aree remote in cui sono accolti rifugiati e sfollati. Nell’ambito del Piano di risposta umanitaria globale delle Nazioni Unite contro la crisi, l’UNHCR ha lanciato un Appello di emergenza per la raccolta di 255 milioni di dollari da destinare alla realizzazione di interventi e preparativi salvavita in risposta alla pandemia da COVID-19.L’ufficio dell’UNHCR per l’Africa occidentale e centrale è competente per 21 Paesi: Benin, Burkina Faso, Camerun, Capo Verde, Repubblica Centrafricana, Ciad, Costa d’Avorio, Guinea Equatoriale, Gabon, Gambia, Ghana, Guinea, Guinea Bissau, Liberia, Mali, Niger, Nigeria, São Tomé e Príncipe, Senegal, Sierra Leone e Togo.

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IFAD: Nuovi fondi per lo sviluppo agricolo contro il moltiplicarsi dei conflitti armati

Posted by fidest press agency su venerdì, 14 febbraio 2020

“Se la risposta umanitaria è adeguata ad affrontare i sintomi dei conflitti, lo sviluppo agricolo permette di affrontare le questioni di lungo termine e di sviluppare meglio la resilienza e favorire pace e stabilità”, ha detto oggi Donal Brown, vicepresidente associato del Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (IFAD) nella seconda ed ultima giornata del 43esimo Consiglio dei Governatori IFAD, tenutosi a Roma.In tale occasione leaders mondiali hanno chiesto alla comunità Internazionale di investire di più in sviluppo agricolo così da poter rispondere alla fame e alla povertà causati da conflitti e cambiamenti climatici.
Dal 2018 al 2019 nel continente Africano i conflitti armati sono aumentati di ben il 36 per cento, contribuendo a incrementare il numero di persone affamate e in situazione di povertà. Esistono prove che dimostrano come interventi di sviluppo agricolo accelerino il processo di ripresa dalla devastazione di una guerra e permettano alle popolazioni di trarre solidi benefici della pace.A titolo di esempio, Agnes Matilda Kalibata, Presidente dell’Alleanza per la Rivoluzione Verde in Africa (AGRA) e recentemente nominata Inviata Speciale del Food System Summit 2021, ha citato il caso del Ruanda. Kalibata ha infatti ricordato agli Stati Membri dell’ IFAD che proprio il Fondo “fu la prima istituzione multilaterale ad arrivare in Ruanda dopo il genocidio, quando nessuno voleva essere lì”.E proprio l’IFAD fu tra le prime realtà “ad investire sul governo locale in modo che potesse rafforzare il settore agricolo”. Dal genocidio del 1994 il Ruanda ha ottenuto risultati straordinari: grazie ad una crescita economica forte, le persone che soffrono povertà e fame sono drasticamente diminuite.Lo sviluppo ha un ruolo nella prevenzione dei conflitti anche secondo il capo del Direttorato Generale per le Politiche di Sviluppo Internazionale del Ministero Federale tedesco della Cooperazione e dello Sviluppo, Dominik Ziller: “Se le persone non hanno opportunità nei loro paesi aumenta il rischio che criminalità e terrorismo si diffondano maggiormente, e che i signori della guerra trovino nuove reclute”, ha spiegato. E ha aggiunto: “per farla breve, aumenta il rischio dell’instabilità e che gli Stati diventino più fragili”
Si stima che entro il 2030 i cambiamenti climatici creeranno 100 milioni di nuovi poveri. Di questi, 50 milioni si troveranno in una situazione di povertà a causa degli effetti dei cambiamenti climatici sull’agricoltura. I cambiamenti climatici aggravano i conflitti già in atto e hanno il potenziale per provocarne di nuovi poiché determinano una limitazione delle risorse disponibili.Nel 2018 eventi catastrofici hanno causato 17.2 milioni di sfollati, il 90 per cento dei quali fuggiva dai condizioni meteorologiche avverse e pericoli correlati al clima.Un focus particolare è stato dedicato nella giornata conclusiva del Consiglio dei Governatori alle persone con disabilità. Le emergenze climatiche colpiscono infatti in maniera sproporzionata queste persone anche a causa della loro vulnerabilità intrinseca: sono tra le più marginalizzate e a rischio in una comunità colpita da crisi. Si stima che ben 9.7 milioni di persone con disabilità siano oggi sfollate a causa di conflitti e persecuzioni.“Ci dobbiamo assicurare che la frase ‘ Non lasciare nessuno indietro’ non sia solo uno slogan”, ha detto Yetnebersh Nigussie, attivista etiope per i diritti delle persone disabili. Nigussie ha concluso sottolineando la necessità di sviluppare progetti che utilizzino nuovi sistemi di raccolta dati sia sulla localizzazione che sulla definizione dei bisogni delle persone con disabilità.

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Conflitti: Save the Children, il virus dell’indifferenza

