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Quotidiano di informazione – Anno 35 n°185

Posts Tagged ‘ictus’

Ictus: Interventi terapeutici

Posted by fidest press agency su mercoledì, 29 marzo 2023

Lecce Giovedì 30 aprile, ore 12.00 Grand Hotel Tiziano e dei Congressi, Sala Bernini (via Porta d’Europa). La conferenza potrà essere seguita anche su Zoom e sulla pagina Facebook ‘Italian Stroke Association’. Parteciperanno Mauro Silvestrini (Presidente ISA-AII | Italian Stroke Association-Associazione Italiana Ictus), Danilo Toni (Past President, ISA-AII | Italian Stroke Association-Associazione Italiana Ictus), Paola Santalucia (Presidente Eletto, ISA-AII | Italian Stroke Association-Associazione Italiana Ictus), Leonardo Barbarini (Responsabile Stroke Unit Ospedale Vito Fazzi di Lecce). L’ictus è una delle maggiori cause di morte dopo le neoplasie e le malattie cardiovascolari e può causare importanti disabilità. Le Stroke Unit sono ormai distribuite su tutto il territorio italiano, ma resta un gap tra nord e sud che spesso rende difficoltosa la presa in carico dei pazienti. Per uniformare gli interventi terapeutici in tutto il Paese, ISA-AII ha lavorato su nuove indicazioni, che presenterà in occasione della conferenza stampa di apertura del IX Congresso Nazionale.

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Ictus – Trombolisi ancora più sicura

Posted by fidest press agency su lunedì, 10 ottobre 2022

La Neurologia dell’IRCCS è’ il più grande studio al mondo sull’ictus ischemico in pazienti sottoposti a trombolisi endovenosa, ha coinvolto 1.678 pazienti in 6 centri italiani, ed è stato coordinato da Andrea Zini, Direttore Neurologia e Rete Stroke Metropolitana, IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna.Recentemente pubblicato dalla rivista Stroke, dell’American Heart Association American Stroke Association, lo studio ha individuato nella diminuzione nel sangue dei valori di fibrinogeno, una delle cause principali del rischio di complicazioni emorragiche.La trombolisi endovenosa (assieme alla trombectomia) è una delle due terapie per ripristinare la circolazione sanguigna nell’area del cervello colpita da ictus ischemico, efficace nel ridurre mortalità ed invalidità. Non è tuttavia esente dal rischio di emorragia in una percentuale di casi compresa tra il 5 e l’8%. Il farmaco trombolitico, infatti, può ridurre sensibilmente la quantità di fibrinogeno, proteina presente naturalmente nel sangue, che contribuisce alla sua coagulazione. “Lo studio, che ha coinvolto 1.678 pazienti sottoposti a trombolisi in 6 diversi ospedali italiani – afferma Andrea Zini – ha individuato 116 casi (7% del totale) nei quali, dopo il trattamento, si sono verificate emorragie che hanno complicato il quadro clinico. Si tratta di casi rari, ma evitabili o comunque contrastabili prestando la dovuta attenzione al dosaggio del fibrinogeno nel sangue, a partire da poche ore dal trattamento di trombolisi. Si tratta di un esame disponibile in urgenza in qualsiasi ospedale, determinante nel rendere la trombolisi maggiormente sicura e praticabile. Questo nuovo studio, per la numerosità dei casi esaminati e il cospicuo numero di centri ospedalieri coinvolti supera di gran lunga tutte le ricerche sinora pubblicate. Un grande lavoro di squadra, al quale hanno contribuito i neurologi delle Stroke Unit, e i professionisti dei Laboratori e Centri Trasfusionali. In particolare, per quanto riguarda l’Azienda Usl di Bologna, il Laboratorio Unico Metropolitano, diretto da Rita Mancini, e il Servizio di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale Metropolitano, diretto da Vanda Randi. Ed è un lavoro in progress – conclude Zini. Stiamo conducendo, infatti, un nuovo studio che dovrebbe concludersi nel giro di 18 mesi, per valutare se l’infusione di fibrinogeno può prevenire l’emorragia anche quando la riduzione del fibrinogeno causata dalla trombolisi è superiore al 50% dei valori di base”. I centri che hanno partecipato allo studio sono le Stroke Unit dell’Ospedale Maggiore di Bologna, dell’Ospedale Civile AOU di Modena, dell’AOU di Trieste, dell’Ospedale Brotzu di Cagliari, dell’IRCCS Policlinico S. Martino di Genova e del Policlinico di Messina. Nel 2021, la Neurologia dell’IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche ha ricoverato alla Stroke Unit dell’Ospedale Maggiore oltre 1.200 pazienti, 2/3 dei quali con ictus. La Stroke Unit, con 281 trattamenti, è risultata il 1° centro italiano per numero di trombolisi in soggetti con ictus ischemico e il 2° per il numero di trombectomie meccaniche, con 219 trattamenti eseguiti dal team di Neuroradiologia Interventistica. Il recupero dell’autonomia a 3 mesi (misurata con la scala mRS 0-2) è avvenuto nel 63.5% dei pazienti trattati con trombolisi e nel 45.3% di quelli più gravi trattati con trombectomia.

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Ictus cerebrale: la stenosi carotidea ne causa circa il 20%

Posted by fidest press agency su lunedì, 26 settembre 2022

1 milione e 400mila nuovi casi ogni anno in Europa, circa 150mila nel nostro Paese: anche se dal 1990 al 2019 i numeri relativi ad incidenza e mortalità per ictus cerebrale, a livello mondiale, sono leggermente diminuiti, quelli complessivi continuano a rimanere elevati soprattutto nei Paesi ad alto e medio reddito,1 nei quali questa patologia si conferma la prima causa di invalidità, la seconda di demenza e la terza di morte, dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie. La stenosi carotidea è una patologia che, provocando una diminuzione dell’afflusso del sangue al cervello a causa del restringimento della carotide, è responsabile di circa il 20% degli ictus. Una diagnosi precoce è fondamentale perché consente di evitare l’insorgenza di patologie gravi come appunto quelle cerebrovascolari. I soggetti più a rischio sono gli ultrasessantenni, soprattutto di sesso maschile, con uno o più dei seguenti fattori di rischio: ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, diabete mellito, abitudine al fumo. obesità e familiarità per eventi ischemici. Su invito del Ministero della Salute, alcune delle principali Società Scientifiche hanno recentemente pubblicato una nuova Linea Guida con indicazioni e raccomandazioni da seguire per la diagnosi e il trattamento più appropriato possibile della patologia della carotide al fine di prevenire l’ictus cerebrale ischemico. Per la prima volta, ha partecipato accanto alle Società Scientifiche la Federazione A.L.I.Ce. Italia ODV (Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale) coinvolta attivamente, anche tramite la distribuzione di questionari agli associati, nei lavori delle Linee Guida per portare il punto di vista di pazienti. Questa nuova Linea Guida è principalmente rivolta a Medici di Medicina Generale, Medici Specialisti quali Chirurghi Vascolari ed Endovascolari, Neurologi, Angiologi, Internisti, Radiologi, Cardiologi, Anestesisti, ma anche a pazienti, familiari e caregiver, nonché a decisori pubblici e esperti di settore, con l’obiettivo di promuovere protocolli e processi decisionali e percorsi diagnostico-terapeutici appropriati ed efficaci in pazienti con patologia della carotide considerati a rischio di ictus.

