Due terzi già nel primo decennio. Le imprese che non adotteranno rapidamente provvedimenti per gestire la transizione climatica, che è tra le cause del dissesto idrogeologico, avranno nel 2050 il 25% in più di probabilità di default rispetto a oggi e il 44% in più di chi invece investe fin da ora. Non solo: per le aziende ad alto rischio fisico (oltre l’8%, concentrate soprattutto in Emilia Romagna, Toscana, Liguria, Valle d’Aosta e lungo tutto l’Appennino) si prospetta al 2050 una crescita dei costi annui per la ricostruzione di impianti e strutture pari all’1,6% dell’attivo e dei premi assicurativi fino al 3% del fatturato. A dirlo è uno studio sulle PMI italiane realizzato da Cerved, la tech company che aiuta il Sistema Paese a proteggersi dal rischio e a crescere in maniera sostenibile, prendendo a esempio il Climate Stress Test promosso dalla BCE per valutare la resilienza delle aziende e delle banche ai rischi climatici: Cerved ha integrato gli input forniti dalla BCE con score, modelli e algoritmi di simulazione e proiettato al 2050 i bilanci individuali delle imprese, estrapolando variabili chiave come emissioni, consumi energetici, esposizione al rischio fisico. Tre gli scenari a confronto: transizione “ordinata” (orderly), che procede in modo regolare e concentra i maggiori investimenti nel primo decennio; “disordinata” (disorderly), in cui gli interventi vengono posticipati nel 2030-40, con costi più elevati nel medio termine; scenario “serra” (hot house), in cui si interviene scarsamente, con un conseguente aumento della frequenza e della severità degli eventi fisici. Cerved è già in campo per accompagnare il Sistema Paese in questa grande trasformazione con tecnologie, algoritmi e modelli decisionali”.Nello scenario disordinato si parte con dieci anni di ritardo, e la quota preponderante di investimenti (134,5 miliardi di euro) si concentra tra 2030 e 2040. Nello scenario “serra”, o hot house, si sceglie invece di fare molto poco, investendo appena 121,4 miliardi entro il 2050. Ma non si tratta certo di un risparmio: l’inadempienza aumenta in modo esponenziale il rischio fisico, a partire dal 2040, con conseguente maggiore probabilità di rischio di default e costi assai più alti per le relative ricostruzioni e i premi assicurativi. Non a caso, le emissioni di CO2, che nei primi due scenari finiscono per equivalersi al 2050 tendendo a 0, nello scenario “serra” subiscono una variazione ben poco significativa rispetto ad oggi. È il rischio fisico, infatti, a fare la differenza tra i tre scenari, considerando che anche a causa della conformazione naturale della nostra penisola le PMI si collocano per oltre l’8% nella fascia di rischio fisico alto o molto alto (Emilia Romagna, Toscana, Liguria, Valle d’Aosta e la dorsale Appenninica) e per il 13,2% in quella di rischio medio. Gli investimenti portano nel lungo periodo a una riduzione della probabilità di default negli scenari con transizione “ordinata” e “disordinata”, che è invece decisamente in crescita nello scenario “serra”: +25% di rischiosità al 2050 rispetto a oggi e +44% rispetto allo scenario ordinato, in particolare nel Mezzogiorno (dove si passa dall’attuale 3% di rischio di default al 3,8%) e nel Centro (dal 2,9% al 3,7%). Inoltre sono stati considerati, da un lato, i maggiori investimenti necessari alla ricostruzione di impianti e strutture colpiti da frane o da alluvioni, strettamente legate all’innalzamento della temperatura, e dall’altro la crescita dei premi assicurativi richiesti per coprire, almeno in parte, i danni. Al contrario, nello scenario “serra”, per le imprese ad alto rischio fisico queste percentuali salgono rispettivamente all’1,6% e al 3%.
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Crisi climatica: entro il 2050 le imprese devono investire 203 miliardi di euro nella transizione
Posted by fidest press agency su martedì, 30 Maggio 2023
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La prossima fase della crisi bancaria statunitense porterà alla recessione?
Posted by fidest press agency su sabato, 13 Maggio 2023
Weekly market outlook a cura di Steven Bell, Chief Economist EMEA di Columbia Threadneedle Investments. Secondo alcuni commentatori, la crisi delle banche regionali statunitensi è ormai superata. L’ultima vittima di un attacco di short selling, PacWest Bancorp, ha visto il suo titolo salire venerdì (5 maggio) e questa settimana (8 maggio) ha aperto nuovamente in rialzo. Goldman Sachs ha pubblicato dati che dimostrano che il ritmo dei deflussi di depositi è rallentato dall’inizio della crisi a marzo e, naturalmente, nessun depositante ha perso denaro.Esiste uno scenario in cui l’inflazione tornerà all’obiettivo del 2% della Federal Reserve senza recessione, i tassi di interesse scenderanno e il sistema bancario statunitense prospererà, ma ritengo che una simile ipotesi sia altamente improbabile. Uno scenario più probabile vedrebbe una contrazione del credito, ulteriori oscillazioni del sistema bancario e una recessione negli Stati Uniti – anche se probabilmente lieve – prima che la Fed effettui i grandi tagli dei tassi di interesse già prezzati dal mercato.Pertanto, non credo che la crisi bancaria sia finita e, sebbene le argomentazioni siano un po’ tecniche, riflettono gravi difetti del sistema finanziario statunitense. In primo luogo, molti dei poteri utilizzati con successo dalle autorità statunitensi durante la crisi finanziaria globale (GFC) del 2008, come l’estensione dell’assicurazione sui depositi, sono stati revocati dal Congresso. Per il momento sono stati trovati acquirenti per le banche regionali in crisi, ma questo processo ha dei limiti.In secondo luogo, l’espansione del bilancio della Fed a seguito del quantitative easing (QE) ha eliminato un meccanismo chiave che nelle crisi precedenti aveva contribuito a stabilizzare il sistema. Prima dell’avvento del QE, in caso di crisi finanziaria si assisteva a una fuga dai depositi bancari verso i Buoni del Tesoro, che spingevano il loro rendimento al ribasso rispetto a quello dei depositi bancari, ampliando il cosiddetto TED spread. In questo modo, i grandi depositanti subivano una penalizzazione per lo spostamento dei depositi dalle banche e, con l’aumento della paura del fallimento delle banche, il TED spread si allargava e il sistema poteva trovare un equilibrio. Il QE ha posto fine a questa situazione. Per evitare dunque un eccesso di depositi presso la Federal Reserve, derivante dal QE, la Fed tenderebbe a far scendere il tasso di fondi verso lo zero. Invece, la Federal Reserve ha dovuto pagare gli interessi sui depositi bancari in eccesso al tasso di interesse obiettivo, mettendo in cortocircuito il TED spread. In questo modo, i depositanti non subiscono più una penalizzazione nel ritirare i fondi da una banca in difficoltà.A prescindere da questi problemi tecnici, il timore di molte banche statunitensi di essere la prossima vittima le porterà a essere estremamente caute nella concessione dei prestiti. In effetti, un significativo irrigidimento si era già verificato prima del fallimento della Silicon Valley Bank. Il Senior Loan Officer Opinion Survey, pubblicato questa settimana, mostra un’ulteriore stretta verso i livelli visti nei giorni peggiori dell’ultima crisi finanziaria globale. Una differenza importante rispetto alla passata crisi finanziaria globale, tuttavia, è che le mega-banche hanno sofferto poco in quest’ultima crisi; anzi, potrebbero addirittura prosperare nel lungo termine, dato che raccolgono i rivali a basso costo. Tuttavia, è improbabile che riescano a recuperare tutto il ritardo nell’offerta di credito lasciato dalle loro sorelle più deboli e sicuramente inaspriranno ulteriormente le condizioni dei prestiti che concederanno.Nel frattempo, i recenti dati sull’occupazione dimostrano che l’economia statunitense è lontana dalla recessione. Tuttavia, i ritardi nella politica monetaria sono lunghi e variabili e le enormi eccedenze di risparmio lasciate dalla crisi del Covid-19 hanno probabilmente allungato tali ritardi. Ma queste riserve sembrano ormai essere state spese negli Stati Uniti e la contrazione del credito, se si evolverà come mi aspetto, comporterà che una recessione statunitense prima della fine dell’anno.Cosa significa tutto questo per le azioni e le economie del resto del mondo? In primo luogo, le banche centrali hanno aumentato i tassi quasi ovunque, con conseguente inasprimento delle condizioni di credito. Ma non mi aspetto che le banche in Europa e nel Regno Unito subiscano la stessa crisi continua. Credit Suisse è stato davvero un caso isolato e le autorità di regolamentazione in Europa non sono così vincolate come le loro controparti statunitensi.Le recessioni in generale non sono mai una buona notizia per gli asset di rischio. Tuttavia, l’imminente recessione statunitense è la più attesa che io ricordi. Le stime sugli utili sono già state tagliate e, sebbene le prospettive per le azioni non siano rosee, noi di Columbia Threadneedle abbiamo assunto una posizione sostanzialmente neutrale, dato che i tassi di interesse dovrebbero scendere rapidamente. I titoli di Stato potrebbero sovraperformare e il dollaro USA sembra destinato a indebolirsi ulteriormente. Ci attende un’altra settimana importante, con dati economici cruciali attesi negli Stati Uniti dai quali avremo una maggiore chiarezza sulla situazione attuale. Font: Diana Avendaño Grassini
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“L’Europa in Guerra” e “Crisi o transizione energetica?”