Posted by fidest press agency su venerdì, 14 febbraio 2020

Il virus dell’indifferenza diffuso tra i leader mondiali sta distruggendo intere generazioni di bambini costretti a vivere in guerra, in conflitti che diventano sempre più intensi e pericolosi per loro. Dal 2010 le gravi violazioni che hanno colpito i bambini sono aumentate del 170%, con maggiori probabilità per i bambini di essere uccisi o mutilati, reclutati, rapiti, abusati sessualmente, di vedere le loro scuole attaccate o di essere lasciati senza aiuti. Intere generazioni che rischiano di perdersi: 415 milioni di bambini in tutto il mondo – uno su cinque – vivono in aree colpite da conflitti, tra questi 149 milioni sono in zone di guerra ad alta intensità di violenze.Il maggior numero di bambini che vive in zone di conflitto è in Africa (170 milioni), mentre in Medio Oriente si registra la densità più alta (un bambino su tre). Afghanistan, Iraq, Mali, Nigeria, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo (DRC), Somalia, Sud Sudan, Siria e Yemen restano i dieci paesi in cui si sono verificate il maggior numero di violazioni gravi sui bambini. La Siria risulta particolarmente pericolosa: il 99% dei bambini vive in zone esposte al conflitto con un altissimo numero di gravi violazioni. Il conflitto sta inoltre peggiorando per i bambini che vivono in Afghanistan, Somalia e Nigeria, che rispettivamente hanno il maggior numero di uccisioni e mutilazioni, violenze sessuali, reclutamento e uso di bambini da parte di forze armate o gruppi armati.Questa la denuncia contenuta nel terzo report di Save the Children, l’Organizzazione che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini e garantire loro un futuro, dal titolo “Stop the war on Children – Gender matters”. Il rapporto, lanciato nell’ambito della campagna “Stop alla guerra sui bambini”, in vista della Conferenza di Monaco, dove i leader mondiali si riuniranno per discutere questioni di sicurezza internazionale, sottolinea come le sei gravi violazioni contro i bambini in conflitto abbiano un impatto diverso su ragazzi e ragazze. Un’attenzione particolare viene rivolta alle conseguenze dei conflitti sulle ragazze da parte di Save the Children, che nel corso di quest’anno si concentrerà molto sul tema delle discriminazioni di genere e dell’empowerment delle bambine e delle adolescenti.
Almeno 12.125 bambini sono stati uccisi o feriti dalla violenza legata ai conflitti nel solo 2018, un aumento del 13% rispetto al totale riportato l’anno precedente, con l’Afghanistan che risulta il paese più pericoloso. Anche il numero di attacchi segnalati a scuole e ospedali è salito a 1.892, con un aumento del 32% rispetto all’anno precedente. Tra il 2005 e la fine del 2018, risultano 20.000 casi verificati di violenza sessuale contro i minori. Si ritiene che questo numero sia solo la punta dell’iceberg in quanto la violenza sessuale è enormemente sottostimata a causa delle barriere sociali e dello stigma ad esso associato nonostante venga spesso utilizzata come tattica di guerra.Il rapporto di Save the Children mostra come le gravi violazioni impattino in maniera molto differente tra ragazzi e ragazze: ad esempio i ragazzi hanno più probabilità di essere esposti a uccisioni e mutilazioni, rapimenti e reclutamento, mentre le ragazze corrono un rischio molto più elevato di violenza sessuale e di altro genere, incluso il matrimonio precoce e forzato.

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I conflitti di interesse di Trump: affari dalla Casa Bianca?

Posted by fidest press agency su mercoledì, 18 settembre 2019

“Sta cercando di arricchire la Trump Organization usando la posizione del presidente degli Stati Uniti per farlo”. Così Richard Painter, avvocato di affari etici nell’amministrazione di George Bush figlio, in un’intervista alla Msnbc, mentre commenta i continui conflitti di interesse di Donald Trump. Painter ha continuato a spiegare che il governo federale è divenuto cliente dell’azienda di Trump, violando in questo modo la “emoluments clause” (clausola sugli emolumenti). Questa clausola proibisce al presidente ed altri funzionari del governo di ricevere benefici di valore o compensi monetari al di là del loro stipendio.Il tema del conflitto di interessi per l’attuale inquilino della Casa Bianca esiste dal giorno della sua inaugurazione. Va ricordato che Trump ha dato l’incarico di gestire la sua azienda ai suoi due figli Donald Junior e Eric. Ciononostante il 45esimo presidente continua ad esserne il proprietario. E continua a promuovere gli affari direttamente e indirettamente.A conclusione del recente incontro del G7 in Francia, il 45esimo presidente ha suggerito che il prossimo incontro del gruppo si potrebbe tenere al Trump Doral Resort di Miami. Secondo lui, il luogo sarebbe ideale poiché include spazio, sale, alberghi, e tutti i requisiti necessari. Ovviamente, i governi degli altri sei Paesi ospitati pagherebbero le spese per il loro personale, creando in questo modo business per le tasche del presidente americano. Trump non vede, o vede molto bene, che lui ha fatto un annuncio commerciale per aiutare il resort che ultimamente, secondo alcune analisi, non sta andando a gonfie vele.Non è questa l’unica volta che Trump promuove i suoi affari dalla sua posizione di presidente. Ogni volta che lui va a passare il weekend per giocare a golf in una delle sue proprietà sparse per gli Stati Uniti e per il mondo i media ne danno notizia. La pubblicità aiuta a ricordare che nelle proprietà del presidente ci si può divertire e inoltre qualche volta incontrare casualmente il signor Trump e possibilmente anche presentare qualche proposta politica e economica.Il presidente, da reality star, sa molto bene che quando si parla, anche indirettamente, delle sue proprietà nei telegiornali, la sua azienda ottiene benefici mediante la pubblicità. Continua però ad asserire che fa il suo lavoro perché ama l’America e che da presidente perde da 3 a 5 miliardi di dollari, senza però darne prova. Ci ricorda che, come promesso in campagna elettorale, non accetta i 400mila dollari di salario annuale, donandoli ad alcune agenzie del governo americano. Una delle poche promesse mantenute ma che consiste di una piccolissima somma in comparazione ai benefici economici the trae dal suo lavoro di presidente.Un’analisi del gruppo Citizens for Ethics and Responsiblity in Washington (CREW), gruppo non profit, ci informa che Trump ha passato un terzo della sua presidenza visitando le sue proprietà. Secondo CREW, Trump ha visitato le sue proprietà 362 volte dal giorno della sua inaugurazione avvenuta nel mese di gennaio del 2017. Tutto ovviamente a spese dei contribuenti. Per il corrente anno il presidente ha fatto 81 visite alle sue proprietà. CREW ha anche rilevato “un corrotto rapporto” fra l’azienda di Trump e la Casa Bianca, mettendo dubbi sulle sue decisioni politiche e la forte possibilità che esse influiscano sui profitti personali del presidente.Non ci vuole molto a capire che Trump promuove le sua azienda dalla Casa Bianca. Tutti lo sanno. E per ottenere accesso al presidente contribuiscono “mazzette” alle sue proprietà, spendendo soldi nei suoi alberghi e resort. Non poche ambasciate, soprattutto di Paesi del Medio Oriente, spesso usano il Trump Hotel di Washington, D. C. per i loro eventi. Gruppi politici tengono riunioni nelle sue proprietà sapendo molto bene che farà piacere ai due figli del presidente che gestiscono la Trump Corporation, i quali ovviamente sono in contatto con il padre.Anche funzionari del governo sono soggetti al “fascino” delle proprietà di Trump. Il vice presidente Mike Pence ha usato il resort di Trump in Irlanda in un suo recente viaggio ufficiale per incontri con rappresentanti irlandesi. Il problema sono le distanze. Gli incontri si sono tenuti a Dublino; il Trump International Golf Links And Hotel Donbeg si trova però‎ a quasi 300 chilometri di distanza dalla capitale irlandese. Pence avrebbe potuto trovare una sistemazione a Dublino e risparmiare soldi ai contribuenti. La sua scelta di stare nel resort di Trump sembrerebbe essere stata suggerita a Pence proprio dal suo capo il quale però ha negato categoricamente. Il risultato però consiste di business per Trump.Anche il ministro della Giustizia, William Barr, apprezzatissimo dal presidente per la sua fedeltà alla sua persona e non necessariamente alla costituzione, è stato recentemente criticato per il suo programma di spendere 30mila dollari nelle prossime feste natalizie al Trump Hotel di Washington. Scelta casuale ma poco intelligente che ovviamente suscita sospetti, considerando la disponibilità di altri alberghi della capitale. Niente di illegale ma poca accortezza professionale considerando la “emoluments clause” che Barr conosce benissimo.La “emoluments clause” è venuta a galla pochissime volte nella storia americana. Si ricorda che Benjamin Franklin, da ambasciatore statunitense in Francia, ricevette una tabacchiera intarsiata di diamanti dal re francese. Un altro esempio avvenne con John Jay, presidente della Corte Suprema il quale alla fine dell’ottocento ricevette un cavallo dal re di Spagna. Dei nostri giorni i conflitti di interesse di Trump sono molto più ovvi e complessi. I repubblicani al Senato chiudono non uno ma ambedue gli occhi. I democratici alla Camera hanno però iniziato un’inchiesta ma fino ad oggi sembrano marciare a passi di lumaca.