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Ictus Silvestrini: “Pensare di curare la malattia solamente riaprendo un vaso può essere pericoloso”

Posted by fidest press agency su lunedì, 27 giugno 2022

“Diciamo no alla moltiplicazione delle Stroke Unit con piccoli volumi di attività, perché non sarebbero nell’interesse del paziente. Quanto alla trombectomia, pensare di curare la malattia solamente riaprendo un vaso, può essere pericoloso: il cervello è anatomicamente e funzionalmente più complesso del cuore. Ogni giorno lavoriamo in collaborazione con i cardiologi e con i cardiologi interventisti, ma il rispetto per le competenze può cambiare radicalmente il corso di una patologia e la vita delle persone”. Questa la reazione del Presidente di ISA-AII Italian Stroke Association-Associazione Italiana Ictus, Prof. Mauro Silvestrini all’allarme lanciato dal GISE sulla carenza di carenza in Italia di Unità Ictus e di una delle procedure utilizzate per disostruire i vasi occlusi, la trombectomia.“Il paziente colpito da ictus – prosegue Silvestrini – normalmente viene prima sottoposto a terapia farmacologica fibrinolitica per via endovenosa. In casi selezionati e in specifiche condizioni si procede con la trombectomia. Ricordiamo però che la procedura da sola non risolve: il trattamento offerto al paziente è efficace se c’è un percorso adeguato in cui l’intervento può avere un ruolo limitato, non per importanza, ma perché inserito nell’ambito di un percorso che è molto più articolato e che non è per tutti. Le evidenze ci dicono che ciò che migliora la prognosi del paziente non è un singolo passaggio ma una gestione appropriata e competente dell’insieme di problematiche che caratterizzano un ictus. Estrarre quel solo elemento da tutto il processo non migliora la speranza di vita di una persona”.“Noi – spiega il Presidente ISA-AII – abbiamo a che fare con il trattamento di una condizione che riguarda il cervello, che è un organo che chiaramente ha le sue peculiarità. Quindi è impensabile che qualsiasi tipo di gestione dei pazienti venga fatta al di là e al di fuori di una supervisione o competenza di tipo neurologico. Se è vero che alcuni pazienti non riescono ad avere un trattamento appropriato, ciò accade soprattutto quando il trasporto in Ospedale non avviene tempestivamente. Questo è minimamente influenzato dal numero delle Unità Ictus che sono attualmente 220 (64 delle quali in grado di effettuare la trombectomia) e che nella maggior parte delle regioni italiane, assicurano già una buona copertura, in netta crescita anche al Sud: prova ne è il numero sempre crescente di pazienti che viene sottoposto a un trattamento nella fase acuta. Bisogna sempre ricordare che l’adeguatezza di un centro e la capacità di effettuare trattamenti efficaci è relazionabile al numero di interventi che vengono eseguiti. Creare strutture che hanno ridotti volumi di attività o che solitamente si occupano di altri trattamenti, non vuol dire rendere un buon servizio alla comunità. Ciò che serve è l’ottimizzazione del funzionamento della rete, dalla consapevolezza dei cittadini sui sintomi al trasporto col 118. “Le figure del cardiologo e del cardiologo interventista sono preziose – conclude il Presidente ISA-AII -. In tutte le Unità Ictus esiste una collaborazione strettissima fra neurologo e cardiologo. La relazione, anche come Società Scientifica, è molto forte: la competenza cardiologica nell’ictus è fondamentale, basti pensare al tema della prevenzione secondaria. Tuttavia crediamo con forza che le competenze specifiche debbano restare tali, sempre nell’ambito di un lavoro di squadra. Un neuroradiologo non tratta l’ictus da solo, ma in collaborazione con l’intera Unità Ictus, normalmente gestita da neurologi, gli unici che possono dare indicazione all’intervento di trombectomia insieme al neuroradiologo, proprio perché tutto quello che viene fatto prima e dopo quell’atto richiede una visione della complessità della problematica. Scorporare questo segmento del percorso, senza uno sguardo d’insieme, non va a vantaggio della salute del paziente, che deve sempre essere al centro di tutti gli sforzi terapeutici della fase acuta dell’ictus”.

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Ictus allarme riabilitazione

Posted by fidest press agency su domenica, 17 aprile 2022

Roma 20 aprile alle ore 11.00, presso il Ministero della Salute (Roma, Lungotevere Ripa 1) si terrà la conferenza stampa in Italia su l’ictus terza causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie, ma la prima causa assoluta di disabilità: sono circa 185.000 le persone colpite da ictus ogni anno. Le persone che nel nostro Paese hanno avuto un ictus e sono sopravvissute sono oggi 913.000. Circa un terzo presenta una significativa invalidità, con problemi di spasticità. Per creare consapevolezza sull’ictus e il post evento acuto, ISA | AII Italian Stroke Association Associazione Italiana Ictus ha avviato la I risultati di tali indagini. Nel corso dell’evento verrà inoltre presentato lo spot contro l’ictus, realizzato da Massimo Lopez. Alla conferenza stampa interverranno Mauro Silvestrini Presidente ISA-AII, Danilo Toni Past President ISA-AII, Paola Santalucia Presidente Eletto ISA-AII, Francesca Romana Pezzella Segretario ISA-AII e co-chair Action Plan in Europe di ESO | European Stroke Organization, Francesco Bono SIN | Società Italiana di Neurologia e Coordinatore Rete Italiana Tossina Botulinica, Pietro Fiore Past President SIMFER | Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa, Mauro Zampolini Presidente SIRN | Società Italiana di Riabilitazione Neurologica e l’associazione, Paola Boldrini Intergruppo Parlamentare Cronicità | Vicepresidente Commissione Igiene e Sanità, Senato della Repubblica e Rossana Boldi Intergruppo Parlamentare Cardio-cerebrovascolare | Vicepresidente Commissione Affari Sociali, Camera dei Deputati e Andrea Vianello, Presidente Alice | Associazione per la lotta all’ictus cerebrale.

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Ridurre l’incidenza del diabete per diminuire il rischio di essere colpiti da ictus

Posted by fidest press agency su mercoledì, 30 marzo 2022

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), sono circa 346 milioni le persone affette da diabete in tutto il mondo, ben 52 milioni in Europa; viene inoltre stimato che i decessi per diabete siano destinati a raddoppiare tra il 2005 e il 20301. Sono invece almeno 4 milioni gli italiani che convivono con questa patologia, circa 500.000 quelli con il diabete di tipo 1 (detto anche insulino-dipendente) e oltre 3 milioni e mezzo quelli con il diabete di tipo 2, legato all’obesità e ad uno stile di vita scorretto. In base al Rapporto 2020 di ‘Health Search’ (Istituto di Ricerca Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie SIMG), la diffusione della malattia è in continuo aumento, visto che è passata, secondo gli ultimi dati disponibili, dal 7% della popolazione del 2009 all’8% del 2018, con una percentuale più alta nei maschi (8,6%) rispetto alle donne (7%). Questo incremento è dovuto a diversi fattori, tra cui l’invecchiamento della popolazione, una diagnosi che avviene in fase precoce e un aumento della sopravvivenza dei malati.Il diabete, insieme a ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, fibrillazione atriale, oltre che al fumo e alla sedentarietà, rappresenta uno dei principali fattori di rischio cardiovascolare ma è ormai annoverato anche tra i fattori di rischio per l’ictus ischemico che possono essere modificati mettendo in atto un cambiamento nel proprio stile di vita.I valori corretti di glucosio nel sangue sono di circa 65-110 mg/dl quando si è a digiuno, con un picco fino ai 140 mg/dl circa 2 ore dopo l’ultimo pasto. Se questi valori si aggirano rispettivamente tra i 110 e i 126 mg/dl o tra i 140 e i 199 mg/dl, il paziente va considerato a rischio e deve cercare di attenersi ad uno stile di vita più sano, seguendo una dieta equilibrata e svolgendo attività fisica. Se i valori superano rispettivamente i 126 mg/dl o i 199 mg/dl, è assolutamente necessario rivolgersi al medico che può indicare anche una terapia farmacologica, che deve sempre accompagnarsi ad uno stile di vita appropriato.Obiettivo di A.L.I.Ce. Italia Odv è quello di sensibilizzare le persone sull’importanza della prevenzione, che passa attraverso una modifica al proprio stile di vita e la diagnosi precoce (fare gli esami del sangue una volta all’anno per controllare i valori della glicemia e del colesterolo può evitare l’insorgenza improvvisa di patologie gravi come appunto ictus e infarti). In particolare, A.L.I.Ce. Italia consiglia di adottare misure preventive finalizzate a ridurre l’incidenza del diabete: dieta sana, ricca di frutta e verdura, povera di grassi e alcol, eliminazione di tabacco, costante e frequente attività fisica, mantenimento di un peso adeguato alla propria corporatura possono evitare l’insorgenza di una malattia pericolosa come questa e, di conseguenza, dell’ictus cerebrale.