Posted by fidest press agency su sabato, 13 Maggio 2023
Arezzo Alle ore 17.30 di venerdì 26 maggio 2023 si svolgerà ad Arezzo la presentazione del libro del generale Fabio Mini “L’Europa in guerra” (ed. Paper First) e del dott. Demostenes Floros “Crisi o transizione energetica?” (ed. Diarkos) presso l’auditorium Aldo Ducci (sala Montetini) del Palazzo Comunale. La presentazione è organizzata e promossa da La Fionda. https://www.lafionda.org/ Interverranno: Demostenes Floros (Analista energetico, docente presso l’Università Aperta di Imola e presso l’Università di Bologna Alma Mater. Responsabile energia presso il CER-Centro Europa Ricerche) Maurizio Vezzosi (Analista geopolitico e reporter. Ha scritto, fotografato e filmato per Limes, La7, Rete4, L’Espresso, RSI Svizzera, Treccani, Mondo Economico, Il Fatto Quotidiano) Fabio Mini (Generale di Corpo d’Armata dell’Esercito Italiano, già Comandante KFOR e Capo di Stato Maggiore del Comando NATO per il Sud Europa) Presenta e modera: Maria Stella Bianco (giornalista pubblicista, speaker radiofonica, redattrice)
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Libro: “Gestione della crisi occupazionale e licenziamenti collettivi”
Posted by fidest press agency su mercoledì, 10 Maggio 2023
Roma Mercoledì 17 maggio, alle ore 12.00, presso la Sala stampa della Camera dei Deputati si terrà la presentazione del libro “Gestione della crisi occupazionale e licenziamenti collettivi”, alla presenza degli autori Alessandro Paone, Equity Partner di LabLaw Studio Legale; Andrea Annesi, Funzionario del Ministero del Lavoro e Politiche Sociali; Donato Caldarulo, Consulente di Direzione. L’evento è promosso dal Presidente della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, On. Walter Rizzetto, che parteciperà insieme a massimi esperti del settore come il Prof. Avv. Francesco Rotondi, Managing Partner LabLaw Studio Legale e il dott. Gianpiero Castano del Ministero del Made in Italy. Il dibattito avrà come focus la necessità di tutelare il lavoratore e fare il bene dell’impresa nella gestione delle crisi aziendali, allo scopo di creare valore duraturo nei territori identificando modalità utili alla protezione sociale anche nei momenti di discontinuità. Modera i lavori il giornalista Giuseppe Alberto Falci del Corriere della Sera.Il volume offre un utile supporto nella complessa gestione delle crisi aziendali e un’analisi congiunta degli strumenti di sostegno al reddito e del licenziamento collettivo, dal taglio pratico alla conoscenza delle prassi sviluppatesi nel tempo.La presentazione del libro sarà trasmessa in diretta streaming su webtv.camera.it
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Grave crisi di rifugiati in Sudan
Posted by fidest press agency su martedì, 2 Maggio 2023
L’Alto Commissario ONU per i Rifugiati, Filippo Grandi, è molto preoccupato per il fatto che il brutale conflitto in corso in Sudan sta costringendo decine di migliaia di persone ad abbandonare le proprie case in cerca di sicurezza sia all’interno del Paese che oltre i suoi confini. I bisogni umanitari in Sudan erano già enormi prima dell’attuale ondata di violenza, compresi quelli dei 3,7 milioni di sfollati interni. Il loro numero sta rapidamente aumentando, anche se non sono ancora disponibili statistiche. Almeno 20.000 rifugiati sudanesi sono fuggiti in Ciad, un Paese con risorse limitate che ospitava già 600.000 rifugiati. I nuovi arrivati provengono dal Darfur, una delle regioni del Sudan più colpite dalle violenze e dove la crescente instabilità potrebbe causare spostamenti molto più consistenti nelle prossime settimane. Altri hanno attraversato l’Egitto. L’UNHCR sta discutendo con il governo egiziano per garantire che le persone bisognose di protezione internazionale siano adeguatamente accolte e seguite.Almeno 4.000 rifugiati sud sudanesi – parte degli 1,1 milioni di rifugiati provenienti dai Paesi limitrofi attualmente ospitati dal Sudan – sono stati costretti a tornare prematuramente a casa in condizioni di profonda incertezza. A loro probabilmente ne seguiranno altri.Nel frattempo, l’UNHCR, insieme al resto delle Nazioni Unite, rimane in Sudan a sostegno della sua popolazione. Continua a operare ovunque abbia accesso sicuro appoggiandosi anche ad alcune delle reti comunitarie costituite durante la pandemia. L’UNHCR intende aumentare le operazioni ovunque in Sudan il prima possibile. Infine, ma non per questo meno importante, l’Alto Commissario invita la comunità internazionale a fornire urgentemente risorse adeguate per sostenere gli sforzi dell’UNHCR. Le risposte ai rifugiati nei Paesi della regione sono state a lungo estremamente sottofinanziate. Dobbiamo affrontare con urgenza i bisogni dei rifugiati, dei Paesi e delle comunità ospitanti, soprattutto perché sempre più persone cercano sicurezza. Una vera e propria catastrofe può essere evitata, ma il tempo stringe.
