A cura di Tiffany Wilding, North American Economist di PIMCO. Tiffany Wilding, North American Economist di PIMCO, ha pubblicato il suo aggiornamento settimanale che offre analisi e ricerche sui temi economici che probabilmente influenzeranno i mercati. Ora che è stato raggiunto un accordo sul tetto del debito americano, molti investitori stanno rivolgendo la loro attenzione alla Federal Reserve statunitense. Una domanda frequente è se la Fed aumenterà nuovamente i tassi a giugno o luglio: Al momento in cui scriviamo, il mercato dei futures sui fed fund prevede una probabilità di circa il 60% di un rialzo di 25 punti base (bp) alla riunione di giugno. PIMCO ha sempre ritenuto che la Fed avrebbe mantenuto un atteggiamento di attesa dopo il rialzo di 25 punti base della riunione di maggio. Tuttavia, abbiamo anche sostenuto che l’incertezza sul percorso a breve termine sarebbe persistita, il che significa che la Fed avrebbe probabilmente fatto una pausa, ma avrebbe anche trasmesso segnali volti a far sì che i mercati continuassero a prevedere una certa probabilità di rialzo nella prossima riunione. Dopo tutto, la politica monetaria sembra avere una certa riflessività: Le condizioni finanziarie devono rimanere rigide oggi per ridurre l’inflazione in futuro.Ad oggi, sembra che i funzionari della Fed abbiano fatto il loro lavoro – alcuni direbbero forse troppo bene – perché il mercato obbligazionario è ora pienamente prezzato per un altro rialzo, molto probabilmente nella prossima riunione del 13-14 giugno, e la nostra misura di condizioni finanziarie più ampie si è ristretta fino al picco di fine ottobre 2022. Quindi perché i mercati stanno valutando un altro rialzo dei tassi? Sulla base di una serie temporale di futures sui fed funds, vediamo tre recenti dati rilasciati che hanno coinciso con il riprezzamento (vedi sotto). Tutti questi dati sono stati effettivamente solidi, ma non siamo convinti che avrebbero dovuto modificare in modo sostanziale le prospettive degli Stati Uniti per diversi motivi: 1. Rapporto sulle vendite al dettaglio negli Stati Uniti di aprile: I dati sono stati buoni, ma un fattore una tantum che ha probabilmente contribuito a tale forza è destinato ad annullarsi nella seconda metà di quest’anno. In particolare, il Tesoro degli Stati Uniti ha ritardato la scadenza del 15 aprile per il pagamento delle imposte per tutti coloro che si trovano in una zona disastrata dal punto di vista economico, che comprende circa il 97% dello stato della California. 2. Rapporto sull’inflazione nel Regno Unito di aprile: Anche questo dato è stato molto più solido del previsto. Tuttavia, a nostro avviso, l’inflazione britannica dovrebbe avere scarsa rilevanza per la politica monetaria statunitense. 3. Rapporto sui redditi e le spese degli Stati Uniti di aprile: Non possiamo essere certi del motivo per cui i futures sui fed funds abbiano reagito in modo così significativo a questo rapporto, perché la forza della spesa reale di aprile (e quindi il calo del tasso di risparmio) poteva essere dedotta dai dati sulle vendite al dettaglio e sulle vendite di autovetture di Wards, pubblicati in precedenza. Se si prescinde dai dettagli dei dati rilasciati di recente, un’altra spiegazione per la recente azione dei prezzi dei fed funds è la persistenza di un’inflazione elevata, mentre il mercato del lavoro statunitense è rimasto forte. Questo è corretto: il progresso dell’inflazione è stato lento, mentre la disoccupazione ha continuato a oscillare intorno ai minimi storici. La crescita mensile dei salari ha subito un rallentamento molto consistente, tanto che il miglior indicatore che abbiamo osservato per i guadagni dei salari del mese successivo è semplicemente una tendenza lineare al ribasso a partire dalla metà del 2021. Qual è il risultato? Non ci sembra che qualcuno degli 11 partecipanti al FOMC che si aspettavano un tasso terminale del 5,125% a marzo abbia cambiato idea. Inoltre, continuiamo a ritenere che i rischi di ribasso sulle prospettive di crescita degli Stati Uniti siano aumentati dopo lo stress del settore bancario di marzo (ad esempio, lo shock dei prezzi delle azioni bancarie statunitensi è persistito), poiché è probabile che gli strascichi economici pesino sull’economia statunitense e finiscano per moderare l’inflazione nei prossimi trimestri. Naturalmente, vi è incertezza circa l’entità del freno in presenza di fattori economici ancora positivi, tra cui l’eccesso di risparmio dei consumatori è il più citato. Tuttavia, mantenere una politica restrittiva, pur accennando a potenziali ulteriori rialzi, sembra ancora un buon compromesso. (abstract by http://www.verinieassociati.com)
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Comunicazione della Fed – Un eccesso di una cosa buona
Posted by fidest press agency su sabato, 3 giugno 2023
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Inflazione e disoccupazione rendono improbabile un taglio dei tassi nel 2023 da parte della Fed
Posted by fidest press agency su mercoledì, 24 Maggio 2023
Questa settimana i tassi di interesse sono saliti, in particolare nella parte anteriore delle curve di Stati Uniti, Regno Unito, Canada ed Europa, mentre gli investitori si sono confrontati con la realtà che le banche centrali potrebbero non soltanto essere lente a tagliare i tassi, ma alcune potrebbero addirittura proporre ulteriori rialzi. I dati economici incoraggiano un ripensamento del mercato obbligazionario, con le vendite al dettaglio statunitensi che hanno sorpreso al rialzo e l’inflazione canadese che è apparsa più solida di quanto sperato. Ma gli stessi banchieri centrali hanno anche pronunciato parole di cautela per gli operatori dei tassi.Il governatore della Banca d’Inghilterra Andrew Bailey ha avvertito che il Regno Unito è lontano dal suo obiettivo del 2%. Lorie Logan, membro votante del FOMC in qualità di Presidente della Fed di Dallas e precedentemente alla Fed di New York, temeva che il ritorno al 2% non avvenisse abbastanza rapidamente. Eppure, fino a poco tempo fa, i futures sulle obbligazioni statunitensi implicavano un punto percentuale di tagli entro gennaio 2024. Da quando la Fed ha iniziato a fissare esplicitamente l’obiettivo del tasso sui fed funds, non ha mai tagliato i tassi quando l’inflazione era così al di sopra del suo obiettivo. Inoltre, con il tasso di disoccupazione ben al di sotto delle stime del tasso naturale, continuiamo a ritenere altamente improbabile la prospettiva di tagli dei tassi nel 2023.
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Una pausa nel ciclo di rialzi Fed a partire da giugno potrebbe essere prolungata
Posted by fidest press agency su martedì, 16 Maggio 2023
A cura di Flora Dishnica, Investment Manager di Pictet Asset Management. Dopo un primo trimestre alquanto movimentato, il mese di aprile è stato sorprendentemente calmo, sia per i mercati azionari sia per quelli obbligazionari. Rimane, invece, complesso e ricco di sfumature il quadro macroeconomico. Le tensioni nel sistema bancario statunitense non risultano ancora esaurite, seppur circoscritte nell’ambito delle banche regionali, contesto che al momento rimane più che gestibile, come dimostrato dalla recente acquisizione di First Republic da parte di JPMorgan e il susseguirsi di notizie su possibili operazioni strategiche o di interventi sul capitale di altre banche regionali di minore importanza. L’inizio di maggio prevedeva altresì importanti appuntamenti sul fronte macroeconomico. La Fed ha effettuato, come da attese, quello che sembra poter essere l’ultimo rialzo di questo ciclo, sicuramente memorabile per la sua rapidità: ha portato il tasso di riferimento al 5,25% per un totale di 500 punti base in poco più di anno da marzo 2022. Il messaggio di Powell ha cercato di essere il meno vincolante possibile su giugno, concedendo la possibilità di una pausa, ma rimarcando al contempo il principio di “data dependency”, quindi di dipendenza delle future decisioni dai dati che saranno pubblicati. Ritiene tuttavia inverosimili i tagli prezzati dal mercato. Considerando la solidità del mercato del lavoro, oltre mezzo punto nella seconda parte di quest’anno e un altro punto e mezzo nel 2024, condividiamo la sensazione che la pausa, se confermata come possibile già a giugno, sarà probabilmente prolungata. Infatti, il terminal rate è lievemente più basso di quanto si pensasse a fine febbraio, ridimensionato a causa del rischio bancario, non per questo però i tagli seguiranno rapidamente, a meno che non vi sia una decisa restrizione del credito. Questo diventerà chiaro solo nei prossimi mesi. L’inflazione sta rientrando, ma a un ritmo ancora lento sulla componente dei servizi core, quelle più sensibili alle dinamiche del mercato del lavoro. Il surriscaldamento dei mesi passati sembra rientrare, infatti, rallenta il ritmo delle nuove posizioni aperte e il tasso delle dimissioni volontarie. L’economia però continua ad aggiungere nuovi occupati, più di 250.000 ad aprile, seppur confermando il rallentamento della media degli ultimi tre mesi. Sui salari si conferma la tendenza meno convincente degli ultimi mesi, dopo il rientro dai picchi del 2022, per ora si viaggia intorno al 4.4% annuale: è stato questo l’aumento di aprile degli Average Hourly Earnings. Nel primo trimestre, la crescita era buona, meno delle attese per via delle scorte, ma ancora ben sostenuta dai consumi. L’indicatore di fiducia sul lato servizi arresta per ora la forte discesa dei mesi scorsi, mentre si conferma il rallentamento del manifatturiero. Nel complesso, la tenuta dell’economia è incoraggiante, indubbiamente in rallentamento senza però mostrare i segnali di una recessione imminente, a conferma della plausibilità di una prossima pausa per la Fed senza tagli per quest’anno. Il prossimo mese, inoltre, vedrà sempre più protagonista il tema del tetto del debito e la necessità per il Congresso degli Stati Uniti di trovare un accordo sul livello in vista del raggiungimento del vincolo tecnico, possibilmente già i primi di giugno. Questa è la stima conservativa comunicata dal Tesoro. Molto spesso quest’accordo risulta da negoziazioni di natura politica e non di natura economica e arriva a ridosso della scadenza, causando non poca volatilità sui mercati.
