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Posts Tagged ‘globalizzazione’

Schroders – Globalizzazione a un bivio: quali mercati ne trarranno vantaggio?

Posted by fidest press agency su martedì, 30 Maggio 2023

A cura di Andrew Rymer, Senior Strategist, Strategic Research Unit e David Rees, Senior Emerging Markets Economist, Schroders. Con la fine di questo ciclo economico e il regime shift, cioè l’emergere di un nuovo ordine mondiale, il futuro della globalizzazione ha catturato sempre più l’attenzione dei mercati e degli investitori. Nearshoring, reshoring, onshoring, diversificazione delle supply chain, friendshoring, slowbalisation, de-globalizzazione, persino ri-globalizzazione sono termini utilizzati per inquadrare questo tema. Qualunque sia il termine, tutti questi elementi racchiudono una qualche forma di potenziale disruption all’era della globalizzazione, iniziata realmente negli anni Novanta. La suddivisione delle diverse fasi di produzione, spesso localizzate in diverse aree geografiche, ha offerto vantaggi quali costi inferiori, economie di scala, specializzazione e maggiore efficienza. La globalizzazione ha visto un cambiamento radicale nella produzione manifatturiera, con la Cina che è diventata così dominante da essere spesso definita la fabbrica del mondo.Quali economie potrebbero beneficiare dei cambiamenti delle catene di approvvigionamento?Secondo la nostra ricerca, tra le 20 economie che ne beneficerebbero maggiormente, gran parte sono emergenti.La nostra analisi mostra che l’India è il mercato più interessante per le multinazionali che vogliono diversificare la loro esposizione produttiva. Si prevede che entro il 2028 offrirà il più grande bacino di manodopera in età lavorativa. Altri fattori a sostegno della sua posizione sono un costo del lavoro relativamente inferiore e una produttività relativamente elevata. Tuttavia, l’India non ha un buon punteggio per quanto riguarda la libertà d’impresa. Il Vietnam è il secondo classificato. I costi salariali relativamente bassi, la produttività competitiva e la popolazione in età lavorativa rendono questa economia una destinazione interessante, anche se il suo punteggio in termini di libertà d’impresa è meno positivo. La Corea del Sud occupa una buona posizione, sostenuta dalla classifica della libertà d’impresa e dalla produttività. Anche la Thailandia e l’Indonesia sono tra i Paesi più competitivi a livello regionale, grazie ai costi salariali e alle dinamiche demografiche.I mercati di frontiera come Bangladesh, Kenya e Pakistan si posizionano tra i primi 20, in gran parte grazie a costi salariali più bassi e a dinamiche demografiche favorevoli.Anche i mercati dell’Europa centrale e orientale sono presenti nella top 20, guidati dalla Polonia. La produttività è un importante fattore per gran parte di essi, così come la libertà d’impresa. Il Messico, spesso citato in relazione al nearshoring, si colloca al 17° posto, grazie soprattutto a salari competitivi e dinamiche demografiche favorevoli. Anche Germania e Stati Uniti si posizionano relativamente in alto, con livelli elevati di libertà imprenditoriale che compensano un maggior costo del lavoro.Le opportunità variano a seconda del mercato. Nei mercati sviluppati, le opportunità sono più legate alla produzione ‘smart’. Al contrario, nei mercati emergenti e in Vietnam le opportunità riguardano più il settore manifatturiero ad alta intensità di lavoro. Se la Cina fosse inclusa in questo diagramma, figurerebbe nel segmento centrale. Ciò evidenzia la continua attrattiva di Pechino come destinazione manifatturiera, anche se alcune multinazionali potrebbero essere motivate a ridurre la loro dipendenza dalla Cina.La riorganizzazione della globalizzazione è un tema che i gestori attivi focalizzati sui mercati emergenti dovrebbero essere in grado di cogliere. La maggior parte dei mercati segnalati come vincenti sono emergenti e, almeno in teoria, è possibile adottare un approccio attivo per analizzare da vicino e filtrare i titoli legati a questo tema. Se da un lato la mappatura del settore può essere sensata, dall’altro è necessario prestare attenzione anche a fattori e valutazioni specifiche dei titoli. Questo tema ha suscitato un certo clamore e il rischio è che i prezzi di alcuni titoli prezzino già l’opportunità futura. La de-globalizzazione sarà un tema importante sul lungo termine e l’impatto su Paesi, settori, industrie e azioni sarà molto variabile. Ciò che è chiaro, tuttavia, è che il cambio di regime preannuncia un cambiamento nell’economia globale, con conseguenze per le economie e i mercati. (abstract by http://www.verinieassociati.com/)

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La “guerra economica”: fine della globalizzazione e del regno del dollaro? La Storia insegna il contrario

Posted by fidest press agency su lunedì, 1 agosto 2022

A cura di Jeffrey Cleveland, Chief Economist di Payden & Rygel. L’invasione russa dell’Ucraina ha scatenato una risposta unitaria da parte dell’Occidente, apparentemente senza precedenti, consistente in una raffica di sanzioni economiche contro Mosca. I commentatori hanno prontamente dichiarato la fine della globalizzazione e del regno del dollaro statunitense come valuta di riserva. La Storia fornisce, però, una prospettiva più realistica, rivelando come l’efficacia a lungo termine delle sanzioni rimanga, nel migliore dei casi, contrastante. Sebbene sia difficile valutare in tempo reale le implicazioni dell’ultima tornata di sanzioni, interessanti paralleli storici potrebbero aiutare a fornire un contesto necessario. La coercizione economica, infatti, è stata a lungo uno strumento chiave per gli Stati in guerra creando “un isolamento assoluto” alternativo all’aggressione militare, che non sarebbe possibile senza l’interconnessione dell’economia globale. La ragione per cui le sanzioni economiche furono possibili nel 1914 fu la globalizzazione stessa. Infatti, i decenni che precedettero la Prima Guerra Mondiale segnarono la prima età dell’oro della globalizzazione. La quota del commercio sulla produzione economica globale aumentò da circa il 5% nel 1850 al 14% nel 1913. Alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, la Germania era leader mondiale nella produzione di acciaio, ma rimaneva totalmente dipendente dalle importazioni di manganese (un fattore chiave nella produzione dell’acciaio), consumando il 25% della produzione mondiale annua, e doveva rivolgersi a un agente di Londra per effettuare gli ordini da una delle numerose società minerarie mondiali che avevano lì la propria sede. Il manganese veniva estratto in Brasile e ogni carico trasportato attraverso l’oceano doveva essere assicurato. Lloyd’s, il principale assicuratore marittimo del mondo, copriva la maggior parte dei piroscafi che trasportavano i prodotti. Questi battelli a vapore avevano anche bisogno di carburante. I commercianti di carbone britannici compravano e vendevano carbone ai piroscafi di tutto il mondo.La Gran Bretagna si trovava in una posizione unica come centro dell’economia globale prima della Prima Guerra Mondiale, con il 60% del commercio mondiale che passava attraverso il suo mercato di sconto. In altre parole, un’ampia fetta del risparmio mondiale era affidata alla Gran Bretagna, ai suoi mercati monetari e alla sterlina per investire il capitale e ottenere un rendimento, finanziando di fatto l’intera economia globale. Oggi gli Stati Uniti e la loro moneta svolgono un ruolo simile. Purtroppo, il bilancio delle sanzioni economiche non è positivo. La “guerra economica” è andata avanti molto tempo dopo la fine dei combattimenti fisici della Prima Guerra Mondiale e nel corso del ‘900 diversi Stati furono ispirati alla conquista proprio per contrastare le sanzioni o per evitarle del tutto. Cosa significa la Storia per il conflitto attuale? La de-globalizzazione incombe? Il dollaro americano sarà soppiantato? Invece di fare previsioni, proponiamo dei paralleli storici. In primo luogo, mentre gli anni dal 1840 al 1914 hanno segnato il primo periodo di massimo splendore della globalizzazione, le due guerre mondiali non hanno segnato la fine della globalizzazione. Al contrario, un nuovo regime globale ha favorito il commercio e gli investimenti transfrontalieri come mai prima. Il nuovo regime, tuttavia, si basava sul sistema del dollaro e sull’esercito statunitense che fungeva da “polizia globale”. Il periodo dal 1950 al 1973 è stato caratterizzato da una rapida crescita economica in quasi tutti i Paesi del pianeta, con un tasso di crescita globale medio annuo e un aumento pro capite pari a quasi 2,5 volte il tanto decantato periodo dal 1850 al 1913. Il valore dei beni esportati come quota dell’economia globale è rimbalzato dal minimo del 4% del secondo dopoguerra al 14% nel 1974, un valore simile a quello del 1913 come quota del PIL, ma con volumi commerciali molto più elevati. La globalizzazione ha fatto un ulteriore balzo dopo il 1973. La quota del commercio internazionale sul PIL è passata dal 30% nel 1973 al 61% nel 2008, con un aumento di sei volte del commercio internazionale. La maggior parte di questo aumento si è verificato a partire dal 1999 e con l’ascesa della Cina come grande economia globale. Per una prospettiva meno astratta, si consideri che l’ondata di globalizzazione successiva al 1973 ha significato triplicare il peso delle merci spedite. Nel 1975, la Cina non aveva traffico di container e i porti statunitensi e giapponesi rappresentavano la metà dell’attività globale. Nel 2018, la Cina rappresentava un terzo delle spedizioni internazionali, mentre le quote combinate di Stati Uniti e Giappone sono scese al 10%. Se ci fosse davvero un’altra ondata di globalizzazione, potrebbe implicare una disaggregazione della Cina come fonte di trasporto globale e l’utilizzo di una gamma più ampia di Paesi per la produzione e gli input, che potrebbe portare a più flussi transfrontalieri, non meno. Cosa ci ha insegnato la Storia su quest’ultimo atto di aggressione fisica ed economica? In primo luogo, tutte le guerre sono economiche. Senza catene di approvvigionamento interconnesse, i Paesi non possono accedere ai materiali di cui hanno bisogno per fare la guerra né possono infliggere tanto dolore economico. In secondo luogo, l’ultimo ciclo di sanzioni non è senza precedenti. I nomi e i dettagli sono diversi e il commercio oggi è più complesso, ma l’alba delle sanzioni economiche nella Prima Guerra Mondiale rispecchia molto di ciò che è stato attuato nel 2022, fino all’interruzione della rete di messaggistica SWIFT utilizzata contro la Russia. In terzo luogo, la reintroduzione delle sanzioni non porrà fine alla globalizzazione. Le tensioni geopolitiche possono rallentare la crescita del commercio internazionale, ma raramente la fermano a lungo. Infine, a meno che i mercati monetari statunitensi non trovino un nuovo rivale (come il potente dollaro rivaleggiava con la sterlina negli anni ’20 e oltre), la fine del regno del dollaro non è vicina.