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Pagine di storia: L’unità dell’Italia passa attraverso accesi conflitti economici

Posted by fidest press agency su mercoledì, 11 settembre 2019

La stessa idea, infatti, di avere un’Italia unita non ebbe precise caratteristiche nazionalistiche, ma fu dettata da ragioni economiche. La nuova borghesia industriale lombarda voleva riscattarsi dalle vessazioni imposte dallo sfruttamento austriaco trasformando la lotta per l’evoluzione economica in lotta politica. Scrive a questo riguardo Rodolfo Morandi: “Essa promuoveva i suoi interessi economici al grado d’interessi generali della società italiana, cioè identificando questa società in se stessa, ne confondeva i valori e la somma dei bisogni nella propria bramosia di potere e di guadagno”. Questo “spirito capitalistico” trovò il suo elemento di forza prima nel mondo industriale lombardo e poi con borghesia industriale toscana ma su basi di potenza diversa per merito del granducato di Toscana e le sue leggi liberali tanto che gli uomini politici stranieri, come il principe Metternich o l’industriale inglese Riccardo Cobden, parlarono della Toscana come di uno stato miracolo. (Riccardo Alfonso)

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EWORLD INDEX 2019. Bambine, bambini, adolescenti e donne: educazione e conflitti

Posted by fidest press agency su sabato, 6 aprile 2019

Roma il 9 aprile 2019 dalle ore 11.00 alle ore 13.30 presso la Sala A. Moro, Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Piazzale della Farnesina 1, ingresso centrale.Il WeWorld Index 2019 mette a fuoco il forte nesso tra i diritti dei bambini, delle bambine e le parità di genere. Il progresso di un Paese è misurato nella serie dei WeWorld Index attraverso indicatori economici e sociali che analizzano le condizioni di vita dei soggetti più a rischio di esclusione: l’approfondimento è dedicato ai conflitti, la principale barriera in molti Paesi interessati da crisi per l’accesso all’educazione di qualità.

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Campagna di Rondine per la riduzione dei conflitti armati

Posted by fidest press agency su domenica, 24 febbraio 2019

È l’Italia il primo Paese che si impegna a sostenere l’Appello che Rondine ha presentato ai 193 Stati membri delle Nazioni Unite il 10 dicembre 2018, in occasione delle Celebrazioni del 70° Anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. L’impegno è quello di spostare il costo di un’arma dal bilancio della difesa ad una borsa di studio per formare leader di pace. “Vi garantisco il mio pieno appoggio morale e non mi sottraggo all’impegno. Sono lieto di accettare il vostro invito a Rondine e nell’occasione della mia visita vi dirò quanto saremo riusciti a spostare dal bilancio della difesa per la formazione di leader di pace”, dichiara il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che ieri mattina ha sottoscritto l’impegno in occasione dell’incontro con una delegazione dell’associazione Rondine, che da venti anni lavora per la riduzione dei conflitti armati nel mondo e la diffusione della propria metodologia per la trasformazione creativa del conflitto in ogni contesto. “Vi assicuro – continua Conte – che abbiamo sempre cercato di mettere il valore della persona al centro, come ho detto in diverse sedi parlando di un nuovo umanesimo. Dobbiamo afferrare l’essere umano, il che significa che tutti nasciamo con diritti solo per il fatto di essere nati, a prescindere anche dal luogo di nascita, longitudine e latitudine”.Rondine ospita giovani provenienti da Paesi teatro di conflitti armati o post-conflitti in un borgo medievale in provincia di Arezzo: attraverso la convivenza quotidiana con il proprio nemico e un percorso di alta formazione, si preparano a diventare futuri leader di pace.Oggi l’Associazione conferma e rilancia il suo impegno con la campagna Leaders for Peace: un gesto simbolico che ha la forza della concretezza in grado di cambiare la Storia, come dimostra la vicenda di Maria Karapetyan, una vera leader di pace che dopo solo due anni dal termine del suo percorso di formazione a Rondine è diventata una delle protagoniste della rivoluzione di velluto armena e oggi siede nel Parlamento del nuovo governo. Lei, attivista per i diritti civili, ha portato la voce delle donne armene nella politica, aprendo una nuova era per la nazione. “La rivoluzione di velluto è stata post moderna, frammentata e inclusiva. Nessuno avrebbe potuto prevedere questo processo. In questo è come Rondine, un luogo in cui lavoriamo e continuiamo a inseguire un sogno, finché non si realizzano le condizioni per concretizzarlo”.Dopo l’appoggio morale del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il forte sostegno di Papa Francesco, che ha rilanciato l’Appello invitando i capi di stato a firmarlo, arriva il primo risultato concreto di una campagna che in tre anni si prefigge di portare risultati concreti sul fronte della pace. “L’obiettivo è la graduale estinzione dei contesti bellici dal pianeta, attraverso l’affermarsi della cultura di relazioni pacificate. Siamo fieri che sia proprio l’Italia ad aprire questo percorso – afferma il presidente di Rondine Franco Vaccari, – il Paese dove il Metodo Rondine è nato, nutrendosi delle sue radici culturali. Un metodo che ha già cambiato la prospettiva di oltre duecento giovani, che stanno lavorando in tutto il mondo per operare questo grande cambiamento”.Attraverso la firma, l’Italia riconosce come emergenziale la questione dei conflitti armati e la necessità di diffondere tra i leader e i cittadini le abilità per trasformare positivamente i conflitti.