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TCW – Crisi bancaria: i fulmini non colpiscono mai due volte nello stesso posto
Posted by fidest press agency su domenica, 23 aprile 2023
A cura di Ruben Hovhannisyan, Managing Director e Laird Landmann, Generalist Portfolio Manager, Co-Director Fixed Income, TCW. Come dice un vecchio detto, i fulmini non colpiscono mai due volte nello stesso posto. Tuttavia, mentre oggi osserviamo gli sviluppi del settore bancario, un confronto con il passato può comunque rivelarsi utile. Riteniamo che gli eventi e le dinamiche che hanno dato origine alla recente volatilità delle banche di piccole e medie dimensioni presentino interessanti analogie, anche se su scala più ridotta, con quelli che hanno portato alla crisi delle S&L negli anni Ottanta. Tuttavia, riteniamo che vi siano anche alcune importanti differenze che dovrebbero limitare la gravità delle potenziali ripercussioni di questa volta.La crisi delle S&L è stata provocata dagli aumenti dei tassi di interesse del presidente della Fed Paul Volcker, volti a combattere l’inflazione dilagante dovuta agli shock dei prezzi del petrolio negli anni Settanta. Il forte aumento dei tassi portò a ingenti perdite nel settore delle S&L, dove circa l’80% delle attività era costituito da prestiti ipotecari concessi a tassi fissi molto bassi. Per mantenere i depositi, le S&L furono costrette ad aumentare i tassi di deposito, il che aggravò ulteriormente il disallineamento tra attività e passività e le perdite subite da queste banche.Tornando ad oggi, una conseguenza ovvia degli eventi delle ultime settimane è un ulteriore inasprimento delle condizioni finanziarie in un momento in cui le banche hanno già ridotto il credito in tutti i canali. Data l’importanza delle piccole banche per l’economia statunitense, questa ulteriore riduzione del flusso di credito contribuirà a una decelerazione dell’attività economica in generale. Sebbene le grandi banche, che dopo la crisi finanziaria globale sono state oggetto di una serie di normative più restrittive, non rappresentino una fonte di preoccupazione, le piccole banche sono più vulnerabili a causa della maggiore sensibilità dei loro tassi di deposito ai tassi a breve termine e, soprattutto, a causa delle loro esposizioni molto concentrate ai prestiti CRE (settore Immobiliare Commerciale). In un contesto di repressione finanziaria e di bassi tassi di capitalizzazione che hanno gonfiato i valori degli asset, le piccole banche hanno rappresentato una quota sproporzionata di prestiti CRE negli ultimi sette anni.Inutile dire che, mentre la sottoscrizione di un prestito CRE rischioso al 3-4% nel 2021 poteva fornire un buono spread in un contesto di tassi sui Fed Funds prossimi allo zero e di aspettative “più basse per più tempo”, le perdite su questi prestiti aumenteranno rapidamente man mano che i tassi cap si adegueranno ai più alti tassi risk-free e le valutazioni inizieranno a crollare riflettendo i nuovi costi di finanziamento, anche se con un certo ritardo. Il sistema bancario odierno, più forte e meglio capitalizzato, è in grado di resistere allo stress, ma la combinazione di più esposizioni su strumenti in stress ha portato e porterà alla fuga dei depositi. Ciò rende fondamentale un’attenta analisi del credito nella selezione delle emissioni e ci ha permesso di stare alla larga dalle banche con una maggiore esposizione al CRE e alla tecnologia. Come accennato in precedenza, tuttavia, vi sono importanti differenze tra i due episodi che, a nostro avviso, questa volta dovrebbero portare a esiti sostanzialmente meno drammatici. Finora il governo ha intrapreso alcune azioni decisive nel tentativo di convincere l’opinione pubblica di avere il pieno controllo della situazione. In particolare, la Fed ha istituito uno strumento di deposito collateralizzato a condizioni favorevoli per le banche sottoposte a stress patrimoniale e a fuga di depositi. Sebbene si tratti di un’utile soluzione di liquidità a breve termine, non vediamo come permettere alle banche di piccole e medie dimensioni di sostituire i depositi a basso costo con gli attuali alti tassi a breve termine possa migliorare la solvibilità delle banche o arrestare la fuga dei depositi dovuta alla perdita di fiducia. Abbassare i tassi a breve termine consentirebbe alle banche di contrarre prestiti al di sotto dei rendimenti delle loro attività e di rimanere più solvibili. Un’ampia garanzia di assicurazione dei depositi garantirebbe la fiducia e fermerebbe l’ulteriore fuga dei depositi. Queste misure possono funzionare, ma in assenza di riduzioni dei tassi, potranno solo temporaneamente prevenire lo stress nel settore nel settore dell’immobiliare commerciale. (Abstract) Fonte: http://www.verinieassociati.com
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Economia, Aidda: “Creare strumenti per salvaguardare le aziende davanti alle crisi”
Posted by fidest press agency su lunedì, 17 aprile 2023
“Sta diventando fondamentale per le imprese riuscire a comprendere in poco tempo se ci sono segnali di crisi, perché se la crisi si affronta rapidamente si può riuscire a non farla degenerare. E salvaguardare così il valore stesso dell’azienda, l’occupazione, le maestranze, gli stakeholders e tutta la filiera connessa” Lo ha affermato ieri Antonella Giachetti, presidente nazionale di Aidda, l’Associazione Imprenditrici e Donne Dirigenti di Azienda, in occasione dell’incontro ‘L’evoluzione dell’assetto organizzativo di impresa: fra responsabilità e nuove opportunità’. L’evento si è svolto ieri pomeriggio all’Archivio della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano. “L’accelerazione di importanti crisi economiche, a partire dal 2008, ha focalizzato l’attenzione del legislatore nazionale e di quello europeo sull’importanza della conservazione delle imprese e dei complessi aziendali. Oggi, oltre che una necessità, è un obbligo giuridico anche per le piccole imprese dotarsi di un assetto organizzativo idoneo per rilevare eventuali segnali di crisi che possono essere provocate anche dai numerosi cambiamenti a cui è sottoposta la nostra società. Oltre a comprendere i segnali della crisi per intervenire in tempo – aggiunge Giachetti – è importante riuscire a gestire l’evoluzione dell’impresa e dei suoi assetti senza disperderne valore. C’è stata una metamorfosi nel tempo del concetto e del ruolo di impresa: da soggetto indirizzato alla sola massimizzazione dei profitti per gli azionisti, a soggetto che deve generare valore collettivo a lungo termine in tutto il sistema in cui interagisce”. “Per l’imprenditore della Pmi italiana diventa poi indispensabile – conclude la presidente di Aidda – acquisire consapevolezza della sempre più presente necessità di rispetto dei fattori ESG. Anche tenuto conto che il merito creditizio, che comunque rispecchia la trasformazione normativa in termini di corporate governance, si sta indirizzando ad una nuova analisi di doppia materialità dell’impresa: quella ambientale e sociale, cioè come l’azienda impatta sul cambiamento climatico, sulla società e sull’uguaglianza, e quella finanziaria, ovvero quale impatto potranno avere i fattori esterni sull’azienda stessa”.
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Meloni scivola sulle nomine. Il terzo polo abortisce. Non c’è fronte politico che non sia in crisi
Posted by fidest press agency su sabato, 15 aprile 2023
By Enrico Cisnetto. A testimonianza che non bastano le elezioni e un risultato apparentemente netto delle medesime per sistemare i problemi strutturali della politica italiana, a soli 7 mesi dal voto di settembre scorso il quadro politico è drammaticamente costellato di crisi quando non di fallimenti. E a 360 gradi, ovunque si volga lo sguardo: destra, centro, sinistra. Con ciò confermando che se non si ripensa il sistema nel suo insieme – modello politico, partiti, assetti istituzionali, legge elettorale – l’affannosa ricerca di un vincitore, specie se all’obiettivo si arriva drogando i risultati elettorali con modalità premiali che, in presenza di un numero crescentemente ridotto di aventi diritto che esercitano il voto, rendono il parlamento e i governi sempre meno rappresentativi della società, serve solo a coltivare illusioni che ben presto diventano disillusioni. Partiamo da chi le elezioni le aveva vinte: Giorgia Meloni. Inizialmente il combinato disposto della novità e del piglio con cui la presidente del Consiglio aveva mostrato di volersi e sapersi muovere avevano fatto pensare che la sua leadership si sarebbe consolidata, andando oltre la solita luna di miele con l’opinione pubblica di cui tutti i governi godono. Anzi, la risolutezza senza sbavature con cui Meloni si è attestata sul fronte atlantico nella guerra russo-ucraina e la