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Parte oggi la “Settimana Mondiale del Cervello”

Posted by fidest press agency su lunedì, 14 marzo 2022

E’ l’iniziativa annuale realizzata dalla Società Italiana di Neurologia (SIN) che ha come obiettivo quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla prevenzione e la lotta a tutte le malattie neurologiche, informando nello stesso tempo sugli importanti progressi che la ricerca scientifica sta ottenendo. “Le stagioni del cervello” è il tema scelto per l’edizione 2022 e A.L.I.Ce. Italia Odv, Associazione per la Lotta all’ictus cerebrale, anche quest’anno aderisce a questa importante iniziativa, sottolineando ancora una volta quanto sia importante essere attivi nel tutelare la propria salute fin da giovani e avere una maggiore consapevolezza sui principali fattori di rischio per prevenire l’insorgenza di malattie cerebrocardiovascolari. L’ictus cerebrale, che è più frequente dopo i 55 anni, è spesso considerato una malattia che interessa soltanto soggetti anziani. E’ vero: la probabilità di malattia aumenta con l’aumentare dell’età (il 75% degli ictus si verifica nelle persone con più di 65 anni), ma sempre più spesso ne sono colpiti anche i giovani. “L’età avanzata resta uno dei principali fattori di rischio non modificabili – dichiara il Prof. Danilo Toni, Direttore Unità Trattamento Neurovascolare Policlinico Umberto I di Roma e Presidente del Comitato Tecnico-Scientifico di A.L.I.Ce. Italia Odv. Tuttavia, si calcola che, nel nostro Paese, circa 12.000 soggetti di età inferiore a 55 anni vengano colpiti da questa patologia ogni anno: la fascia di età più giovane tende ad essere sempre più a rischio perché sono sempre più diffuse condizioni predisponenti come ipertensione arteriosa, diabete, obesità, sedentarietà e cattiva alimentazione”. Inoltre, il sensibile aumento che si è riscontrato in questi ultimi anni, soprattutto nei soggetti under 45, va senz’altro attribuito anche ad una maggiore diffusione di alcol e droghe; l’uso smodato di alcolici e superalcolici rappresenta un fattore di rischio sia per l’ictus ischemico che per quello emorragico, aumentando anche di 3-4 volte la probabilità di incorrere in un episodio di patologia cerebrovascolare, ma può costituire anche un fattore precipitante, determinando l’insorgenza dell’evento acuto, ad esempio in occasione di una forte bevuta (binge drinking), magari nel fine settimana.“La prevenzione gioca come sempre un ruolo determinante, è un elemento chiave che va perseguito fin dalla più giovane età – continua il Prof. Toni. È necessario concentrare i propri sforzi per seguire uno stile di vita sano, in cui trovino ampio spazio una corretta alimentazione e un’attività fisica costante, tenendo sotto controllo tutti quei fattori di rischio che possono portare a patologie cerebrocardiovascolari. Davvero importante, inoltre, sottoporsi a periodici controlli medici, che devono essere adeguati al passare degli anni”.

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Ictus pazienti e riabilitazione

Posted by fidest press agency su mercoledì, 15 dicembre 2021

In Italia un terzo dei pazienti colpiti da ictus avrebbe la necessità di ricevere terapie riabilitative subito dopo il ricovero. Tuttavia solo il 18% dei malati riesce ad usufruire di questi servizi mentre oltre il 53% ritorna a casa dopo le dimissioni ospedaliere. Da qui la necessita di potenziare la fase di riabilitazione per migliorare l’assistenza ai malati e ridurre così l’impatto socio-sanitario di una patologia in forte crescita. E’ quanto emerge durante la prima giornata dell’ottavo Congresso Nazionale dell’ISA-AII Italian Stroke Association – Associazione Italiana Ictus. Trattamenti tradizionali, come la fisioterapia, o nuove tecniche, risultano sempre più fondamentali per assicurare un ritorno alla vita di tutti i giorni dopo la fase acuta della patologia. Ogni anno nel nostro Paese 45mila persone riescono a sopravvivere all’ictus ma con esiti gravemente invalidanti. E la disabilità, più o meno grave, può anche persiste per tutta la vita. I costi in termini socio-economici e sanitari sono perciò veramente importanti tanto per il singolo individuo ed i suoi familiari, che per l’intera società”. “In Italia esistono centri di assoluta eccellenza per il trattamento dell’ictus – prosegue il prof. Danilo Toni, Past President ISA-AII -. Uno degli obiettivi che dobbiamo porci ora è la prevenzione, soprattutto quella primaria. In Italia sarebbero 15mila pazienti in meno che necessitano di cure e di un’assistenza specifica. E’ un obiettivo raggiungibile nei prossimi anni attuando strategie ed interventi di salute pubblica. C’è dunque bisogno nel nostro Paese di un “Piano Nazionale per l’Ictus” che comprenda a 360 gradi la gestione della patologia cardio cerebro vascolare: dalla prevenzione primaria fino alla riabilitazione. E’ molto importante il ruolo della ricerca dal momento che negli ultimi anni ci sono stati dei progressi nella comprensione della fisiopatologia. Non sempre però le scoperte si sono tradotte in nuovi trattamenti a disposizione di pazienti e clinici. È perciò necessario l’impegno dell’Unione Europea e delle singole nazioni per favorire investimenti nella ricerca sull’ictus in modo proporzionato all’entità e alla prevalenza del problema sanitario. Infine se vogliamo raggiungere gli obiettivi del SAP-E bisogna aumentare la preparazione di tutto il personale medico-sanitario e non solo quella degli specialisti. Un ruolo importante è quello rivestito dai medici di medicina generale che possono favorire la prevenzione primaria e secondaria della malattia nonché assistere il paziente nella fase del post-acuto”.

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La mela rosa e la protezione da ictus

Posted by fidest press agency su venerdì, 5 novembre 2021

L’ictus rappresenta una grave emergenza medica ed una delle tre principali cause di decesso in Italia (dopo cardiopatie e prima del cancro). Si tratta di un danno del tessuto cerebrale causato da un insufficiente afflusso di sangue ossigenato in un’area del cervello con possibile morte delle cellule e perdita di una o più funzioni cerebrali. Per prevenire l’ictus è fondamentale uno stile di vita sano, ad esempio praticando attività fisica con regolarità, ed una corretta alimentazione. A questo riguardo è ampiamente riconosciuto dalla comunità scientifica che il consumo di frutta e verdura riveste un ruolo importante nella prevenzione di numerose malattie invalidanti quali l’ictus per merito dei fitonutrienti che contengono e che riescono a modulare vari processi cellulari predisponenti all’insorgenza delle suddette malattie. E’ proprio per questo che nell’ambito del progetto di dottorato Eureka sulla Mela Rosa dei Monti Sibillini, finanziato oltre che dall’Università di Camerino, anche da Regione Marche e Bacino Imbrifero montano del Tronto, svolto in collaborazione con il Comune di Montedinove e coordinato dal prof. Filippo Maggi, docente della Scuola di Scienze del Farmaco e dei Prodotti della Salute di Unicam, si è studiato l’effetto protettivo di estratti idroalcolici ottenuti da buccia e polpa di mela rosa nei confronti dei danni provocati da ictus ischemico nei ratti. Lo studio, dal titolo ‘Therapeutic effects of hydroalcoholic extracts from the ancient apple Mela Rosa dei Monti Sibillini in transient global ischemia in rats’, è stato appena pubblicato nella rivista internazionale Pharmaceuticals.I risultati dello studio hanno confermato una protezione di entrambi gli estratti nei confronti della produzione di citochine infiammatorie e dello stress ossidativo nelle cellule nervose. L’estratto delle bucce ha, inoltre, manifestato anche un effetto protettivo nelle cellule cerebrali riducendo la morte cellulare indotta da ictus. Sono stati, infine, effettuati anche studi comportamentali che hanno evidenziato un ruolo neuroprotettivo degli estratti di mela rosa.