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Amchor IS: la Fed alza di 25pb e si avvia verso una pausa
Posted by fidest press agency su venerdì, 5 Maggio 2023
A cura di Álvaro Sanmartín, Chief Economist, Amchor IS. La Fed ha alzato i tassi di 25 punti base (a un intervallo compreso tra il 5 e il 5,25%), in linea con le aspettative. Allo stesso tempo, la mia interpretazione della dichiarazione e delle parole di Powell durante la conferenza stampa è che, d’ora in poi e salvo sorprese macro significative, la Fed metterà in pausa i rialzi probabilmente per un periodo di tempo ragionevolmente lungo. Secondo le parole di Powell, dato che la politica monetaria è riuscita a raggiungere un orientamento sufficientemente restrittivo, la Fed vuole ora prendersi una pausa e concentrarsi sull’osservazione degli effetti dei rialzi già effettuati, considerando che la politica monetaria produce effetti con un certo ritardo e sapendo anche che ciò che sta accadendo con le banche negli Stati Uniti potrebbe inasprire le condizioni finanziarie, al di là di quanto causato dalla politica monetaria stessa. Guardando avanti, la Fed ritiene che l’inflazione scenderà molto probabilmente in modo relativamente lento e quindi nel suo scenario centrale non prevede tagli dei tassi quest’anno. Di fatto, nell’ambito di un approccio “riunione per riunione”, la Fed non esclude la possibilità di ulteriori rialzi dei tassi nei prossimi mesi, se l’inflazione si dimostrerà ancora più persistente di quanto attualmente scontato. Per il resto, Powell ritiene che molto probabilmente gli Stati Uniti riusciranno a evitare la recessione.Il mio scenario centrale rimane quello di una Fed che manterrà i tassi al livello attuale per un periodo di tempo prolungato, in modo da controllare progressivamente l’inflazione. Continuo a ritenere che i fondamentali della domanda aggregata rimangano forti e che ciò richieda tassi ragionevolmente elevati mantenuti per un periodo sufficientemente lungo da contenere la forza della domanda e quindi moderare i prezzi (in termini più concreti, trovo molto difficile che i tassi vengano tagliati quest’anno). In termini di attività economica, continuo a non aspettarmi una recessione negli Stati Uniti, a meno che non si verifichi un altro shock. In questo senso, mi sembra di capire che il tetto del debito alla fine verrà alzato, ma è probabile che generi rumore nelle prossime settimane.
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Fed: hike in May and go away?
Posted by fidest press agency su venerdì, 5 Maggio 2023
A cura di Martina Daga, Junior Macro Economist. La Fed ha deciso di alzare di 25bp il target dei Fed funds rate, portandolo così ad un range compreso tra 5% e 5.25%, ad un livello consistente con il terminal rate indicato a marzo nelle proiezioni macroeconomiche. Il comunicato stampa cambia retorica e non anticipa più ulteriori misure di inasprimento di politica monetaria, ma il comitato mantiene la maggiore flessibilità possibile e valuterà se ulteriori misure siano necessarie. La guidance lascia, quindi, intuire una possibile pausa in questo ciclo di rialzi, senza tuttavia chiudere ad ulteriori aumenti, qualora necessari. Tono dovish, quindi, ma attenzione ai prossimi dati: nonostante, il tono della conferenza stampa suggerisca che, dopo 500bp complessivi di aumenti in circa un anno, il FOMC sia pronto ad una pausa nei rialzi, l’approccio rimane completamente data-dependent e non si escludono ulteriori aumenti. È stata posta molta enfasi sull’irrigidimento delle condizioni di credito e sull’effetto, la cui misura per il momento non è ancora calcolabile, sulle attività economiche, sull’occupazione e sull’inflazione. I commenti di Powell alla conferenza stampa hanno anche sottolineato che è probabile che le condizioni di prestito bancario si restringano ulteriormente in risposta alle recenti tensioni nel settore bancario. Questi commenti possono essere interpretati come un suggerimento che i dati del 1Q 2023 del Senior Loan Officer Opinion Survey (SLOOS) che verrà pubblicato lunedì 8 maggio, potrebbero mostrare un significativo inasprimento delle condizioni creditizie.Le aspettative di inflazione dei consumatori, misurate dal sondaggio ai consumatori della University of Michigan, ad aprile mostrano che nel lungo termine le aspettative di inflazione rimangono ancorate intorno al target di inflazione, e nel breve periodo, dopo essere passate da 4.1% a febbraio a 3.6% a marzo, probabilmente riflettendo i timori di recessione a seguito delle turbolenze della Silicon Valley Bank, sono risalite inaspettatamente di 1 pp al 4.6% ad aprile tornando ai livelli di fine 2022. Il valore dell’inflazione headline negli Stati Uniti sta rallentando, mentre l’inflazione core mostra segni di persistenza, in particolare nella componente dei servizi. Questa è sostenuta dalle dinamiche del mercato del lavoro. Gli ultimi dati pubblicati indicano da un lato un allentamento della domanda, i Job Openings di aprile (9.59 mln) segnano una riduzione rispetto al mese precedente, è il secondo mese consecutivo che le nuove offerte di lavoro rimangono sotto la soglia di 10 mln e lontano dal picco di marzo 2022 (12 mln), portando così il rapporto tra le offerte di lavoro per ciascun disoccupato a 1.64, la domanda di lavoro è ancora molto superiore all’offerta, ma inizia a segnalare un rallentamento. Dall’altro lato, il costo del lavoro rimane ancora sostenuto, l’Employment Cost Index, che trimestralmente traccia l’aumento della compensazione totale dei dipendenti, indica una crescita più alta delle attese, nel Q1 2023 segna una crescita pari a 1.2%, dopo un aumento di 1.1% nell’ultimo trimestre del 2022. La crescita del primo trimestre del 2023 annualizzata pari a 4.7% è ancora troppo alta per essere consistente con il target di inflazione al 2% della Fed.Powell, commentando il fatto che il mercato stia già prezzando tagli a partire dalla seconda metà di questo anno, ha affermato che, alle condizioni attuali, il FOMC si aspetta che l’inflazione scenda verso il target, ma molto lentamente. È prematuro parlare di tagli prima che arrivino chiari segnali che la domanda di consumi stia scendendo e che il mercato del lavoro, dove la domanda di lavoratori è ancora troppo alta, non abbia mostrato segni di un raffreddamento. Lo scenario attuale non ha le condizioni per iniziare con i tagli, ma l’ipotesi non è nemmeno stata fermamente rigettata.
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PIMCO: Commento in vista del meeting della FED
Posted by fidest press agency su giovedì, 4 Maggio 2023
A cura di Tiffany Wilding, North American Economist di PIMCO. – La Federal Reserve rilascerà una nuova dichiarazione mercoledì alle 20:00. Ci aspettiamo un aumento di 25 punti base dei tassi di interesse; al contempo, ci attendiamo che la Fed lasci intendere una pausa da ulteriori rialzi dei tassi, dati permettendo. – Riteniamo che la Fed possa fare ciò cambiando la forward guidance passando da “qualche politica aggiuntiva di consolidamento” a qualcosa del tipo “politiche aggiuntive di consolidamento”, che le consentirebbe di dare un segnale di pausa pur mantenendo un orientamento all’inasprimento. Riteniamo che il presidente Powell dovrà trovare un difficile equilibrio durante la conferenza stampa, ma alla fine ci aspettiamo che appaia come una “pausa da falco”. Le ricadute dello stress del settore bancario sono incerte, mentre l’inflazione e i salari si sono dimostrati persistenti dopo la riunione del Federal Open Market Committee (FOMC) di marzo. Il risultato è che il comitato è più diviso sulla prossima mossa della Fed di quanto non lo sia stato in diversi trimestri. A nostro avviso, per avere il tempo di valutare l’impatto, il compromesso più probabile è prepararsi a una pausa, condizionata però dai dati in arrivo e mantenendo una maggiore propensione al rialzo per la prossima mossa dell’istituto centrale.
