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Quotidiano di informazione – Anno 35 n°185

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“Il killer del loto” di Marco De Fazi

Posted by fidest press agency su mercoledì, 3 novembre 2021

E’ un thriller ambientato a Minneapolis in tre lunghi e concitati giorni, densi di eventi drammatici. Il detective Clay Stone deve indagare su una serie di omicidi quasi perfetti, pianificati con estrema pazienza fin nei minimi particolari; l’assassino si muove nella notte, seguendo uno schema ben preciso. Delle vittime viene ritrovata solo la testa, recisa di netto; sotto al lobo destro viene scoperto un tatuaggio fatto di fresco dal killer, rappresentante un numero in caratteri arabi, e nella bocca viene rinvenuto un fiore di loto giallo. Clay Stone è comparso già nel primo romanzo dell’autore, e in quest’opera conferma la sua natura generosa e il suo incrollabile coraggio; nonostante il suo lavoro a stretto contatto con il male, è riuscito miracolosamente a conservare intatta la sua umanità. Insieme a Thomas Rowland, conosciuto come Rabbit – il giovane e geniale esperto forense della Polizia Scientifica – e alla sua fredda e distaccata partner Dana Lewis, il detective entra nel gorgo di una storia oscura da cui emergerà a fatica, e non senza conseguenze. Marco De Fazi presenta una vicenda crudele, che parla dell’innocenza ferita irrimediabilmente e di un tragico passato che esige un regolamento di conti; è il racconto di un macabro gioco di sangue e di una corsa contro il tempo scandita dal ritrovamento delle teste delle sfortunate vittime. È molto interessante la scelta dell’autore di narrare, nell’ultima parte del romanzo, tutta la pianificazione degli omicidi sin dall’inizio e dal punto di vista dell’assassino; con una serie di flashbacks si ritorna quindi al passato dell’omicida e, in seguito, al primo giorno di indagini dopo il ritrovamento della prima vittima, ripercorrendo i successivi giorni secondo la delirante prospettiva del misterioso killer.

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Covid-19, virus killer o meno aggressivo?

Posted by fidest press agency su giovedì, 4 giugno 2020

“Questo è ancora un virus killer. Ci sono migliaia di persone che ogni giorno muoiono. Non credo sia il caso di dire che è diventato meno patogeno, siamo noi che ora lo combattiamo meglio”. Così Mike Ryan, il capo del programma di emergenze sanitarie dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), risponde indirettamente alle osservazioni di alcuni medici italiani, in primis Alberto Zangrillo, direttore della terapia intensiva del San Raffaele di Milano, secondo i quali il virus è clinicamente cambiato.
“Non è interesse di un virus – ha ricordato il rappresentante dell’Oms – uccidere tutti coloro che infetta, lo abbiamo visto con i bambini, ma la contagiosità e la severità non sono cambiate. Abbiamo imparato però a ridurre la trasmissione e stiamo anche studiando se l’intensità dell’esposizione al virus, come nel caso degli operatori sanitari, possa avere un ruolo nella severità della malattia”.Nessuno ha mai detto che il virus è sicuramente mutato, né che non esiste più, ma il fatto che i pazienti che vengono ricoverati oggi siano “diversi” e meno gravi rispetto a quelli di un mese fa è una “evidenza clinica”. E’ la linea dei medici italiani rispetto alla posizione dell’Oms. “La mia è una osservazione puramente clinica, assistita dallo studio virologico del professor Massimo Clementi, e la derivo dall’osservazione nel mio ospedale che ha avuto sino a 1.200 ricoverati all’apice della crisi, 150 dei quali in terapia intensiva”, dice il professor Alberto Zangrillo. “Dal 21 aprile non abbiamo più ricoverato pazienti in condizioni gravi -scandisce – Ora noi abbiamo a che fare con una malattia completamente diversa. E questo dato arriva dal confronto con i responsabili di tutti gli ospedali dell’area metropolitana milanese e anche dagli ospedali delle aree più colpite, come il Papa Giovanni XXIII di Bergamo e quelli di Crema, Cremona e Lodi”. “Non abbiamo mai detto che il virus è mutato – ribadisce Zangrillo – Abbiamo detto che è cambiata l’interazione fra il soggetto ospite e il virus. E questo può derivare o da una caratteristica differente del virus, che non abbiamo dimostrato, o da caratteristiche diverse a livello recettoriale dell’ospite”. Zangrillo tiene a sottolineare che le sue considerazioni non equivalgono a un ‘liberi tutti’. “Al contrario, significa che se continueremo a tenere i comportamenti virtuosi che abbiamo tenuto finora, probabilmente fra un mese avremo risultati anche migliori”.
Massimo Clementi è direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia del San Raffaele, ed è curatore di uno studio che, spiega, verrà pubblicato dalla rivista scientifica “Clinical Chemistry and Laboratory Medicine” entro la prossima settimana. Lo studio del San Raffaele, condotto su un campione omogeneo di cento pazienti dei primi quindici giorni di marzo confrontato con un analogo campione di altri cento pazienti negli ultimi quindici giorni di maggio, evidenzia che la carica virale negli ammalati di fine maggio è notevolmente ridotta.”Test genetici li facciamo di routine. Cerchiamo verifiche su sequenze virali – dice il professor Clementi – E non abbiamo notato mutazioni rilevanti: il virus non sembra sia mutato da un punto di vista genetico”.
“Il nostro studio è partito quindi dall’evidenza clinica che la malattia ha cambiato profilo – continua – E’ una cosa abbastanza abituale in un nuovo virus. Capita spesso che, dopo una fase di grande aggressività, ci sia una forma di coadattamento, fra virus e ospite”. Il professor Clementi per il suo studio ha quindi applicato una tecnica quantitativa che aveva utilizzato nei primi anni 90 per l’Hiv “un virus diverso che più replica e più fa danno”, che consente di misurare l’Rna del virus. “Con una metodologia un po’ forzata, perché in questo caso abbiamo usato campioni ottenuti da tamponi rispetto al prelievo di sangue utilizzato per l’Hiv – precisa Clementi – Abbiamo diviso i pazienti per fasce omogenee, e quel che è emerso è che i pazienti di maggio avevano una carica virale straordinariamente più bassa di quelli di marzo, anche considerando soggetti con età superiore ai 65 anni”.”Capire da cosa questo sia determinato – sottolinea – non lo so. Ma mi pare un dato significativo”. “Ora vorremmo fare uno studio più ampio in più centri – conclude – Siamo in contatto con il professor Guido Silvestri, virologo ad Atlanta (Usa), per fare uno studio comparativo fra 1.000 suoi soggetti e 1.000 soggetti nostri”. Sulla stessa lunghezza d’onda dei due colleghi è Matteo Bassetti, docente di Malattie Infettive all’Università di Genova e direttore della Clinica Malattie Infettive e Tropicali dell’Ospedale genovese San Martino. “Fondamentalmente nelle ultime tre-quattro settimane i nostri pazienti sono molto cambiati – dice – In parole povere se prima il virus si presentava come una tigre assassina ora si presenta come un gatto selvatico addomesticabile. (fonte doctor33)