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Ictus, ecco le nuove linee guida sulla gestione medica

Posted by fidest press agency su mercoledì, 9 giugno 2021

Avere un ictus o un attacco ischemico transitorio (Tia) aumenta il rischio di un ictus in futuro, e identificarne la causa può portare a strategie di prevenzione specifiche per ridurre il rischio di ictus aggiuntivi, secondo una linea guida aggiornata dell’American Heart Association/American Stroke Association, pubblicata su Stroke. Una nuova raccomandazione prevede che gli operatori sanitari eseguano valutazioni diagnostiche per determinare la causa del primo ictus o Tia entro 48 ore dall’insorgenza dei sintomi, e la linea guida delinea raccomandazioni terapeutiche basate sulla causa dell’ictus/Tia iniziale. «È di fondamentale importanza comprendere i modi migliori per prevenire un altro ictus una volta che se ne è verificato uno» spiega Dawn Kleindorfer, della School of Medicine dell’Università del Michigan ad Ann Arbor, che ha diretto il gruppo di lavoro.Per i pazienti che sono sopravvissuti a un ictus o a un Tia, le linee guida raccomandano la gestione dei fattori di rischio vascolare, in particolare di ipertensione, diabete di tipo 2, colesterolo, livelli di trigliceridi e fumo, oltre alla limitazione del sale e a una dieta di tipo mediterraneo, e, se possibile, a un’attività aerobica di intensità moderata per almeno 10 minuti quattro volte a settimana o di intensità vigorosa per almeno 20 minuti due volte a settimana. Il documento raccomanda poi la presenza di un team di assistenza multidisciplinare, e la pratica di un processo decisionale condiviso con il paziente per sviluppare piani di assistenza che incorporino i desideri, gli obiettivi e le preoccupazioni dell’interessato. Sono necessari anche screening e diagnosi di fibrillazione atriale, e terapia antitrombotica, per quasi tutti i pazienti che non hanno controindicazioni. A questo proposito, gli esperti ricordano che la combinazione di antipiastrinici e anticoagulanti in genere non è raccomandata per prevenire il secondo ictus e la doppia terapia antiaggregante è raccomandata a breve termine, solo per pazienti specifici, ovvero quelli con ictus e Tia ad alto rischio o stenosi sintomatica grave. L’endoarterectomia carotidea, la rimozione chirurgica di un’ostruzione o, in casi selezionati, l’uso di uno stent nell’arteria carotide, dovrebbero essere presi in considerazione per i pazienti con restringimento delle arterie nel collo. La gestione medica aggressiva dei fattori di rischio e la doppia terapia antiaggregante a breve termine sono preferibili per i pazienti con stenosi intracranica grave che si ritiene sia stata la causa dell’ictus o del Tia. (fonte Doctor33)

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L’ictus non resta a casa

Posted by fidest press agency su martedì, 1 dicembre 2020

La malattia vascolare è stata messa in un angolo durante la pandemia da Covid-19 e i pazienti hanno avuto meno possibilità di accedere ai centri di cura con una conseguente diminuzione degli accessi in ospedale. Un dato che misura quanto l’emergenza sanitaria abbia profondamente sconvolto il percorso di cura e di assistenza per i pazienti colpiti da ictus cerebrale è che nella prima ondata è stata azzerata la prescrizione di alcuni farmaci e dei nuovi anticoagulanti ed è stato più difficolto per questi pazienti andare in ospedale dove il timore del contagio ha avuto un forte impatto sulla decisione del paziente a chiedere aiuto. Questo è il quadro emerso durante il webinar ‘Strategie sanitarie di prevenzione dell’ictus: come ottimizzare la prevenzione per una popolazione più sana’, organizzato da Motore Sanità in collaborazione con Cattaneo Zanetto & Co, e realizzato grazie al contributo incondizionato di Bristol Myers Squibb e Pfizer. Ogni anno in Italia si registrano almeno 100.000 nuovi ricoveri dovuti all’ictus cerebrale, circa un terzo delle persone colpite non sopravvive a un anno dall’evento, mentre un altro terzo sopravvive con una significativa invalidità: il numero di persone che attualmente vive in Italia con gli esiti invalidanti di un ictus ha raggiunto la cifra record di quasi un milione (Rapporto 2018 Ictus). Una ricerca basata su un sondaggio di 250 stakeholders europei che includono associazioni dei pazienti colpiti da ictus, politici e sanitari coinvolti nella prevenzione, condotta dalla World Stroke Organization e dell’Osservatorio Ictus Italia, ha messo in evidenza che esiste una maggiore sensibilizzazione verso il tema della prevenzione in paesi come Olanda e Inghilterra mentre in Italia esiste un grosso gap tra l’implementazione delle linee guida per la prevenzione dell’ictus e ciò che in realtà viene fatto. “Sulla prevenzione dell’ictus, le istituzioni possono incidere con un lavoro su quattro ambiti – ha spiegato Valeria Caso, Dirigente Medico presso la S.C. di Medicina Interna e Vascolare-Stroke Unit, Membro del Direttivo della World Stroke Organization e dell’Osservatorio Ictus Italia: sensibilizzazione sui fattori di rischio dello stroke e la loro possibile gestione per informare correttamente la popolazione. Ad esempio, la fibrillazione atriale, a cui diversi studi riconducono circa il 25% dei casi di ictus, ancora troppo frequentemente viene diagnosticata solo all’insorgere dell’evento cardiovascolare maggiore. Poi: potenziamento delle figure professionali del mondo sanitario; promuovere l’implementazione delle linee guida cliniche per la prevenzione dell’ictus, aumentando la comunicazione sulle best practices, evidenziando gli interventi chiave come la gestione della pressione sanguigna e altre azioni preventive e assicurando l’accesso alle terapie. Sono convinta che finché non esiste un accesso equo alla terapia non si può implementare in maniera corretta la terapia prescritta. E, infine, sostegno per le tecnologie digitali, garantendo la disponibilità e l’accesso per operatori sanitari e pazienti, da un lato con maggiori investimenti e dall’altro con modalità di utilizzo definite”.