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Commento post meeting FED
Posted by fidest press agency su sabato, 25 marzo 2023
A cura di Dave Chappell, Senior Fixed Income Portfolio Manager di Columbia Threadneedle Investments. La Fed sta girando intorno alla pista di atterraggio, preparandosi ad atterrare in questo ciclo di inasprimento storicamente aggressivo. Le recenti turbolenze hanno ostacolato quello che sembrava un atterraggio morbido, suggerendo inizialmente un volo più lungo, mentre ora la pista di atterraggio appare illuminata. Il “punto” mediano è rimasto invariato rispetto a dicembre, anche se Powell aveva sostenuto dinanzi al Congresso una maggiore probabilità di un aumento dei tassi terminali, pochi giorni prima del fallimento della SVB. Tuttavia, l’atteso ulteriore inasprimento degli standard di prestito, causato dagli attuali problemi bancari, andrà ad aggiungersi al rapido inasprimento della Fed sostenuto fino ad oggi, i cui effetti si faranno sentire sull’economia reale nei prossimi mesi/trimestri. I mercati hanno lanciato avvertimenti rispetto a un possibile errore politico per mesi, e i servizi di salvataggio restano quindi in attesa per quello che potrebbe ancora rivelarsi un percorso accidentato. Fonte: http://www.columbiathreadneedle.it
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Fed e BoE rialzano i tassi di 25 pb
Posted by fidest press agency su sabato, 25 marzo 2023
A cura di Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm. Con un rialzo di 25 punti base, la Bank of England, analogamente alla Federal Reserve, alla Swiss National Bank e alla Norge Bank, continua a dare priorità alla lotta all’inflazione e opta per l’undicesimo aumento consecutivo dei tassi che, seppur ampiamente previsto alla luce del dato sull’inflazione britannica di ieri superiore alle attese (10,4%) e del target del 2%, può essere un segnale di fiducia nel sistema finanziario, in grado di superare le recenti turbolenze che hanno scosso il settore bancario. Nonostante il dato shock di ieri, quindi, la BoE è convinta che nel corso dell’anno si assisterà a una riduzione significativa dell’inflazione, dovuta ad un calo sostanziale dei prezzi di gas e petrolio e all’attenuazione delle limitazioni dell’offerta.Anche la Fed ha chiarito che la lotta all’inflazione resta la priorità assoluta, nonostante le recenti turbolenze che hanno scosso il settore bancario e portato al secondo più grave fallimento di un istituto bancario nella storia degli Stati Uniti. Il presidente della Fed ha chiarito nel dettaglio la sua posizione, affermando che un ulteriore inasprimento potrebbe essere all’orizzonte e che per quest’anno non è previsto un taglio dei tassi, anche se al momento gli operatori del mercato obbligazionario puntano sul contrario. La Fed, così come le principali banche centrali, è netta nel ritenere che la crisi del settore bancario non rappresenti un rischio per il sistema finanziario globale e mostra piena fiducia negli elevati standard di capitale e di liquidità che sono in vigore oggi rispetto al 2008.
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PIMCO: la Fed e i fallimenti delle banche
Posted by fidest press agency su sabato, 18 marzo 2023
A cura di Tiffany Wilding, North American Economist di PIMCO. La strategia di politica monetaria della Federal Reserve ricorda il principio della rana bollita, ovvero la capacità di adattarsi a situazioni spiacevoli e deleterie senza reagire, se non quando ormai è troppo tardi. SVB era una banca di medie dimensioni con una forte esposizione alle startup tecnologiche, compresa un’ampia concentrazione di raccolta di depositi attraverso conti di deposito istituzionali, e con significative perdite non realizzate su un portafoglio di titoli garantiti da ipoteche agency e governativi, che è stata costretta a realizzare quando ha venduto asset per finanziare i deflussi di depositi. Le perdite non realizzate sui titoli detenuti da SVB sono state superiori al suo coefficiente Common Equity Tier 1 e i correntisti hanno perso fiducia nella capacità della banca di rimborsare i 175 miliardi di dollari di depositi (al 31 dicembre 2022), la maggior parte dei quali non era coperta dall’assicurazione FDIC. Di conseguenza, giovedì scorso i correntisti hanno ritirato 42 miliardi di dollari in depositi e venerdì la banca è stata rilevata dalle autorità di regolamentazione dello Stato della California, che hanno nominato la FDIC (Federal Deposit Insurance Corporation) come curatore fallimentare. Il fallimento di SVB ha contribuito a un più ampio sell-off dei prezzi dei titoli bancari, in particolare di altre banche regionali statunitensi. Di certo, SVB era per molti aspetti una banca unica nel suo genere. Altre banche regionali di dimensioni simili non hanno concentrazioni simili di depositi di investitori istituzionali non assicurati, il che implica che i loro “deposit betas” – l’aumento del tasso di interesse che sono costrette a pagare sui depositi quando la Fed aumenta i tassi – sono più bassi. Inoltre, non hanno concentrazioni simili di perdite non realizzate nei portafogli titoli rispetto al coefficiente Common Equity Tier 1. Di conseguenza, se fossero costrette a vendere titoli per finanziare i deflussi dai depositi, disporrebbero di riserve di capitale più ampie per far fronte a eventuali perdite forzate. Inoltre, riteniamo che le grandi banche di importanza sistemica americane, che devono rispettare il Dodd-Frank Act e sono soggette a regolari stress test di liquidità e di capitale, siano finanziariamente solide e meno vulnerabili a una fuga di depositi. In effetti, negli ultimi giorni molte delle banche più grandi hanno registrato un afflusso netto di depositi. Poiché il credito in essere a livello economico è una variabile di stock e il PIL è una variabile di flusso, è il flusso di credito che conta per il PIL. Le variazioni del flusso di credito – ciò che gli economisti chiamano impulso creditizio – sono ciò che conta per la crescita del PIL reale. Ci sono ottime ragioni per credere che la crescita del credito, che stava già rallentando, rallenterà ancora di più come risultato diretto dei recenti eventi, nonostante le misure adottate dai funzionari governativi e dalla Fed.In primo luogo, le banche regionali, le cui quotazioni azionarie erano in forte ribasso al momento della stesura del presente documento, saranno probabilmente più avverse al rischio, almeno nel breve periodo, finché la situazione non sarà più chiara e la volatilità non si sarà attenuata. Molte di queste banche sono ancora a rischio di deflusso di depositi verso le banche più grandi. Durante il fine settimana la FDIC ha annunciato la garanzia di tutti i depositi non assicurati di SVB e Signature Bank; non ha garantito tutti i depositi non assicurati del sistema bancario (né può farlo in base all’autorità esistente, il che significa che sarebbe necessaria una legge del Congresso). L’ampiezza di una garanzia esplicita di tutti i depositi non assicurati richiederebbe una legge del Congresso. Inoltre, secondo la Fed, le banche piccole rappresentano circa la metà del totale delle attività bancarie nazionali, un terzo dei prestiti commerciali e industriali in essere e la metà dei prestiti immobiliari. È difficile credere che queste banche, temendo un potenziale brusco deflusso di depositi, non inaspriscano i propri standard di prestito e non rallentino l’erogazione del credito come conseguenza diretta.In secondo luogo, e in relazione a ciò, la regolamentazione bancaria per le banche regionali è potenzialmente destinata a diventare più severa. Nel 2018 è stato approvato un disegno di legge (S. 2155) su base bipartisan che ha ridotto molti dei requisiti Dodd-Frank per le banche di piccole e medie dimensioni in termini di liquidità e capitale. Non si può dare la colpa di tutto alla riduzione della regolamentazione. La Fed ha avuto un certo margine di manovra nell’attuazione, e la sorveglianza ha probabilmente giocato un ruolo. Di conseguenza, è probabile che la Fed inasprisca gli standard normativi per le grandi banche regionali, laddove è possibile (in particolare per le banche con asset superiori a 100 miliardi di dollari), riducendo la loro capacità e volontà di effettuare alcuni dei prestiti più rischiosi che le banche più grandi che hanno dovuto rispettare la Dodd-Frank non hanno voluto concedere.In terzo luogo, supponendo che la risposta politica sia sufficiente a stabilizzare la fiducia e le basi dei depositi delle banche regionali nel breve termine, le politiche annunciate finora non affrontano la questione centrale, ovvero che gli investitori possono ottenere rendimenti più elevati in uno strumento di investimento a rischio inferiore con un fondo monetario in titoli di Stato, che ha accesso alla Reverse Repo Facility (RRP) della Fed. Facendo un passo indietro, i tassi sui depositi bancari sono rimasti indietro rispetto all’aumento del tasso sui fed funds, rendendo gli investimenti in fondi monetari più redditizi dei depositi bancari. Tuttavia, l’aumento degli interessi pagati sui depositi non è privo di costi. Nel caso di base, ridurrà il margine di interesse netto e contribuirà alla volatilità dei prezzi delle azioni. Nel peggiore dei casi, l’aumento dei tassi sui depositi potrebbe rendere alcune banche non redditizie, in quanto pagano per i depositi più del rendimento che ottengono dai titoli e dai prestiti accumulati negli ultimi due o tre anni. Alcune banche potrebbero cercare di difendere i propri margini di interesse netti aumentando il tasso di interesse sui prestiti. Oppure, se le banche sono price-taker sul mercato dei prestiti, potrebbero avere una minore propensione a erogare prestiti che ora sono meno redditizi a fronte dell’assunzione dello stesso rischio di credito. In ogni caso, ciò dovrebbe rallentare la crescita dei prestiti.In quarto luogo, anche prima di tutto ciò, gli standard di credito bancario si stavano irrigidendo e la crescita dei prestiti stava rallentando a causa dell’inasprimento delle condizioni monetarie. La politica monetaria agisce con dei ritardi, e gli effetti ritardati dell’inasprimento materiale delle condizioni finanziarie da parte della Fed l’anno scorso stavano contemporaneamente avendo un effetto maggiore sull’economia e sulle condizioni finanziarie. L’episodio di SVB ha rivelato che l’economia è effettivamente sensibile ai tassi di interesse e che le condizioni di politica monetaria sono effettivamente rigide e hanno un effetto sui segmenti più rischiosi del mercato. Quinto, con il rischio di recessione in aumento, è difficile credere che non ci saranno implicazioni per