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Tumore del colon: Uno dei grandi big killer

Posted by fidest press agency su lunedì, 12 agosto 2019

L’implementazione degli esami di screening per il cancro del colon-retto ha dimostrato di essere in grado di ridurre l’incidenza e la mortalità nelle popolazioni screenate: in Italia quelle tra i 50 e i 69 anni. “Ma non è il caso di cantare vittoria – afferma il professor Luigi Ricciardiello, professore associato di Gastroenterologia dell’Università di Bologna, Chairman del Research Committee, United European Gastroenterology – il tumore del colon retto resta, tuttavia, uno dei grandi big killer: secondo dati Aiom-Airtum nel 2018 nel nostro paese sono circa 28.800 i nuovi casi di colon retto negli uomini e 22.500 nelle donne”. Un elemento di preoccupazione è rappresentato dall’aumento di incidenza di questa forma di tumore nei giovani. A dimostrare questo trend arrivano i risultati di uno studio statunitense effettuato su circa 500 mila uomini e donne che dimostra, accanto ad una riduzione dell’incidenza del cancro del colon-retto nei soggetti di età pari o superiore ai 55 anni (merito dei programmi di screening), un aumento di questo tumore al di sotto dei 50 anni con un picco di aumento soprattutto nella fascia di età compresa tra i 20 e i 29 anni.
Risultati analoghi sono emersi da uno studio condotto in 20 paesi europei tra 188 mila giovani adulti, che dimostra un aumento dell’incidenza del cancro del colon retto nella fascia tra i 20 e i 39 anni. Conferme arrivano anche dal nostro paese: uno studio condotto di recente a Milano dimostra un aumento dell’incidenza di questa forma tumorale nei soggetti al di sotto dei 50 anni nel periodo compreso tra il 1999 e il 2015.
Negli ultimi 40 anni la prevalenza dell’obesità nei bambini è drasticamente aumentata. Dati relativi a 2.416 studi di popolazione a livello mondiale per i quali erano disponibili misurazioni di altezza e peso, hanno dimostrato un significativo aumento dell’indice di massa corporea nella fascia di età 5-19 anni tra il 1975 e il 2016. E’ stato stimato che nel 2016 ci fossero a livello mondiale 124 milioni di bambini e adolescenti obesi (NCD Risk Factor Collaboration (NCD-RisC) et al. 2017). Uno studio condotto in 21 paesi Europei dalla Childhood Obesity Surveillance Initiative (Cosi) dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) su bambini di età compresa tra i 6 e i 9 anni, ha stimato che 398 mila bambini su 13,7 milioni fossero affetti da obesità grave (2,9 per cento). Ma a preoccupare ulteriormente è la distribuzione della prevalenza di obesità infantile: in molto paesi ad essere affetto da obesità grave è un bambino su 4, e i livelli più elevati di obesità si registrano nell’Europa meridionale, soprattutto tra i maschietti. Secondo le ultime statistiche in Italia la prevalenza complessiva di sovrappeso, obesità e obesità grave nei bambini tra 6 e 9 anni è intorno al 43 per cento. Peggio di noi stanno solo Spagna (circa 44 per cento) e Grecia (circa 48 per cento).
A guidare la classifica delle regioni meno virtuose c’è la Campania, dove il 26,2 per cento dei bambini in questa fascia d’età è in sovrappeso, il 13,22 per cento è obeso e il 4,7 per cento è affetto da obesità grave. Nella parte alta di questa preoccupante classifica si collocano anche Calabria, Molise, Basilicata, Sicilia, Puglia, Lazio, Abbruzzo e Marche. La media italiana rivela che il 21,3 per cento dei bambini è in sovrappeso, il 7,2 per cento obeso e l’1,2 per cento affetto da obesità grave. Alla luce di questi dati epidemiologici relativi all’obesità in età infantile e ’precoce’ adolescenziale edal possibile legame causale tra obesità e carcinoma del colon retto al di sotto dei 50 anni di età è fondamentale puntare su programmi di prevenzione dell’obesità mirati ai giovani e ai giovanissimi.
E’ stato dimostrato che l’obesità severa è più comune nei bambini le cui madri hanno un livello di istruzione medio-basso rispetto a quelli con madri con un elevato livello di istruzione. Anche i bambini non allattati al seno per almeno 6 mesi hanno una prevalenza di sovrappeso/obesità molto maggiore di chi è stato allattato al seno (16,8 per cento contro il 9,3 per cento). Obesità e sovrappeso che compaiono in età evolutiva adolescenziale tendono a persistere in età adulta e possono favorire la comparsa di patologie quali le malattie cardiovascolari, il diabete tipo 2 ed alcuni tumori, tra cui il cancro del colon-retto. Considerati i danni alla salute a breve e lungo termine causati dall’obesità, sono auspicabili strategie volte a prevenire l’obesità inclusi programmi e iniziative nei bambini e giovani che aiutino ad effettuare scelte salutari. Nel caso di obesità grave bisogna garantire anche i servizi per aiutare questi bambini e le loro famiglie a contrastarla. Secondo il presidente della Sige professor Domenico Alvaro “a scendere in campo per queste iniziative devono essere non solo le società scientifiche ma anche le scuole, dove sono diventanti improcrastinabili programmi educazionali volti ad insegnare ai nostri bambini ed adolescenti i corretti stili di vita oltre che le nozioni basilari di come si possono prevenire malattie ad alto impatto sociale”.