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UNICEF: 41 milioni di bambini in 59 paesi colpiti da conflitti o disastri

Posted by fidest press agency su giovedì, 31 gennaio 2019

L’UNICEF ha lanciato oggi il nuovo Rapporto sull’intervento umanitario, che contiene gli appelli e gli impegni per il 2019 per fornire a 41 milioni di bambini in 59 paesi nel mondo accesso ad acqua sicura, nutrizione, istruzione, salute e protezione; per supportare il suo lavoro per i bambini in contesti di crisi umanitarie l’UNICEF chiede 3,9 miliardi di dollari di fondi necessari per il 2019. L’UNICEF stima che più di 34 milioni di bambini vivono in situazioni di conflitto e disastri senza accesso a servizi di protezione dell’infanzia, fra cui 6,6 milioni di bambini in Yemen, 5,5 milioni in Siria e 4 milioni in Repubblica Democratica del Congo. I cinque più grandi appelli riguardano i rifugiati siriani e le comunità ospitanti in Egitto, Giordania, Libano, Iraq e Turchia (904 milioni di dollari); Yemen (542,3 milioni di dollari); Repubblica democratica del Congo (326,1 milioni di dollari); Siria (319,8 milioni di dollari) e Sud Sudan (179,2 milioni di dollari).Milioni di bambini che vivono in paesi colpiti da conflitti e disastri non hanno accesso a servizi di protezione vitali per i bambini, mettendo a rischio la loro sicurezza, il loro benessere e il loro futuro: per i programmi di protezione dell’infanzia sono necessari 385 milioni di dollari dell’appello generale, compresi anche circa 121 milioni di dollari per i servizi di protezione per i bambini colpiti dalla crisi in Siria.I servizi di protezione dell’infanzia includono tutte quelle azioni per prevenire e rispondere ad abusi, abbandono, sfruttamento, traumi e violenza. L’UNICEF lavora anche per assicurare che la protezione dei bambini sia centrale in tutte le altre aree dei suoi programmi di intervento umanitario, che comprendono acqua e servizi igienico-sanitari, istruzione e altre aree di lavoro quali l’identificazione, l’attenuazione e la risposta ai potenziali pericoli per la salute e il benessere dei bambini.Tuttavia, i finanziamenti limitati e altre sfide come il crescente disinteresse delle parti in guerra per il diritto internazionale umanitario e il diniego dell’accesso umanitario rappresentano una significativa limitazione alla capacità delle agenzie per gli aiuti di proteggere i bambini. In Repubblica Democratica del Congo, ad esempio, l’UNICEF ha ricevuto solo un terzo dei 21 milioni di dollari richiesti per i programmi di protezione dei bambini nel 2018, mentre circa un quinto dei fondi per la protezione dei bambini in Siria non è stato ricevuto.Nel 2019 ricorre il 30° anniversario della ratifica della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza e il 70° anniversario della Convenzione di Ginevra, ma, oggi più che in qualsiasi altro momento degli ultimi 30 anni, molti paesi sono coinvolti in conflitti interni o internazionali, minacciando la sicurezza e il benessere di milioni di bambini.L’appello dell’UNICEF viene lanciato a un mese da quando l’agenzia ha dichiarato che il mondo non sta proteggendo i bambini che vivono in conflitto, con conseguenze catastrofiche. I bambini che sono continuamente esposti a violenze o conflitto, in particolare in giovane età, rischiano di vivere in uno stato di stress tossico – una condizione che, senza il giusto sostegno, può portare a conseguenze negative per tutta la vita sul loro sviluppo cognitivo, sociale ed emotivo. Molti bambini colpiti da guerra, sfollamenti e altri eventi traumatizzanti come violenza sessuale e di genere, richiedono assistenza specializzata per essere aiutati ad affrontare e superare questi traumi.

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Progetto di ricerca “Studio e divulgazione del metodo Rondine per la trasformazione creativa dei conflitti”