i mercati del debito privato in generale, tra cui un minore afflusso di denaro in questo spazio. Nell’ultimo decennio molti finanziamenti sono usciti dai mercati pubblici, in quanto l’inasprimento della regolamentazione per le grandi banche ha reso l’attività meno allettante. I mercati del debito privato sono esplosi in percentuale del PIL negli ultimi anni – passando da circa il 5% del PIL nel 2016 a circa il 10% attuale (circa 2.500 miliardi di dollari) – con rapporti con l’economia e i mercati finanziari molto meno trasparenti. Se da un lato le società di venture capital che detenevano i depositi operativi presso SVB saranno ripagate per finanziare le esigenze di capitale circolante, dall’altro l’evento solleva interrogativi sugli altri tipi di rischio che potrebbero nascondersi in questi mercati. La maggior parte delle strutture di debito del mercato privato sono a tasso variabile, con coperture limitate dei tassi d’interesse, e tendono a essere utilizzate da società che hanno una leva finanziaria elevata e sono più sensibili ai cicli economici. Se i mercati finanziari pubblici possono essere dominati dalle società a grande capitalizzazione, le piccole e medie imprese che tendono a contrarre prestiti dalle banche e sui mercati privati dominano l’economia reale, rappresentando circa la metà dell’occupazione totale degli Stati Uniti. In generale, le banche potrebbero essere ben capitalizzate, ma il rischio di fuga dei depositi è ancora presente, in quanto esse devono competere con i fondi monetari che offrono rendimenti più elevati e accesso all’RRP della Fed. Di conseguenza, è difficile immaginare che non inaspriscano gli standard di prestito e non rallentino la crescita dei prestiti. Per la crescita economica e l’inflazione, è la crescita del credito ciò che conta in termini reali.Tutto ciò significa che la Fed deve fare meno fatica per arrivare allo stesso risultato: le condizioni finanziarie rigide stanno rallentando la creazione di credito e finiranno per rallentare l’inflazione. Di conseguenza, la domanda da porsi non è se la Fed aumenterà di 50 o 25 punti base nella riunione di marzo. La domanda è piuttosto: il ciclo di rialzo dei tassi della Fed è finito? (abstract by http://www.verinieassociati.com)
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GAM: Come cambia la politica monetaria della Fed con il fallimento della SV Bank
Posted by fidest press agency su giovedì, 16 marzo 2023
A cura di Carlo Benetti, Market Specialist di GAM (Italia) SGR. Nell’Eurozona l’inflazione scende con lentezza mentre sorprende l’inflazione “core”, in febbraio ha accelerato a 5,6%. L’inflazione si fa “appiccicosa” anche da noi e corrobora l’idea di una Banca Centrale Europea che nella prossima riunione aumenterà i tassi nella misura di cinquanta punti base.Negli Stati Uniti le carte sono rimescolate dal dato sul lavoro. Le aspettative erano di un incremento mensile di 225.000, i nuovi occupati non agricoli sono stati oltre 311.000. Aumentano i posti di lavoro, aumentano (meno del previsto) le retribuzioni orarie medie, mancano 3,5 milioni di lavoratori rispetto alle proiezioni pre-Covid19, segnali di un’attività economica lontana dal raffreddamento, l’inflazione è ancora pericolosa.Il mercato del lavoro resta forte ma l’economia americana dà segni di rallentamento, è calato il Pil reale del quarto trimestre del 2022, 2,7% rispetto al 3,2% del trimestre precedente (tasso annuo), il settore manifatturiero ha messo in fila quattro mesi consecutivi dell’indice ISM sotto il valore di 50. Un’altra sfumatura di grigio è la fiducia dei consumatori misurata dall’Università del Michigan: dopo una costante diminuzione nel 2022, ha ripreso a salire nel febbraio 2023, è al livello più alto da oltre un anno ma i valori sono ancora prossimi a quelli del 2008 e 2009.La “carta matta” che potrebbe cambiare il gioco è il crollo della Silicon Valley Bank, le autorità federali ne hanno chiuso l’attività venerdì e nuove decisioni sono attese lunedì mattina. Una banca tra le più attive nella regione e nel settore più avanzati del pianeta è stata travolta dalla più antica delle maledizioni bancarie, la corsa agli sportelli. Al di là dei dettagli, la domanda nella testa di tutti riguarda le possibili conseguenze sistemiche.La banca ha avuto un ruolo centrale nel supporto finanziario alla crescita delle aziende della Silicon Valley, alle giovani start-up come alle blasonate società degli acronimi. Il più grande fallimento bancario americano dal 2008 travolge un istituto presente nella metà delle start-up tecnologiche dell’area, un esperto del settore lancia l’allarme, le start-up della Silicon Valley potrebbero trovarsi di fronte a un “evento di livello estintivo”.Il rischio del contagio sistemico, per quanto si possa presumere con le informazioni disponibili, non sembra probabile. Dal 2008 il sistema di regole, gli standard regolamentari e la robustezza patrimoniale del sistema finanziario sono molto migliori. Lo spread FRA-OIS a tre mesi (Forward Rate Agreement-Overnight Index Swap, affidabile indicatore delle tensioni sui finanziamenti interbancari) si è ampliato venerdì ma non segnala una situazione anomala.La Silicon Valley Bank si è trovata al crocevia di tre diverse alterazioni di stato: le svalutazioni del portafoglio obbligazionario che ha innestato la corsa agli sportelli, le difficoltà delle aziende tecnologiche, le criptovalute. I mercati hanno reagito al dato sul lavoro e alla vicenda della banca californiana con vistosi cali, gli operatori hanno rivalutato l’intensità della stretta monetaria, le difficoltà del sistema bancario potrebbero incrinare la determinazione della Fed, intrappolata tra due obiettivi divergenti, la tutela della stabilità finanziaria e la lotta all’inflazione.Per gli investitori le dinamiche dei tassi restano la bussola delle scelte allocative, se non scenderanno l’attrazione relativa delle attività rischiose resterà indietro rispetto alle obbligazioni.Le carte sul tavolo sono scompaginate, al netto della vicenda SVB restano cruciali l’andamento del mercato del lavoro e dell’inflazione, sulla quale le previsioni sono sempre azzardate. (abstract by http://www.verinieassociati.com)
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T. Rowe Price: I dati sui payroll USA di oggi e le implicazioni per la traiettoria della Fed
Posted by fidest press agency su sabato, 11 marzo 2023
A cura di Blerina Uruci, Chief US Economist, T. Rowe Price. I dati sul mercato del lavoro pubblicati questa settimana hanno assunto un’importanza insolita dopo il discorso di Powell al Congresso con un messaggio che ha aperto la porta a un aumento del ritmo di inasprimento della politica monetaria. Quest’ultimo aspetto dà ancora più importanza ai dati sulle retribuzioni di oggi. I posti di lavoro vacanti sono leggermente diminuiti a gennaio, ma partivano da un livello elevato (e rivisto al rialzo). Il numero di posti vacanti per lavoratori disoccupati, pari a 1,9, è vicino al picco del 2022 e indica una continua rigidità del mercato del lavoro. Recentemente ho messo in evidenza il tasso di abbandono del lavoro: un calo sarebbe coerente con una maggiore preoccupazione dei lavoratori per la loro capacità di trovare un impiego. Questa misura è scesa per il terzo mese consecutivo, suggerendo una attenuazione della fiducia, sebbene il tasso di assunzione sia stabile e non sia peggiorato ulteriormente. Il rapporto sull’occupazione ADP di febbraio ha battuto le aspettative e gennaio è stato leggermente rivisto al rialzo. Ricordiamo che i dati ADP non cercano più di replicare la metodologia dei payroll e non è possibile fare confronti diretti. Tuttavia, i dati forniscono un ulteriore punto di riferimento che suggerisce che l’attività e il mercato del lavoro hanno continuato ad essere solidi a febbraio. Le richieste di indennizzo per la prima settimana di marzo sono leggermente aumentate, ma sono ai minimi storici, il che suggerisce che il mercato del lavoro rimane rigido. Ci si chiede quando e se i licenziamenti nel settore tecnologico cominceranno a comparire nei dati e sembra sempre più probabile che, in tal caso, accadrebbe dopo il primo trimestre. Secondo l’indagine Challenger, a febbraio si è registrato un ulteriore aumento dei tagli di posti di lavoro, di cui circa un quarto proveniente dal settore tecnologico. Ma ci sono stati licenziamenti anche nel settore sanitario. Ciò suggerisce che i dati sulle richieste di risarcimento aumenteranno nelle prossime settimane. Anche le intenzioni di assunzione sono diminuite significativamente secondo il sondaggio Challenger, e questo tende a essere un segnale ancora più preoccupante. Implicazioni per la Fed: La mia ipotesi, dopo la conferenza stampa di febbraio, era che l’asticella per la reintroduzione di rialzi di 50pb da parte della Fed sarebbe stata molto alta, dato che la sua strategia politica si era spostata su un ritmo di inasprimento più lento. Ritenevo che la Fed avesse bisogno di ulteriori prove di conferma rispetto a quelle disponibili per la riunione di marzo. Il messaggio di Powell alle audizioni al Congresso di questa settimana indica che l’asticella è più bassa e sembra che il presidente voglia che il mercato prenda più seriamente la possibilità di un rialzo di 50pb nel breve termine. È inoltre importante che questo messaggio sia emerso con forza nella dichiarazione scritta, a dimostrazione di un tentativo deliberato di gestire le aspettative sulle mosse politiche a breve termine.All’inizio della sua seconda testimonianza, Powell ha ricevuto una domanda diretta sulla riunione di marzo. Non si è sbilanciato sulla possibilità di un rialzo di 50pb a marzo. Ha sottolineato che i dati JOLTS, Payrolls, CPI e PPI forniranno informazioni importanti prima che il FOMC decida l’esito della riunione. Ha menzionato l’effetto dei dati sull’occupazione, ma ha anche sottolineato che la maggior parte degli indicatori economici puntano in direzione di un miglioramento dell’economia su larga scala. Credo che questa sia stata una risposta da falco.Penso che una volta passati a 50pb, molto probabilmente, questo diventerà il nuovo ritmo per le prossime due riunioni, il che ci porterebbe al 5,75% entro la riunione di maggio (non di luglio). In questo caso il nuovo tasso terminale sarebbe, a mio avviso, pari o leggermente superiore al 6%, ma naturalmente sarà necessario risolvere i problemi del tetto del debito per arrivarci. Un rialzo di 50pb a marzo dovrebbe comportare anche una maggiore revisione dei dot plot 2023 nel riepilogo delle proiezioni economiche, ma il numero di tagli per il 2024 rimarrà probabilmente invariato.