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Inflazione all’8%. Cosa è importante non fare: bloccare liberalizzazioni e globalizzazione

Posted by fidest press agency su mercoledì, 6 luglio 2022

L’inflazione corre. Le stime Istat per il mese di giugno, danno all’8 la percentuale annuale. Numeri di altre dimensioni ed ere economiche che sembravano superate, gennaio 1986. Responsabili i prodotti energetici e, a cascata, tutti gli altri, in primis alimentari, servizi ricreativi e trasporti, dove per questi ultimi due ci sono da considerare anche i “tradizionali” aumenti della stagione estiva. Importante il fatto che ai trasporti si aggiunge la crisi che si sta registrando nel settore aereo, in panne per mancanza di personale in grado di far fronte al rialzo della domanda dopo i confinamenti covid. Noi crediamo che questo 8% sia anche basso: non considera l’impronta carbone che, crisi energetica e crisi bellica ucraina, non ci sembra molto in linea con gli impegni nazionali, comunitari ed internazionali per affievolirla e favorire la transizione. E quando si parla di ambiente, a parte i disastri che gli stolti continuano a considerare inaspettati o per cause sovrannaturali, gli effetti si vedono sul lungo periodo.In questo contesto è più importante valutare cosa non fare piuttosto che il contrario, sì da non aggravare una situazione che, pur nella sua gravità nazionale, non fa altro che rispecchiare quanto accade in Unione europea e nel mondo. E’ in crisi un modello e una prassi economica (globalizzazione) che, nei suoi benefici innegabili, non aveva preso in giusta considerazione i partner con cui realizzarla: il Pianeta ci vede tutti protagonisti, ma tra questi c’è chi rema per il bene comune diffuso e chi confonde il proprio orto per quello comune, giocando per imporlo a tutti, Russia in primis e – anche se al momento le evidenze sono soffuse – Cina a seguire.Siamo in fase di dimensionamento della globalizzazione con chi la sposa con le libertà individuali, sociali ed umane. Per ora abbiamo il nervo scoperto della Russia e siamo all’8%, domani c’è solo da stare attenti e non fare gli stessi errori che abbiamo fatto con il regime di Vladimir Putin e, soprattutto, non cedere ad esso e alle sue sirene di oppressione. La globalizzazione con questa Russia non è stato un incidente di percorso, ma un grosso errore alla radice della globalizzazione: il denaro e il business non sono senza odore, ma se puzzano vanno cercati e fatti in modo diverso. E la Cina è a seguire.Per farvi fronte il compito delle nostre istituzioni nazionali e comunitarie non è scimmiottare regimi di economie nazionaliste e sovraniste come quello putiniano: prezzi controllati, imposizioni di Stato sono IL CONTRARIO DI QUELLO CHE DOBBIAMO FARE: concentrarci sulla continuità di una globalizzazione che abbia al primo posto le libertà individuali ed economiche, la riduzione dell’impronta carbone e la costruzione di modelli di vita e comportamentali che non sfruttIno SOLO l’esistente ma investAno sulla continuità del Pianeta: il benessere che ne ricaviamo non potrebbe essere generato altrimenti. Vincenzo Donvito Maxia http://www.aduc.it

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“Un pianeta piccolo piccolo. La fine della globalizzazione”

Posted by fidest press agency su domenica, 2 Maggio 2021

Edito dal Sole 24 Ore in edicola per un mese da sabato 17 aprile e in libreria da giovedì 29. Il volume sarà disponibile anche in versione ebook. La prima globalizzazione della Storia crollò perché era un sistema troppo fragile. Trenta secoli dopo, nel 2020, la Storia si ripete: la globalizzazione moderna si inceppa. Un’epidemia segna la fine di un mondo, della globalizzazione “madre e matrigna”. Un periodo storico, plasmato dalla TurboFinanza si chiude e un nuovo ordine mondiale sorgerà: è la fine della Movida Economy, dei negozi tradizionali, del lavoro in ufficio e dei ristoranti, ultima incarnazione del consumismo. Sorge l’era della Home Economy: dalla spesa al lavoro, tutto si farà in casa. La Società Matrix, tutti chiusi nel proprio bozzolo virtuale, sta per diventare realtà.Attraverso un focus che si concentra principalmente sugli ultimi trent’anni di storia, Simone Filippetti propone al lettore “un’analisi razionale, a tratti spietata, ma lucidissima” – come la definisce Daniele Capezzone nella prefazione – di quello che sta accadendo sotto gli occhi di tutti e offre una riflessione su quelli che potranno essere i possibili scenari futuri riassumendo le ultime tappe della storia recente prima dell’arrivo del Coronavirus: “I campionati di calcio di Italia ’90 come la fine di un’epoca (e di tante illusioni); poi, la bolla di Internet e l’esplosione della new economy alla fine degli anni Novanta e al giro di boa del nuovo secolo; l’attentato alle Torri Gemelle come inizio dell’era della grande volatilità; la crisi finanziaria del 2007-2008 come esito forse inevitabile di una turbofinanziariazzione incontrollata; l’inondazione di liquidità del Quantitative easing, che però non arriva all’economia reale, sempre più boccheggiante; il 2011 come anno dell’aggressione all’Italia come animale più debole del branco; fino al 2016 con gli choc (per una élite che non aveva voluto vedere e capire) di Brexit e dell’elezione di Donald Trump; e al 2020-2021 dell’incubo Covid”. Nel libro l’autore spiega: “La globalizzazione, che ha prosperato sulla libera circolazione di merci e persone si è improvvisamente bloccata: aeroporti vuoti, compagnie aeree a terra, stazioni deserte e treni dimezzati. Il cittadino globale, che lavora a Londra, vola in settimana per fare riunioni a New York, ha la famiglia a Milano, è diventato uno smart worker, che fa le riunioni via Zoom e non mette il naso fuori dalla finestra. La movida, diventata un pilastro fondamentale dell’economia, un fenomeno che ha ridisegnato le città (a cominciare dal “Fenomeno Milano”) è evaporata, tra ristoranti chiusi e locali notturni sotto coprifuoco. Il virus – prosegue l’autore – ha colpito al cuore il ganglio dei consumi, che sono ormai il motore del mondo occidentale e dei Paesi sviluppati. Negozi, musei, teatri, cinema e stadi: tutto è vuoto e chiuso. Tutto si vive solo filtrato dallo schermo del Pc, connesso ovunque. Si lavora da casa; da casa si fa la spesa on-line; da casa, via app, si ordina il pranzo, perché ormai la società è stata disabituata a cucinare; e il pranzo viene consegnato dai fattorini della gig economy, sottopagati. Da casa si pagano le bollette, e si riscuote la pensione. Da casa non si va più a scuola, ma gli studenti devono imparare l’aoristo o la partita doppia (con pessimi risultati) da un insegnante “virtuale”. edicola: € 12,90, libreria: € 14,90 ebook: € 9,99

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“Lezioni Aperte di Globalizzazione”