Posted by fidest press agency su mercoledì, 4 luglio 2018

Roma giovedì 5 luglio, dalle ore 11:00 presso la Camera dei Deputati presenta i risultati del progetto di ricerca “Studio e divulgazione del metodo Rondine per la trasformazione creativa dei conflitti” realizzato dalle Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e Università degli Studi di Padova con il contributo di Fondazione Vodafone Italia.
Un metodo oggi codificato e riconosciuto a livello accademico, pronto per essere condiviso e applicato sui contesti più vari dal livello interpersonale al conflitto sociale fino ai contesti bellici o postbellici.Un metodo, sperimentato per 20 anni nel laboratorio di Rondine, nella Cittadella della Pace di Arezzo dove si sono formati circa 180 ragazzi provenienti da luoghi di conflitto in tutto il mondo (dal Medio Oriente al Caucaso, dall’Africa sub-sahariana al subcontinente Indiano, fino ai Balcani e all’America) attraverso un percorso unico che per due anni li ha visti convivere con il proprio nemico, imparando ad affrontare il conflitto e a gestirlo, sviluppando nuovi modelli relazionali e competenze specifiche, fino alla definizione di un nuovo modello di governance e di leadership, che oggi consente loro di intervenire nei vari contesti di provenienza di conflitto o post conflitto, come agenti di cambiamento attraverso azioni e progettualità concrete.Questo studio scientifico, che sarà presentato dai coordinatori universitari della ricerca, prova oggi l’efficacia del Metodo Rondine e dimostra concretamente come sia possibile comprendere le dinamiche stratificate che stanno alla base del “conflitto” offrendo strumenti essenziali per la sua gestione e il suo superamento.
L’iniziativa vedrà la presenza di Ettore Rosato, Vicepresidente Camera dei Deputato, Elisabetta Belloni, Segretario Generale del Ministero degli Aff­ari Esteri, di Maria Cristina Ferradini, Consigliere Delegato di Fondazione Vodafone Italia, Susan Allen, Direttore del Center for Peacemaking Practice, George Mason University e Maurizio Milan, Presidente Associazione Italiana Formatori oltre che del Presidente di Rondine, Franco Vaccari.
Il caso concreto della Sierra Leone. A ulteriore testimonianza delle nuove frontiere applicative del Metodo Rondine nel corso dell’incontro del 5 luglio ci sarà anche la presentazione dei risultati del progetto “Initiative for democratic and peaceful elections” che rappresenta la prima applicazione concreta del Metodo Rondine nei luoghi del conflitto. Un progetto di formazione e sensibilizzazione, realizzato dai giovani che si sono formati a Rondine, ha fortemente contribuito a evitare episodi di violenza in occasione delle recenti elezioni presidenziali in un paese ancora fortemente instabile come la Sierra Leone che dopo una sanguinosa guerra civile che dal 1991 al 2002 ha visto 50.000 morti, una faticosa ricostruzione su cui si è abbattuto l’Ebola con altri 4.000 morti infine, lo scorso anno ha subito l’ultima tragedia del fiume di fango, che ha sommerso centinaia di vite umane alla periferia della capitale Freetown.Un progetto avvalorato dalla testimonianza di alcuni dei giovani coinvolti provenienti dalle tribù locali, insieme ai giovani di altri conflitti di tutto il mondo, che hanno operato nel contesto africano, in collaborazione con l’Università locale di Makeni sperimentando una vera e propria trasformazione sociale secondo le linee guida del Metodo.

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Conflitti d’interessi ai vertici dell’Inps

Posted by fidest press agency su mercoledì, 9 novembre 2016

inpsLa USB Pubblico Impiego INPS ha inviato una lunga nota al Presidente del Consiglio, ai Ministri del Lavoro e dell’Economia che vigilano sull’attività dell’INPS e ai Presidenti dei Gruppi Parlamentari di Camera e Senato per chiedere la rimozione di Tito Boeri e Massimo Cioffi dall’incarico di presidente e direttore generale dell’INPS, evidenziando l’imbarazzo che si vive all’interno dell’Ente di previdenza per il doppio conflitto d’interessi.Dichiara Luigi Romagnoli dell’Esecutivo nazionale della USB Pubblico Impiego INPS – “Dopo che a febbraio era uscita la notizia dell’indagine della Procura di Nocera sull’evasione di 40 milioni di euro da parte dell’ENEL in occasione di esodi incentivati gestiti da Cioffi, all’epoca capo del personale di quell’azienda, pochi giorni fa si è saputo di una presunta truffa ai danni dell’INPS da parte del Gruppo Editoriale l’Espresso, con il quale Boeri ha una duratura collaborazione professionale sospesa temporaneamente per svolgere l’incarico di presidente dell’Istituto di previdenza”.“Nella nota – prosegue il dirigente sindacale della USB – citiamo anche alcuni episodi che ci portano a sostenere che i ventuno mesi di governo dell’INPS da parte di Boeri sono stati tutt’altro che trasparenti”.“Il presidente dell’INPS – incalza Romagnoli – cerca di far passare scelte organizzative che mortificano il ruolo del direttore generale nel processo di selezione della dirigenza. Boeri e Cioffi sono ai ferri corti e questo contrasto produce uno stallo generale che incide negativamente sul livello dei servizi”.Conclude il delegato nazionale della USB – “Abbiamo chiesto al Governo la nomina di un Commissario straordinario e di un direttore generale che abbiano maturato esperienze professionali in campo previdenziale, in attesa di una governance che restituisca collegialità al governo dell’INPS. Infine abbiamo sottolineato che senza 6.000 nuove assunzioni nei prossimi quattro anni l’INPS non potrà più svolgere le proprie funzioni”.

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Referendum: La Meloni per il NO

Posted by fidest press agency su venerdì, 21 ottobre 2016

costituzione1«La riforma della Costituzione di Matteo Renzi non produce risparmi reali, non semplifica l’iter legislativo, non diminuisce i conflitti di competenza tra Stato e Regione, non mette fine alla vergogna dei governi nominati e dei parlamentari voltagabbana. Questa riforma serve solo a Renzi per togliere agli italiani il diritto di scegliersi i senatori. È il motivo per il quale il 4 dicembre voteremo no, indipendentemente da quello che dicono Barack Obama, la grande finanza, le burocrazie e tutti i burattinai di Matteo Renzi».
È quanto ha detto interpellata dai giornalisti alla Camera il presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni.
Il centrodestra riparte da Roma e dal ‘No’ al referendum. E lo fa con una due giorni a partire da venerdì 21 presso la presso la Città dell’Altraeconomia a Testaccio (Ingresso da Lungotevere Testaccio) dove si svolgerà la Festa del No grazie, organizzata dal comitatatoNOgrazie. Tra i partecipanti, il presidente di Fratelli d’Italia-Alleanza nazionale Giorgia Meloni che interverrà venerdì alle 18,30, introdotta dal coordinatore regionale Marco Marsilio.
Sabato 22 alle 17 tavola rotonda sulle proposte del centro destra per la riforma costituzionale con gli interventi del capogruppo alla Camera dei deputati di Fdi-An Fabio Rampelli, del capogruppo di Forza Italia Renato Brunetta e il senatore di Idea Gaetano Quagliariello, moderati da Federico Mollicone, responsabile nazionale comunicazione di Fdi-An.
Durante la due giorni, si svolgeranno incontri anche con i rappresentanti romani di Fdi, Forza Italia e Gruppo Misto che spiegheranno come la riforma incida negativamente sul governo del territorio. Parteciperanno Andrea De Priamo, Fabrizio Ghera, Davide Bordoni, Ignazio Cozzoli, Marco Silvestroni e Fabrizio Santori.
Venerdì alle 20 è invece prevista l’Amatriciana di solidarietà a favore dei Comuni colpiti dal terremoto.