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La Fed, i tassi e le crisi dei Paesi emergenti
Posted by fidest press agency su lunedì, 6 marzo 2023
Di Mario Lettieri e Paolo Raimondi. Il continuo aumento dei tassi d’interesse da parte della Fed, seguito a ruota dalla Bce, sta avendo conseguenze catastrofiche soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Ciò ha spinto i capitali a lasciare questi Paesi e ha deprezzato le loro valute rispetto al dollaro. Ovvia conseguenza è l’aumento dei prezzi delle commodity, del costo delle importazioni, anche dei beni di sussistenza. Inoltre, l’enorme crescita del costo del debito li ha resi incapaci di far fronte al pagamento degli interessi. Si aggiunge una specifica situazione della Cina. Oltre agli effetti economici della pandemia, le sanzioni imposte a Pechino non colpiscono solo la Cina ma anche quei Paesi connessi alla sua “catena di approvvigionamenti”. Le merci cinesi che vanno nel resto del mondo non sono prodotte esclusivamente in Cina, ma soprattutto nei Paesi dell’Asia e dell’Africa che fanno parte della sua filiera produttiva. Il “World economic outlook” di gennaio 2023 del Fmi stima che il 15% dei Paesi a basso reddito sia in difficoltà debitoria, un altro 45% sia ad alto rischio di sofferenza e il 25% delle economie dei mercati emergenti sia anch’esso ad alto rischio. L’ultimo rapporto della Banca Mondiale rileva che alla fine del 2024 il pil dei Paesi emergenti e di quelli in via di sviluppo resterebbe del 6% sotto di quello registrato prima della pandemia. Per loro si prevedono un lungo periodo di debiti crescenti e pochi investimenti. I capitali, infatti, saranno assorbiti dalle economie avanzate a loro volta colpite da tassi e debiti alti. Per 37 Paesi poveri la situazione sarà molto peggiore. Nell’Africa sub – sahariana si stima un aumento del tasso di povertà assoluta nel biennio 2023-4.Il vero problema, soprattutto per noi occidentali, è che si prendono iniziative prettamente geopolitiche legate alla sicurezza e alla forza militare, spesso senza valutarne le conseguenze economiche e sociali in altre parti del mondo. Gli effetti impattano i Paesi geograficamente lontani ma poi si riverberano in casa nostra. Di solito, quando i governi sono costretti a ridurre i bilanci, tagliano le spese sociali. Ciò porta all’instabilità politica e a rivolte popolari. Globalmente siamo di fronte a delle situazioni peggiori di quanto sperimentato, a cavallo del primo decennio di questo secolo, quando la speculazione sui beni alimentari ha mischiato l’inflazione con le cosiddette “primavere arabe”. Il Libano, ad esempio, sta affrontando ciò che la Banca mondiale ha descritto come “tra le crisi più gravi a livello globale dalla metà del XIX secolo”. Dal 2019 la moneta ha perso il 98% del suo valore. In Iraq, le proteste sono scoppiate a Baghdad per il crollo del dinaro, la valuta irachena. In Egitto, il valore della sterlina egiziana in un anno si è dimezzato mentre i prezzi sono aumentati. L’anno scorso lo Sri Lanka, nel mezzo di rivolte sociali, è stato inadempiente per la prima volta nella sua storia. Oggi le autorità hanno aumentato il prezzo dell’elettricità del 66% nel tentativo di ottenere un salvataggio dal Fmi. Il Pakistan sta affrontando la sua peggiore crisi economica, con mancanze di gas, interruzioni di corrente, aumenti dei prezzi. In Argentina, l’inflazione ha raggiunto, di nuovo, quasi il 100% su base annua.Alti tassi e inflazione sono un mix esplosivo. Il caso dell’Argentina è emblematico, dove il tasso della banca centrale è salito dal 35% di un anno fa al 75% di oggi. Allora la pensione media era di 450 dollari al mese, oggi è di 150. L’aumento del tasso d’interesse della Fed ha spinto anche quello della banca centrale del Brasile dal 10,7% di un anno fa al 13,75% di oggi. In Messico, il tasso d’interesse è quasi raddoppiato, passando dal 6% all’11,25%. Il tasso d’interesse della Nigeria è aumentato dall’11,5% al 17,5%, l’inflazione è del 22%.Il mondo sta pagando un altissimo prezzo. Le cause, secondo noi, sono l’acquiescenza della Fed di fronte a una finanza aggressiva, i suoi errori di valutazione e i suoi mancati interventi. Non è un caso che, come per la cecità dimostrata alla vigilia della grande crisi finanziaria del 2008, oggi, fino all’ultimo minuto, la Fed ha continuato a ripetere che l’inflazione era “transitoria”. Tutto è transitorio, ma il problema è la durata della transizione e le sue conseguenze. In Europa non c’è da stare tranquilli. La Bce ha sempre dimostrato la sua “straordinaria indipendenza”, ma ripetendo qualche mese dopo gli stessi errori della Fed. Mario Lettieri già sottosegretario all’Economia e Paolo Raimondi economista
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PIMCO: Un divario persistente tra le aspettative di mercato e le prospettive della Fed
Posted by fidest press agency su sabato, 11 febbraio 2023
A cura di Tiffany Wilding, North American Economist di PIMCO. Nel corso della conferenza stampa successiva alla riunione del Federal Open Market Committee (FOMC) della scorsa settimana, il presidente Jerome Powell è stato interpellato in merito alla divergenza tra il percorso del tasso sui Fed Funds implicito nei forward rate agreement e le previsioni della Fed stessa, pubblicate nell’ultimo Summary of Economic Projections (SEP) di metà dicembre. All’epoca i contratti future sui Fed Funds con scadenza dicembre 2023 rendevano il 4,6% rispetto alla proiezione mediana del SEP del 5,1%, mentre il rendimento del contratto con scadenza dicembre 2024 trattava al 3,2% rispetto alla mediana del SEP del 4,1%. Il presidente Powell ha risposto che la divergenza è probabilmente in gran parte il risultato “dell’aspettativa del mercato che l’inflazione scenda più rapidamente”. Ha poi sottolineato che l’inflazione dei servizi core, esclusa la componente sugli alloggi (più direttamente correlata ai mercati del lavoro e all’inflazione salariale) non ha ovviamente raggiunto il picco.Forse ancora più interessante è il fatto che, dopo il rapporto sull’occupazione negli Stati Uniti di questo gennaio, che ha mostrato un tasso di disoccupazione del 3,4% oltre a revisioni al rialzo dell’inflazione della retribuzione oraria media, l’aspettativa del mercato sulla probabile traiettoria del tasso sui Fed Funds non è cambiata molto.In primo luogo, le grandi sorprese relative al mercato del lavoro non sono rare in prossimità del picco di un ciclo di rialzo dei tassi. Secondo l’indagine Bloomberg e il Bureau of Labor Statistics (BLS), nell’agosto 1997 gli occupati statunitensi sorpresero di quasi due deviazioni standard (316.000 prima pubblicazione contro le 70.000 del consenso) prima che la Fed tagliasse i tassi di 75 punti base (pb) complessivamente negli ultimi mesi del 1998. I dati sul lavoro hanno sorpreso in modo analogo nel febbraio 2000 (268.000 unità prima pubblicazione contro le 90.000 del consenso) prima che la Fed tagliasse i tassi di 475 pb complessivamente nel 2001 per attenuare l’impatto dello scoppio della bolla delle dot-com sull’economia. Nel gennaio 2007, e poi di nuovo nel novembre dello stesso anno, il BLS ha pubblicato dati sull’occupazione ben al di sopra (circa 1,5 deviazioni standard) del consenso di Bloomberg, per poi vedere la Fed tagliare i tassi di 500 pb complessivamente dalla fine del 2007 al 2008 in risposta alla crisi finanziaria globale e allo scoppio della bolla immobiliare.In secondo luogo, storicamente la Fed non ha mantenuto a lungo il livello di picco dei tassi terminali. In effetti, se si considerano i periodi storici a partire dagli anni ’80 in cui la Fed è rimasta in attesa dopo il rialzo, si evince che il periodo medio di permanenza dei tassi in corrispondenza del tasso terminale del ciclo di rialzo è stato di circa 7 mesi, mentre i cicli “inflazionistici” sono stati più brevi. Inoltre, quando la Fed ha iniziato a diminuire i tassi, li ha ridotti in media di 230 pb nell’anno successivo all’inizio dei tagli. Terzo e ultimo punto: sebbene le aspettative di mercato sulle condizioni finanziarie si siano un po’ allentate di recente, quest’ultime rimangono ancora rigide rispetto agli standard storici. Di conseguenza, una recessione – seppur lieve – sembra ancora un’ipotesi di base ragionevole per l’economia statunitense, anche se i recenti dati hanno mostrato maggiore resilienza del previsto. Cosa significa tutto questo? Sebbene i dati economici degli ultimi mesi abbiano più o meno supportato le proiezioni della Fed, il divario tra le aspettative di mercato e le previsioni della stessa Fed potrebbe persistere. In effetti, i dati recenti non ci hanno indotto a modificare la nostra previsione di una lieve recessione negli Stati Uniti – stiamo solo posticipando leggermente i tempi – e tendiamo ad allinearci con le aspettative di mercato che suggeriscono che il rapporto sul mercato del lavoro di venerdì scorso abbia aumentato le probabilità che la Fed annunci rialzi di 25 punti percentuali sia a marzo che a maggio. Le condizioni finanziarie rimangono complessivamente rigide, mentre l’inflazione sembra moderarsi e l’aumento dei tassi di interesse sembra pesare sull’economia con un certo ritardo. Alla luce di questo contesto macro, non sorprende che gli operatori di mercato vedano un’elevata probabilità che la politica monetaria della Fed ricalchi i recenti precedenti storici, in cui la pausa in corrispondenza del tasso terminale è stata di breve durata e i tagli dei tassi hanno seguito a breve.