Posted by fidest press agency su lunedì, 22 marzo 2021

Parma. Prossimo appuntamento martedì 23 marzo su Teams sul tema “Migrazioni e violenza: il viaggio. Debiti, muri, lager” Gli appuntamenti sono coordinati e introdotti da Vincenza Pellegrino, docente di Sociologia culturale all’Università di Parma. Nel meeting del 23 tratterà il tema Migrazioni e violenza: il viaggio. Debiti, muri, lager. Parteciperanno Maurizio Veglio (ASGI), Ilaria Capuzzimati, Mursal Moalin Mohamed, Apollos Pedro (Ciac Onlus), Annalisa Margarita (Università di Parma).Verrà inquadrato il colonialismo come fenomeno storico complesso e multiforme e si definirà la colonialità come processo più vasto di gerarchizzazione dell’umano e di inferiorizzazione costante che ha caratterizzato profondamente la modernità ma che innerva e struttura la società contemporanea globale; infine si rifletterà sulle pratiche interessate a decolonizzare immaginari e relazioni sociali. Per prima cosa si intende che in aula stanno insieme docenti e studenti con persone che stanno vivendo in prima persona le questioni e le condizioni sociali di cui si parla, e con movimenti e associazioni che si occupano di tali questioni, con lo scopo di confrontare visioni e linguaggi che discendono da posizionamenti e punti di vista diversi, ispirandosi alle modalità della “didattica partecipativa”. In tal senso è fondamentale la collaborazione con CSV Emilia e altri soggetti del terzo settore cittadino. Le lezioni inoltre si definiscono “aperte” perché sono anche aperte al pubblico: cittadini e cittadine di età diversa, studenti e volontari, migranti e autoctoni, lingue diverse.
Gli appuntamenti in programma:
Mercoledì 24 marzo ore 9 su Teams Globalizzazione, colonialità, decolonialità. Con Gennaro Ascione (Università di Napoli L’Orientale), Carmine Conelli (Università di Napoli L’Orientale), TAMU – Napoli
Martedì 30 marzo ore 15 su Teams Migrazioni e violenza: l’approdo. Burocrazie, confinamenti, sfruttamenti. Con Michele Rossi (Ciac Onlus), Marco Omizzolo (Eurispes), Ilaria Capuzzimati (Ciac onlus), Annalisa Margarita (Università di Parma)
Giovedì 1° aprile ore 9 su Teams Islam, modernità e società globale. Con Francesco Gianola Bazzini (Università di Parma) e Abdelhakim Bouchraa, Saida Hamouyehy, Atif Nazir, Abdellah Nhaili (Circolo culturale La Fonte)
Martedì 13 aprile ore 15 su Teams Privilegio e decolonialità. Con Rachele Borghi (Università La Sorbona di Parigi), Anna Giulia Della Puppa (Università VU di Amsterdam), Gruppo Sguardi Incrociati (Centro Interculturale di Parma\Università di Parma)
Martedì 20 aprile ore 15 su Teams Culture, subalternità e soggettivazione. Con Gruppo Sguardi Incrociati (Centro Interculturale di Parma\Università di Parma)
Martedì 27 aprile ore 15 su Teams Migrantour: memoria e spazio pubblico nella città g-locale. Con Rosanna Pippa (Migrantour Parma), Annalisa Margarita (Università di Parma) e con gli\le accompagnatori\trici interculturali di Migrantour Parma – associazione Kwa Dunìa
Martedì 4 maggio ore 15 su Teams Genere, subalternità e soggettivazione. Con Porpora Marcasciano (MIT – Movimento Identità Trans), Gruppo Sguardi Incrociati (Centro Interculturale di Parma\Università di Parma), Giulia Selmi (Università di Verona), Giulia Rodeschini (Regione Emilia-Romagna)
Martedì 11 maggio ore 15 su Teams Dentro ai collettivi: relazioni e visioni nelle pratiche di critica sociale oggi. Con Lorenzo Melegari, autore del film documentario Dentro il collettivo, Maria Francesca de Tullio (Ex Asilo Filangeri-Napoli), Andrea Scannavino (ArtLab-Parma)

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“La globalizzazione dopo il virus”

Posted by fidest press agency su venerdì, 8 Maggio 2020

A cura di Patrick Zweifel, Chief Economist di Pictet Asset Management. La pandemia di Coronavirus ha gettato un’ombra scura sul commercio mondiale. Nel breve termine, il lockdown attuato in tutto il mondo ha causato un collasso senza precedenti del commercio transfrontaliero, una risposta razionale, guidata da considerazioni di pubblica sicurezza. Ma si teme che questi effetti negativi possano persistere a lungo una volta passata la crisi. Questa, tuttavia, non dovrebbe essere una conclusione scontata. Ci sono buoni motivi per credere che, sebbene la rete di relazioni economiche internazionali sia destinata a cambiare, forse in modo significativo, il commercio non sarà danneggiato a livelli catastrofici. Piuttosto, alcuni dei flussi di merci fisiche saranno sostituiti da servizi digitali. Contemporaneamente, anche le filiere sono destinate ad ampliarsi e a diventare più regionali. Il timore principale è che l’inversione della globalizzazione iniziata con la crisi finanziaria globale del 2008 (GFC) possa essere esacerbata dalla pandemia di Coronavirus. La Brexit, le guerre commerciali volute dal Presidente statunitense Donald Trump, le tensioni in Europa dovute ai migranti, la sfida alle élite posta dal crescente populismo, gli assalti alle istituzioni multilaterali come l’Organizzazione Mondiale del Commercio sono tutti esempi costantemente citati come segnali di un cambiamento contrario al commercio e all’apertura delle frontiere.
La globalizzazione ha raggiunto il picco con la crisi finanziaria globale. Nel 2008, il commercio globale delle merci rappresentava il 25,3% del PIL globale. Entro il 2019, quel valore è sceso al 21,7%. Di certo, un aumento del protezionismo è stato una concausa: in quel decennio, sono state imposte misure restrittive al commercio su 1.500 miliardi di dollari di importazioni, ovvero il 7,5% del commercio mondiale nel 2018. Ma ci sono stati anche altri due fattori che hanno poco a che fare con i movimenti anti-globalizzazione. Innanzitutto, la debole crescita degli investimenti all’indomani della crisi finanziaria globale ha contenuto la domanda di importazioni connesse agli investimenti, la componente della domanda interna più legata al commercio. In secondo luogo, dato che le economie emergenti, trainate dalla Cina, sono maturate, rappresentano sempre meno una tappa intermedia lungo il percorso delle filiere globali. Ad esempio, nel 2004 le importazioni cinesi di prodotti destinati alla ri-esportazione valevano il 29% delle esportazioni totali. Entro il 2019, questo valore è sceso al 13,2%. La Cina potrebbe essere l’obiettivo di nuove restrizioni – ovunque politici populisti hanno sostenuto che andrebbe “punita” in quanto responsabile del contagio. Nel frattempo, le filiere globali sono state fortemente impattate dal lockdown, in quanto in questo periodo le fabbriche sono rimaste chiuse. Le aziende potrebbero rispondere adottando misure volte a ridurre la loro vulnerabilità.
Sebbene vi siano rischi per la globalizzazione nel mondo post Coronavirus, è probabile che il commercio internazionale assuma nuove forme, piuttosto che essere compromesso. Potrebbero esserci meno scambi di merci fisiche e minor mobilità delle persone. Ma la globalizzazione digitale indubbiamente assumerà una maggiore rilevanza. Il lockdown globale ha mostrato alle aziende e ai governi quanto si può fare tramite internet – sia in termini di efficacia dello smart working sia di funzionalità dei servizi online. Le videoconferenze possono essere molto più efficaci e convenienti in termini di tempo rispetto alle riunioni di persona. L’e-learning può essere efficace, spalancando la possibilità di impartire un’istruzione di qualità a un numero molto maggiore di studenti. Sebbene le aziende possano essere disposte a realizzare localmente parte della produzione, il principio del vantaggio comparativo rimarrà ancora. Sarà sempre più economicamente conveniente procurarsi alcune merci e materiali da Paesi terzi. Invece, le aziende potrebbero diventare meno dipendenti da singoli fornitori, rendendo le loro filiere più resilienti diversificando le reti di fornitori e incrementando qualche forma di ridondanza. Ciò potrebbe aumentare in certa misura i costi di produzione, ma le società potrebbero considerare questo aspetto come un’assicurazione contro l’interruzione delle filiere. Accorciare le filiere potrebbe rendere il commercio più regionale – come è successo in Asia negli ultimi tre decenni, anche dopo la crisi finanziaria globale. Il commercio intra-asiatico rappresentava il 28% delle esportazioni totali asiatiche, passato al 42% nel 2008 e al 46% nel 2018. Qualora ciò dovesse comportare un aumento dei costi della manodopera, le società possono compensare tale maggior costo con una maggiore automazione.
Le relazioni commerciali comportano sempre dei rischi. Tuttavia, non bisogna sottovalutare che i benefici di economie interconnesse a livello globale sono di molto superiori ai costi. Negli scorsi decenni, grazie all’aumento del commercio mondiale, sospinto dalla caduta di molte barriere come i dazi doganali, centinaia di milioni di persone sono uscite dalla povertà – non solo in Asia, ma in tutto il mondo. Non dobbiamo permettere che la pandemia rovini tutto quanto è stato finora raggiunto.

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Coronavirus e i danni della globalizzazione

Posted by fidest press agency su venerdì, 13 marzo 2020

“Superata l’emergenza virale nulla deve più essere come prima, dobbiamo tornare padroni del nostro destino mettendo al centro della società la persona e i suoi inalienabili sogni e bisogni. O si globalizzano diritti, sicurezza, tutela della vita e della salute o non si globalizza niente. Ora basta con questi dogmi cari al nuovo padrone liberista. Il mercato globale ha generato squilibri giganteschi e costretto agli stenti interi popoli. Abbiamo dovuto tagliare la spesa sanitaria, chiudere ospedali, bloccare le assunzioni nonostante corressero i pensionamenti, le forze dell’ordine hanno pochi uomini e anagraficamente non più idonei, non hanno adeguati mezzi per contrastare i criminali, è stato impossibile costruire nuove carceri, assumere nuovi agenti di polizia penitenziaria, gli edifici scolastici cadono a pezzi, la loro pulizia e manutenzione sono ridicole, i siti archeologici vengono scoperti, censiti e reinterrati perché non ci sarebbero soldi per valorizzarli e renderli visitabili, le ferrovie regionali sono spesso monorotaia e i treni vanno a gasolio, l’Alitalia non si può rilanciare perché saremmo passibili di procedura europea d’infrazione per aiuti di Stato (ma è lo Stato che l’ha creata!), vogliono portarla al collasso per regalarla a qualche compagnia straniera, le aziende non reggono la concorrenza sleale e si trasferiscono all’estero impoverendo la nazione, la Telecom è stata privatizzata e ha in pancia una forte e ostile presenza francese, Unicredit e Bnl sono praticamente straniere, le autostrade realizzate con soldi pubblici, cioè dei cittadini, sono state consegnate incomprensibilmente ai privati – che nemmeno effettuano la manutenzione – proprio quando potevano fruttare miliardi di incassi allo Stato con i pedaggi, Poste, Enel, Terna, Acea, tutte in forte attivo, sono state incomprensibilmente penetrate da multinazionali straniere, sedute a tavola per dividere la torta di utili certi, Eni e Leonardo sono sotto assalto. Superata l’emergenza virale nulla deve più essere come prima, dobbiamo tornare padroni del nostro destino mettendo al centro della società la persona e i suoi inalienabili sogni e bisogni”.