prudenza mostrata con la manovra di bilancio rispetto alle guardinghe attese di un’Europa che certo non gli ha risparmiato massicce dose di scetticismo, le avevano allargato il campo delle simpatie anche a chi non l’aveva scelta nelle urne, finendo così per far passare in secondo piano una valutazione non proprio lusinghiera sul governo nel suo insieme, e su alcuni ministri in particolare. Poi, però, con il passare dei mesi sono via via emersi tre elementi di giudizio non positivi: la percezione di un suo crescente nervosismo, accompagnata da voci insistenti su una sua difficoltà di tenuta psicofisica al cospetto delle stressanti prove cui l’attività di governo costringe, specie se si è, come nel suo caso, fortemente accentratori; la constatazione del vuoto di classe dirigente che la circonda, cui si somma una sua atavica diffidenza verso tutto e tutti, mentre qualche episodio ha fatto vedere come nel suo entourage neppure la fedeltà – che è già in sé un valore molto meno nobile della lealtà – sia garantita; il riscontro di un’agenda di governo tutta costruita sulla risposta, per lo più estemporanea, alle emergenze e dunque priva di respiro strategico, mancanza puntualmente attribuita alle pesanti eredità ricevute dal passato (modalità comunicativa che dopo un po’ diventa inevitabilmente un boomerang).Ma il culmine di questa tendenza involutiva si è avuto nei giorni scorsi con le nomine nelle aziende partecipate dallo Stato. Tralascio qui il giudizio di merito su nominandi e nominati, perchè la valutazione che conta è di natura politica e più precisamente attiene alla capacità di gestire il potere, che nella panoplia delle arti del governare è sicuramente quella più difficile. Delle diverse opzioni tattiche che aveva a disposizione Meloni ha scelto fin dall’inizio quella del “qui comando io”, dapprima negando la possibilità che si desse vita ad un tavolo di maggioranza sul tema – avendo in mente non solo di poter fare di testa sua, ma soprattutto di comunicare che lei non praticava la lottizzazione – e poi trovatasi costretta a istituirlo per i mal di pancia della Lega, alla fine lo ha declinato come semplice “tavolo di consultazione” e non “di decisione”. Ha quindi lasciato trapelare i nomi dei manager che intendeva scegliere, esponendoli per giorni alle indiscrezioni giornalistiche e non, e ha fatto le barricate, anche a costo di frizioni interne al suo partito, fino all’ultima notte di violente trattative, per difendere il suo decisionismo. Salvo poi, all’ultimo momento utile rispetto alle scadenze formali che occorreva rispettare, calarsi clamorosamente i pantaloni di fronte alla minaccia di Salvini di far cadere il governo. Con ciò: a) portando a casa meno di quanto avrebbe ottenuto se avesse scelto la via moderata della concertazione di maggioranza; b) dando l’idea di appartenere alla razza di chi abbaia ma non morde; c) mostrando di temere ma di non saper usare l’arma di ricatto della crisi di governo; d) fallendo l’obiettivo di tenere lontano da sé e dal suo governo l’infamia della lottizzazione, quando invece avrebbe potuto e dovuto rivendicare la pratica dello spoil system.Il risultato è che un Salvini agonizzante ha potuto attaccarsi al bocchettone dell’ossigeno – e c’è da scommettere che, lungi dall’essere stato rabbonito da alcune concessioni ottenute in fatto di nomine, alzerà ancor di più il tiro contro l’odiata Meloni, come dimostra il ritorno ai suoi decreti sui migranti – mentre Forza Italia è riuscita a dare segno di vita proprio nel momento in cui era costretta a metabolizzare la definitiva uscita dalla scena politica del suo fondatore (inevitabile, a prescindete da quale sia l’esito della degenza ospedaliera di Berlusconi) e quindi a interrogarsi sulla possibilità o meno di sopravvivergli. È evidente che in queste condizioni il governo Meloni potrà anche proseguire, ma di certo più faticosamente, anche considerato che lo scenario economico, quello europeo e quello geopolitico nei prossimi mesi getteranno sul suo cammino un numero crescente di ostacoli.Ma se Atene piange (sul latte versato), Sparta non ride. Il Pd, dopo la scossa “nuovista” rappresentata dall’ergersi di una leadership del tutto inventata – tanto da aver nominato alla segreteria chi si era iscritta al partito un attimo prima delle primarie consentendo che il voto dei militanti fosse ribaltato da quello di un non meglio definito “popolo dei gazebo” – è entrato in un cono d’ombra dove a far rumore è il silenzio assordante di Elly Schlein su tutti i temi che contano. Vuoto riempito solo da alcune parole d’ordine “movimentiste” che, oltre a connotare il Pd di “sinistra- sinistra” e ad azzerare lo spazio politico per i riformisti, finiscono con accentuare la sovrapposizione con i 5stelle. Una deriva già iniziata prima delle elezioni con il progressivo abbandono della linea “agenda Draghi” a favore di una masochistica autoflagellazione dovuta al senso di colpa per abbandonato i lavoratori a favore della “borghesia ztl” e che, continuando cosìm culminerà nell’alleanza organica, se non nell’integrazione, con Conte. Il quale, avendo meno da dire del niente di Schlein, ha scelto la via del low profile, nella convinzione che le fatiche e gli errori del centro-destra daranno all’opposizione una rendita di posizione. Inesperta, e come tale facile preda dei “grandi elettori” che l’hanno sostenuta, da Bettini a Franceschini, già endorsata da uno sponsor ingombrante come l’ingegner De Benedetti, la neo-segretaria del Pd dovrà presto misurarsi su temi tanto dividenti quanto decisivi come la fornitura di armi all’Ucraina, il termovalorizzatore di Roma o la riforma fiscale e delle pensioni, trovandosi nella scomoda posizione o di tradire il suo radicalismo o di cancellare definitivamente i connotati di partito di governo del Pd. Cosa che certo non farà bene al sistema politico, tanto più al cospetto delle difficoltà di Meloni e della sua maggioranza.E non sta certo meglio, anzi, il drappello terzopolista che in queste ore ha dato spettacolo con il litigio delle comari Renzi e Calenda. Una contesa poco edificante nella quale è perfettamente inutile cercare i torti e le ragioni perchè è del tutto evidente il “concorso di colpa”, da identificarsi non solo nell’ego espanso all’ennesima potenza dei due litiganti, ma soprattutto nella reiterazione del “reato politico”, già commesso da entrambi, di personalizzazione della politica attraverso l’uso di partiti personali. E tutto questo mentre la crisi del bipolarismo, che si perpetua anche sotto le insegne al femminile del duo Giorgia-Elly, apre enormi spazi politici a chi non sta dentro i due schieramenti. Ma il fatto è che la domanda di riformismo nel Paese è latente, perchè si annida prevalentemente nella sempre più vasta schiera degli astenuti, e dunque abbisogna di chi la sappia far emergere con qualcosa di più e di meglio del semplice mettersi in mezzo, né di qua né di la.Occorre elaborare una teoria del fallimento del bipolarismo italico, spiegandone bene le ragioni all’opinione pubblica e traendone delle conseguenze prima di tutto in prima persona. Ecco perchè il partito che avrebbe dovuto nascere dal patto Renzi-Calenda – e che a questo punto è del tutto abortito – non sarebbe stato la risposta giusta a quella domanda latente di riformismo. Perchè non è mettendo insieme due partiti personali che se ne fa uno vero. Tuttavia, di un partito liberaldemocratico, capace non solo di proporre un’agenda di governo davvero riformista ma prima di tutto di indicare condizioni e strumenti per riformulare il sistema politico-istituzionale mettendo fine alla transizione iniziata nel 1994 e mai chiusa, c’è e sempre più ci sarà bisogno. Lo spostamento a sinistra del Pd e l’inevitabile tramonto di Forza Italia – con Meloni che fatica a compiere la sua trasformazione moderata (nonostante l’incitamento di Marcello Pera a sostituirsi in tutto e per tutto a Berlusconi) e Salvini sempre più radicalizzato a destra (si veda l’abbraccio mortale a cui lo sottopone la Le Pen in un’illuminante intervista a Repubblica) – spalancano praterie al processo costituente di un centro liberaldemocratico. Purché si parta da un impianto culturale, una visione e un progetto politico comune, non dalle personalità che se ne vogliono fare protagoniste (che di statisti in giro non ce ne sono).Come si vede, non c’è un angolo, anche piccolo, del quadro politico, che non sia un disastro. Ma, paradossalmente, questa situazione può forse essere un vantaggio: sgombrato il campo dalle illusioni e dai conseguenti disinganni, c’è più spazio per tornare a tessere la tela della democrazia. By Enrico Cisnetto direttore http://www.terzarepubblica.it
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Ci stiamo dirigendo verso una crisi finanziaria?