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PGIM Fixed Income: Reazione post riunione FED
Posted by fidest press agency su venerdì, 3 febbraio 2023
A cura di Daleep Singh, Chief Global Economist, PGIM Fixed Income. L’ultima riunione del FOMC ha rivelato che la leadership della Fed intravede ancora un profilo di rischio asimmetrico per la politica monetaria – il rischio di fare “troppo poco” sulla stretta monetaria è ancora maggiore rispetto a “fare troppo”. Di conseguenza, il Comitato ha mantenuto invariata la frase chiave del comunicato, che “prevede rialzi in corso nell’intervallo target”. Durante la conferenza stampa, il presidente Powell ha ribadito tale posizione, sottolineando i rischi di rialzo dell’inflazione derivanti da un mercato del lavoro eccezionalmente rigido e la possibilità di un aumento ancora maggiore rispetto alla mediana del 5,25% indicata nel SEP (Summary of Economic Projections) di dicembre. Di conseguenza, il presidente Powell ritiene che le curve di Phillips dei salari e dei prezzi rimangano ancora ripide, anche a fronte di una moderazione sempre più evidente sul fronte dei salari e dei prezzi, anche in presenza di un mercato del lavoro rigido e squilibrato. In un contesto simile, il messaggio lanciato dal presidente Powell si è dimostrato risoluto: “non siamo ancora giunti al picco dei tassi”; e “quando ci arriveremo, ci resteremo” più a lungo di quanto i mercati si aspettano, e forse andremo oltre (con i rialzi dei tassi), se necessario. I mercati hanno registrato un forte rally nonostante il messaggio da “falco”, perché gli investitori sanno che la Fed non è onnisciente né dogmatica. Quando la banca centrale è in modalità “dipendente dai dati” sono le condizioni economiche a farla da padrone e gli operatori di mercato vedono un peggioramento di inflazione e di crescita più marcato di quello che vede la stessa Fed – questa l’osservazione che il presidente Powell ha fatto in conferenza stampa. L’aspetto più da “colomba” della riunione è stata l’interpretazione del presidente Powell sul perché le condizioni finanziarie si siano allentate negli ultimi mesi. Invece di definire le condizioni di mercato più favorevoli come un’incomprensione della funzione di reazione della Fed, Powell ha spiegato il tutto come una divergenza di opinioni sull’andamento e sull’entità della disinflazione a cui probabilmente assisteremo quest’anno. Riteniamo che la lettura del mercato sia probabilmente quella più accurata e manteniamo la nostra aspettativa che la Fed sospenda la sua campagna di rialzo dei tassi a marzo al 5%, dato che continuano ad arrivare prove convincenti di una disinflazione su larga scala. Per concludere, è importante ricordare che le banche centrali e gli investitori hanno un diverso orientamento sui rischi. Per il presidente Powell, il pericolo maggiore è una spirale inflazionistica al rialzo. Per gli operatori di mercato, invece, il rischio è quello di perdere un notevole rimbalzo del mercato nel momento in cui la disinflazione prenderà piede.
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Meeting Fed: è possibile un cambio di rotta della politica monetaria?
Posted by fidest press agency su venerdì, 3 febbraio 2023
A cura di Jeffrey Cleveland, Chief Economist di Payden & Rygel. La Federal Reserve ha aumentato nuovamente i tassi in occasione della prima riunione del Federal Open Market Committee (FOMC) del 2023, portando il tasso sui Fed funds al 4,75% con un aumento di 25 punti base. Nel comunicato che annuncia la decisione, si afferma che probabilmente sarebbero stati necessari “continui aumenti” per contenere l’inflazione. Nella conferenza stampa successiva alla riunione, il Presidente Powell ha rafforzato questo messaggio, affermando che il “lavoro della Fed non è finito” e che è “troppo presto per dichiarare vittoria” contro l’inflazione. Powell ha anche aggiunto che “continui aumenti” significa “un altro paio” di rialzi dei tassi di 25 punti base. Come sosteniamo da mesi, i tassi overnight probabilmente saliranno e resteranno alti più a lungo di quanto il mercato si aspetti. E nulla di quanto abbiamo sentito mercoledì dalla Fed ci ha dissuaso da questa view. Tuttavia, i mercati finanziari hanno reagito positivamente con il protrarsi della conferenza stampa post-riunione. I mercati azionari hanno annullato le perdite precedenti e i titoli di Stato sono saliti. Questo è successo a causa delle previsioni differenti di mercati e Fed, e per il fatto che Powell ha aperto le porte a un possibile errore di politica monetaria, che potrebbe (eventualmente) indurre a un pivot.In primo luogo, il mercato sembra molto più favorevole a uno scenario in cui l’inflazione si riduce rapidamente. Nel frattempo, la Fed rimane più scettica (come noi): Powell ha infatti parlato della divergenza tra le aspettative della Fed e i prezzi del mercato obbligazionario, affermando che “è positivo che la disinflazione che abbiamo visto finora non sia avvenuta a spese di un mercato del lavoro più debole”. Ma ha poi aggiunto che “il processo di disinflazione a cui stiamo assistendo è in una fase iniziale”.In base alle nostre discussioni con gli investitori, alcuni vedono una prova più definitiva che il processo disinflattivo è già ben avviato. Anche alcuni giornalisti presenti alla conferenza stampa del FOMC hanno messo in dubbio l’approccio della Fed, sostenendo, in modo aggressivo, che la variazione annualizzata a 3 mesi dell’inflazione core avesse già subito un rallentamento in linea con l’obiettivo della Fed – ovvero, se il tasso di variazione attuale fosse stato mantenuto per un anno.In risposta, Powell ha riconosciuto che i prezzi dei beni sono crollati di recente, trascinando al ribasso il tasso di variazione dell’inflazione core, ma ha anche avvertito che i prezzi dei beni finiranno per stabilizzarsi, riducendo quindi la spinta sull’inflazione core). Allo stesso tempo, i prezzi degli affitti non hanno ancora rallentato e i servizi non abitativi (l’altro “56% dell’inflazione core”, secondo Powell) non mostrano “ancora segnali di disinflazione”, registrando tassi di inflazione superiori al 4%, secondo gli ultimi dati. Anche se il restante 44% dell’inflazione core PCE dovesse registrare un tasso di inflazione dello 0% per l’anno in corso, un’ipotesi alquanto improbabile, la sola parte dei servizi non abitativi manterrebbe l’inflazione core PCE al di sopra del target del 2% fissato dalla Fed. Anche in questo caso, secondo la Banca Centrale americana, è troppo presto per cantare vittoria.Questo è il messaggio che i mercati hanno apprezzato. Si tratta di un sottile, ma importante, cambiamento nella comunicazione che potrebbe risultare fondamentale nel corso dell’anno.