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Letture su società e politica nell’età della globalizzazione

Posted by fidest press agency su martedì, 24 settembre 2019

E’ il nuovo saggio di Francesco Giacomantonio. Dalla metà degli anni Novanta del xx secolo sino ai giorni più recenti si può ormai individuare la transizione cruciale dei processi di globalizzazione, spesso non agevoli da decifrare univocamente. Numerosi studiosi nell’ambito delle discipline sociologiche, filosofiche, politiche hanno prodotto una mole enorme di analisi legate all’età globale e in questo volume sono raccolte 90 recensioni di altrettanti testi, usciti lungo tutti questi anni, equamente suddivise in sei precise sezioni tematiche. Trovano così spazio le prospettive di autori come Bauman, Beck, Giddens, Habermas, Žižek, Touraine, Derrida, Morin, Galimberti, Sartori, e di maestri i cui contributi sono costantemente ripresi come Marx, Simmel, Husserl, Heidegger, Arendt, Weber, Foucault, la Scuola di Francoforte ecc., a cui si accompagnano molti volumi di critici italiani e non solo. Tutte letture che toccano concetti chiave del dibattito contemporaneo: immaginari socio-politici, individualizzazione, identità, modernità, democrazia, potere, globalizzazione, Europa, biopolitica. Ne risulta un utile e interessante strumento di consultazione e confronto, che si indirizza a laureandi, dottorandi, ricercatori, studiosi, e a quanti vogliano avvicinarsi a questi temi, sia per avere una preliminare mappatura, sia per cominciare a delineare possibili visioni d’insieme.Una biblioteca essenziale su società e politica nell’età globale. Francesco Giacomantonio Ph.D. in Filosofie e teorie sociali contemporanee, è autore dei libri: Il discorso sociologico della tarda modernità, Il melangolo, 2007, Minima cura. Lunario del filosofo sociale, Aracne, 2008, Introduzione al pensiero politico di Habermas, Mimesis, 2010, Sociologia e sociosofia, Asterios, 2012, (con D’Alessandro, R.) Nostalgie francofortesi. Ripensando Horkheimer, Adorno, Marcuse e Habermas, Mimesis, 2013, Sociologia dell’agire politico. Bauman, Habermas, Žižek, Studium, 2014, (con D’Alessandro, R.) Post-strutturalismo e politica-Foucault, Deleuze, Derrida, Morlacchi, 2015, (con Pellitteri, M.) Shooting star-Sociologia mediatica e filosofia politica di Atlas ufo robot, Mario Luzi Editore, 2017, Il lungo addio della filosofia politica contemporanea, goWare, 2018 e ha diretto e curato La filosofia politica nell’età globale (1970-2010), Mimesis, 2013. Collabora con varie riviste accademiche.

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Tech war USA-Cina: verso la fine della globalizzazione?

Posted by fidest press agency su martedì, 30 luglio 2019

By Sahil Mahtani, Strategist di Investec AM. Dopo 40 anni di coesistenza, Cina e Stati Uniti sono oggi rivali in molti settori. Le questioni commerciali costituiscono solo una parte di un generalizzato riallineamento dei rapporti tra i due Paesi – una delle relazioni più significative del XXI° secolo. Nel lungo periodo sarà difficile ostacolare l’ascesa delle industrie tecnologiche cinesi. Il successo in Cina delle grandi piattaforme tecnologiche indica che la nazione può già competere con l’Occidente su questo fronte. Fondamentalmente la tecnologia sta diventando in modo rapido uno dei principali settori di competizione. Ci sono anche altre dimensioni, tra le quali includiamo l’economia, l’ideologia e la sicurezza, ma la tecnologia è il principale campo di battaglia.Se è vero che Cina e Stati Uniti sono coinvolte in una guerra tecnologica, quali potrebbero essere le implicazioni per gli investitori? Qui analizziamo quattro temi chiave tenendo presente sia la prospettiva cinese, sia quella americana e considerando contemporaneamente le ripercussioni sugli investimenti.
Settori cinesi vulnerabili: semiconduttori, telecomunicazioni, industria aerospaziale e biotecnologie. Un grande punto di debolezza per la Cina è costituito dal fatto che nella fabbricazione di semiconduttori non vengono prodotti chip di fascia alta (al momento, perché sta investendo molto per rimediare a questo). Di conseguenza, molte imprese tecnologiche cinesi fanno affidamento su fornitori stranieri per i componenti cruciali, esponendoli agli embarghi statunitensi. Tuttavia, è possibile che un divieto totale delle esportazioni di chip verso la Cina impatti in modo consistente sulla produzione delle principali aziende statunitensi. Nonostante la recente escalation, alla fine saranno più probabili misure mirate, dando alla Cina il tempo di costruire una propria base di produzione. Gli analisti sono dell’opinione che il Paese sia indietro di 10 anni nella progettazione di chip di fascia alta del tipo utilizzato negli interruttori e router Huawei. Tuttavia, come dimostra l’esempio della Samsung nella Corea del Sud, è possibile raggiungere il predominio tecnologico abbastanza rapidamente, pur partendo da un livello basso. Guardando alle telecomunicazioni, i tentativi degli Stati Uniti di incoraggiare i governi ad inserire nella lista nera le aziende tecnologiche cinesi potrebbero danneggiare, tra gli altri, il settore delle telecomunicazioni cinese. Di fatto, l’Australia e il Giappone hanno vietato a Huawei di fornire la tecnologia mobile 5G. Al momento, altri stati sembrano meno inclini a fare altrettanto, come nel caso della Malesia.Negli ultimi anni le aziende cinesi del settore aerospaziale hanno investito in compagnie occidentali per acquisire tecnologie. Tuttavia, a meno che le relazioni tra Stati Uniti e Cina non migliorino, i futuri accordi potrebbero essere bloccati per motivi di sicurezza nazionale. Per entrare nel mercato globale, le industrie aerospaziali cinesi hanno bisogno di ottenere certificazioni di sicurezza internazionale e questo potrebbe rappresentare per loro un potenziale ostacolo. Le agenzie europee e statunitensi controllano tale processo.Infine, potrebbero esservi tre ostacoli per le industrie biotecnologiche e farmaceutiche cinesi: restrizioni statunitensi riguardo i visti di lavoro e gli scambi culturali; incapacità da parte delle compagnie cinesi di dare in appalto le attività di ricerca biotecnologica agli Stati Uniti; rifiuto delle approvazioni regolamentari statunitensi, considerate come il punto di riferimento globale.
Ci sono poche probabilità che una guerra tecnologica prolungata tra Stati Uniti e Cina non incida sugli affari americani. Per la maggior parte delle compagnie statunitensi, la Cina ha giocato un ruolo chiave nella definizione della loro strategia di espansione. Il target più esposto è il rivale di Huawei per gli smartphone, ossia Apple, il quale ottiene circa un quinto delle sue entrate dalla Cina, oltre a produrre i suoi iPhone lì. Secondo alcune stime, un divieto nei confronti di Apple in Cina ridurrebbe i guadagni fino al 30%. 57 aziende dello S&P 500 ottengono più del 10% delle loro vendite dalla Cina e la lista è dominata dalla frontiera tecnologica dell’economia statunitense, includendo aziende come Qualcomm, Texas Instruments, Nvidia, Apple, e Microsoft. Nel mercato dei semiconduttori, la media è circa del 40%. Sono incluse anche le società di consumo che hanno puntato fortemente sulla Cina, tra cui Tiffany’s, McDonalds, Starbucks, e Nike.
Forse il più grande rischio della disputa tra Stati Uniti e Cina è l’evoluzione nel lungo termine delle compagnie cinesi e la possibilità che queste eclissino quelle statunitensi. Un po’ ironicamente, la Cina potrebbe finalmente mettere in atto riforme istituzionali come la protezione della proprietà intellettuale e il rafforzamento dei finanziamenti del settore privato che daranno una protezione alle sue imprese. È possibile che la business community statunitense sottovaluti la dimensione e la portata del mercato interno cinese come fonte endogena di innovazione. Il consensus fino a pochi anni fa riteneva che i sistemi autoritari e l’innovazione di alto livello fossero reciprocamente incompatibili, ma l’ascesa dei giganti tecnologici cinesi è un’ovvia smentita di quella opinione.
La domanda chiave da porsi è: come si pone la guerra tecnologica rispetto alla controversia commerciale in corso?I mercati dovranno probabilmente affrontare dispute tecnologiche e commerciali per molti anni, perché sia gli Stati Uniti sia la Cina vogliono raggiungere la supremazia tecnologica ma questo potrebbe rivelarsi fondamentalmente incompatibile.In conclusione, il 2019 può essere visto come l’anno in cui la globalizzazione affermatasi negli ultimi 30 anni inizia a vacillare, a un costo importante. Questo rappresenterà certamente una sfida per i rendimenti degli azionisti, visto che i margini elevati sono sotto pressione a causa della controversia commerciale.Nella misura in cui l’attuale disputa spinga la Cina a realizzare riforme istituzionali programmate in un approccio a lungo termine e volte a promuovere il proprio settore tecnologico, si potrebbe considerare il 2019 come l’inizio di una separazione di lungo termine: un’economia globale a due facce, ogni blocco esistente e funzionante senza l’altro e ciascuno dei quali ruota nella propria orbita.
Il progetto INFINITECH, che comincerà il primo ottobre 2019 e proseguirà fino a dicembre 2022, ha ricevuto finanziamenti dal programma quadro 2014-2020 per la ricerca e l’innovazione Horizon 2020 della Commissione Europea.