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Ipertensione arteriosa Le nuove strategie per sconfiggere il ‘killer silenzioso’

Posted by fidest press agency su martedì, 26 marzo 2019

L’ipertensione arteriosa è uno dei più importanti fattori di rischio cardiovascolari; i farmaci a disposizione per trattarla sono molti e ben collaudati, ma ancora troppo pochi sono i pazienti che raggiungono l’obiettivo dei 130 mmHg di pressione sistolica. Le nuove linee guida europee e americane dell’ipertensione suggeriscono dunque nuove strategie di trattamento per colmare questo gap: associazione di due farmaci in un’unica pillola da subito, per raggiungere il target di trattamento entro tre mesi.In Italia, recenti studi epidemiologici hanno rivelato che solo il 37 per cento degli ipertesi è ‘a target’, cioè presentava dei livelli di pressione ottimale. Un problema non da poco considerato, che ad essere affetto da ipertensione è circa un quarto degli adulti e oltre il 70 per cento dei soggetti di età superiore ai 65 anni, stando ai dati epidemiologici raccolti dalla Medicina Generale.
I nuovi concetti che emergono dall’ultima edizione delle linee guida europee sull’ipertensione relativi alle nuove strategie da adottare sono: l’impiego preferenziale delle associazioni di due farmaci nella stessa pillola (associazioni precostituite) sin dall’inizio del trattamento e il cercare di raggiungere gli obiettivi terapeutici nel minor tempo possibile, idealmente entro i primi tre mesi. “La tradizionale terapia ‘a scalini’ dell’ipertensione arteriosa – riflette il professor Volpe – non consente di raggiungere il traguardo terapeutico dei 130 mmHg di sistolica entro 3 mesi. Per questo le nuove linee guida suggeriscono di iniziare subito il trattamento con un’associazione di due farmaci (tipicamente un ACE inibitore o un sartano insieme ad un calcio antagonista o a un diuretico), preferenzialmente in associazione precostituita, cioè in un’unica pillola, per favorire la compliance del paziente. La monoterapia andrà riservata ai pazienti con ipertensione di grado 1, agli anziani e ai pazienti più fragili, che non rappresentano più del 20-25 per cento degli ipertesi”. Gli studi clinici hanno dimostrato che prima si raggiunge l’obiettivo terapeutico, maggiore e più sostenuto sarà il vantaggio cardiovascolare .
“L’ipertensione arteriosa – afferma il professor Giuliano Tocci, responsabile del Centro ipertensione dell’Ospedale Sant’Andrea e professore associato di Cardiologia, Università ‘La Sapienza’ di Roma – rappresenta ancora oggi il principale fattore di rischio responsabile di eventi fatali a livello mondiale. Le principali malattie cardiovascolari, tra cui infarto, ictus, insufficienza cardiaca, sono molto spesso riconducibili ad un aumento della pressione arteriosa, che si è protratto per anni, spesso in modo del tutto asintomatico, determinando un aumento del rischio di eventi cardiovascolari fatali”.
Altro punto di convergenza tra linee guida europee e americane è il fatto che, una volta che la malattia si è resa manifesta, il controllo dei valori pressori andrebbe raggiunto il più rapidamente possibile e mantenuto entro i valori considerati normali, al fine di ridurre il rischio di complicanze cardiovascolari, cerebro-vascolari e renali. A tal fine l’uso delle terapie di combinazione precostituite si è dimostrato un elemento molto utile nella gestione clinica quotidiana dell’ipertensione arteriosa – conclude Tocci – soprattutto in virtù del fatto che tali terapie hanno dimostrato di garantire una migliore aderenza alla terapia, particolarmente nel paziente che assume diversi farmaci o strategie terapeutiche complesse (paziente politrattato)”.

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Cachessia è forma di malnutrizione killer

Posted by fidest press agency su sabato, 9 febbraio 2019

E’ la più grave forma di malnutrizione nel mondo occidentale, colpisce infatti 9 milioni di pazienti dei paesi industrializzati, pari all’1%. Un malato su 10 quindi sperimenta una perdita di almeno il 5% del suo peso nei 3-12 mesi precedenti la malattia combinata a disturbi come fatica, anemia, infiammazione cronica. Si riscontra tra il 5 e il15% di casi di insufficienza cardiaca cronica e tra il 60 e l’80% nei tumori in fase avanzata, per i quali è una delle principali cause di mortalità . “La cachessia deriva dalla combinazione dei due termini greci kakos=cattivo e hexis=aspetto“ spiega il Professor Maurizio Muscaritoli, Coordinatore Scientifico del Convegno Internazionale Nutrients Beyond Nutrition e Presidente SINuC (Società Italiana di Nutrizione Clinica e Metabolismo) in corso a Napoli “è come se nel paziente oncologico l’organismo iniziasse a nutrirsi di se stesso e la malnutrizione/cachessia intesa come perdita di massa grassa e soprattutto proteine e quindi muscoli è resistente al solo introito di cibo: la perdita di peso diventa quindi progressiva e portando con sé ‘cattive compagnie come Nel paziente affetto da neoplasia, la perdita di peso è associata ad una diminuita sopravvivenza, ad una scarsa risposta e/o tolleranza ai trattamenti radioterapici e farmacologici, ad una ridotta qualità di vita, ad una più alta incidenza e durata di ospedalizzazione così come sottolineato anche lo studio italiano PreMio che ha valutato l’incidenza della malnutrizione già alla prima visita oncologica.Mentre le terapie anticancro standard sono associate ad immunosoppressione e rischio di infezioni, quelle più recenti presentano nuovi profili di tossicità come infiammazioni, reazioni autoimmuni e disturbi a carico dell’apparato gastrointestinale.
Paragonate alla classica chemio i nuovi farmaci anticancro sono generalmente meno tossici ma non completamente. Le terapie CAR-T possono avere effetti collaterali a carico del sistema nervoso centrale mentre i trattamenti con anticorpi contro gli inibitori immuni del checkpoint sono correlati a colite, diarrea, danni alla mucosa orale e gastrointestinale di intensità variabile. Tutte condizioni che hanno un impatto sullo stato di nutrizione del paziente”. Gestire la tossicità delle nuove terapie è un fattore chiave del loro successo e prevedere una terapia nutrizionale adeguata permette di fronteggiarne efficacemente gli effetti avversi.