Posted by fidest press agency su mercoledì, 5 aprile 2023
A cura di Steven Bell, Chief Economist EMEA di Columbia Threadneedle Investments. Riteniamo che la stretta creditizia sia molto più significativa negli Stati Uniti. L’Europa, invece, sta ricevendo una spinta tempestiva dal calo dei prezzi dell’energia. Il tema corrente riguarda quindi il miglioramento del flusso di notizie in Europa e il calo di quello negli Stati Uniti. I consumatori statunitensi sono rimasti positivi e hanno speso rapidamente i loro “salvadanai covid”. L’entità della spesa è stata sufficiente a postporre qualsiasi recessione fino ad oggi. Ci sono alcuni segnali incoraggianti che indicano che l’inflazione statunitense sta scendendo, anche nelle aree cruciali degli alloggi e dei salari. Tuttavia, riteniamo che occorrano segnali più chiari di un allentamento del mercato del lavoro e che probabilmente sarà necessaria una recessione e un aumento della disoccupazione prima che la Fed inverta la rotta. Non riteniamo che la prevista recessione sarà così grave negli Stati Uniti. Le preoccupazioni per il contagio finanziario sembrano solo un altro sintomo dello straordinario crollo della fiducia delle imprese, degli investitori e soprattutto dei consumatori in Europa nell’ultimo anno. Le previsioni di consenso sono ancora orientate verso una recessione, nonostante il superamento della crisi energetica. Non prevedo un boom in Europa, tuttavia, il calo dei prezzi dell’energia dovrebbe sostenere la crescita e, soprattutto, la fiducia. Una volta recuperata la fiducia, dovrebbe innescarsi un circolo virtuoso sufficiente a sostenere la crescita economica. Nei giorni bui dell’autunno, la probabilità implicita di recessione del Regno Unito ha raggiunto il 91%, un livello di intesa inaudito tra gli economisti! Non solo la crisi energetica è passata, ma i prezzi dell’energia per il prossimo inverno sono scesi rapidamente negli ultimi mesi. Prevediamo che presto sarà disponibile un’offerta al dettaglio a prezzo fisso al di sotto del tetto di 2.500 sterline per il prossimo inverno. Questo dovrebbe eliminare una paura significativa per i consumatori britannici. Sebbene il mercato sia scettico, riteniamo che l’obiettivo del 2,9% per l’inflazione alla fine di quest’anno, fissato dal governo e ora sostenuto dalla Banca d’Inghilterra, sia del tutto ragionevole. Le bollette energetiche vedranno un aumento del 90% sostituito da un taglio del 20% e l’impatto sui dati dell’inflazione sarà drammatico. Visti i rendimenti reali offerti, i titoli di Stato appaiono interessanti. Sebbene i tassi d’interesse possano continuare a salire, ciò evidenzia la determinazione delle banche centrali a riportare l’inflazione sotto controllo. Esiste la possibilità realistica che i tassi statunitensi scendano al di sotto di quelli europei, soprattutto perché questi ultimi devono ancora salire. Ciò indicherebbe un apprezzamento dell’euro e una debolezza del dollaro.La Cina è passata dalla politica di Covid zero a a quella di Covid-100. La riapertura dell’economia cinese è una grande spinta per l’economia globale. (abstract by http://www.columbiathreadneedle.it)
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Crisi bancarie Usa: le responsabilità dei controllori
Posted by fidest press agency su giovedì, 30 marzo 2023
Di Mario Lettieri e Paolo Raimondi. Serve chiarezza. Dietro le recenti bancarotte negli Usa ci sono altri motivi di preoccupazione. In primo luogo il fallimento delle autorità di sorveglianza, a cominciare dalla Federal Reserve. Il loro mancato intervento, a nostro avviso, è dovuto al fatto che esse erano pienamente consapevoli che le loro politiche monetarie altalenanti, interessi zero prima e aumento dei tassi poi, avrebbero messo sottosopra il sistema bancario. Hanno ritenuto, erroneamente, che astenersi fosse la seconda tra le peggiori possibilità. La prima sarebbe stata continuare con le politiche di poderose iniezioni di liquidità fino a far esplodere la bolla. Il governo e le autorità bancarie, quindi, non sono stati colti di sorpresa. Erano pronti a nuovi interventi di salvataggio dell’intero sistema. Meglio intervenire dopo il fallimento di una banca regionale che di una too big to fail. C’è stato, infatti, un barrage di interventi. Si è creata una Bank Bailout Facility attraverso la quale il governo concede dei prestiti alle banche. La Fed ha annunciato un “discount window”, uno sportello, dove attingere a prestiti di emergenza a basso costo. Sotto la guida della Fed e del Tesoro, sei grandi banche, JP Morgan, Wells, Citi, Bank of America, Goldman Sachs e Morgan Stanley, si sono accordate per mettere a disposizione 30 miliardi di dollari per la First Republic Bank. Non sono bastati, però, a fermare il crollo. Anche la Federal Deposit Insurance Corporation, l’agenzia di protezione finanziaria, è entrata in campo per garantire i depositi fino a 250.000 dollari. Si tenga presente, però, che il suo fondo coprirebbe soltanto il 2% dei 9.600 miliardi di dollari di depositi assicurati. E’in atto anche una narrazione che cerca di distogliere l’attenzione dalle banche too big. Si parla insistentemente dei rischi di insolvenza delle banche regionali e delle cosiddette saving and loans banks, quelle che raccolgono i risparmi e poi concedono prestiti alle imprese locali e alle famiglie. Indubbiamente non si possono negare le loro difficoltà attuali, create proprio dagli andamenti dei tassi d’interesse. Si ricorderà che una crisi simile, ma in una situazione di differente gravità sistemica, era avvenuta già negli anni ottanta, sempre per effetto della crescita vertiginosa dei tassi d’interesse da parte della Fed. E’ comunque da ingenui ritenere che le banche regionali siano delle entità totalmente indipendenti rispetto alle 20 maggiori banche Usa, cosiddette, sistemiche. Secondo JP Morgan nell’ultimo anno le banche più piccole avrebbero perso 1.100 miliardi di dollari in depositi che sono stati trasferiti in quelle più grandi. C’è anche un’altra narrazione che vorrebbe le banche europee, e non quelle americane, essere nell’occhio del ciclone. Certamente, dopo la crisi del Credit Suisse e le gravi fibrillazioni della Deutsche Bank (DB), non si può negare che il sistema bancario europeo sia in crescente difficoltà. Noi non ci siamo mai stancati di denunciare i comportamenti rischiosi di DB, superstar dei derivati otc. Ma non si può nemmeno dimenticare che il sistema bancario europeo sia entrato in acque agitate proprio per aver copiato i metodi speculativi di quello americano e della City inglese. E’ doveroso anche notare il macroscopico errore delle agenzie di rating, le note imprese americane private. Fino al giorno prima del fallimento della Silicon Valley Bank, Moody’s le garantiva il voto di A3 e Standard & Poor’s (S&P) le dava un rating un po’ inferiore di Bbb. Certamente erano lontani dalle triple A elargite a piene mani prima della bancarotta della Lehman Brothers. I titoli della Svb, però, erano considerati “investment grade”, cioè degni di investimento e perciò non speculativi. Si noti che, anche rispetto al fallimento della First Republic Bank, le agenzie di rating S&P e Fitch hanno inserito la banca tra le imprese “junk”, spazzatura, solo dopo gli interventi di salvataggio. Nelle prospettive bancarie globali per il 2023, la S&P afferma che il settore bancario statunitense è in buona salute e che il rischio è in calo. Per la Moody’s le prospettive sarebbero stabili, sebbene avvertisse venti contrari in un’economia in rallentamento. Si tratta di gravi sottovalutazioni, a discapito dei risparmiatori e degli onesti investitori. Si persegue un comportamento, a dir poco incompetente e inadeguato, già emerso prepotentemente nel 2001 alla vigilia del fallimento della Enron, il gigante americano dell’energia, e poi nella Grande Crisi del 2008.Dal 2001 il Congresso americano ha portato avanti varie iniziative di riforma che, però, non hanno indotto le agenzie di rating a un comportamento più corretto. Si dovrebbe tenerlo presente quando esse pontificheranno sulla situazione economica e finanziaria dell’Italia. In passato, purtroppo, si è sempre tenuto un atteggiamento troppo supino. di Mario Lettieri già sottosegretario all’Economia e Paolo Raimondi economista.
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La crisi del settore bancario
Posted by fidest press agency su mercoledì, 29 marzo 2023
La scorsa settimana le montagne russe dei mercati finanziari sono state dominate dalle preoccupazioni per il settore bancario, dopo il fallimento di due banche negli Stati Uniti e l’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS. Ci interessa valutare ora le implicazioni di questo scenario per i tassi di interesse e i mercati finanziari.Le preoccupazioni negli Stati Uniti riguardano le banche americane di piccole e medie dimensioni, che sono state regolamentate in modo più blando rispetto alle controparti più grandi e offrono tassi di deposito non competitivi con i fondi del mercato monetario. La fuoriuscita dei depositi si è trasformata in un’alluvione e questo aggraverà la contrazione del credito, un processo già in atto ben prima dello scoppio dell’ultima crisi. Il credito alle imprese più piccole e, in generale, al settore commerciale immobiliare ne risentirà: è doloroso, ma fa parte del processo di trasmissione monetaria. L’irrigidimento delle condizioni di credito implicherà che la Federal Reserve non dovrà probabilmente alzare i tassi ufficiali più di tanto. Infatti, i mercati si aspettano forti tagli dei tassi prima della fine dell’anno e prevedono che inizino presto.In Europa lo squilibrio normativo è assente e non si è verificato lo stesso deflusso di massa di depositi. Le banche sono generalmente ben capitalizzate e molte banche europee stanno restituendo il capitale agli azionisti. Sembra che Credit Suisse sia un caso isolato. Lo stesso vale per le banche del Regno Unito e, sebbene le condizioni di credito si stiano restringendo in Europa, il ritmo è più graduale rispetto agli Stati Uniti.I dati economici sono stati oscurati dalla crisi bancaria, ma i numeri più recenti sono stati forti. Gli indici dei responsabili degli acquisti pubblicati per l’Europa e gli Stati Uniti mostrano un’impennata dell’attività dei servizi, sebbene il settore manifatturiero sia risultato più debole. Il settore manifatturiero è importante per il mercato azionario, ma i servizi contano molto di più per l’economia generale e, in particolar modo, per l’occupazione. E questo è ciò che conta per la politica monetaria. Senza la crisi bancaria, questi ultimi dati avrebbero rilanciato la prospettiva di ulteriori rialzi dei tassi di interesse da parte delle banche centrali.Riteniamo che la crisi del credito negli Stati Uniti abbia ora avvicinato la recessione, sebbene l’economia sembrasse più forte prima della crisi. Mentre in Europa, il calo dei prezzi del gas naturale ha portato sollievo a consumatori, aziende e governi. Alla luce dell’attuale contesto, preferiamo gli asset di rischio in Europa, sebbene l’azionario nel suo complesso potrebbe presentare delle difficoltà. Mentre l’euro potrebbe rafforzarsi rispetto al dollaro. Infine, le obbligazioni rimangono interessanti, nonostante il recente rally.