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Riforma del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione

Posted by fidest press agency su sabato, 19 gennaio 2019

Strasburgo. Abbassata la soglia per permettere a più aziende di accedere ai finanziamenti. Il PE ha approvato la riforma del Fondo UE di adeguamento alla globalizzazione per sostenere anche i lavoratori licenziati a causa dei cambiamenti tecnologici o ambientali.
I deputati hanno cambiato il nome del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEAG) in Fondo europeo per la transizione (FET) e ne hanno ampliato il campo di applicazione per poter affrontare gli effetti negativi non solo della globalizzazione, ma anche delle transizioni tecnologiche, come la digitalizzazione e l’automazione, nonché della transizione verso un’economia efficiente sotto il profilo delle risorse.Il Parlamento ha anche abbassato la soglia per poter accedere ai finanziamenti, portandola a 200 o più licenziamenti, requisito necessario per un’impresa UE per presentare una domanda al FET.Il testo legislativo, che chiude la prima lettura del Parlamento, è stato adottato con 570 voti favorevoli, 103 voti contrari e 14 astensioni.

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Riforma del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione

Posted by fidest press agency su sabato, 12 gennaio 2019

Strasburgo Dibattito: martedì 15 gennaio Votazione: mercoledì 16 gennaio. La commissione parlamentare per l’occupazione propone che il Fondo affronti non solo gli effetti negativi della globalizzazione, ma anche quelli della transizione tecnologica, come la digitalizzazione e l’automazione, e della transizione verso un’economia sostenibile.Inoltre, i deputati intendono abbassare la soglia di ammissibilità, fissandola a 200 posti di lavoro persi. Il Parlamento vuole anche cambiare il nome del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione in “Fondo europeo per la transizione” (FET).

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La bomba demografica e le logiche della globalizzazione

Posted by fidest press agency su lunedì, 25 giugno 2018

La popolazione mondiale sta avvicinandosi a grandi passi ai sette miliardi e si prevede che nel 2050 toccherà i nove. Siamo in tanti, sicuramente troppi anche perché stiamo entrando alla grande nel mondo tecnologico e ciò presuppone che l’utilizzo delle risorse umane sarà gradualmente ma inesorabilmente ridimensionato al ribasso. Con un cinismo tipico di alcune categorie di persone che si considerano al passo con i tempi nuovi, e ne cavalcano le sue doti evolutive con una certa presunzione, esistono degli “scarti di magazzino” che vanno messi a parcheggiare in attesa di smaltirli in qualche modo ma non certo in meglio. E’ una tendenza che mostra già i suoi tratti distintivi se pensiamo alle periferie delle grandi città dove abbiamo emarginato milioni di esseri umani deprivandoli del loro futuro e si cerca d’imbrigliare i milioni di migranti che vagolano tra un continente o una nazione e l’altra creando dei campi profughi dove si pensa di ibernarli in attesa che malattie e quanto altro compiano il loro corso eliminandoli fisicamente.
Qualcuno ci fa notare, con una logica espositiva agghiacciante, che la selezione della specie passa proprio dall’eliminazione fisica dei soggetti più deboli con le pandemie, il non accesso ai farmaci salvavita, le carestie, le guerre tribali, xenofobe, religiose e la diffusioni di armi di distruzione di massa. In tutto questo bailamme se non riusciamo a cogliere in tempo i mutamenti in atto e il modo come si stanno sviluppando si rischia di vanificare le stesse logiche della globalizzazione delle merci, delle attività imprenditoriali e finanziarie. In altri termini o si parte con costi uniformi nelle loro varie componenti (lavoro, materie prime, cicli produttivi) o s’impone la necessità di spostarli in aree di maggiore convenienza in termini di profitti. E Trump negli Usa applicando i dazi ha ben individuato il rischio per il suo paese d’essere svuotato delle sue produzioni creando disoccupazione e instabilità politica. Lo stesso discorso varrebbe per l’Italia nei confronti degli altri partner europei. Logica vorrebbe che le imprese che lasciano l’Italia per approdare in lidi economicamente più convenienti e fanno poi rientrare le merci che producono altrove a prezzi più competitivi potendo pagare di meno la manodopera e gli oneri contributivi e fiscali, pagassero un dazio per pareggiare i conti. Lo stesso si potrebbe dire per gli emigranti economici considerato che il loro lavoro all’estero potrebbe valere, in termini retributivi sette o otto volte di più oltre alle maggiori tutele previdenziali e assistenziali e al proprio tenore di vita. (Riccardo Alfonso)

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Crescita demografica ed evoluzione tecnologica

Posted by fidest press agency su lunedì, 1 gennaio 2018

VulnusSe è come ho previsto nel mio libro Vulnus di trovarmi in una società di umani la cui popolazione complessiva sulla terra non è superiore a trecento milioni di abitanti devo capire come oggi si possa arrivare a una contrazione così netta dagli attuali sette miliardi di abitanti e con una previsione di crescita che nei prossimi venti anni raggiungerà i nove miliardi.
Nel citato racconto la storia di questo personaggio che ho chiamato Vulnus inizia nel 3100 d.C. e in un suo flash back ricorda la sua vita pregressa che si era conclusa nel 2017. Cosa gli successe?
A suo dire l’improvvisa perdita di contatto fu dovuta a un’esplosione atomica. Devo arguire che il fuoco nucleare, le armi batteriologiche e chimiche saranno gli strumenti validi per abbassare il nostro livello di natività? Può darsi. E’ fantascienza? Forse. Ma chi può dirlo di sicuro?
E mentre ci lambicchiamo nel pensare alle possibili soluzioni vi è anche da considerare l’aspetto che potrà avere l’uomo e la donna del futuro, come vestono, ci cibano ecc.
Molto probabilmente avranno occhi, capelli e carnagione “mediterranei”, parleranno inglese, vivranno in città e mangeranno prevalentemente pillole biologiche. Culturalmente si potranno definire democratici capitalisti occidentali e seguiranno una religione monoteista – se non saranno atei.
Secondo Mark Pagel, saggista e docente di Biologia evolutiva dell’Università di Reading (GB) e membro della Royal Society, è questa la tendenza che ci attende, seguendo un processo inarrestabile e sempre più rapido di globalizzazione e di omogeneizzazione linguistica, culturale e genetica.
«Se volete mantenere una diversità linguistica, in particolare – ha rimarcato rispondendo ad alcune domande del pubblico, che hanno evidenziato la specificità del friulano – dovete lavorare sodo, perché queste sono le tendenze che nel mondo stanno avvenendo spontaneamente». E allora ecco emergere l’esperienza della lingua gallese, confrontabile con l’esperienza del friulano. «Anche in Galles hanno introdotto lo studio obbligatorio del gallese per i bambini delle scuole, altrimenti la lingua locale sarebbe destinata a sparire in una ventina d’anni».
Pagel ha evidenziato come la globalizzazione sia un fenomeno spontaneo, che sempre è esistito («Probabilmente il Mediterraneo può definirsi il primo Internet della storia»), da che gli uomini hanno cominciato a scambiarsi conoscenze e merci. E la globalizzazione è un processo che tende alla prosperità e alla ingegnosità tecnologica: tutti vogliono vivere con queste due condizioni, che possono esistere solo grazie alla globalizzazione. Nel mondo ci sono 7 mila lingue parlate, ognuna delle quali strettamente legata alla cultura più “intima” di una popolo. «Ma sono 10 le lingue parlate dal 50% della popolazione mondiale, alcune delle quali sono lingue ponte, con cui ci si esprime per capirsi – ha rimarcato –. Anche questo processo sta portando a una omogeneizzazione linguistica.
Le persone stanno tendendo verso le “lingue di maggioranza”, grazie alle quali il 90% della popolazione mondiale riesce a scambiarsi informazioni». Un fenomeno che fa il paio con l’omogeneizzazione culturale. «Il mondo si sta urbanizzando sempre più rapidamente. Nell’800 solo il 4% della popolazione viveva nelle città – ha ricordato il docente –. Nel 2006 siamo arrivati al 50%. Le proiezioni dicono che nel 2050 il 75% delle persone vivrà in città». Sono le città i luoghi in cui si cerca lavoro, in cui si cerca creatività, benessere, sicurezza. E non ci sono solo le città a uniformare il mondo: ci sono le unioni politiche (come l’Ue o l’Asean), ci sono le unioni monetarie, i trattati economici, le democrazie che gradualmente stanno cercando di sostituirsi ai regimi autoritari, le diete, sempre più a base di omogeneizzati e in pillole. Tutto uniforma. E questa è la tendenza che porta la globalizzazione. Ci piaccia o no, però, è la globalizzazione che permette alle comunità di prosperare. «Più una società è isolata, meno è prospera», ha detto Pagel, e anche la tecnologia moderna dipende dalla globalizzazione, ossia dallo scambio di informazioni, idee, materiali e beni.
Di converso, la globalizzazione rende il mondo più competitivo: le nuove imprese, per esempio, si estinguono molto più rapidamente delle vecchie imprese, nate in altri contesti economici. I giovani d’oggi sono la “generazione dipendente” (in senso familiare), ossia il 50% dei giovani vive più a lungo in famiglia, segno di una crescente difficoltà e competitività della vita.
L’ultimo processo descritto da Pagel nella sua prefigurazione di scenario, quello probabilmente più lungo in termini di tempo, è l’omogeneizzazione genetica, che comunque risponde a tutte le altre condizioni. La popolazione del mondo si sta muovendo ovunque e se le persone si mescolano, si mescolano anche i geni. In America, nel 2010, già il 10% dei matrimoni erano matrimoni “interraziali”. Questa è una tendenza globale che tenderà a uniformare dunque anche i caratteri della popolazione mondiale. Da qui l’identikit dell’uomo del futuro. … Salvo imprevisti!
D’altra parte l’essere umano per sentirsi parte importante di un disegno unitario e non solo una pedina tra le tante e pianificata per contare poco o nulla non ha bisogno di moltiplicarsi bensì di ridurre sensibilmente la sua presenza sulla terra. Questa convinzione non poteva essere espressa al tempo in cui la forza di un popolo, la sua egemonia si manifestavano in ragione del numero degli abitanti, degli eserciti che si mettevano in campo, della sua espansione produttiva.
Oggi già lo rileviamo nelle distorsioni provocate dall’aumento delle produzioni industriali che mostrano chiaramente di aver raggiunto la saturazione poichè palesano d’avere sempre meno mercato essendo diminuito il potere d’acquisto delle popolazioni e nello stesso tempo si riducono le opportunità lavorative con l’introduzione prima delle macchine e poi di tecnologie sempre più sofisticate.
E se partiamo dal presupposto che il ciclo della vita umana è tutto orientato all’idea che vada in gran parte riempito da un’attività lavorativa, come la mettiamo oggi che la disoccupazione mondiale o la sottoccupazione raggiungono se non superano un miliardo di persone?
Oggi vi sono delle megalopoli che contano ben 20 milioni di abitanti. Sono equivalenti a un terzo dei residenti in Italia concentrati in un’area inferiore alla più piccola delle regioni italiane. E’ una mostruosità sotto tutti i punti di vista e che ha fatalmente delle ricadute sulla salute dei suoi abitanti, sul lavoro, sulla disoccupazione e altro ancora. (redazione Fidest) (Vulnus si può trovare su Amazon)