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La politica rinuncia a governare i conflitti?

Posted by fidest press agency su lunedì, 11 luglio 2016

Donald Trump«C’è stata in questi mesi una sempre maggiore escalation di episodi di violenza, dal terrorismo, alle stragi negli Stati Uniti, a quelli che hanno come protagonisti gli ultras agli europei di calcio, agli incidenti provocati dai Black Bloc in Francia, fino all’omicidio a sfondo razziale dell’altro giorno a Fermo. Sembra un mondo impazzito in cui tutto ciò alimenta paure e spinge a chiudersi. Sembra di essere impotenti di fronte a questi orrori. Vicende diverse, con matrici diverse che però, forse, hanno un elemento comune nel venir meno della politica a governare i conflitti». Lo scrive il senatore Franco Mirabelli, capogruppo PD in Commissione Parlamentare Antimafia, in un articolo sull’Huffington Post.
«Se si guarda ai successi dei partiti xenofobi, populisti e antieuropei ma anche al successo di Trump negli USA, viene da pensare che viviamo in un mondo in cui una parte della politica ha rinunciato a governare i conflitti, anzi, preferisce esasperarli per produrre e cavalcare le paure. – prosegue Mirabelli – Da qui deriva anche la scelta di utilizzare linguaggi violenti che stanno imbarbarendo il confronto obamanobel1_intpolitico. Da qui, da questo modo di agire e di comunicare deriva la ricerca continua di un capro espiatorio. Ogni problema diventa una opportunità non per cercare soluzioni ma per scaricare su chi è diverso da noi ogni responsabilità, non ci sono più avversari ma solo nemici».
«Cercare il capro espiatorio per i problemi che ci si trova di fronte invece che la soluzione e non governare i conflitti, preferendo cavalcarli, crea il terreno culturale per la violenza e lo scontro. – evidenzia il senatore PD – Se alle persone si trasmettono continuamente messaggi, in cui si spiegano cose non vere – come ad esempio si spiega che i soldi che potrebbero servire per loro vengono usati per assistere i profughi, o che le cure mediche date ai migranti vengono tolte agli italiani – volenti o nolenti si alimentano, tra chi ha meno strumenti culturali, razzismo e violenza. È evidente, ancor più alla luce di questi ultimi episodi tragici, che la politica deve cominciare ad assumersi delle responsabilità e riflettere sulle conseguenze delle proprie parole e delle proprie azioni. Questo significa che occorre cominciare a spiegare ai cittadini che i problemi sono più complessi rispetto al messaggio semplicistico ed erroneo della propaganda secondo cui le classi deboli hanno difficoltà perché arrivano gli immigrati. Diffondere l’idea che si sta male perché ci sono gli immigrati è sbagliato e pericoloso».

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“Naif tour 2015”di Malika Ayane

Posted by fidest press agency su domenica, 1 novembre 2015

Ritratto di Malika Ayane

Ritratto di Malika Ayane

Roma 3 novembre alle ore 21 con un altro sold out all’Auditorium Conciliazione di Roma arriva il “Naif tour 2015”di Malika Ayane. In questo viaggio musicale, che toccherà i principali teatri italiani, Malika sarà accompagnata dalla sua band e da eccezionali performer e porterà in scena tutti i suoi successi: dal sanremese “Adesso e qui (Nostalgico presente)”(Premio della Critica al 65esimo Festival di Sanremo e certificazione Oro) a “Senza fare sul serio” (doppio disco di Platino e più di 17 milioni di visualizzazioni su YouTube), fino all’ultimo singolo “Tempesta” – insieme alle sue canzoni più amate dal pubblico.
Inoltre, in occasione della tappa romana Malika Ayane rinnova il suo impegno a fianco di Oxfam Italia, di cui è Ambasciatrice, ospitando la petizione “Adesso Basta! I migranti non sono invasori: i volontari di Oxfam saranno presenti in teatro per raccogliere firme per chiedere ai paesi dell’Unione Europea un piano efficace per rispondere ai bisogni di chi è in fuga da conflitti, fame e persecuzione.
Di seguito le prossime date del “Naif tour 2015”: 4 novembre Cosenza (Teatro Rendano), 7 novembre Vicenza (Teatro Comunale), 8 novembre Parma (Teatro Regio), 10 novembre Napoli (Teatro Augusteo), 11 novembre Pescara (Teatro Massimo), 12 novembre Senigallia – AN (Teatro La Fenice), 15 novembre Trento (Auditorium Santa Chiara), 16 novembre Udine (Teatro Nuovo), 23 novembre Lecce (Teatro Politeama Greco), 24 novembre Bari (Teatro Team), 26 novembre Reggio Calabria (Teatro Cilea), 27 novembre Catania (Teatro Metropolitan), 28 novembre Palermo (Teatro Golden), 30 novembre Milano (Barclays Teatro Nazionale), 3 dicembre Lugano (Palazzo dei Congressi), 8 dicembre Cagliari (Auditorium del Conservatorio), 9 dicembre Sassari (Teatro Comunale), 11 dicembre Sanremo – IM (Teatro Ariston). (foto. malika)