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Ictus cerebrale: come prevenirlo

Posted by fidest press agency su mercoledì, 28 ottobre 2020

Il 29 ottobre si celebra, come ogni anno, la Giornata Mondiale contro l’Ictus Cerebrale e la World Stroke Organization ha voluto – per questa edizione 2020 – accendere i riflettori sul tema della prevenzione, lanciando l’hashtag #DontBeTheOne: “1 persona su 4 verrà colpita da ictus nel corso della propria vita, non essere tu quella persona”, sottolineando il fatto che ben l’80% di tutti gli ictus può essere evitato, partendo dalla individuazione dei fattori di rischio sui quali ognuno di noi può intervenire.Bisogna per prima cosa distinguere tra prevenzione primaria, quella di soggetti che non hanno sofferto di eventi cerebrovascolari e prevenzione secondaria, mirata invece a prevenire un nuovo episodio in chi è stato già colpito da ictus. Alcuni dei fattori di rischio – quali ad esempio sesso, età e familiarità – non sono modificabili e non dipendono, quindi, dal comportamento del singolo; ma è anche vero che, fortunatamente, la maggior parte dei fattori di rischio ictus sono modificabili. Ecco qui di seguito i principali consigli: 1. Controllare periodicamente la pressione arteriosa, i valori di glicemia e colesterolemia, verificare l’eventuale presenza di fibrillazione atriale 2. Astenersi dal fumo 3. Non eccedere con il consumo di alcolici 4. Seguire la dieta mediterranea (ridurre il sale nei cibi ed evitare una dieta eccessivamente ricca di grassi di origine animale come i derivati del latte, carni grasse, salumi); 5. Svolgere regolare attività fisica (è sufficiente praticare abitualmente un moderato esercizio fisico, come camminare, fare le scale, ballare, andare in bicicletta o in piscina: attività praticabili a tutte le età). Chi ha già avuto un ictus cerebrale dovrebbe: o Effettuare almeno 2 volte l’anno le visite di controllo programmate sia dal neurologo che da altri eventuali specialisti, come ad esempio il cardiologo o Eseguire, dove richiesto dal neurologo, esami strumentali di controllo, tra cui l’Ecocolordoppler dei vasi del collo, il Doppler Transcranico e l’Ecocardiogramma A.L.I.Ce. Italia Odv (Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale) fa proprio il messaggio definito a livello mondiale e ribadisce la necessità di prevenire una malattia che, per la sua elevata incidenza, rappresenta un problema assistenziale, riabilitativo e sociale di enormi dimensioni. L’azione preventiva contribuirebbe per circa l’80% dei casi ad una massiccia riduzione su scala dell’ictus e al raggiungimento di obiettivi globali per diminuire anche altre patologie quali le malattie cardiovascolari, il cancro, il diabete, e altre cause di invalidità e morte.In occasione di questo importante appuntamento annuale, l’Associazione continua la sua battaglia contro questa malattia così complessa ricordando, ancora una volta, quali sono i sintomi che vanno riconosciuti tempestivamente: o non riuscire a muovere o avere minor forza ad un braccio, una gamba o entrambi gli arti dello stesso lato del corpo o avere la bocca storta o non riuscire a vedere bene metà o una parte degli oggetti o non essere in grado di coordinare i movimenti o di stare in equilibrio o non comprendere il linguaggio o non articolare bene le parole o essere colpiti da un violento e molto localizzato mal di testa, diverso dal solito Se improvvisamente compare anche uno solo di questi sintomi, occorre non aspettare. L’ictus cerebrale, nel nostro Paese, rappresenta la terza causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie. Dei 150.000 italiani circa che ne vengono colpiti ogni anno, la metà rimane con problemi di disabilità di varia entità; attualmente sono circa 1 milione i sopravvissuti con esiti di ictus più o meno invalidanti.Il fenomeno, però, è in crescita, anche per l’invecchiamento progressivo della popolazione, motivo per cui sarà sempre più necessario affidarsi alle strategie di prevenzione per gestire in modo sostenibile e adeguato la patologia nel lungo termine e in un contesto di cronicità e comorbidità.Per maggiori informazioni http://www.aliceitalia.org.

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Lotta all’Ictus cerebrale e la pandemia

Posted by fidest press agency su sabato, 23 Maggio 2020

Nel corso della pandemia causata dal Covid-19, A.L.I.Ce. Italia Odv (Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale) ha più volte lanciato l’allarme a causa della notevole diminuzione del numero dei pazienti con ictus cerebrale arrivati nei Pronto Soccorso dei nostri ospedali, sottolineando, anche attraverso il video #lictusnonrestaacasa realizzato con il supporto dei maggiori esperti a livello nazionale (https://vimeo.com/410573006/0b7ac850e3), quanto sia importante non sottovalutare i sintomi che possono costituire “campanelli d’allarme” di questa patologia.L’ictus cerebrale è una patologia tempo-correlata: i risultati positivi che possono essere ottenuti grazie alle terapie disponibili (trombolisi e trombectomia meccanica) dipendono, infatti, dalla tempestività con cui si interviene. È dunque fondamentale riconoscere il prima possibile i sintomi e chiamare immediatamente il 112 (118) in modo da poter arrivare rapidamente negli Ospedali attrezzati per la cura della patologia. In questo modo è, di fatto, possibile ridurre il rischio di mortalità, ma soprattutto gli esiti di disabilità, spesso invalidanti, causati da questa malattia.La pandemia ha inevitabilmente e radicalmente mutato lo scenario dell’assistenza sanitaria nel nostro Paese: nonostante questo, le Unità Neurovascolari o Centri Ictus (Stroke Unit) sono riuscite a rispondere al meglio alla situazione di emergenza, garantendo percorsi diagnostici e terapeutici efficienti ed efficaci; hanno inoltre gestito i pazienti in totale sicurezza, istituendo corsie specifiche per il Covid e mantenendo un distanziamento sicuro durante tutto il percorso clinico assistenziale.Adesso che la situazione più critica sembra essere finalmente alle spalle, è assolutamente necessario che anche i posti letto che sono stati temporaneamente messi a disposizione per la terapia intensiva – dimostrando un autentico senso di appartenenza alla comunità ospedaliera – tornino “in possesso” delle Unità Neurovascolari.Quello dell’adeguato numero di queste Unità di cura essenziali per i trattamenti della fase acuta, ma non solo, anche della riabilitazione precoce di chi ha subito l’ictus, così come del numero di posti letto per quegli abitanti che devono essere ricoverati “nel posto giusto e al momento giusto” è un tema particolarmente sentito dall’associazione che rappresenta i pazienti colpiti.A.L.I.Ce. Italia Odv intende ancora una volta e con forza evidenziare la drammatica carenza che purtroppo si registra tuttora sul territorio nazionale, nonostante, già in base al Decreto del Ministero della Salute n. 70 del 2 aprile 2015 (Dm 70/2015) sia stata ufficialmente codificata la necessità di organizzare l’assistenza all’ictus cerebrale su due livelli. Il primo livello è quello dei centri dove è possibile effettuare la trombolisi, situati in ospedali con bacino d’utenza compreso fra 150.000 e 300.000 abitanti; il secondo livello è quello dei centri che si trovano negli ospedali con un bacino d’utenza compreso fra 600.000 e 1.300.000 abitanti, dove, oltre alla trombolisi, si possono effettuare anche i trattamenti endovascolari.L’ampia differenza dei bacini d’utenza tiene conto delle realtà locali (orografiche, amministrative ecc.), ma facendo media sarebbero necessari un centro di primo livello ogni 200.000 abitanti e un centro di secondo livello ogni milione di abitanti. Quindi, prendendo in considerazione la popolazione del nostro Paese, in base al Decreto 70/2015 sarebbero necessari complessivamente circa 300 centri, di cui 240 con funzioni di I livello e 60 con funzioni di II livello.Attualmente, invece, in Italia ci sono circa 200 Centri, l’80% dei quali è concentrato al Nord, lasciando così scoperte ampie aree che non sono quindi in grado di offrire una risposta sanitaria efficiente e adeguata alla gravità della patologia: i dati Istat ci confermano infatti che il tasso di mortalità per malattie cerebrovascolari in Sicilia è più del doppio rispetto a quello che si registra in Trentino Alto Adige.
L’ictus cerebrale, nel nostro Paese, rappresenta la terza causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie. Quasi 150.000 italiani ne vengono colpiti ogni anno e la metà dei superstiti rimane con problemi di disabilità anche grave. In Italia, le persone che hanno avuto un ictus e sono sopravvissute, con esiti più o meno invalidanti, sono oggi circa 1 milione, ma il fenomeno è in crescita sia perché si registra un invecchiamento progressivo della popolazione sia per il miglioramento delle terapie attualmente disponibili.