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Colesterolo: un killer sottovalutato

Posted by fidest press agency su sabato, 11 marzo 2017

Dalla fine degli anni ’90 ad oggi il valore medio del colesterolo degli italiani è aumentato in maniera significativa sia negli uomini (dal 205 a 211 mg/dl) che nelle donne (da 207 a 217 mg/dl), secondo i dati dell’Osservatorio Epidemiologico Cardiovascolare (Oec)/Health Examination Survey (Hes). Stessa cosa per la prevalenza dell’ipercolesterolemia, passata dal 20,8 al 34,3 per cento negli uomini e dal 24 al 36,6 per cento nelle donne. Gli uomini si curano meglio delle donne: quelli che raggiungono l’obiettivo con il trattamento sono aumentati dal 13,5 al 24 per cento del totale, mentre le donne ‘a target’ sono cresciute dal 9,6 per cento al 17,2 per cento del totale.
Non esistono criteri condivisi né su quando iniziare lo screening per le dislipidemie, né su ogni quanto ripetere gli esami, né a quale età smettere di misurare il colesterolo. Il medico dovrebbe regolarsi sulla base del profilo di rischio individuale del paziente, ma è comunque raccomandabile fare un primo screening negli uomini intorno ai 40 anni e nelle donne intorno ai 50 o in post-menopausa, come suggerito anche dalle linee guida Esc. Questa valutazione andrebbe tuttavia anticipata (intorno ai 35 anni nei maschi e a 45 anni nelle femmine) nei soggetti con familiarità per ipercolesterolemia e/o eventi cardiovascolari in età giovanile e in pazienti diabetici e con arteriopatia periferica, a prescindere dall’età.
La sensibilizzazione riguardo la correzione degli stili di vita deve essere offerta a tutti fin da giovanissimi e in questo la medicina del territorio riveste un’importanza strategica. Un ruolo centrale nelle strategie di prevenzione è ricoperto dalla gestione delle dislipidemie, alla quale la Siprec ha dedicato un apposito documento di consenso in collaborazione con la Fondazione Cuore. Il documento è ispirato alle recenti (2016) linee guida della Società Europea di Cardiologia ma le cala nelle specificità e peculiarità del nostro Paese.
Una riduzione di 40 mg/dl di colesterolo Ldl si associa ad un abbattimento del 20-25 per cento delle morti per cause cardiovascolari e di infarto miocardico non fatale, come dimostrato dai tanti studi di intervento degli ultimi 15-20 anni. Il colesterolo ‘cattivo’ è infatti il nemico numero uno delle coronarie e questo ne fa il bersaglio ideale della terapia e delle strategie di prevenzione. La decisione se iniziare o meno una terapia per abbassare il colesterolo Ldl, si basa sul livello di rischio di mortalità per eventi cardiovascolari e aterotrombotici a 10 anni, in Europa affidato al sistema SCORE. In caso di rischio elevato (≥5 per cento ≤10 per cento) o molto elevato (≥ 10 per cento) la terapia andrebbe iniziata subito; nei soggetti a rischio moderato (≥1% per cento ≤5 per cento) è ragionevole dare consigli sullo stile di vita e solo dopo, se utile, iniziare una terapia farmacologica.
Ipercolesterolemia familiare. E’ una malattia legata alla mutazione di singoli geni che codificano per il recettore delle Ldl (nel 90 per cento dei casi) o per alcune proteine coinvolte nella sua attività o nel suo ‘riciclo’ sulla superficie cellulare (ad esempio a proteina PCSK9). L’incidenza della forma eterozigote è di 1 su 500 individui, quella omozigote, molto più grave e più rara, ha un’incidenza di un caso su un milione. Nelle forme omozigoti l’attività del recettore per le Ldl è quasi del tutto compromessa e le concentrazioni di Ldl possono arrivare a 500-1200 mg/dl; questa condizione può dare danni cardiovascolari molto precocemente e portare a morte anche prima dei 20 anni, se non trattata. Nelle forme eterozigoti, l’attività del recettore è dimezzata e le concentrazioni di Ldl variano tra i 200 e i 350 mg/dl. Anche questi pazienti, se non trattati possono presentare cardiopatia ischemica prima dei 55 anni (i maschi) o dei 60 anni (femmine). Per la diagnosi clinica si utilizza lo score del Dutch Lipid Clinic Network (Dlcn): valori maggiori di 8 rendono la diagnosi di ipercolesterolemia certa; probabile tra 6 e 8, possibile tra 3 e 5, improbabile tra 0 e 2. Lo screening delle Ldl, come anche lo screening genetico (se una mutazione viene individuata) andrebbe esteso a tutti i familiari per paziente con ipercolesterolemia familiare.La terapia ipolipemizzante dovrebbe essere iniziata subito al momento della diagnosi sia negli adulti che nei bambini dagli 8-10 anni in su e proseguita in cronico. Gli esperti raccomandano di iniziare con una statina ad elevata potenza al massimo dosaggio tollerato (es. atorvastatina 80 mg o rosuvastatina 40 mg); se non si raggiunge il target terapeutico andranno associati alla statina altri farmaci (ezetimibe, resine o fibrati). Nei soggetti con livelli di Ldl elevatissimi e con precedenti cardiovascolari, si può ricorrere all’aferesi, un trattamento che rimuove dal sangue le Ldl, riducendone i livelli del 50-75 per cento. Un’alternativa resasi di recente disponibile è la nuova classe degli inibitori di PCSK9. I farmaci per abbassare il colesterolo ‘cattivo’ sono:
Le statine. Riducono la sintesi epatica di colesterolo; la percentuale di riduzione delle Ldl è dose dipendente e varia a seconda del tipo di statine, ma vi è grande variabilità da un individuo all’altro. Lo studio del Cholesterol Treatment Trialists (Ctt) ha dimostrato che una riduzione di 40 mg/dl di Ldl corrisponde ad una riduzione del 10 per cento di mortalità per tutte le cause, del 20 per cento di mortalità per cause cardiovascolari, del 23 per cento del rischio di eventi corona
rici maggiori e del 17 per cento di ictus.
Le Ezetimibe. Blocca l’assorbimento intestinale di colesterolo. Gli studi hanno dimostrato che, in associazione alle statine, riduce il rischio cardiovascolare.
I fibrati. Questi farmaci regolano l’espressione di geni coinvolti nel metabolismo dei lipidi e delle lipoproteine. Riducono i livelli plasmatici di trigliceridi e possono aumentare quelli di Hdl (colesterolo ‘buono’). Sono in genere ben tollerati ma possono dare disturbi gastrointestinali (5 per cento) ed eruzioni cutanee (2 per cento).
Omega-3. Riducono la sintesi epatica di Vldl (lipoproteine ricche di trigliceridi); vengono somministrate dunque nei soggetti con trigliceridi elevati. Attenzione nei soggetti in terapia anticoagulante perché possono aumentare il rischio di sanguinamento.
Le resine. Sequestrano gli acidi biliari nel’intestino tenue e ne impediscono così il riassorbimento; questo provoca per una serie di passaggi la riduzione dei livelli plasmatici di colesterolo. Danno effetti indesiderati gastrointestinali (nausea, stipsi, dispepsia) e possono ridurre l’assorbimento di vari farmaci.
I nutraceutici ipolipemizzanti (fibre, i fitosteroli, la monacolina k del riso rosso fermentato e lamorus alba). Possono ridurre i livelli di colesterolo (10-20 per cento) ma non vi sono studi che dimostrano un loro effetto sulla riduzione del rischio cardiovascolare. Per questo non possono essere utilizzati come sostituti dei farmaci nei soggetti a rischio medio-alto.
I nuovi farmaci sono gli inibitori di PCSK9 (evolocumab e alirocumab). Sono farmaci, somministrati una o due volte al mese per iniezione sottocutanea, che inibendo la funzione della proteina PCSK9, consentono ai recettori delle Ldl di essere più volte ‘riciclati’ sulla superficie cellulare, dove ‘catturano’ e rimuovono dal sangue le Ldl circolanti.