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La maledizione

Posted by fidest press agency su giovedì, 13 agosto 2015

capitaliL’umanità è divisa, fortemente divisa e conflittuale tra chi possiede e chi no, tra ricchi e poveri, tra la giustizia e l’ingiustizia. E’ la torre di babele che si ripete ma questa volta non per le diverse lingue che parliamo ma dal frutto avvelenato che ci offre un capitalismo sfrenato, avido e cinico. Restiamo, anche noi che non siamo ricchi o poveri ma ci troviamo nel mezzo del guado, rassegnati a vedere che una parte dei nostri simili diventi la vittima sacrificale degli egoismi di una classe politica, di una oligarchia di potenti e nel nostro agnosticismo non abbiamo netta la consapevolezza che si sta frantumando quanto di buono l’essere umano può generare ed esprimere. Mentre scriviamo migliaia di bambini muoiono di fame e di stenti. Mentre scriviamo migliaia di donne muoiono di parto. Mentre scriviamo migliaia di persone di tutte le età muoiono per mancanza di farmaci salvavita. E l’egoismo è stato tale che persino negli Usa, definita per antonomasia, la patria dei diritti civili, per assicurare l’assistenza sanitaria a milioni di suoi cittadini c’è voluta la ferma determinazione di un suo presidente anche se il risultato non è del tutto soddisfacente. In pratica se non si è benestanti si continua a morire e in Italia ci stiamo avviando su questa strada dopo che decenni di lotte ci hanno portato all’esaltazione dei nostri diritti per vivere con dignità e per morire con dignità. La prova è oggi sotto i nostri occhi con un governo che taglia risorse al sociale e umilia i più deboli e li condanna all’emarginazione. Nessuno si solleva perché le risorse vadano individuate altrove eliminando i rami secchi della politica, degli interessi corporativi, delle rendite milionarie. E’ questa l’ennesima prova della nostra incapacità di renderci consapevoli che di fronte alle sirene di un possibile guadagno ci illudiamo di poter salire sul carro del potente mentre si matura l’ennesimo inganno per tacitare le nostre coscienze, per allontanarci dal dramma che ci sovrasta. Cosa ci serve di più per avere la consapevolezza d’essere sull’orlo di un baratro non tanto e non solo come singole persone ma come figli di un padre comune. Homo homini lupus. (Riccardo Alfonso http://www.fidest.it)

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Atrocità degli Stati e dei gruppi armati