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Chi riconosce i sintomi di un ictus non deve aspettare per chiamare il 112

Posted by fidest press agency su lunedì, 23 marzo 2020

Stiamo vivendo una delle più gravi emergenze sanitarie non solo del nostro Paese ma del mondo intero e l’attenzione di tutti è – giustamente – focalizzata sul Covid-19. A.L.I.Ce. Italia ODV (Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale) è consapevole che le persone colpite da ictus debbano in ogni caso continuare ad avere percorsi diagnostici e terapeutici efficienti ed efficaci.E’ importante che, in questi giorni, non si verifichi alcun calo degli accessi al Pronto Soccorso in chi manifesta sintomi che possono essere “campanelli d’allarme” di questa patologia, dato che si teme che le persone, pur riconoscendo i sintomi, tardino a rivolgersi al 112 per paura di essere infettate in ospedale dal Coronavirus.A.L.I.Ce. Italia ODV continua la sua battaglia contro l’ictus cerebrale ricordando, ancora una volta, quali sono i sintomi che vanno riconosciuti tempestivamente:
o non riuscire a muovere o muovere con minor forza un braccio o una gamba o entrambi gli arti dello stesso lato del corpo
o avere la bocca storta
o non riuscire a vedere bene metà o una parte degli oggetti
o non essere in grado di coordinare i movimenti o di stare in equilibrio
o non comprendere o non articolare bene le parole
o essere colpito da un violento e molto localizzato mal di testa, diverso dal solito
Se compare anche uno solo di questi sintomi, è necessario chiamare subito il 112 in quelle regioni dove è attivo il numero unico di emergenza (o il 118) perché è fondamentale portare la persona nei centri organizzati per il trattamento, cioè le Unità Neurovascolari (Centri Ictus – Stroke Unit).L’ictus cerebrale, nel nostro Paese, rappresenta la terza causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie. Quasi 150.000 italiani ne vengono colpiti ogni anno e la metà dei superstiti rimane con problemi di disabilità anche grave. In Italia, le persone che hanno avuto un ictus e sono sopravvissute, con esiti più o meno invalidanti, sono oggi circa 1 milione, ma il fenomeno è in crescita sia perché si registra un invecchiamento progressivo della popolazione sia per il miglioramento delle terapie attualmente disponibili.

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Con l’attività fisica il rischio di ictus è più basso del 25-30%

Posted by fidest press agency su domenica, 9 febbraio 2020

Svolgere attività fisica in modo intelligente non significa necessariamente allenarsi per partecipare alle Olimpiadi: significa che ognuno di noi deve trovare il tempo, ogni giorno e in mezzo alle mille attività di ciascuno, da dedicare all’esercizio fisico, ciascuno in funzione delle proprie possibilità e caratteristiche. Più attività significa più salute per il cuore, il cervello, le arterie e le vene: non solo, ma migliora la salute delle ossa, dei muscoli e l’umore. Queste le raccomandazioni di ALT- Associazione per la Lotta alla Trombosi e alle malattie cardiovascolari – Onlus, rappresentante in Italia di EHN – European Heart Network alla luce del report Physical Activity Policies for Cardiovascular Health sulla relazione fra attività fisica e salute cardiovascolare https://urly.it/346t6
Essere pigri significa moltiplicare la probabilità di andare incontro prima o poi a Infarto, Ictus, Trombosi, Embolia, diabete, ipertensione, aumento dei livelli di colesterolo nel sangue e conseguente aterosclerosi e demenza. Dovremmo saperlo tutti: eppure 25 donne su 100 e 22 uomini su 100 sono assolutamente pigri e non svolgono alcun tipo di attività fisica. Non serve esagerare: svolgere attività fisica in modo organizzato e costante fa bene a tutti, a coloro che sono in buona salute e si credono invincibili, e a coloro che hanno già avuto un incontro ravvicinato con un problema cardiovascolare e si sentono fragili.Il report di EHN, network europeo nel quale ALT rappresenta l’Italia, dimostra chiaramente che nei Paesi nei quali non esistono leggi che rendano l’ambiente favorevole a una attività fisica moderata le persone si muovono meno e si ammalano di più. 150 minuti alla settimana di attività fisica moderata, o 75 minuti alla settimana di attività fisica intensa: sono le raccomandazioni indicate dal rapporto europeo.
Il report sottolinea quanto sia fondamentale che i pazienti che hanno già avuto un evento cardio o cerebrovascolare, come una Trombosi, un Infarto, un Ictus cerebrale, che hanno subito un bypass o un’angioplastica o un intervento di chirurgia vascolare, o che soffrono di diabete o ipertensione o hanno livelli di colesterolo alti troppo a lungo nel tempo o aterosclerosi già diagnosticata abbiano bisogno di decidere di scegliere un programma di attività fisica strutturata in modo organizzato, perchè ne hanno “bisogno”: un programma che ovviamente deve essere compatibile con le fragilità e le caratteristiche di ognuno, che si aggiunga alla riabilitazione guidata da professionisti fisiatri o fisioterapisti. Per ogni persona “un abito su misura”: è questa, per fortuna e finalmente, la strada che sta riprendendo la medicina, non solo in termini di prevenzione ma anche di cura: perchè ognuno di noi può essere classificato in funzione delle caratteristiche generali (genere, peso, precedenti, farmaci e malattie in corso) in un gruppo, ma rimane comunque speciale e non tutti gli abiti calzano nello stesso modo su tutte le persone del gruppo.

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Donne con fegato grasso più a rischio di ictus cerebrale e di infarto