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“E’ stata una follia rendere noti i nomi dei Poliziotti che a Sesto San Giovanni hanno fermato il killer di Berlino”

Posted by fidest press agency su sabato, 24 dicembre 2016

anis-amri“C’è infatti il timore che gli Agenti, ma anche le loro famiglie, possano subire delle ritorsioni da parte dei terroristi islamici. Si sarebbe dovuta tutelare l’identità dei Poliziotti, così come avviene per i militari impegnati all’estero nelle attività di contrasto al terrorismo”. E’ quanto afferma Franco Maccari, Segretario Generale del COISP – il Sindacato Indipendente di Polizia. “E’ incredibile la superficialità con cui è stata gestita la vicenda da parte dello stesso Governo – dice Maccari -, che rendendo nota l’identità degli Agenti di Polizia, le loro foto e persino i loro comuni di provenienza, ha dimostrato di sottovalutare il rischio di rappresaglie da parte dei terroristi, mettendo a rischio le vite dei nostri colleghi ed anche dei loro familiari. Auspichiamo che almeno si cerchi di porre riparo garantendo la massima tutela dei Poliziotti coinvolti e dei loro familiari, oltre a rafforzare ulteriormente l’azione di controllo e contrasto del rischio terrorismo nell’intero Paese, che con l’uccisione di Anis Amri ha dato un duro colpo all’Isis”.

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È il surplus dell’economia tedesca il killer dell’Europa

Posted by fidest press agency su sabato, 10 settembre 2016

mario-draghi2Dichiarazione dell’onorevole Renato Brunetta, presidente dei deputati di Forza Italia: “A margine della riunione del Consiglio direttivo della Banca Centrale Europea, il presidente Mario Draghi ha oggi invitato la Germania a ‘usare i suoi margini di bilancio’, vale a dire il suo surplus. Cioè di fare i compiti a casa e rispettare i Trattati. Significa che la Germania dovrebbe reflazionare, quindi ridurre la pressione fiscale, aumentare la domanda interna, i consumi, gli investimenti, i salari, le importazioni, rilanciando conseguentemente la crescita per sé e per tutti i paesi dell’eurozona.
È il surplus dell’economia tedesca il killer dell’Europa. Un assassino conosciuto da tutti, che ha cominciato a essere tale con l’avvento dell’euro, e che da allora ha avuto un andamento crescente, in particolare negli anni della crisi.L’Europa a trazione tedesca non ha volutamente colto, sbagliando, che l’eccesso di virtù (surplus) produce più danni dell’eccesso di deficit. E le misure per fronteggiare la crisi che ne sono derivate non hanno fatto altro che peggiorare la situazione, piuttosto che risolverla.
Se la Germania reflazionasse da subito, questo creerebbe un virtuoso clima di crescita, aumenterebbe virtuosamente il tasso di inflazione, e si ridurrebbe il divario tra il rendimento dei Bund e e quello dei titoli di altri debiti sovrani.Il surplus della Germania ammonta a circa 300 miliardi di euro. Dimezzarlo significa mettere in circolo almeno 150 miliardi di euro. Che diventano 200 se anche gli altri paesi in surplus (Olanda, Svezia e Danimarca) fanno lo stesso.
Il risultato sarebbe una spinta positiva, di almeno un punto, alla crescita di tutta l’area euro, che troverebbe uno slancio che dalla creazione della moneta unica non ha mai avuto, tornando competitiva rispetto alle altre economie mondiali. Migliorerebbero anche le performance della Bce di Mario Draghi, con i suoi Quantitative easing, in quanto la politica monetaria tornerebbe a trasmettersi all’economia reale”.