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La Commissione interviene per aiutare le regioni a costruire economie resilienti nell’era della globalizzazione

Posted by fidest press agency su giovedì, 20 luglio 2017

european commissionBruxelles. La globalizzazione ha portato enormi benefici alle economie del mondo meno sviluppate e molte opportunità agli europei. Tuttavia, mentre i vantaggi sono ben distribuiti, spesso così non è per i costi, come ha evidenziato il documento di riflessione della Commissione sulla gestione della globalizzazione. Per raccogliere la sfida della modernizzazione economica, l’Europa deve favorire l’emancipazione delle regioni e aiutarle a creare valore, integrando cioè l’innovazione, la digitalizzazione, la decarbonizzazione e lo sviluppo delle competenze delle persone.
La Commissione propone un nuovo insieme di iniziative per aiutare ulteriormente le regioni europee a investire nei loro settori di nicchia competitivamente forti (“specializzazione intelligente”) e generare l’innovazione, la resilienza e la crescita necessarie.
Jyrki Katainen, Vicepresidente della Commissione responsabile per l’Occupazione, la crescita, gli investimenti e la competitività, ha dichiarato: “Per raccogliere i frutti della globalizzazione dobbiamo creare contesti favorevoli dove i progressi compiuti nel commercio e nella tecnologia possano concretizzarsi. Le strategie di investimento e di innovazione a gestione e proprietà locali sono fondamentali per affrontare questa sfida ed emancipare le nostre regioni.”
La Commissaria per la Politica regionale Corina Crețu ha affermato: “Siamo entrati nell’era ‘glocale’, come ha detto il Presidente Juncker, nella quale l’impatto delle sfide globali si fa sentire anzitutto a livello locale. Le nostre economie attraversano un momento di profondo cambiamento; un processo che non possiamo invertire. Possiamo invece aiutare le nostre regioni a dotarsi di strumenti adeguati a una crescita solida e duratura – ecco cosa fa la specializzazione intelligente.” La specializzazione intelligente è stata introdotta nel 2014 in tutti i programmi di politica regionale e ha portato i risultati previsti. La Commissione intende prendere spunto da questa esperienza positiva con due progetti pilota: Sostegno mirato alle sfide specifiche che le regioni affrontano nella transizione industriale: su richiesta, alcune regioni possono lavorare in collaborazione con gruppi di esperti della Commissione per rafforzare la capacità d’innovazione, eliminare gli ostacoli agli investimenti, fornire ai cittadini le giuste competenze e prepararsi al cambiamento industriale e sociale, sulla base delle loro strategie di specializzazione. Partenariati interregionali in materia di innovazione sostenuti dai fondi dell’UE: ispirato al successo dell’iniziativa Vanguard, il progetto ha come obiettivo di individuare ed espandere progetti interregionali bancabili che possono creare catene del valore europee in settori prioritari come i big data, la bioeconomia, l’efficienza delle risorse, la mobilità interconnessa o la fabbricazione avanzata.
Parallelamente la Commissione intensificherà gli sforzi per aiutare gli Stati membri ad affrontare le rimanenti strozzature che rallentano la crescita e creare un ambiente favorevole alle imprese.Sarà prestata particolare attenzione alla qualità e alla trasparenza della ricerca pubblica, alla cooperazione tra imprese e università e all’allineamento delle competenze disponibili a livello locale alle esigenze del mercato, il tutto con l’aiuto delle strutture di sostegno della Commissione.
La Commissione cercherà anche di facilitare ulteriormente le sinergie e le combinazioni tra i vari programmi e strumenti UE di innovazione, crescita e competitività esistenti.
Prossime tappe. Gli inviti a manifestare interesse per le iniziative regionali pilota sulla transizione industriale saranno lanciati nell’autunno di quest’anno. I partenariati interregionali saranno costituiti durante il 2017 e realizzati durante il 2018.
L’esperienza acquisita finora con gli attuali programmi della politica di coesione e le azioni e le soluzioni strategiche presentate in questa comunicazione offriranno un utile contributo all’elaborazione del prossimo quadro di bilancio, nel contesto della riflessione in corso sul futuro delle finanze dell’UE. La Commissione esaminerà la possibilità di un più forte collegamento tra gli strumenti dell’UE esistenti con l’obiettivo comune di rispondere alle nuove sfide industriali. La specializzazione intelligente potrebbe essere ampliata e resa uno strumento completo che aiuti tutte le regioni a trarre beneficio dai cambiamenti portati dalla globalizzazione.
Contesto Introdotta come prerequisito per garantire l’efficacia degli investimenti della politica di coesione nella ricerca e nell’innovazione, la specializzazione intelligente ha fatto sì che tutte le regioni elaborassero strategie di investimento basate sulle proprie potenzialità concorrenziali – dalle specialità agroalimentari e il turismo alle nanotecnologie e l’industria aerospaziale. Nell’ambito di tali strategie le imprese locali ricevono sostegno finanziario per sviluppare prodotti innovativi ed espandersi al di là dei mercati locali. Le strategie hanno consentito di instaurare migliori sinergie tra il settore scientifico e le imprese e un migliore coordinamento a tutti i livelli dell’amministrazione locale.

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I deputati vogliono proteggere i cittadini dagli effetti negativi della globalizzazione

Posted by fidest press agency su giovedì, 18 Maggio 2017

bruxelles-1Bruxelles Durante il dibattito di martedì con il Vicepresidente della Commissione Jyrki Katainen, i deputati hanno evidenziato che la globalizzazione rappresenta la sfida più grande per i cittadini dell’UE, accogliendo con favore la recente valutazione degli effetti della globalizzazione presentata dalla Commissione.Per molti deputati la globalizzazione crea un’enorme pressione sui posti di lavoro, sui salari e sugli standard, alimentando al contempo il populismo. Hanno quindi richiesto una migliore protezione per l’industria e per i lavoratori dell’UE e di avere un ruolo di guida nel dibattito globale per la promozione di un equo commercio globale. “Dobbiamo essere registi, non governatori”, hanno detto.Altri deputati hanno chiesto un piano d’azione per evitare che il sistema di protezione sociale sia nel tempo ridotto e chiesto una migliore redistribuzione verso i cittadini, da parte degli Stati membri, dei benefici della globalizzazione.Alcuni deputati hanno ritenuto che la forma attuale della globalizzazione sia un vicolo cieco e che il libero scambio abbia gravemente compromesso la democrazia, i diritti sociali e l’ambiente. “Il solo commercio” non aiuterà gli europei, hanno detto. Altri deputati hanno infine chiesto un sistema fiscale equo che non permetta alle grandi compagnie di poter evitare il pagamento delle tasse dovute.Il Vicepresidente della Commissione Jyrki Katainen ha dichiarato che il commercio mondiale ha rafforzato la crescita economica dell’UE, ma che i benefici non sono né automatici né distribuiti in modo uniforme. L’UE deve spingere per nuove regole per creare condizioni eque e affrontare l’evasione fiscale, le sovvenzioni statali o il dumping sociale. Gli strumenti efficaci di difesa commerciale e un tribunale multilaterale d’investimento potrebbero anche contribuire a questo processo. Sul fronte interno, Katainen ha suggerito che robuste politiche sociali, d’istruzione e di formazione potrebbero aiutare a proteggere i cittadini e dargli maggiori poteri.