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PIMCO: la Fed cerca di bilanciare rischi contrastanti
Posted by fidest press agency su venerdì, 3 febbraio 2023
A cura di Tiffany Wilding, North American Economist e Allison Boxer, Economist di PIMCO.In occasione della prima riunione del 2023, la Federal Reserve ha dovuto affrontare priorità contrastanti: come riconoscere i progressi compiuti sul fronte dell’inflazione – e segnalare che i rialzi dei tassi non continueranno all’infinito – pur mantenendo un orientamento sufficientemente restrittivo della politica monetaria e misurato rispetto a un’ampia gamma di asset. Sebbene il presidente della Fed Jerome Powell abbia ripetutamente sottolineato la volontà della Fed di “non fermarsi prima che il lavoro [di riduzione dell’inflazione] sia terminato”, la sua valutazione del rischio di fare troppo o troppo poco si è spostata verso un tono più equilibrato. In effetti, ha persino affermato che se l’inflazione dovesse scendere più rapidamente delle attuali proiezioni della Fed, ci sarebbe meno bisogno di una politica restrittiva e la Fed taglierebbe i tassi più rapidamente di quanto attualmente previsto. Questi messaggi, insieme all’interpretazione del presidente Powell secondo cui l’attuale valutazione di mercato rifletta una prospettiva di inflazione più favorevole di quella attualmente prevista dalla Fed, suggeriscono che il presidente Powell non abbia inteso riallineare in modo aggressivo le aspettative del mercato alle previsioni della Fed. Queste ultime suggeriscono che quest’anno ci saranno ancora due rialzi, ovvero di 25 punti base in ciascuna delle prossime due riunioni, a marzo e a maggio. Tuttavia, la nostra valutazione delle comunicazioni della Fed fino ad oggi e la nostra previsione di base di una modesta recessione ci inducono a prevedere un ulteriore aumento dei tassi di 25 punti base (pb) a marzo prima che la Fed faccia una pausa, seguita da una graduale riduzione dei tassi a partire dalla seconda metà di quest’anno.Dopo il rialzo di 25 pb di febbraio, l’intervallo target per il tasso sui Fed Funds si trova 50 pb al di sotto del punto mediano in cui i funzionari della Fed hanno previsto che il possibile picco nel 2023, stando all’ultima dichiarazione delle proiezioni economiche, o SEP, (dicembre). Tuttavia, i mercati prevedono che il tasso sui Fed Funds chiuda l’anno circa 75 punti base al di sotto del punto mediano del 2023.Dopo l’ultima riunione di dicembre, i responsabili delle politiche della Fed hanno ricevuto altre buone notizie sull’inflazione statunitense: L’indicatore che prediligono, la spesa per i consumi personali core (PCE), è scesa al 2,9% su base trimestrale annualizzata (secondo i dati di dicembre), mentre gli ultimi rapporti sull’occupazione suggeriscono che l’inflazione salariale potrebbe aver raggiunto il suo picco. Nel frattempo, gli indicatori sull’attività economica degli Stati Uniti si sono deteriorati, con una contrazione dei consumi e dell’attività manifatturiera a novembre e dicembre.Le condizioni finanziarie negli Stati Uniti si sono leggermente allentate alla luce dei recenti dati positivi sull’inflazione CPI (Indice dei prezzi al consumo) e PCE, facendo eco a tendenze simili nel 2022. Poiché i funzionari della Fed continuano a ritenere che il rischio maggiore sia fare troppo poco per raffreddare l’inflazione rispetto a fare troppo, il presidente Powell ha ribadito che la Fed intende procedere a ulteriori rialzi nel tentativo di mantenere le condizioni finanziarie sufficientemente rigide.Tuttavia, visto il recente indebolimento di vari indicatori sull’attività economica negli USA e notizie migliori sull’inflazione, riteniamo che la pausa della Fed non sia lontana. Infatti, se le recenti tendenze economiche continueranno come ci aspettiamo – prevediamo una recessione moderata negli Stati Uniti nel 2023 – alla riunione di marzo la Fed dovrebbe avere abbastanza dati in mano per un rialzo e per segnalare la pausa. (abstract by http://www.verinieassociati.com/)
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“La Fed non è ancora pronta per una pausa”
Posted by fidest press agency su mercoledì, 1 febbraio 2023
A cura di Thomas Costerg, Senior US Economist di Pictet Wealth Management. La nostra view è che la Fed continuerà ad aumentare i tassi di interesse con incrementi di 25 punti base e che il tasso sui Fed funds si assesterà leggermente al di sopra del 5% entro maggio 2023; da qui, poi, la Fed farà una pausa e manterrà i tassi stabili fino alla fine dell’anno. È probabile che la Fed si opponga alle attuali previsioni di mercato di tagli dei tassi a partire da luglio. A nostro avviso, l’asticella per tagliare i tassi è alta e probabilmente richiederebbe diversi mesi di perdita netta di posti di lavoro, cosa che sembra improbabile prima dell’inizio del 2024. In questa fase, la Fed è più preoccupata per una ri-accelerazione dell’inflazione che per una forte disinflazione dovuta a una recessione economica. Il rischio principale, tuttavia, è che la Fed possa aver sottovalutato i ritardi delle politiche e che la crescita del 2023 possa essere frenata più del previsto dalla forte stretta monetaria del 2022. Il rischio di un errore di politica monetaria resta quindi elevato. È probabile che, mercoledì, la Federal Reserve aumenti i tassi di 25 punti base, che rappresenterebbe una riduzione del ritmo dei rialzi, dopo i 50 punti base di dicembre e i 75 punti base di novembre. La principale, e probabile, spiegazione di questa flessione dovrebbe essere il rallentamento delle recenti letture dell’inflazione, che potrebbe rendere la Fed meno preoccupata. Ci sono anche segnali di rallentamento dei consumi privati, soprattutto a ridosso del periodo natalizio, che suggeriscono che la domanda stia tornando ad allinearsi maggiormente con l’offerta. È probabile, inoltre, che la Fed indichi di tenere conto dei lunghi ritardi della politica monetaria, dopo i forti rialzi dei tassi del 2022. È importante notare che la Fed è concentrata sul mercato del lavoro statunitense, continuando a temere che rimanga troppo rigido, con la conseguenza che i salari potenzialmente resilienti alimentino l’inflazione dei servizi. In particolare, le aperture di posti di lavoro JOLTS (Job Openings and Labour Turnover Survey) sono ancora troppo elevate, soprattutto rispetto al numero di disoccupati. Questo è il motivo per cui riteniamo molto improbabile che la Fed si appresti a breve a sospendere i rialzi dei tassi. È probabile che la Fed intenda continuare a spingere i tassi oltre il 5% nel breve, in linea con il dot plot di dicembre (che indicava un tasso terminale del 5,1% quest’anno). Una delle incertezze principali della riunione di mercoledì sarà il modo in cui Powell valuterà l’evoluzione delle condizioni finanziarie. Il rischio primario è che Powell esprima, da “falco”, il suo disappunto per il recente allentamento delle condizioni finanziarie e per il forte aumento dei prezzi azionari registrato in questo primo mese dell’anno. Nella riunione di dicembre, Powell aveva insistito sulla trasmissione della politica monetaria statunitense attraverso i mercati finanziari.