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Surplus tedesco: E’ il killer dell’Europa

Posted by fidest press agency su lunedì, 27 giugno 2016

europa-261011-c“Renzi, se ha un minimo a cuore il suo Paese, prenda sul serio le proposte che da tre anni mi ostino a documentare come le sole idonee a garantire una ripresa economica dell`intera area euro, tagliando le unghie alla volontà rapace di Berlino, pretendendo risolutamente che la Germania rispetti quelle che insieme ad altri Paesi del Nord suoi satelliti calpesta, gonfiando a dismisura il suo surplus commerciale”.Così Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati, in un editoriale pubblicato da “Il Giornale”.
“Questa è la reazione che uno statista deve avere, invece pare prevalere tra i leader europei, non solo in Renzi, una colpevolizzazione del Regno Unito. Dichiarazioni a caldo che nascondono una volontà auto-assolutoria dei vertici Ue e dell`egoismo meschino dei singoli capi di Stato e di governo. Soprattutto vogliono impedire che si inneschi un processo emulativo da parte di altri paesi oggi critici verso le istituzioni e le politiche europee. Ma nessuno ci spiega perché altri paesi dovrebbero votare per l`exit e cosa è accaduto perché oggi ci spaventa la fuga dall`Unione europea quando, fino ad alcuni anni fa, c`era la fila per entrarvi. Le istituzioni europee non reggono perché incapaci di cambiare politiche che hanno dimostrato il loro fallimento in termini di crescita economica e di benessere sociale. È necessario uno stimolo fiscale che supporti la politica monetaria. Sappiamo anche che sono i paesi che hanno ‘spazio fiscale’ a dover agire. Cioè la Germania”.”Il maledetto surplus tedesco che uccide l`Europa. È il surplus dell`economia tedesca il killer dell`Europa, ed è un assassino conosciuto da tutti. In particolare la netta prevalenza delle esportazioni sulle importazioni con l`avvento dell`euro, che da allora ha avuto un andamento crescente, in particolare negli anni della crisi. Ma in un`unione monetaria, il surplus di uno o più paesi produce più danni dell`eccesso di deficit di altre economie dell`Unione. Se la Germania reflazionasse da subito, si creerebbe un virtuoso clima di crescita e tutta l`economia dell`area euro tornerebbe sostenibile. Se alla reflazione tedesca e degli altri paesi in surplus si affiancasse un grande piano di investimenti, un New deal europeo da almeno mille miliardi, approfittando dei bassi tassi di interesse che rimarranno tali almeno nel medio periodo, e utilizzando la garanzia della Banca europea degli investimenti (Bei), l`Europa non solo uscirebbe finalmente dalla crisi, ma troverebbe uno slancio che dalla creazione della moneta unica non ha mai avuto, diventando competitiva anche rispetto alle altre economie mondiali”, sottolinea Brunetta.

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Il tumore del pancreas

Posted by fidest press agency su lunedì, 27 ottobre 2014

Pancreas_adenocarcinoma_(3)_Case_01E’ un killer silenzioso e in costante crescita. In Italia nel 2014 i nuovi casi registrano incrementi del 4% sul 2013 e del 13% rispetto al 2011, per un totale di 12.700 persone colpite. I sintomi rimangono a lungo nascosti e per questo la prevenzione primaria è fondamentale per sconfiggere la neoplasia. “Ma oggi si inizia a parlarne di più – afferma il prof. Stefano Cascinu, Presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), al congresso nazionale che si chiude oggi a Roma -. E aumenta anche la consapevolezza che si possa affrontare, anche grazie a PanCrea, campagna informativa promossa dall’AIOM, i medici di famiglia della Società Italiana di Medicina Generale (SIMG) e l’Associazione Italiana Malati di Cancro (AIMAC), con un tour in sette Regioni, dedicato esclusivamente al tumore del pancreas. Come tutte le altre neoplasie infatti la malattia ha un grande nemico: i corretti stili di vita. Abbiamo attraversato il Paese spiegando ai cittadini come sia possibile prevenire anche questa insidiosa forma di cancro. Le regole sono: niente fumo (causa il 30% di tutti i tumori), dieta sana ed equilibrata, consumo moderato di alcol e attività fisica regolare. E lo vediamo ogni giorno nei nostri reparti: sono aumentate l’attenzione e la conoscenza. Se, un anno fa, un italiano su due affermava l’impossibilità di prevenire queste neoplasie (e addirittura il 39% dichiarava di non averne mai sentito parlare) oggi troviamo cittadini più informati. Anche se molto resta ancora da fare: come AIOM continueremo il progetto nel 2015, ma rivolgiamo un appello alle Istituzioni perché sviluppino campagne analoghe in tutta la penisola”. “Solo il 7% dei casi è diagnosticato in fase iniziale e questo rende più difficile il nostro lavoro – afferma il prof. Carmine Pinto Presidente Eletto AIOM -. Negli ultimi tempi, la ricerca ha portato a nuove terapie, in particolare grazie alla nanomedicina è possibile superare la barriera stromale, finora inaccessibile alle molecole tradizionali. Nab-paclitaxel (paclitaxel legato all’albumina in nanoparticelle) è un farmaco già disponibile nella cura del cancro al seno e che utilizza queste recenti scoperte. La terapia ha dimostrato un aumento significativo dei pazienti lungo sopravviventi a 3 anni”. Il tour dell’AIOM si è svolto nei centri di riferimento nella lotta contro il tumore del pancreas. “Questa neoplasia deve essere curata in strutture che affrontano un adeguato numeri di casi l’anno – sottolinea il prof. Cascinu -. Quello degli alti volumi di attività è uno dei principali problemi dell’oncologia italiana. La soluzione che proponiamo da anni è la costituzione di reti oncologiche sull’intero territorio nazionale”. PanCrea è stato reso possibile grazie al contributo incondizionato di Celgene e ha visto la partecipazione anche delle associazioni di pazienti. “Per un italiano su due il cancro non è più un ‘male incurabile’ – sottolinea Francesco De Lorenzo, Presidente della FAVO (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) -. Dopo anni di campagne e di corretta informazione abbiamo raggiunto un grande risultato. Tuttavia questa neoplasia è ancora una malattia di cui si parla ancora poco, non solo in Italia. Anche per questo il 12 novembre, in prossimità della Giornata mondiale per la lotta al tumore del pancreas (13 novembre) è stato organizzato un incontro al Parlamento europeo per chiedere che anche le Istituzioni comunitarie facciano la loro parte, sia nella prevenzione primaria che nella gestione del paziente”. In Italia si terrà un convegno nazionale promosso dalla Fondazione “Insieme contro il Cancro” alla Camera dei Deputati. La campagna PanCrea ha permesso di distribuire migliaia di opuscoli e ha promosso un sito http://www.tumorepancreas.org che fornisce informazioni a 360° sulla patologia. “È una malattia difficile da individuare per la quale non esistono programmi di screening specifici come per il cancro al seno o del colon-retto – ricorda il prof. Pinto -. Tuttavia il 10% dei pazienti colpiti da tumore del pancreas ha almeno un parente colpito dallo stesso male. Queste persone devono segnalare tempestivamente i sintomi al proprio medico. Per questo abbiamo deciso di coinvolgere nella nostra iniziativa anche la Società Italiana di Medicina Generale (SIMG). Il medico di famiglia tutti i giorni riceve i malati di cancro nel suo ambulatorio”. “Siamo orgogliosi di avere dato un contributo a realizzare questo progetto senza precedenti in Italia – afferma il dott. Giovanni de Crescenzo, direttore medico di Celgene Italia -. Il nostro impegno quotidiano è scoprire, sviluppare e rendere disponibili terapie innovative che possano aiutare i pazienti colpiti da gravi malattie. Vogliamo inoltre promuovere la salute e il benessere dell’intera collettività, questo non può prescindere da una corretta attività di prevenzione e informazione sulle patologie. Progetti come PanCrea rappresentano la nuova frontiera nella collaborazione tra società scientifiche e aziende farmaceutiche”.