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Il futuro dell’Europa: affrontare la globalizzazione

Posted by fidest press agency su giovedì, 11 Maggio 2017

europa-comunitariaLa globalizzazione può creare ricchezza e lavoro, ma ha in sé anche un potenziale negativo. L’Unione europea ha sempre cercato di sfruttare le opportunità e allo stesso tempo di mitigare gli effetti negativi della globalizzazione stabilendo regole e collaborando con altri paesi. Ecco le recenti attività del Parlamento in materia.
L’Unione europea è il più grande attore nel mercato globale e usa la sua influenza non solo per imporre alti standard alle importazioni ma anche per promuovere i valori europei all’estero. I deputati europei sfruttano questa posizione proponendo emendamenti agli accordi UE. Nelle recenti negoziazioni per il trattato Ceta, la pressione da parte del parlamento ha ottenuto che la problematica risoluzione delle controversie investitore-Stato fosse sostituita dal sistema giurisdizionale per gli investimenti al fine di incoraggiare la trasparenza e assicurare un controllo governativo sulla scelta degli arbitri.I deputati europei promuovono misure per combattere la concorrenza sleale proveniente dall’esterno, come hanno fatto ad esempio quando hanno richiesto che ci fosse una strategia europea in seguito a un’impennata delle importazioni di forniture ferroviarie a basso costo. Per proteggere l’impiego in Europa il Parlamento sta insistendo a favore di un accordo in tempi brevi sulla modernizzazione degli strumenti di difesa commerciale. Si tratta sempre di trovare il giusto equilibrio, come nel caso della Cina.Per impedire che il commercio di minerali finanzi guerre e violazioni dei diritti umani, i membri del Parlamento hanno adottato a marzo una bozza di regolamento che impone un controllo dei fornitori di quasi tutte le importazioni europee di stagno, tungsteno, tantalio e oro. I grandi produttori dovranno anche dimostrare come intendono verificare che i loro fornitori rispettino le regole. Il Parlamento ha anche aggiornato le regole europee per impedire il commercio di beni e servizi che potrebbero contribuire a torture e esecuzioni, includendo un bando sulla commercializzazione e il transito di materiale usato per il trattamento crudele, inumano e degradante di persone fuori dall’Unione Europea.Il Parlamento, adottando risoluzioni di propria iniziativa, spesso insiste affinché la commissione prepari nuove leggi. Ad esempio in aprile i deputati europei hanno richiesto regole che impongano all’industria tessile e dell’abbigliamento di rispettare i diritti dei lavoratori. Nello stesso mese i deputati hanno anche chiesto un sistema di certificazione unico per l’olio di palma che entra nel mercato europeo. Questo sistema ha lo scopo di contrastare gli effetti della produzione non sostenibile dell’olio di palma, come la deforestazione e il degrado dell’habitat.I membri del Parlamento sono anche consapevoli di quanto la globalizzazione influisca sull’occupazione: ad esempio sostengono iniziative per rafforzare i diritti dei lavoratori. Il Parlamento sta lavorando per la protezione delle persone in nuove forme di impiego create dall’economia digitale. Il Parlamento sostiene anche il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, che aiuta i lavoratori che sono stati licenziati a trovare nuovi lavori. Ad esempio il comitato del bilancio approverà l’11 maggio un aiuto di 2.6 milioni di euro per aiutare 821 lavoratori della ex-Nokia in Finlandia.Questi sono solo alcuni degli esempi di quello che il Parlamento ha fatto in tema di globalizzazione nei mesi scorsi. Questi esempi ci aiutano a comprendere i diversi modi in cui i deputati lavorano affinché globalizzazione sia un vantaggio per gli europei.La Commissione pubblicherà cinque documenti di riflessione da questa settimana fino alla fine di giugno per lanciare un dibattito sul futuro dell’integrazione europea. Ogni documento è dedicato a un tema specifico: la dimensione sociale dell’Europa, la globalizzazione, l’unione economica e monetaria, la difesa e le finanze. I documenti contengono idee e scenari su come potrebbe essere l’Europa nel 2025. L’iniziativa terminerà a metà settembre con il discorso annuale sullo stato dell’Unione del Presidente Jean-Claude Juncker.

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Il debito pubblico italiano e la globalizzazione senza regole

Posted by fidest press agency su sabato, 18 marzo 2017

pilIl debito pubblico italiano è sempre al centro di tutte le discussioni relative al ruolo dell’Italia nell’Unione europea. Anche se siamo stati tra i fondatori dell’Unione, più di un governo europeo ci vorrebbe relegati nel secondo o addirittura nel terzo girone. Gli ultimi dati indicano che il rapporto del debito pubblico italiano rispetto al pil è intorno al 133%. Di conseguenza, tutti si sentono autorizzati a chiedere riforme strutturali, rientri veloci, tagli ed austerità, fino a sollecitare forti sanzioni finanziarie per il mancato rispetto dei parametri di Maastricht. L’andamento del nostro debito pubblico nei decenni passati è sempre stato in aumento per una serie di motivi negativi, politici ed amministrativi, che ancora oggi necessitano di essere affrontati e corretti.Noi, però, dobbiamo anche evidenziare come la speculazione finanziaria internazionale, esplosa in alcuni momenti cruciali della nostra storia, ha inferto delle tremende accelerazioni nella crescita del debito pubblico, portandolo così fuori dai normali canali istituzionali.Il primo grande attacco speculativo contro la lira avvenne nel 1992. Era parte del più vasto attacco contro il Sistema Monetario Europeo. Lo Sme doveva preparare con maggior attenzione e con una velocità moderata, il processo di cooperazione e di unione europea, anche nel campo monetario e finanziario. Come è noto, in Italia l’attacco speculativo era combinato con la pressione internazionale verso la privatizzazione delle imprese a partecipazione statale. Ovviamente non vi fu solo la spinta internazionale… Alla fine, con la massiccia svalutazione della lira, vi fu una vera e propria svendita delle aziende pubbliche.
L’effetto sul debito pubblico fu devastante. Il rapporto debito/pil , che era di 105,4% nel 1992, salì al 115,6% nel 1993 fino a raggiungere 121,8% nel 1994.
Sotto la pressione dei mercati i tassi di interesse sui titoli di stato salirono notevolmente, aggravando ulteriormente l’andamento del debito pubblico.
Fu necessario un enorme sforzo, sia per la ripresa economica che per i tagli della spesa pubblica, per ridimensionare i tassi. Anche l’entrata nell’euro incise nel rapporto debito/pil che scese intorno al 103% nel 2004 e nel 2007/8.
Poi la crisi finanziaria globale, partita dagli Usa, investì tutto il mondo, in primis l’Europa, colpendo tutti i settori economici, bancari e commerciali provocando pesanti crolli nelle produzioni ed enormi salvataggi pubblici delle banche a rischio bancarotta.
In Italia il rapporto debito/pil schizzò dal 103,6% del 2007 al 116,0% del 2009.
L’altra impennata più recente si è registrata nel 2011 a seguito dell’attacco speculativo contro l’Italia, che portò lo spread ad oltre 500 punti (5%)sopra il tasso di interesse del Bund decennale tedesco, con effetti pesanti per gli interessi dei titoli di stato italiani. Come noto, la crisi determinò anche mutamenti negli assetti di governo. Per fortuna l’attacco si fermò nel preciso momento in cui Mario Draghi, presidente della Bce, dichiarò che avrebbe utilizzato tutti i mezzi necessari nella difesa dell’euro. Il famoso “whatever it takes”. Ma il rapporto debito/ pil, che nel 2011 era del 120,7%, schizzò al 127,0% l’anno successivo. Si stima che le grande banche internazionali, in particolare quelle europee, nel pieno di quelle turbolenze finanziarie abbiano venduto non meno di 200 miliardi di euro di titoli di Stato italiano. E’ difficile dare una valutazione precisa, ma non si è lontani dalla verità se si afferma che siano state coinvolte anche certe banche tedesche e francesi, quelle stesse che in precedenza erano state salvate dai rispettivi governi. E’ da ipocriti affermare in Europa o in Italia che la speculazione attacca chi se lo merita, per una endogena debolezza economica di cui si è i soli responsabili. Si dimentica che un’economia più debole deve anche fare degli sforzi enormi per recuperare le perdite generate da una crisi a volte provocata da altri.
I dati e le stesse discussioni ci dicono che c’è ancora molto da fare. Nelle sedi europee non servono né l’ottimismo di maniera né la classica voce grossa. In quelle sedi non solo bisogna evidenziare che il nostro Paese, a seguito dei ripetuti attacchi speculativi, ha subito un aggravamento del rapporto debito/pil non inferiore al 30%, ma soprattutto far comprendere che è il momento di decidere che gli investimenti non possono essere sottoposti ad un irrazionale principio di austerità che, anziché lenire, aggrava i malanni di un Paese. (Mario Lettieri già sottosegretario all’Economia e Paolo Ramondi economista)

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Tornano all’Università di Parma le “Lezioni aperte sulla globalizzazione”