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Crisi banche e governo … che non sa di cosa parla?
Posted by fidest press agency su lunedì, 27 marzo 2023
La crisi delle banche che sta attraversando il mondo dopo il crack della Silicon Valley Bank (SVB) e il salvataggio di Credit Suisse (per citare solo le maggiori), fa venire qualche grattacapo anche ai nostri governanti. Che non sapendo grossomodo con cosa hanno a che fare usando l’unica arma per la quale hanno mostrato maestria: il preannuncio. Oggi è il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti che, vantando una presunta (e non spiegata) solidità del nostro sistema bancario (come se fosse avulso dai sommovimenti europei e mondiali… il sovranismo porta anche ad una sovrastima di e stessi…) preannuncia un intervento del suo governo in caso di contagio del sistema bancario italiano. Quale, come, dove, perché.. non è dato sapere: il ministro dell’Economia (vuoi mettere?) ci dice di stare tranquilli ché lui e i suoi colleghi interverranno. La poca credibilità e spavalderia di affermazioni del genere è purtroppo marcata da un fatto grave: il nostro è l’unico Paese che non ha ancora approvato la ratifica della riforma del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità che contiene il cosiddetto backstop, un nuovo strumento europeo di difesa dei risparmiatori in caso di crisi degli istituti di credito. Mancanza di ratifica giustificata nei giorni scorsi dal premier Meloni durante un question time al Parlamento, in cui la premier ha dimostrato di non sapere neanche di cosa si stesse parlando. Ora abbiamo le promesse del ministro dell’Economia… Vincenzo Donvito Maxia – presidente Aduc http://www.aduc.it
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Schroders – Crisi, quale crisi? La Fed alza i tassi nonostante lo stress del settore bancario
Posted by fidest press agency su sabato, 25 marzo 2023
A cura di Keith Wade, Chief Economist & Strategist, Schroders. Nel corso dell’ultima riunione, la Federal Reserve ha alzato il tasso di riferimento dei Fed fund di 25 punti base, portandolo al 5% nel suo limite superiore. La mossa arriva dopo una settimana tumultuosa in cui le aspettative di rialzo dei tassi in vista di questo meeting sono passate da un rialzo di 50 punti base dopo la testimonianza del presidente Powell al Congresso, ad una probabilità del 50% di un rialzo di 25 pb.Durante la conferenza stampa, il presidente Powell ha sottolineato le azioni intraprese dalla Fed, dal Tesoro e dalla Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC) per sostenere il sistema bancario e garantire un’adeguata liquidità. Tuttavia, la decisione di continuare ad aumentare i tassi non ha ignorato la situazione del settore bancario. La dichiarazione della Fed ha rilevato che le condizioni del credito nell’economia sarebbero state inasprite dai recenti eventi e la forward guidance è stata ammorbidita, dicendo che potrebbe essere necessario un “ulteriore irrigidimento” della politica invece di un “proseguimento dell’aumento dei tassi”.La Fed era chiaramente in difficoltà su come reagire. Se avesse enfatizzato l’impatto delle banche sull’economia e non avesse proceduto a un rialzo, avrebbe potuto alimentare il timore che la situazione fosse peggiore di quanto temuto dall’opinione pubblica e dai mercati. Gli investitori si sarebbero chiesti: cosa sa la Fed che noi non sappiamo? Questo avrebbe potuto portare a un ulteriore ritiro dei depositi, a un maggiore intervento delle autorità e a un inasprimento ancora maggiore delle condizioni di credito. Se fosse andata avanti con un rialzo di 50 punti base, ci sarebbe stato il rischio di esagerare e di essere accusati di aver aggravato la situazione e innescato una recessione. La Fed ha invece scelto una via di mezzo e Powell ha sottolineato di ritenere il settore bancario sano e ben capitalizzato, pur rilevando che l’impatto complessivo sull’economia non è noto.Le proiezioni dei futuri tassi d’interesse (dot plot), ampiamente seguite, sono scese solo di 25 punti base. Sia il FOMC che i mercati prevedono un ulteriore rialzo a maggio, ma sul futuro le view sono diverse: i membri del FOMC prevedono tassi fermi fino al 2024, mentre il mercato si aspetta un taglio di 50 punti base entro la fine di quest’anno. Noi concordiamo con le prospettive del mercato, poiché ci aspettiamo che il rallentamento prenda piede e costringa la Fed a intervenire nel corso dell’anno. La crisi bancaria è un segno che la politica di restrizione sta mordendo e che, a nostro avviso, domerà l’inflazione una volta che gli effetti ritardati si saranno manifestati.
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Crisi bancarie: effetti sul mercato
Posted by fidest press agency su sabato, 25 marzo 2023
Commento a cura di Paolo Mauri Brusa, gestore del team Multi Asset Italia di GAM (Italia) SGRDopo un lunghissimo periodo a tassi zero, il 2022 è stato l’anno della grande svolta, complice l’inattesa impennata dei prezzi al consumo. Le Banche Centrali si sono ritrovate a rincorrere l’inflazione con massicci rialzi dei tassi, portati avanti senza esitazioni in un brevissimo lasso di tempo. Ora però iniziano a vedersi i primi effetti collaterali. La crisi è arrivata, come sempre accade in questi casi, senza che nessuno se ne accorgesse. In soli due giorni, fra il 9 e il 10 marzo, tre banche regionali statunitensi sono finite in default per il più classico dei motivi: la corsa agli sportelli. I tre istituti avevano moltissimo in comune: una clientela concentrata nei segmenti delle start-up tecnologiche, del venture capital e mondo delle criptovalute ed erano soggetti alla regolamentazione “semplificata” che comporta minori requisiti patrimoniali e garanzie sui depositi. La Silicon Valley Bank (SVB), la maggiore del gruppo, era il sedicesimo istituto finanziario degli Stati Uniti con oltre 200 miliardi di asset. In un solo giorno ha avuto richieste di rimborso per oltre 42 miliardi (il 20 % del totale degli attivi). Nessuna fila fuori dalle sue filiali, è avvento tutto per via elettronica, il primo “digital bank run” della storia. Per far fronte ai prelievi, SVB ha venduto i Treasury che aveva in bilancio, che però erano valorizzati al costo storico. I rialzi dei tassi da parte della Fed ne avevano fatto calare sensibilmente il prezzo e le perdite realizzate, quasi 3 miliardi di dollari, hanno portato al fallimento. E come era accaduto nel 2008, le crisi finanziarie non conoscono confini e il contagio in Europa è arrivato pochi giorni dopo. A farne le spese è stata Credit Suisse, alle prese ormai da tempo con un forte calo di fiducia da parte della propria clientela a causa dei ripetuti scandali che l’avevano coinvolta nel 2020 e 2021. Dopo aver perso oltre 110 miliardi di depositi fra ottobre e dicembre dello scorso anno, nel weekend del 18-19 marzo è arrivata l’acquisizione da parte di Ubs, praticamente imposta dalle Autorità Elvetiche. Molti investitori ora si chiederanno se ci troviamo di fronte a casi isolati o se è in agguato un nuovo credit crunch.