Posted by fidest press agency su mercoledì, 25 febbraio 2015

rifugiati sirianiIn occasione del lancio del suo Rapporto 2014-2015, pubblicato in Italia da Castelvecchi, Amnesty International ha sollecitato i leader mondiali ad agire con urgenza di fronte alla mutata natura dei conflitti e a proteggere i civili dalla terribile violenza degli stati e dei gruppi armati. “Il 2014 è stato un anno catastrofico per milioni di persone intrappolate nella violenza. La risposta globale ai conflitti e alle violazioni commesse dagli stati e dai gruppi armati è stata vergognosa e inefficace. Di fronte all’aumento degli attacchi barbarici e della repressione, la comunità internazionale è rimasta assente” – ha dichiarato Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia. “Le Nazioni Unite furono istituite 70 anni fa per assicurare che gli orrori della Seconda guerra mondiale non si sarebbero mai più ripetuti. Adesso assistiamo a una violenza su scala massiccia che produce un’enorme crisi dei rifugiati. Siamo di fronte a un clamoroso fallimento nella ricerca di soluzioni efficaci per risolvere le necessità più pressanti dei nostri tempi” – ha aggiunto Marchesi. Il Rapporto 2014-2015 di Amnesty International presenta un’analisi complessiva della situazione dei diritti umani riscontrata nel 2014 in 160 paesi e ammonisce che, se i leader mondiali non agiranno immediatamente di fronte alla mutata natura dei conflitti e non rimedieranno alle carenze identificate nel Rapporto, la prospettiva per i diritti umani nel periodo 2015-2016 sarà tetra, con:
* popolazioni civili sempre più costrette a vivere sotto il controllo quasi statale di brutali gruppi armati e sottoposte ad attacchi, persecuzioni e discriminazioni;
* crescenti minacce alla libertà d’espressione e ad altri diritti umani, tra cui le violazioni causate da nuove, drastiche leggi antiterrorismo e da sorveglianze di massa ingiustificate;
* il peggioramento delle crisi umanitarie e dei rifugiati, con un sempre maggior numero di persone in fuga dai conflitti, i governi ancora impegnati a chiudere le frontiere e la comunità internazionale sempre più incapace di fornire assistenza e protezione. Particolare preoccupazione è data dal crescente potere di gruppi armati non statali, tra cui il quello che si è denominato Stato islamico.
Nel 2014 i gruppi armati hanno commesso abusi dei diritti umani in almeno 35 paesi, più di un quinto di quelli su cui Amnesty International ha svolto ricerche.
“Con l’estensione dell’influenza di gruppi come Boko haram, Stato islamico e Al Shabaab oltre i confini nazionali, sempre più civili saranno costretti a vivere sotto un controllo quasi statale, sottoposti ad abusi, persecuzione e discriminazione” – ha commentato Marchesi. “I governi devono finirla di affermare che la protezione dei civili è al di là dei loro poteri e devono invece contribuire a porre fine alla sofferenza di milioni di persone. Devono avviare un cambiamento fondamentale nel modo di affrontare le crisi nel mondo” – ha proseguito Marchesi.
Il Consiglio di sicurezza non ha agito di fronte alle varie crisi in Siria, Iraq, Gaza, Israele e Ucraina, neanche quando sono stati commessi crimini orrendi contro la popolazione civile da parte degli stati o dei gruppi armati, per proprio tornaconto o interessi politici.
Amnesty International ora chiede ai cinque stati membri permanenti del Consiglio di sicurezza di rinunciare al loro diritto di veto nei casi di genocidio o di altre atrocità di massa. “Potrebbe essere una svolta per la comunità internazionale e uno strumento per difendere le vite umane. Così facendo, i cinque stati membri permanenti darebbero alle Nazioni Unite un più ampio margine d’azione per tutelare i civili in caso di gravi rischi per le loro vite e invierebbero un segnale potente che il mondo non resterà a guardare passivamente di fronte alle atrocità di massa” – ha spiegato Marchesi.
Nel 2014 la sanguinosa eredità dell’afflusso di armi in paesi dove sono state usate per compiere gravi abusi da parte degli stati e dei gruppi armati ha causato la morte di decine di migliaia di civili. Amnesty International chiede a tutti gli stati – compresi Stati Uniti d’America, Cina, Canada, India, Israele e Russia – di ratificare o accedere al Trattato sul commercio di armi entrato in vigore lo scorso anno, dopo una campagna di Amnesty International e di altre organizzazioni durata decenni.
“Nel 2014, enormi forniture di armi sono state inviate a Iraq, Israele, Sud Sudan e Siria, nonostante la probabilità assai elevata che sarebbero state usate contro i civili intrappolati nei conflitti. Quando lo Stato islamico ha conquistato ampie parti dell’Iraq, ha trovato grandi arsenali pronti all’uso. L’irresponsabile flusso di armi verso chi viola i diritti umani deve cessare subito” – ha detto Marchesi.
Amnesty International sollecita i governi ad assicurare che la loro risposta alle minacce contro la sicurezza non metta a rischio i diritti umani fondamentali o alimenti ulteriore violenza. Il Rapporto 2014-2015 descrive il modo in cui molti governi, nel 2014, hanno invece adottato tattiche draconiane e repressive, come nei seguenti casi:
* Afghanistan: ripetute violazioni dei diritti umani da parte della Direzione nazionale per la sicurezza, tra cui torture e sparizioni forzate;
* Kenya: adozione dell’Emendamento alla legge sulla sicurezza, una normativa repressiva che potrebbe dar luogo ad ampie limitazioni della libertà d’espressione e di movimento;
* Nigeria: comunità già terrorizzate da anni da Boko haram sono state ulteriormente esposte alla violenza da parte delle forze di sicurezza, che hanno compiuto uccisioni extragiudiziali, arresti arbitrari di massa e torture;
* Pakistan: le autorità hanno annullato la moratoria sulle esecuzioni e iniziato a mettere a morte prigionieri condannati per reati di terrorismo;
* Russia e Asia Centrale: persone accusate di reati di terrorismo o sospettate di militare in gruppi islamisti sono state torturate dagli agenti della sicurezza nazionale;
* Turchia: la legislazione antiterrorismo, formulata in modo generico, ha continuato a essere usata per criminalizzare il legittimo esercizio della libertà d’espressione.
“Dalla Nigeria all’Iraq, i governi hanno cercato di giustificare le violazioni dei diritti umani con la necessità di mantenere ‘sicuro’ il mondo. Stiamo vedendo pessimi segnali che i governi continueranno a reprimere le proteste, introdurranno drastiche leggi antiterrorismo e ricorreranno a un’ingiustificata sorveglianza di massa per rispondere alle minacce alla sicurezza. Ma sappiamo che le reazioni impulsive non funzionano. Al contrario, creano un ambiente repressivo nel quale l’estremismo può crescere” – ha sottolineato Marchesi.
Una tragica conseguenza dell’incapacità della comunità internazionale di reagire di fronte alla mutata natura dei conflitti è una delle peggiori crisi dei rifugiati cui il mondo abbia mai assistito, con milioni e milioni di persone in fuga dalla guerra e dalla persecuzione, quattro dei quali solo dalla Siria. “È terribile vedere come i paesi ricchi considerino prioritario lasciare le persone fuori dai loro confini piuttosto che tenerle in vita. La crisi globale dei rifugiati è destinata a peggiorare se non verranno prese misure urgenti. I leader mondiali hanno il potere di alleviare la sofferenza di milioni di persone, destinando impegno politico e risorse economiche all’assistenza e alla protezione di coloro che fuggono dai pericoli, fornendo aiuti umanitari con generosità e reinsediando i rifugiati più vulnerabili” – ha dichiarato Marchesi.
“Il quadro complessivo dello stato dei diritti umani è tetro ma le soluzioni ci sono. I leader mondiali devono intraprendere azioni immediate e decisive per invertire un’imminente crisi globale e fare un passo avanti verso un mondo più sicuro, in cui i diritti e le libertà siano protetti” – ha concluso Marchesi.
Come le edizioni precedenti, il Rapporto 2014-2015 contiene un capitolo riguardante l’Italia. Al centro delle preoccupazioni di Amnesty International restano la perdurante assenza del reato di tortura nella legislazione nazionale, la discriminazione nei confronti delle comunità rom, la situazione nelle carceri e nei centri di detenzione per migranti irregolari e il mancato accertamento – nonostante i progressi compiuti su qualche caso – delle responsabilità per le morti in custodia, a seguito d’indagini lacunose e carenze nei procedimenti giudiziari. “Durante il semestre di presidenza dell’Unione europea, l’Italia ha sprecato l’opportunità di dare all’Europa un indirizzo diverso, basato sul rispetto dei diritti umani, sul contrasto alla discriminazione e soprattutto su politiche in tema d’immigrazione che dessero priorità a salvare vite umane, attraverso l’apertura di canali sicuri di accesso alla protezione internazionale, piuttosto che a controllare le frontiere” – ha dichiarato Gianni Rufini, direttore generale di Amnesty International Italia. “Dopo aver salvato oltre 150.000 rifugiati e migranti che cercavano di raggiungere l’Italia dal Nord Africa su imbarcazioni inadatte alla navigazione, a fine ottobre l’Italia ha deciso di chiudere l’operazione Mare nostrum. Avevamo chiesto al governo, e lo stesso primo ministro si era impegnato pubblicamente in questo senso, di non sospendere Mare nostrum fino a quando non fosse stata posta in essere un’operazione analogamente efficace, in termini di ricerca e soccorso in mare. Le nostre richieste non sono state ascoltate, con le conseguenze ampiamente previste di nuove, tragiche morti in mare, nonostante il pieno dispiegamento dei mezzi e l’impegno della Guardia costiera italiana, lasciata pressoché sola dalla comunità internazionale” – ha commentato Rufini. Il Rapporto 2014-2015 sarà online dalle 01,01 di mercoledì 25 febbraio 2015 all’indirizzo: http://rapportoannuale.amnesty.it/

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