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Pesticidi killer per le api

Posted by fidest press agency su venerdì, 20 dicembre 2013

Greenpeace International, il Coordinamento Apistico europeo Bee Life e altre quattro associazioni ambientaliste e di consumatori (Pesticides Action Network Europe, ClientEarth, Buglife e SumOfUs), intervengono presso la Corte di Giustizia europea per difendere il bando europeo di tre pesticidi killer delle api. Questa iniziativa è stata intrapresa in risposta al ricorso fatto da Syngenta e Bayer contro la Commissione Ue, per chiedere l’annullamento del divieto.Il bando, entrato in vigore lo scorso 1 dicembre con il forte sostegno politico dei governi europei, vieta parzialmente l’utilizzo di tre insetticidi prodotti da Syngenta (thiamethoxam) e Bayer (imidacloprid e clothianidin), che appartengono ad una classe di sostanze chimiche note come neonicotinoidi. La Commissione europea ha adottato il divieto sulla base delle valutazioni scientifiche dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) sugli impatti negativi di questi insetticidi sulle api. Oggi Greenpeace pubblica i risultati di uno studio pilota, che fornisce ulteriori prove delle diverse modalità di contaminazione da parte di alcuni insetticidi. Lo studio mostra che il liquido che trasuda dalle piante (l’acqua di guttazione) i cui semi sono stati trattati con alcuni neonicotinoidi, contiene alte concentrazioni di pesticidi. Si tratta di una modalità di esposizione ai neonicotinoidi potenzialmente letale per le api che bevono il liquido stesso.”Bayer e Syngenta hanno scatenato i loro avvocati per attaccare un divieto che è scientificamente rigoroso, giuridicamente corretto e che aiuta a proteggere gli interessi generali degli agricoltori e dei consumatori europei. Il bando parziale di questi tre pesticidi è solo un primo e necessario passo per proteggere le api in Europa. Va difeso dagli attacchi di aziende che perseguono i propri interessi a scapito dell’ambiente” dichiara Federica Ferrario, responsabile campagna Agricoltura sostenibile di Greenpeace Italia.Greenpeace ha analizzato l’acqua di guttazione ottenuta da mais trattato con due diversi insetticidi neonicotinoidi per la concia delle sementi: thiamethoxam (prodotto da Syngenta) e clothianidin (prodotto da Bayer), entrambi oggetto dal divieto recentemente entrato in vigore. Lo studio ha rivelato che le concentrazioni di pesticidi essudati dalla pianta nell’acqua di guttazione possono eguagliare o addirittura superare le concentrazioni di principi attivi raccomandate dalle aziende per l’utilizzo in forma spray nelle formulazioni commerciali di insetticida. Questi risultati suggeriscono che il liquido guttazione potrebbe rappresentare un serio pericolo per le api. “Ci sono ancora importanti lacune nella ricerca scientifica sui modi attraverso i quali le api sono esposte ai neonicotinoidi. Ora sappiamo però che l’esposizione può rivelarsi mortale quando api e altri impollinatori bevono o raccolgono l’acqua di guttazione delle colture trattate.
Questa modalità di esposizione va ad aggiungersi ai già noti e inaccettabili rischi legati agli insetticidi neonicotinoidi. Ciò significa che l’attuale bando europeo non è solo giustificato, ma deve diventare permanente ed essere rafforzato” conclude Ferrario.

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Adiconsum sul batterio Killer

Posted by fidest press agency su martedì, 31 Maggio 2011

Al momento nessun caso di tossinfezione alimentare riferibile ai cetrioli contaminati provenienti dalla Spagna è stato registrato in Italia, e la pronta reazione del sistema di allerta rapido, subito entrato in azione per bloccare la commercializzazione del prodotto in questione e ritirare dagli scaffali quello eventualmente già presente dovrebbe averci messo al sicuro anche per il più immediato futuro. L’Adiconsum ricorda tuttavia che l’indicazione d’origine per i prodotti ortofrutticoli freschi è obbligatoria da alcuni anni, e consiglia pertanto ai consumatori di orientare i propri acquisti di ortaggi e insalate destinate al consumo a crudo verso prodotti italiani – o comunque non di provenienza spagnola – almeno fino al rientro dell’emergenza.