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Acqua: Cia, crisi idrica sia priorità globale. Cambio di passo a trazione agricola
Posted by fidest press agency su venerdì, 24 marzo 2023
Ogni giorno, in Italia, consumiamo circa 241 litri di acqua a persona e ne sprechiamo più di 150 litri, mentre nel mondo più di mille bambini, sotto i cinque anni, muoiono a causa di malattie legate ai servizi idrici. Nel frattempo, la siccità sta mettendo in ginocchi tutto il Mediterraneo, trovando gran parte dell’Africa con la maggiore insicurezza idrica e l’Italia in una posizione di rischio forte 3, su scala da 0 a 5, per carenza di acqua piovana e di riserve negli invasi. In occasione della Giornata mondiale dell’acqua che ricorrerà domani, 22 marzo, e della riunione odierna della Cabina di Regia per la crisi idrica, Cia-Agricoltori Italiani rinnova il suo appello a mettere l’allarme siccità in cima alle priorità dell’agenda politica globale e il Governo italiano a fare presto per risolvere l’emergenza.Per Cia la crisi idrica richiede risposte rapide, organiche ed efficienti. Occorre, quindi, una pianificazione di lungo periodo che metta a sistema azioni strategiche come: sbloccare e favorire il riutilizzo a uso agricolo delle acque reflue depurate; realizzare serbatoi artificiali ad uso multifunzionale, per la capitalizzazione dell’acqua (in eccesso/di riuso/di pioggia); avviare una rete di piccoli laghetti e invasi, “smart” sotto il profilo tecnologico e amministrativo, diffusi su tutto il territorio. Inoltre, serve avviare urgentemente la sperimentazione in pieno campo delle nuove tecniche di miglioramento genetico (New Breeding Techniques – NBT) per colture più resistenti a calamità naturali ed eventi estremi, oltre a dare al Paese una legge nazionale contro il consumo di suolo, visto che le aree perse, dal 2012 a oggi, avrebbero garantito l’infiltrazione di 360 milioni di metri cubi di pioggia.Intanto, la primavera è arrivata, per l’agricoltura si avvicina la stagione dei raccolti e, stime Cia, si prevede già un grande deficit nei campi con crolli produttivi dal 10% fino al 30%, per colture importanti come mais e riso. Pesa il 45% di neve in meno sulle Alpi e il Po a secco, una dispersione idrica arrivata al 40% e invasi che non trattengono più dell’11% di acqua piovana. Senza contare la spesa a carico degli agricoltori per mantenere comunque irrigate le colture.
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Dove finirà la crisi finanziaria?
Posted by fidest press agency su giovedì, 23 marzo 2023
Il crollo di Credit Suisse, gigante del settore bancario europeo, ha riacceso i timori di una crisi finanziaria globale (GFC). Nelle Prospettive di mercato di questa settimana, facciamo un passo indietro e consideriamo dove potrebbero trovarsi l’economia globale e i mercati finanziari tra 3-6 mesi. Ci sono tre grandi differenze tra la crisi attuale e quella del GFC. Innanzitutto, oggi l’inflazione è ben al di sopra il target nelle economie sviluppate e ha persistentemente superato le previsioni delle banche centrali. Questo limita la loro libertà di manovra. Al contrario, negli Stati Uniti e in Europa l’inflazione core era bassa prima del crollo di Lehman Brothers nel 2008 e ha continuato a essere in calo per decenni. In secondo luogo, il sistema finanziario aveva allora un’enorme esposizione al settore immobiliare. In un certo senso, l’esposizione delle banche britanniche al settore immobiliare era superiore al 100% dei loro depositi. Infine, naturalmente, abbiamo avuto la crisi finanziaria globale e la regolamentazione finanziaria si è notevolmente rafforzata. Gli eventi recenti hanno inasprito le condizioni di credito in un mondo in cui stavano già diventando più restrittive. Il grafico mostra che le banche negli Stati Uniti e in Europa stavano inasprendo gli standard di prestito alle imprese ben prima dell’ultima crisi. Nel caso dei prestiti alle piccole imprese negli Stati Uniti, il ritmo del cambiamento si è avvicinato a quello registrato durante la crisi finanziaria mondiale. Questi dati si riferiscono a gennaio: per un aggiornamento dovremo aspettare il mese prossimo e sicuramente assisteremo a un ulteriore inasprimento.La situazione in Europa è molto diversa. I problemi di Credit Suisse non sembrano trovare riscontro in altre banche europee. Certo, l’azzeramento delle obbligazioni di Credit Suisse è stato uno shock e renderà più costoso per le banche raccogliere ulteriori capitali. Gli standard di prestito si inaspriranno ulteriormente, ma il calo dei prezzi dell’energia è una delle principali fonti di miglioramento della fiducia dei consumatori e delle imprese in Europa. Le finanze di entrambi i settori sono solide. La Banca Centrale Europea ha fatto bene a procedere con un aumento dei tassi di 50 punti base la scorsa settimana. L’inflazione core in Europa è in aumento e le pressioni salariali sono forti. È molto probabile che i tassi d’interesse europei finiscano l’anno al di sopra di quelli statunitensi. La Banca d’Inghilterra potrebbe essere sollevata dal fatto che non sono le banche britanniche a fare notizia. Il calo dei prezzi dell’energia implica come l’inflazione nel Regno Unito sia destinata a scendere e i timori di recessione si sono ora allontanati. Il recente Budget (la legge di lancio britannica) si è aggiunto a queste tendenze. Le pressioni salariali si sono già attenuate e i venti contrari derivanti dall’aumento dei tassi ipotecari sono forti. Quindi la BoE potrebbe procedere con un altro rialzo dei tassi, ma solo di 25 punti base. In ogni caso, a mio avviso, siamo vicini al picco dei tassi d’interesse nel Regno Unito.Cosa significa tutto questo per i mercati? In primo luogo, i titoli di Stato appaiono interessanti. Nonostante le turbolenze, i TIPS statunitensi, l’equivalente americano dei gilt indicizzati, rendono attualmente l’1,2%. Si tratta di un rendimento reale superiore all’inflazione statunitense e appare piuttosto incoraggiante per il miglior credito al mondo durante una crisi. In secondo luogo, potremmo assistere a un indebolimento del dollaro a causa dell’andamento divergente dei tassi di interesse. Non è il solito schema a cui si assiste in un contesto di crisi. In terzo luogo, le azioni sembrano un po’ care. Potrebbero rappresentare una grande opportunità di acquisto a un certo punto, ma probabilmente non ancora. Abstract by http://www.bc-communication.it
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Crisi delle banche regionali americane e asset allocation
Posted by fidest press agency su mercoledì, 15 marzo 2023
A cura di Andrea Delitala, Head of Euro Multi Asset di Pictet Asset Management. Durante il fine settimana, sono state poste in amministrazione controllata due banche americane non rilevantissime: si tratta infatti della sedicesima (Silicon Valley Bank o SVB) e della ventinovesima (Signature Bank) banca americana. In particolare, ha fatto scalpore SVB, nota per la sua attività nella Silicon Valley, anche se il tutto sembra partire già da qualche scricchiolio tra le banche e, soprattutto, tra le piattaforme di criptovalute. Queste due banche americane hanno subito una combinazione tossica di perdite in conto titoli: con il rialzo dei tassi nel 2022 avevano infatti sofferto un’importante conseguenza negativa nel portafoglio. A ciò si è probabilmente aggiunto, soprattutto per il caso della Silicon Valley Bank, un calo rilevante dei depositi. Questa banca, inoltre, partiva da un rapporto elevato tra attivo e una passività piuttosto ridotta sul fronte dei depositi: scarsa stabilità, quindi, sul fronte delle liability, che l’ha messa in condizioni di particolare fragilità. Come misure di intervento da parte delle autorità finanziarie, al di là della protezione sempre presente per statuto tramite accordi interbancari sui depositi dei correntisti fino a $250.000, è stato anche posto in essere, in maniera rapida, una facility da parte della Fed, in base alla quale le banche possono avere accesso fino a $25 miliardi di finanziamenti – a fronte di garanzie di collateral – che verranno valutati al 100% e fino a un anno di durata. Dovrebbero essere estese le garanzie anche sui depositi oltre i $250.000: si tratta, in sostanza, di una rete di protezione abbastanza efficace. Eppure, il mercato si è preoccupato. Rimane infatti il timore, seppur residuale, di un contagio al sistema bancario, che è effettivamente soggetto a perdite in conto capitale. Si parla di alcuni nomi importanti come, per esempio, Bank of America che avrebbe avuto più di 100 miliardi di perdite sulla componente titoli, con una potenziale erosione del capitale proprio.In questi casi, non appena ci si rivolge al mercato per