Posted by fidest press agency su mercoledì, 8 febbraio 2017

parma universitàParma dal 13 febbraio al 30 marzo, otto incontri organizzati all’interno del corso di Sociologia della Comunicazione (prof.ssa Vincenza Pellegrino) e aperti a tutti gli interessati. Gli incontri del primo ciclo si svolgeranno nell’Aula B (primo piano) del Palazzo centrale dell’Università di Parma, dalle ore 16.30 alle 19. Il via il 13 febbraio con “Cercare di salvarsi. Come interpretare le migrazioni forzate contemporanee: le instabilità neocoloniali, le rotte di fughe, le città dell’attesa, i nuovi muri e gli (im)possibili attraversamenti”. Secondo incontro il 20 febbraio: “Spostarsi in Europa nell’era Dublino. Come interpretare “l’andirivieni” migratorio tra politiche locali e desideri soggettivi”. Terzo appuntamento il 6 marzo con “Protestare insieme. Come interpretare i movimenti di protesta: il caso Lampedusa in Berlin e la co-costruzione di uno spazio pubblico per l’asilo”. Il ciclo si chiuderà il 20 marzo con “Nonostante tutto, rifarsi una vita e rigenerare la cittadinanza. Come interpretare le politiche dell’accoglienza alla luce di alcune sperimentazioni di accoglienza e con-cittadinanza”
Gli incontri del primo ciclo si svolgeranno nell’Aula B (primo piano) del Palazzo centrale dell’Università di Parma, dalle ore 16.30 alle 19. Il via il 13 febbraio con “Cercare di salvarsi. Come interpretare le migrazioni forzate contemporanee: le instabilità neocoloniali, le rotte di fughe, le città dell’attesa, i nuovi muri e gli (im)possibili attraversamenti”. Secondo incontro il 20 febbraio: “Spostarsi in Europa nell’era Dublino. Come interpretare “l’andirivieni” migratorio tra politiche locali e desideri soggettivi”. Terzo appuntamento il 6 marzo con “Protestare insieme. Come interpretare i movimenti di protesta: il caso Lampedusa in Berlin e la co-costruzione di uno spazio pubblico per l’asilo”. Il ciclo si chiuderà il 20 marzo con “Nonostante tutto, rifarsi una vita e rigenerare la cittadinanza. Come interpretare le politiche dell’accoglienza alla luce di alcune sperimentazioni di accoglienza e con-cittadinanza”
Il secondo ciclo si aprirà invece il 15 febbraio dalle ore 14.45 alle 17 nell’Aula dei Filosofi dell’Università di Parma (Palazzo centrale, via Università 12), con “Assia Djebar, Leila Sebbar e la forza del plurilinguismo”. Secondo incontro il 23 febbraio dalle ore 15.30 alle 17 al Museo d’Arte Cinese ed Etnografico dei Missionari Saveriani (v.le S.Martino 8 – Parma) con “Try-me. La soggettività femminile interculturale. Partecipazione, politica, coraggio di sé: donne allo specchio”. Terzo appuntamento il 13 marzo dalle ore 16.30 alle 18 con “Intercultura e stili di maternità (in luogo ancora da definire). Ultimo incontro il 30 marzo dalle ore 15.30 alle 17, nell’Aula B (primo piano) del Palazzo centrale dell’Università (via Università 12), con “I femminismi mediterranei e l’agency femminile che cambia, a partire dalla voce di Fatima Mernissi”
Il secondo ciclo si aprirà invece il 15 febbraio dalle ore 14.45 alle 17 nell’Aula dei Filosofi dell’Università di Parma (Palazzo centrale, via Università 12), con “Assia Djebar, Leila Sebbar e la forza del plurilinguismo”. Secondo incontro il 23 febbraio dalle ore 15.30 alle 17 al Museo d’Arte Cinese ed Etnografico dei Missionari Saveriani (v.le S.Martino 8 – Parma) con “Try-me. La soggettività femminile interculturale. Partecipazione, politica, coraggio di sé: donne allo specchio”. Terzo appuntamento il 13 marzo dalle ore 16.30 alle 18 con “Intercultura e stili di maternità (in luogo ancora da definire). Ultimo incontro il 30 marzo dalle ore 15.30 alle 17, nell’Aula B (primo piano) del Palazzo centrale dell’Università (via Università 12), con “I femminismi mediterranei e l’agency femminile che cambia, a partire dalla voce di Fatima Mernissi”
L’obiettivo specifico delle lezioni aperte è quello di coinvolgere nei corsi universitari – a fianco di ricercatori e scienziati sociali – persone che abbiano esperienza diretta dei fenomeni sociali analizzati: in questo ciclo di seminari, infatti, tra i docenti ci saranno anche richiedenti asilo e donne delle associazioni interculturali del territorio.
Le lezioni aperte non sono riservate ai soli studenti: tutti gli interessati sono invitati a partecipare. L’iscrizione non è obbligatoria ma gradita e permette anche di ricevere i materiali presentati negli incontri.

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Globalizzazione e diritti fondamentali, a 40 anni dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli

Posted by fidest press agency su domenica, 3 luglio 2016

Roma 4 – 5 luglio 2016 Programma 4 luglio Camera dei Deputati Nuova aula del palazzo dei gruppi parlamentari Via di Campo Marzio 78
Ore 9:00 – 9:30 – Registrazione delle persone partecipanti
Ore 9.30 Saluto introduttivo della Presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini (in attesa conferma)
Ore 9:45 -10.15 – Apertura dei lavori Elena Paciotti, Presidente della Fondazione Lelio e Lisli Basso ISSOCO
Salvatore Senese, già Presidente del Tribunale Permanente dei Popoli
Fabio Porta, Presidente Comitato permanente italiani nel mondo e promozione del sistema-paese della Camera dei deputati
Ore 10:30- 13:00- Prima sessione A quaranta anni dalla Dichiarazione di Algeri. Quadro di riferimento generale
Dalla Dichiarazione di Algeri agli scenari del tempo presente Philippe Texier, magistrato, vice-presidente del Tribunale Permanente dei Popoli
I diritti dei popoli nell’era della globalizzazione Luigi Ferrajoli, teorico del diritto, Università Roma3 Diritto internazionale e accordi commerciali Alfred-Maurice de Zayas, esperto indipendente per la promozione di un ordine internazionale democratico ed equo delle Nazioni Unite
Limiti del diritto internazionale: l’esperienza della Corte Penale Internazionale
Flavia Lattanzi, docente di diritto internazionale, già giudice ad litem al Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda e al Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia.
lumsa universitàDibattito e interlocuzione con il pubblico Modera Pietro Veronese, giornalista
ore 14:30 – 17:30 – Seconda Sessione I popoli come soggetti di diritto Impunità, giustizia transizionale e diritto dal basso
Javier Giraldo Moreno, gesuita, componente del Centro de Investigación y Educación Popular (Cinep), ColombiaMemorie resistenti e diritto dei popoli alla parola Carlos Beristain, medico, esperto di violenza e diritti umani, Università Pedro Arrupe, Bilbao
I migranti, nuovo popolo della globalizzazione Fulvio Vassallo Paleologo, giurista, Università di Palermo
Diritti di genere: la negazione del salario vitale come violenza Mary E. John, Centre for Women Development Studies, India
La lotta per la dignità delle minoranze e dei popoli indigeni Mrinal Kanti Tripura, direttore Maleya Foundation, Bangladesh
Modera Anna Maria Giordano, Radio 3 Mondo, RAI
Programma 5 luglio LUMSA – Sala convegni Giubileo Via di Porta Castello, 44
Ore 9:00 – 9:30 – Registrazione delle persone partecipanti
Ore 9:30 – 11:30 – Terza Sessione Le sfide per i diritti dei popoli
Finanziarizzazione dell’economia: quale spazio per la democrazia? Roberto Schiattarella, economista, Università di Camerino
Diritti dei popoli e ambiente Antoni Pigrau Solé, professore di Diritto all’Università Rovira y Virgili di Tarragona
Crimini contro i popoli nel diritto penale internazionale Daniel Feierstein, sociologo, Università Tres de Febrero e Università di Buenos Aires
Europa dei diritti: retorica o futuro? Luciana Castellina, giornalista e scrittrice
Interventi dal pubblico e dibattito 11:30 – 12:00 Coffee break
ore 12:00 – 13:30 – Quarta sessione Strategie e azioni di promozione dei diritti dei popoliLa sovranità dei popoli: piattaforme e reti sociali come resistenza e promozione dei diritti
Brid Brennan, Transnational Institute, Amsterdam I media e i diritti: alto tasso d’informazione, basso tasso di verità
Luis Badilla, giornalista e direttore de Il sismografo
Il ruolo del Tribunale Permanente dei Popoli Gianni Tognoni, segretario generale del Tribunale Permanente dei Popoli
Modera Nicoletta Dentico, Fondazione Lelio e Lisli Basso ISSOCO
Ore 13:30 – 14:00 – Sessione finale Il futuro dei diritti dei popoli Franco Ippolito, presidente del Tribunale Permanente dei Popoli

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Analisi sul presente e il futuro del modello economico e politico mondiale basato sulla globalizzazione

Posted by fidest press agency su venerdì, 17 giugno 2016

copertina“Il modello politico, economico e sociale detto della ‘globalizzazione’ ha dominato gli ultimi decenni, contribuendo a raddoppiare la ricchezza nel mondo, a far uscire dalla povertà estrema un miliardo e mezzo di persone e ad ampliare la sfera dei diritti su scala, appunto, globale. Ma adesso, nel 2016, la grande questione della nostra epoca è: il sistema della ‘globalizzazione neoliberista’, per usare la definizione cara ai suoi detrattori, regge ancora o è sotto attacco proprio perché arrivato al capolinea?”. Così apre il proprio editoriale Christian Rocca nel nuovo numero di IL, mensile del Sole 24 Ore dedicato alle Idee e al Lifestyle, in edicola con il quotidiano da venerdì 17 giugno, che nella storia di copertina cerca di rispondere alla domanda “Che cosa c’è dopo la globalizzazione?”. “A fronte di una sempre più diffusa critica al sistema, evidenziata dai consensi fino a poco tempo fa impensabili per Trump e Grillo, per la destra nazionalista e la sinistra radicale, con questo numero di IL – aggiunge Christian Rocca – torniamo a ragionare sul punto: ok, per effetto della grande redistribuzione della ricchezza di questi anni, dal Nord al Sud del mondo, la classe media occidentale cresce meno di quella asiatica, anche se resta più ricca, e aumentano le diseguaglianze interne e tutto quanto, ma – di grazia – qual è l’alternativa alla globalizzazione?” Tra scenari possibili, la mappa degli accordi bilaterali e internazionali, l’analisi dell’aumento di viaggiatori e connessioni, la storia di copertina dedica quattro pagine al “Global report” di Guido De Franceschi e Davide Mottes che con numeri e infografiche spiegano “35 anni (su 36) con il segno +”. Se è infatti vero che mentre la popolazione mondiale è aumentata a tassi costanti, la linea della crescita del Prodotto interno lordo è più frastagliata e, 2009 a parte, il Pil mondiale è comunque sempre cresciuto rispetto all’anno precedente. (copertina)

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