Posted by fidest press agency su venerdì, 6 dicembre 2019

Numerosi studi di popolazione, sia in Europa che negli USA, hanno dimostrato che il sesso femminile (probabilmente a causa del differente assetto ormonale) è protettivo, rispetto al sesso maschile, nei confronti delle malattie cardiovascolari come l’infarto o l’ictus. Questi dati sono così forti per cui il sesso femminile è considerato un fattore protettivo quando valutiamo il rischio di questi eventi nella pratica clinica ambulatoriale, insieme all’età, alla pressione arteriosa, ai livelli di colesterolo ed all’abitudine al fumo che sono invece fattori sfavorevoli. La steatosi epatica non alcolica – o fegato grasso (NAFLD) – è definita dall’accumulo eccessivo di grasso nel fegato in soggetti che non abusano di alcol. Data la sua associazione con componenti della sindrome metabolica come l’obesità, il diabete, le dislipidemie e l’ipertensione arteriosa, la NAFLD è attualmente la più comune causa di danno epatico cronico e può evolvere verso la cirrosi epatica ed il carcinoma epatocellulare. Studi degli ultimi 5-6 anni hanno però dimostrato che la NAFLD non è solo associata alle componenti della sindrome metabolica, ma anzi può contribuire alla genesi della sindrome metabolica stessa e può rappresentare un fattore di rischio per l’insorgenza del diabete. Non deve quindi sorprendere che le principali cause di mortalità nei pazienti con NAFLD siano rappresentate dalle CVD.Studi recenti hanno quindi valutato se il sesso rimane un fattore protettivo nei confronti di infarto ed ictus nelle donne con fegato grasso. Negli USA esistono sistemi informatici che raccolgono i dati clinici di larghe fasce della popolazione e quindi sono stati valutati tutti gli individui adulti nella contea di Olmsted, in Minnesota. I pazienti con steatosi epatica (83.869) sono stati confrontati con una popolazione, analoga per età e sesso, di soggetti senza NAFLD (15.209). In questi due gruppi è stata quindi valutata l’incidenza di infarto del miocardio, angina ed ictus nei sette anni successivi di valutazione. Questa valutazione su una fascia così ampia di popolazione ha confermato che, nella popolazione generale, infarto del miocardio ed ictus sono ridotti nella popolazione femminile rispetto a quella maschile. Quando invece consideriamo i soggetti con fegato grasso, l’incidenza di eventi ischemici cardiovascolari nei pazienti con NAFLD è risultata essere simile negli uomini e nelle donne. Quindi la presenza del fegato grasso fa perdere alle donne l’effetto protettivo del sesso nei confronti delle malattie cardiovascolari. Di conseguenza, le donne con fegato grasso sono affette da malattie cardiovascolari in età più giovane rispetto a donne senza steatosi epatica, aumentando in modo drammatico l’età cardiovascolare di questi soggetti di ben 18 anni, raddoppiando il rischio di infarto e/o ictus nelle donne giovani o di mezza età con fegato grasso. Al contrario, le differenze tra soggetti con o senza fegato grasso sono assenti o marcatamente ridotte nel sesso maschile. Questo studio dimostra quindi che le donne con fegato grasso hanno un rischio di infarto o ictus paragonabile a quello degli uomini, osservazione spiegabile con le alterazioni metaboliche nelle donne con NAFLD che annullano l’effetto protettivo degli ormoni sessuali femminili. Quindi questi dati e questo studio dovrebbero influenzare da subito la pratica clinica quotidiana identificando quindi quelle donne con fegato grasso a rischio precoce di infarto e/o ictus, spingendo il medico di base a convincere la paziente sulla necessità di modificare lo stile di vita (attività fisica, aderenza alla dieta mediterranea, astensione dal fumo e dall’eccesso di alcolici) ed eventualmente ad iniziare terapia con statine ed aspirina a basso dosaggio per la prevenzione di infarto ed ictus. Secondo il presidente della Sige professor Domenico Alvaro “sono ormai consolidate le evidenze che dimostrano come il Fegato grasso rappresenti una variabile predittiva di rischio di malattie cardiovascolari, di sindrome metabolica e di rischio oncologico. Pertanto quando in un paz. viene scoperta la presenza di steatosi epatica, dovrebbero essere messe in atto tutte le misure per una adeguata e globale valutazione dello stato di salute del paz. oltre che misure dietetiche e comportamentali (esercizio fisico che riducono il rischio) atte a ridurre i rischi”.

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Malattie cardiovascolari, una sola polipillola efficace per prevenire infarti e ictus

Posted by fidest press agency su giovedì, 26 settembre 2019

Secondo i risultati di uno studio pubblicato su Lancet, una pillola con più componenti a dose fissa da assumere una volta al giorno è risultata efficace nella prevenzione di eventi cardiovascolari gravi negli adulti residenti in regioni a basso e medio reddito, e ha fatto registrare elevata aderenza e pochi eventi avversi. I ricercatori hanno arruolato 6.838 persone che vivevano in aree a basso e medio reddito nella regione del Golestan in Iran e le hanno randomizzate a ricevere un trattamento con questa “polipillola” a dose fissa contenente acido acetilsalicilico, atorvastatina, idroclorotiazide ed enalapril o valsartan o le cure minime standard. L’esito primario dello studio erano eventi cardiovascolari importanti, tra cui ricovero per infarto miocardico fatale, morte improvvisa, insufficienza cardiaca, procedure di rivascolarizzazione dell’arteria coronarica e ictus non fatale e fatale. Entrambi i gruppi, composti sia da persone con malattia cardiovascolare che sane, hanno ricevuto una formazione educativa su stile di vita sano, dieta, controllo del peso e astinenza dal fumo e dall’oppio. Ebbene, gli individui nel gruppo di intervento hanno mostrato una minore incidenza dei principali eventi cardiovascolari (HR=0,66) rispetto ai partecipanti che non hanno ricevuto la polipillola. Ma non solo, i dati infatti hanno mostrato che non vi erano differenze significative negli esiti in base al fatto che i partecipanti avessero già una malattia cardiovascolare al basale o meno. «Per la pratica clinica, il messaggio principale è che non dovremmo aspettare fino al verificarsi dell’infarto o dell’ictus per iniziare il trattamento. Piuttosto, dovremmo prevenire infarto e ictus in persone apparentemente sane che hanno uno o più fattori di rischio avviando la prevenzione con una polipillola una volta al giorno, che è sicura» conclude Reza Malekzadeh, della Teheran University of Medical Science, Iran, che ha guidato il gruppo di lavoro. La sicurezza del trattamento è confermata dal fatto che l’incidenza di emorragia intracranica e sanguinamento gastrointestinale è risultata simile nei due gruppi (rispettivamente 0,6% rispetto a 0,3% e 0,4% rispetto a 0,3%). Gli autori sottolineano la necessità di ampliare la popolazione di studio per comprendere altre etnie in modo da rendere generalizzabili i risultati. (fonte doctor33)

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Il trattamento che può salvare dall’ictus cerebrale

Posted by fidest press agency su venerdì, 7 giugno 2019

Avere più tempo per somministrare il trattamento che può salvare dall’ictus cerebrale: il Congresso dell’European Stroke Organisation evidenzia un notevole passo avanti in questa direzione. Aumentare le possibilità di recupero e limitare le conseguenze disabilitanti causate dall’ictus cerebrale intervenendo con la trombolisi, cioè con la somministrazione di un farmaco capace di disostruire l’arteria cerebrale occlusa, entro le prime 4,5 ore dalla comparsa dei sintomi o con la trombectomia meccanica (utilizzando cioè device meccanici per via endovascolare) entro le prime 6.Queste le finestre temporali entro le quali oggi si può intervenire per limitare i danni dell’ictus cerebrale, patologia che, nel nostro Paese, colpisce circa 150.000 persone ogni anno. Quella cerebrovascolare è, infatti, una patologia tempo-dipendente: indipendentemente dalla gravità del quadro clinico, è fondamentale che, in presenza dei sintomi dell’ictus, la persona venga trasportata dall’ambulanza del 112 al Pronto Soccorso dell’Ospedale dotato di Unità Neurovascolare (Stroke Unit) più vicino.Dal Congresso ESOC arriva invece la notizia che il trattamento trombolitico può essere somministrato, con buoni risultati, entro una finestra temporale più lunga – che può arrivare fino alle 9 ore dopo la comparsa dei sintomi – in pazienti selezionati con l’utilizzo delle più recenti tecniche di neuroimaging.
Nel corso del Congresso è stata ribadita l’importanza dei 7 campi inseriti nel Piano di Azione per l’Ictus in Europa 2018-2030: prevenzione primaria, organizzazione dei servizi dell’ictus, gestione dell’ictus acuto, prevenzione secondaria con follow up organizzato, riabilitazione, valutazione degli esiti e della qualità dei servizi, la vita dopo l’ictus.
Questi obiettivi sono pienamente condivisi, nel nostro Paese, dall’Osservatorio Ictus Italia, costituito nel 2016 dall’Intergruppo Parlamentare sui Problemi Sociali dell’Ictus e da A.L.I.Ce. Italia Onlus (Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale), in collaborazione con ISO (Italian Stroke Organization), ESO, Dipartimento Malattie Cardiovascolari, Dismetaboliche e dell’Invecchiamento dell’Istituto Superiore di Sanità e SIMG – Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie. “Riteniamo necessario favorire una maggiore consapevolezza sulle problematiche legate all’ictus a livello istituzionale, sanitario-assistenziale, scientifico-accademico e sociale, in particolare sulle modalità di prevenzione e di cura di questa devastante malattia – conclude la Dottoressa Nicoletta Reale, Presidente di A.L.I.Ce. Italia Onlus. Obiettivo condiviso dell’Osservatorio è quello di far adottare in tutto il Paese criteri scientificamente basati e uniformi in materia, mettendo in atto politiche dedicate sia a livello nazionale che regionale, da una parte coinvolgendo gli operatori sanitari affinché vengano adottati modelli organizzativi efficaci, e dall’altra, sensibilizzando l’opinione pubblica sull’importanza di adottare uno stile di vita sano per prevenire e contrastare le malattie cerebrovascolari e quelle cardiovascolari”.
Nel 2014, l’European Stroke Organisation ha eletto la prima Presidente donna della sua storia, la Prof.ssa Valeria Caso, neurologa presso la Stroke Unit dell’Ospedale Misericordia di Perugia che, come primo obiettivo, si è prefissata quello di aumentare il numero delle donne iscritte e di farle partecipare attivamente nell’ambito della società scientifica: in soli tre anni, dal 2014 al 2017, la percentuale di donne aderenti all’ESO è passata dal 31% al 40%.L’ictus uccide il doppio del tumore mammario, ma notizie non troppo rassicuranti arrivano anche dal punto di vista dei fattori di rischio: fumo e diabete sono pericolosi più per le donne che per gli uomini. Una sola sigaretta in una donna provoca un danno uguale a quello prodotto, in un uomo, da 5 sigarette mentre il diabete moltiplica il rischio di malattie cardiovascolari da 3 a 5 volte nella donna.