aumenti di capitale, si rischia di reagire con la corsa agli sportelli e il ritiro dei depositi, come effettivamente successo per SVB. Riteniamo però che le facility messe a disposizione dalla Fed siano adeguate dal punto di vista sistemico. Sul dollaro vediamo una situazione di compromesso: da un lato resta un porto sicuro; dall’altro, essendo l’epicentro del sisma in America, la valuta non sta beneficiando tanto quanto si crederebbe. Ovviamente sono giornate di panico, in cui è difficile fare un assessment definitivo su quanto sta accadendo. Non lo riteniamo però sistemico. Stiamo prendendo profitto sulla buona parte di duration che avevamo acquisito nel nostro portafoglio: ciò dimostra che il ritorno a correlazioni normali consente di costruire un portafoglio robusto. Saranno giornate in realtà positive per il nostro fondo MAGO grazie al contributo dei bond. D’altro canto, sul lato azionario avevamo già preso protezione, in particolare sul VIX e anche sull’Europa. Ribadiamo quindi che sia doveroso avere cautela sull’azionario, ma l’obbligazionario potrebbe a questo punto avere un miglior assestamento. Stiamo però considerando di rimettere delle posizioni di copertura sul 2 anni americano che ci sembra frutto più che altro, in questo momento, di uno “squeeze”. (abstract fonte: Gruppo Pictet)
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“La crisi idrica è una minaccia per la coesione nazionale”
Posted by fidest press agency su mercoledì, 15 marzo 2023
Si amplificano, infatti, i contrasti fra i portatori d’interesse: dalle Regioni agli utenti, dal mondo agricolo ai produttori di energia: a dirlo è Massimo Gargano, Direttore Generale dell’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela de Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI), intervenuto ad un convegno organizzato dai Consorzi di bonifica mantovani nell’ambito delle celebrazioni per il Centenario dello storico Congresso di San Donà di Piave; prosegue Gargano: “Guardiamo perciò con grande attenzione all’annunciato Decreto Acqua previsto dal Governo per il prossimo 16 Marzo e che dovrebbe definire una cabina di regia contro la siccità, nonché eventuali commissariamenti di opere incompiute, oltre a destinare risorse per avviare interventi di contrasto alle conseguenze dei cambiamenti climatici. In Italia, la legge 152 indica, dopo quello umano, la priorità dell’uso agricolo per le risorse idriche; è però ripetutamente disattesa sull’ara dei forti interessi concorrenti, cresciuti negli anni. Il futuro dell’Italia – aggiunge il DG di ANBI – deve essere legato ad un modello identitario di valorizzazione del territorio, che non può essere caratterizzato dagli stati d’emergenza. Il paradosso è la legge contro l’indiscriminato consumo di suolo: tutti, a parole la vogliono; in realtà giace dispersa nei meandri parlamentari dall’epoca del Governo Monti nel 2013!” “Quella, che stiamo inevitabilmente per affrontare sarà l’ottava annata siccitosa nei recenti 20 anni e la terza consecutiva, così da poterla difficilmente considerare un evento eccezionale, bensì un fatto ormai endemico almeno in alcune aree del Paese – commenta il Presidente di ANBI, Francesco Vincenzi – Per questo, chiediamo l’operatività del Piano Idrico Nazionale, prologo all’auspicato Ministero dell’Acqua già presente in Spagna. Vanno superati rapidamente gli ostacoli finanziari, ma soprattutto burocratici, all’avvio del Piano Laghetti: destinare un miliardo all’anno sarebbe già un segnale importante; basti pensare che, solo nel 2022, la siccità è costata 13 miliardi al sistema Paese, di cui 6 di mancata produzione agricola, penalizzando non solo il settore primario, ma l’obbiettivo della sovranità alimentare.”
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Codice della crisi d’impresa e insolvenza
Posted by fidest press agency su martedì, 21 febbraio 2023
Alla luce del nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza (CCII), le aziende sono indirettamente obbligate a dotarsi di adeguati assetti organizzativi per monitorare la propria sostenibilità finanziaria. inFinance sta offrendo una valutazione preliminare, gratuita, attraverso la quale le aziende possono valutare la propria situazione. “Il Codice della Crisi di impresa e dell’Insolvenza ha creato di fatto un nuovo modello di fare impresa che rende sostanzialmente obbligatorio dotarsi di quelle best practice che distinguono le aziende dotate di strumenti di controllo da quelle più orientate alla ‘navigazione a vista’”, spiega Ivan Fogliata, analista finanziario, formatore e consulente per inFinance. “Strumenti di controllo che permettono di leggere lo stato di salute dell’impresa e di valutare i futuri sviluppi del business, basandosi sui dati”. Il focus è sulla la capacità di un’azienda di sostenere i propri impegni finanziari, puntando a evitare situazioni di dimensioni del servizio del debito che vadano oltre le capacità di generazione di flusso di cassa operativo. Molti interlocutori oggi “impongono” all’impresa di rilevare i segnali di deterioramento previsti dal nuovo impianto normativo: organi di controllo quali il collegio sindacale, autorità fiscali e previdenziali hanno ruoli ispettivi e obblighi di segnalazione. A ciò si aggiungono gli intermediari finanziari che, tenuti a indicare variazioni degli andamenti, sono obbligati a richiedere piani finanziari ai sensi delle linee guida EBA, che vanno nello stesso senso dei dettami del nuovo impianto normativo. “Uno scenario a “tenaglia” che non consente più di rimandare lo sviluppo di adeguati assetti”, aggiunge Fogliata. Nella pratica, la valutazione proposta a titolo gratuito da inFinance avviene dopo la compilazione di una breve informativa, a seguito della quale l’azienda viene contattata per scendere nel merito e raccogliere la documentazione necessaria, che sarà analizzata dai consulenti di inFinance. In un confronto in presenza o in video-conferenza, verrà poi analizzato lo stato degli assetti organizzativi e tecnici. Dopo le dovute verifiche, si procederà alla stesura di un report che può rilevare la piena conformità oppure suggerire alcune implementazioni ai fini della compliance col codice della crisi di impresa e dell’insolvenza. Ricordiamo che, allo stesso fine, inFinance ha sviluppato un approfondito e incisivo corso digitale utile a comprendere e far proprio il nuovo Codice della Crisi di impresa e dell’Insolvenza, spiegando le novità della riforma e analizzando i richiesti assetti organizzativi e gli strumenti giuridici e di monitoraggio. Ma, sullo stesso tema, inFinance ha reso disponibile ad accesso gratuito anche un breve ma incisivo Webinar per comprendere e far proprio il nuovo Codice della Crisi dell’impresa e dell’Insolvenza, spiegando le novità della riforma. Infine, il 24 e 25 marzo, a Milano e online è in calendario un corso su questo delicato tema.
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Vendite al dettaglio specchio della crisi
Posted by fidest press agency su sabato, 11 febbraio 2023
Crescono in valore e calano in volume. Grazie alla rilevazione dell’Istat si evince che le vendite al dettaglio di dicembre sono lo specchio della realtà, cioè della crisi: si vende e si acquista di meno e i prodotti costano di più. E quel che colpisce di più è che il calo è dovuto alla diminuzione dei prodotti alimentari (-4,2%) non compensata dalla crescita degli altri prodotti (+1,9%). Eppure dicembre è il mese della abbuffate delle feste di fine anno… evidentemente ci si è abbuffati meno o in modo diverso. Siamo forse davanti ad uno di quei non-comuni casi in cui le statistiche reali collimano con quelle percepite. Quindi, il pane che costa mediamente un 20-30% in più e il fatto che al bar un té arriva a costare anche il doppio rispetto a 1,5 precedente, non sono solo percezioni, ma corrodono il nostro portafoglio.A dicembre, ovviamente, è ancora troppo presto per prendersela col governo che era tale da poco, ma se guardiamo a quanto lo stesso governo ha fatto durante il mese di gennaio, pur dovendo aspettare ancora un mese per saperlo con statistiche inoppugnabili, non ci sembra di essere strani se crediamo che abbia peggiorato la situazione (prezzi benzina, per esempio, che notoriamente condizionano le filiere di ogni prodotto,,, e non c’è riduzione del gas che tenga).Bene, siamo nel cuore della tempesta e non sappiamo se ne stiamo uscendo, Per ora prendiamo atto che il governo si dilania e impegna sul 41bis e su Sanremo mentre dà regali a pioggia a varie corporazioni che dovrebbero garantirgli il consenso elettorale (benzinai, taxisti, balneari). Vincenzo Donvito Maxia http://www.aduc.it
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