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PIMCO: Non combattere la Fed, ma non perdere il filo
Posted by fidest press agency su martedì, 20 dicembre 2022
A cura di Richard Clarida, Global Economic Advisor di PIMCO. La Sintesi delle Proiezioni Economiche della Fed (SEP) di dicembre indica che molti membri del Federal Open Market Committee (FOMC) prevedono che il limite superiore dell’intervallo del tasso dei Federal funds potrebbe chiudere l’anno prossimo al 5,25%. Se sarà sufficiente o meno a ripristinare la stabilità dei prezzi dipenderà da almeno tre fattori. Il primo fattore è il rischio di uno scollamento tra la forward guidance della Fed e le condizioni finanziarie. Diverse volte nel 2022 – in particolare, dopo la riunione del FOMC di luglio – le condizioni finanziarie si sono effettivamente allentate per un certo periodo, sia perché gli investitori dubitavano che la Fed avrebbe spinto il tasso di riferimento in territorio restrittivo (si veda più avanti), sia perché dubitavano che la Fed avrebbe mantenuto il tasso di riferimento in territorio restrittivo per molto tempo una volta raggiunto il presunto livello massimo. Come ha detto il presidente della Fed Jerome Powell alla Brookings Institution il 30 novembre, “non vogliamo un’eccessiva stretta perché non pensiamo di operare presto tagli dei tassi”, ma se le condizioni finanziarie si allentano perché i mercati prezzano tali tagli, un picco del tasso di riferimento del 5,25% potrebbe non essere sufficiente a instradare l’inflazione su un percorso di ritorno al 2%. Un secondo fattore cruciale nel determinare il picco del tasso sui Fed funds di questo ciclo è il livello del tasso di riferimento necessario per spingere i tassi di interesse reali attesi in territorio restrittivo. Le proiezioni del SEP di dicembre continuano a indicare che il comitato ritiene che il tasso d’interesse reale neutrale di lungo periodo si aggiri intorno allo 0,5%, che si confronta con l’attuale (al momento in cui scriviamo) rendimento dei Treasury protetti dall’inflazione (TIPS) a cinque anni, pari a circa l’1,4%. Quindi, secondo questa misura di mercato, i tassi di interesse reali a cinque anni superano ora la stima della Fed sulla neutralità. È probabile che la Fed consideri questa valutazione del mercato come un’indicazione del fatto che la sua politica si sta spostando nel territorio restrittivo necessario per rallentare la crescita della domanda aggregata ed eventualmente esercitare una pressione al ribasso sull’inflazione. Più in generale, i rialzi dei tassi della Fed, la forward guidance e il QT hanno insieme inasprito gli indici delle condizioni finanziarie e la Fed punterà probabilmente a calibrare la destinazione del tasso dei Federal funds nel contesto di condizioni finanziarie più ampie e non solo in riferimento alla sua attuale stima del tasso di interesse reale neutrale. Un terzo fattore importante per determinare quando e a quale livello questo ciclo di rialzi raggiungerà il suo apice è l’aumento della disoccupazione statunitense che, in ultima istanza, sarà necessario per allentare le pressioni sui costi in un mercato del lavoro con un’inflazione salariale (al netto della produttività sottostante) ben al di sopra dell’andamento coerente con l’obiettivo di stabilità dei prezzi a lungo termine della Fed, pari al 2%. Sebbene le recenti rilevazioni sull’inflazione dell’indice dei prezzi al consumo (CPI) negli Stati Uniti si stiano muovendo nella giusta direzione, l’inflazione salariale sta attualmente superando un tasso annualizzato del 5% (si veda la Figura 1) e la produttività sottostante è stimata, in maniera generosa, in crescita a un ritmo dell’1,25% circa (fonte: U.S. Bureau of Labor Statistics (BLS)); dunque, l’inflazione salariale dovrebbe rallentare di 1-2 punti percentuali perché la Fed possa confidare di raggiungere il suo obiettivo di inflazione del 2%. Storicamente cali dell’inflazione salariale statunitense di questa portata si sono verificati solo durante le recessioni e la stessa Fed nel SEP di dicembre prevede che il tasso di disoccupazione salirà al 4,6% entro la fine del 2023, oltre un punto percentuale in più rispetto al tasso di disoccupazione del 3,5% registrato a settembre di quest’anno (fonte: BLS). A titolo di riferimento, il tasso di disoccupazione è aumentato rispettivamente di 1,3 e 1,2 punti percentuali e l’inflazione salariale ha subito una decelerazione rispettivamente di 1,0 e 0,8 punti percentuali nelle recessioni relativamente lievi del 1990 e del 2001 (fonti: BLS e Fed di Atlanta, rispettivamente). Sebbene questi confronti storici siano istruttivi, è chiaro che il mercato del lavoro post-pandemia è cambiato in modo fondamentale e complesso e, all’orizzonte del 2023, deve esserci una grande incertezza su quanto aggiustamento del mercato del lavoro sarà necessario per ridurre l’inflazione salariale a un ritmo coerente con la stabilità dei prezzi.In sintesi, nelle attuali circostanze sarà difficile evitare almeno una modesta recessione. Gli strumenti a disposizione della Fed sono poco efficaci, la missione è complessa e si prospettano difficili compromessi. Come ha indicato il presidente Powell a Jackson Hole ad agosto, lui e il FOMC sono determinati a garantire che le battaglie duramente conquistate sotto i precedenti presidenti Paul Volcker e Alan Greenspan per raggiungere la stabilità dei prezzi non vengano sprecate. In quel breve discorso, Powell ha dichiarato – per ben due volte – che la Fed “continuerà a lavorare finché il lavoro non sarà finito”. Ho piena fiducia che il FOMC cercherà effettivamente di fare ciò, anche se il viaggio verso questa destinazione richiederà alla Fed di essere agile e di perseverare. (abstract by http://www.verinieassociati.com)
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Finanza: Appesi alla Fed
Posted by fidest press agency su lunedì, 19 dicembre 2022
Commento a cura di Massimo De Palma, Head of Multi Asset Team di GAM (Italia) SGR. Ci apprestiamo a concludere anche il mese di dicembre. Il 2022 è stato un anno complicato e difficile. All’emergenza sanitaria si sono aggiunte quella geopolitica, innescata dalla guerra Russia – Ucraina e dalle tensioni USA-Cina, e quella economico finanziaria causata dall’accelerazione dei prezzi con il conseguente irrigidimento delle politiche monetarie delle Banche Centrali. L’indebolimento macroeconomico in atto dovrebbe trasformarsi in una fase recessiva. Questo è il consenso di mercato per il prossimo anno. Il comparto obbligazionario si è mosso di conseguenza con i tassi di interesse dei titoli governativi che, dopo avere sofferto per buona parte dell’anno, negli ultimi due mesi hanno mostrato segni di recupero. Il movimento inizialmente ha riguardato solo le scadenze lunghe, ma recentemente anche la parte breve è risalita dai minimi. Le curve rimangono invertite con il Treasury 10 anni che rende circa 70 basis point in meno del 2 anni. L’azione più rapida e decisa delle Banche Centrali ha favorito il movimento. Questa settimana il dato di inflazione americano più contenuto delle attese ha generato nuovo ottimismo. Il ritracciamento dei prezzi dell’energia ha contribuito a raffreddare l’indice, ma anche la componente “core” ha rallentato. Desta ancora preoccupazione la dinamica dei beni alimentari e degli affitti. I futures sui Fed Fund dal massimo del 7 novembre intorno al 5,2% sono scesi al 4,8%. E da qui non si sono mossi dopo la riunione della FED di mercoledì, forse per i toni meno duri del previsto da parte di Jerome Powell. Il mercato sembra non credere alle nuove aspettative dei membri della FED. Sui 19 governatori ben 17 prevedono un terminal rate sopra al 5%. La mediana si colloca al 5,10%, ma soprattutto non sono previste riduzioni nel corso del 2023. Il mercato, più scettico, stima invece tagli nel corso del prossimo anno per il deterioramento della situazione economica. Teniamo conto che a dicembre dello scorso anno sia gli investitori che la Banca Centrale statunitense si sono sbagliati nel prevedere dove sarebbe finito il tasso sui Fed funds a fine 2022. La previsione mediana era 0,875%, simile a quella di mercato, stimata allo 0,80, siamo invece al 4,50%. Pertanto, in uno scenario ancora complesso, nella prima parte dell’anno pensiamo possa essere opportuno privilegiare la parte medio breve della curva americana, ritenendo quella lunga suscettibile di ulteriore volatilità. Importanti avvertenze legali: I dati esposti in questo documento hanno unicamente scopo informativo e non costituiscono una consulenza in materia di investimenti. Le opinioni e valutazioni contenute in questo documento possono cambiare e riflettono il punto di vista di GAM nell’attuale situazione congiunturale. Non si assume alcuna responsabilità in quanto all’esattezza e alla completezza dei dati. La performance passata non è un indicatore dell’andamento attuale o futuro. Copyright © 2021 GAM (Italia) SGR S.p.A. – tutti i diritti riservati.
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Fed: “Niente cambio di rotta, ma ritmo più lento”
Posted by fidest press agency su giovedì, 15 dicembre 2022
By Jon Maier, CIO di Global X. La Fed ha aumentato i tassi di interesse di 50 punti base, chiudendo l’anno con sette aumenti consecutivi e portando il tasso dei Fed Funds al 4,25-4,5%. Le dichiarazioni da falco hanno spento l’entusiasmo del mercato, frustrando le speranze di un cambio di rotta. I dot plots dicono che la maggior parte dei funzionari della Fed prevede un aumento dei tassi tra il 5% e il 5,5% l’anno prossimo (rispetto al 4,6% di settembre), mentre la mediana prevede un ulteriore aumento dei tassi di 75 punti nel 2023.L’attuale spread tra i rendimenti dei Treasury a 2 e 10 anni rimane in profonda inversione, un segnale recessivo. L’attuale ciclo di rialzi è il più aggressivo dagli anni ’80, e non è ancora finito. Inoltre, non dimentichiamo che la Fed è arrivata tardi all’appuntamento con l’inflazione, anche se questa settimana abbiamo ricevuto buone notizie su questo fronte, segno che alcune delle azioni della banca centrale stanno avendo effetto. Sebbene non ci aspettiamo un cambio di rotta della Fed nel 2023, prevediamo che i tassi aumenteranno a un ritmo più lento.I rialzi saranno necessari per riportare l’inflazione all’obiettivo del 2% fissato dalla Fed. Il percorso da seguire richiederà un periodo prolungato di crescita inferiore al trend e un mercato del lavoro più equilibrato. Il presidente Powell ha dichiarato che il livello finale dei tassi è più importante del ritmo degli aumenti, in quanto determinerà per quanto tempo la Fed rimarrà restrittiva: “manterremo la rotta fino a quando il lavoro non sarà terminato”, ha dichiarato. Ciò è in linea con le nostre previsioni per l’anno prossimo, che richiamano l’importanza di un approccio bilanciato: orientarsi in senso difensivo visti i rischi di breve termine, concentrandosi sulla qualità, e allo stesso tempo esporsi alle opportunità di crescita tematiche. L’avvicinarsi della fase finale del ciclo di rialzi potrebbe rendere più interessanti esposizioni con maggiore duration, gestite con ingressi graduali.
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