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Sistemi di cura per l’ictus: pubblicate le nuove raccomandazioni Usa

Posted by fidest press agency su martedì, 4 giugno 2019

Perfezionare i sistemi di cura per l’ictus è necessario affinché i progressi scientifici si traducano in migliori esiti clinici dei pazienti. A sostenerlo è il nuovo policy statement dell’American Stroke Association (ASA) pubblicato su Stroke, che arriva in seguito agli sviluppi dell’ultimo decennio in merito a terapia endovascolare, cure neurocritiche e certificazione dei centri per l’ictus, e all’avvento del telestroke e delle unità mobili per l’ictus. Con il nuovo statement, rilasciato durante il National Emergency Medical Services Week, l’ASA aggiorna le raccomandazioni presenti nella precedente pubblicazione (2005) allo scopo di aiutare i responsabili delle politiche e la sanità pubblica a raggiungere un rinnovo continuo dei sistemi di cura per l’ictus. «Queste raccomandazioni riflettono i tanti progressi fatti e cosa ancora deve essere realizzato per massimizzare gli esiti dei pazienti nella cura dell’ictus acuto» afferma Opeolu Adeoye, della University of Cincinnati negli Stati Uniti. Tra queste troviamo la scelta dell’ospedale. In caso di paziente con sospetto ictus grave, le unità di emergenza devono prendere in considerazione la possibilità di allungare fino a 15 minuti il tragitto per raggiungere un ospedale che possa realizzare la trombectomia endovascolare, procedura che, insieme alla somministrazione di ateplase, deve essere eseguita rapidamente, ma che non tutti gli ospedali forniscono. Si raccomanda l’attuazione di programmi di educazione pubblica, soprattutto per le popolazioni ispaniche e di colore che sembrano avere minore conoscenza delle cause e dei sintomi dell’ictus e quindi meno possibilità di beneficiare dei servizi di emergenza. Agenzie governative, pronto soccorso, medici ed esperti dovrebbero collaborare allo sviluppo di protocolli di triage per far sì che l’ictus sia rapidamente identificato. Inoltre, la prevenzione secondaria dei pazienti dovrebbe essere sostenuta dai centri certificati e la riabilitazione dovrebbe comprendere cure primarie e servizi specializzati, come la fisioterapia. Infine, si raccomanda l’attuazione di politiche federali e statali che permettano a tutti i pazienti di ricevere tempestivamente le cure adeguate e di avere facile accesso alle risorse di prevenzione e riabilitazione. «I responsabili politici dovranno identificare il modo migliore per creare sistemi locali/regionali che massimizzano il triage e la cura di tutti i pazienti con ictus sospetto» afferma Robert Harrington della Stanford University (USA) in un editoriale correlato. (fonte: Stroke. 2019. doi:10.1161/STR.0000000000000173. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/31104615 by Doctor33)

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Riabilitazione per i pazienti colpiti da ictus

Posted by fidest press agency su domenica, 14 aprile 2019

Anche l’Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale A.L.I.Ce. Italia Onlus aderisce alla campagna di mobilitazione #difendiundiritto promossa da AISM e chiede di poter essere udita sui provvedimenti “Criteri di appropriatezza dell’accesso ai ricoveri di riabilitazione ospedaliera” ed “Individuazione di percorsi appropriati nella rete di riabilitazione”, in corso di approvazione presso il Ministero della Salute, in merito ai quali si ritiene vadano apportate alcune modifiche, ritenute essenziali per favorire il recupero ed il mantenimento delle funzionalità di chi è stato colpito da ictus cerebrale, senza restrizione alcuna dei criteri di accesso alla riabilitazione intensiva e ad alta specialità.Devono poter accedere alla riabilitazione neurologica tutti i pazienti che, dopo un evento acuto come un ictus, manifestino una disabilità più o meno grave che ne giustifica la collocazione nel setting appropriato; questo non può essere limitato a chi è stato in coma.
In Italia ogni anno si registrano circa 150.000 nuovi casi di ictus cerebrale, vengono colpiti soggetti sempre più i giovani e sono circa un milione le persone sopravvissute con esiti più o meno invalidanti, un terzo delle quali con disabilità gravi. Il fenomeno è in costante crescita, considerando che, oltre alle terapie disponibili, oggi si vive più a lungo e il nostro Paese è, tra quelli europei, quello con l’aspettativa di vita più elevata. Molto spesso, le persone colpite da ictus manifestano non solo paresi degli arti superiori e inferiori ma anche gravi problemi neurologici e cognitivi che compromettono l’autonomia della persona; il 60% presenta problemi visivi, quasi la metà difficoltà di deglutizione e respirazione, un paziente su tre soffre di disturbi del linguaggio e di depressione.Per far fronte alle direttive del decreto occorrerebbe anche che i servizi territoriali (sia day hospital che ambulatoriali) fossero ben strutturati e adeguati, cosa che non corrisponde alla realtà, anche perché non c’è un numero adeguato di specialisti su tutto il territorio.
Ulteriore problema è che per le disabilità neurologiche con andamento cronicamente evolutivo, come appunto, l’ictus con i suoi esiti invalidanti, ma anche la sclerosi multipla, il parkinson o una malattia neuromuscolare, in caso di aggravamento non è previsto un ricovero in ambiente riabilitativo idoneo se non dopo il passaggio in reparti per acuti dove, in realtà, i pazienti non andrebbero a meno che non abbiano avuto un episodio intercorrente (come ad esempio una broncopolmonite).
Chiediamo quindi a ‘gran voce’ di poter rivedere alcuni passi del decreto, che sarebbe di grande importanza poter rivalutare per garantire continuità assistenziale e cura a tutte le persone che necessitano di proseguire un percorso di neuroriabilitazione, in modo continuativo ed omogeneo su tutto il territorio nazionale. Per questo motivo l’Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale, unica in Italia a rappresentare coloro che sono stati colpiti da questa patologia e le loro famiglie, è assolutamente disponibile ad un confronto sereno, costruttivo e aperto su questo tema così essenziale. Obiettivo di A.L.I.Ce. Italia Onlus sarà quello di rappresentare le istanze dei pazienti dopo un ictus per garantire il loro pieno diritto di salute, cercando di impedire un possibile incremento della disabilità, il peggioramento della qualità della vita e la riduzione dell’autonomia, anche nell’interesse della collettività.

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