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La giustizia diventa killer

Posted by fidest press agency su giovedì, 14 aprile 2011

“Se la situazione non si avviasse a diventare drammatica ci verrebbe da dire solo una cosa usando un po’ di ironia: si faccia una legge con un solo articolo che dichiara Berlusconi innocente per il prima per l’oggi e per il futuro. Ma c’è davvero poco da ridere rispetto a quella che sta per diventare la più grande amnistia che per salvare uno solo rischia di cancellare anni e anni di fatica e di lavoro investigativo” E’ duro Franco Maccari, Segretario Generale del Coisp – il Sindacato Indipendente di Polizia, rispetto alla paventata possibilità che la norma sul processo breve, se applicata, sarà come un colpo di spugna su moltissimi giudizi in essere. “Altro che stagione dei grandi processi al via. Il traguardo è già dietro l’angolo. La norma  libera-tutti entra a gamba tesa sulle maxi inchieste  – dice ancora Maccari – con un’amnistia mascherata, si prepara a chiuderle per “manifesta mancanza di tempo”. Tre anni, termine ultimo e perentorio per il verdetto di primo grado, sono un triplo salto mortale per le indagini che hanno  scoperto  malaffari che presunti erano e presunti rischiano di restare”. «E’ come voler liberare con una bomba un’autostrada intasata di mezzi – continua il Segretario Generale del Coisp – questa è la metafora usata da un pm di Pescara con cui ha disegnato contorni e obiettivi del disegno di legge e noi siamo completamente d’accordo.  Così, la giustizia killer di sè stessa si prepara a fare la conta delle proprie vittime illustri, le grandi inchieste”. “Il ddl sul processo breve è un’amnistia di fatto per i delitti commessi prima del 2 maggio 2006, grazie alla norma transitoria che riguarda i procedimenti in corso e un vero e proprio colpo di spugna, che assicurerà una completa impunità per i tipici reati della criminalità dei colletti bianchi, ma anche per molte insidiose forme di delinquenza diffusa in danno di persone deboli – conclude Franco Maccari – e questo un Paese che voglia definirsi civile, che voglia davvero dialogare al pari con l’Europa non può permetterselo.Quindi chiediamo alla maggioranza governativa di fare un passo indietro. Le questioni del premier hanno ingessato l’Italia in molti aspetti della vita quotidiana non possiamo consentire che accada questo anche con la giustizia per difendere la quale, lo ricordiamo, è stato versato sangue innocente!”.

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Thrailer: Viaggio a metà

Posted by fidest press agency su mercoledì, 16 marzo 2011

Giuseppe Pisacane sta girando in questi giorni, a Cattolica, il thrailer del film “Viaggio a metà”. pochissime le  indiscrezioni e   le informazioni su questo kolossal che vede il giovane attore napoletano nel ruolo di un killer nel contesto di un thriller esoterico. Il cast (quasi tutto internazionale)  e’ ancora   top secret,  anche se il nome di Omar Sharif è dato per certo. distribuzione nei cinema nel 2012 in Italia,  America,  Francia,  Polonia e paesi arabi. Per altre notizie non ci resta che attendere a intanto in bocca al lupo  a Giuseppe Pisacane che sembra essere uno dei pochi italiani a far parte di questa avventura cinematografica. (Giuseppe pisacane)

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Microcar killer

Posted by fidest press agency su lunedì, 11 ottobre 2010

Come spesso accaduto già in passato le grida di allarme lanciate dalle associazioni di consumatori si sono tristemente rivelate basate sulla concretezza dei fatti. Primo Consumo, già nel mese di aprile, con un comunicato dal titolo” Microcar killer, necessari interventi urgenti ed efficaci, non semplici palliativi” pubblicato sul sito dell’associazione http://www.primoconsumo.it, aveva denunciato con forza la fragilità strutturale delle microcar confermate oggi dalle perizie tecniche disposte dalla magistratura in seguito ad uno dei numerosi incidenti rivelatisi, purtroppo, anche mortali. Un “verdetto” quasi scontato quello presentato dai periti che lascia l’amaro in bocca per la solita miopia con la quale vengono valutate situazioni che mettono a rischio la vita, in particolare, quella dei giovanissimi. Dalla perizia emerge tutta la pericolosità di queste mini vetturette, definite dagli esperti: “instabili su strade appena bagnate dalla pioggia, costruite con materiali fragili e dotate di dispostivi di protezione dell’abitacolo di dubbia efficacia, peraltro sperimentati con crash test approssimativi” Altre conferme di alto rischio per i guidatori sono emerse dalla perizia sul piantone dello sterzo, sulla consistenza del mezzo che secondo le norme sull’omologazione non deve superare i 350 chili, sulla velocità. L’associazione Primo Consumo si dichiara soddisfatta del lavoro svolto dalla procura romana e ribadisce il proprio impegno nel tener viva l’attenzione su problemi legati anche all’infortunistica stradale attraverso lo sportello Primo Incidente che permette agli associati, anche telefonando al numero verde 800974230, immediata consulenza grazie al supporto di professionisti del settore.

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Buche – killer sulle strade

Posted by fidest press agency su venerdì, 20 agosto 2010

Ogni anno in Italia si verificano migliaia di incidenti mortali dovuti per la gran parte alla velocità, all’imprudenza ed imperizia degli automobilisti, ma si calcola che un buon 30 % siano direttamente causati dallo stato delle strade ed in particolare dalla presenza di buche su di esse. Gli enti preposti spendono per il rifacimento della rete stradale consistenti quote dei propri bilanci, un vero e proprio businness per le migliaia di ditte del settore, ma è sufficiente una semplice verifica empirica – anche se sul punto sono state condotte già approfondite inchieste giornalistiche – per appurare che molto spesso i lavori di miglioramento e ripristino del “tappetino” d’asfalto lasciano a dir poco a desiderare, dimostrando la loro palese provvisorietà o comunque la tendenza al “risparmio” sulla qualità e lo spessore dello stato d’asfalto che dopo pochi mesi e alle prime piogge si sgretola come se non fosse mai stato steso.  Se tutti i lavori fossero fatti a regola d’arte e rispettando le norme tecniche, secondo Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori, le nostre strade non si presenterebbero come delle insidiose “groviere” causa di migliaia di sinistri stradali e si avrebbe una riduzione consistente dei costi sociali che raggiungono, oggi, livelli impressionanti. Giovanni D’Agata, si chiede, dunque, se allo stato, i controlli sui lavori di rifacimento siano puntuali ed invita gli enti proprietari delle strade e gli uffici preposti a procedere a verifiche accurate e costanti.

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Strade killer dei lavoratori

Posted by fidest press agency su domenica, 4 luglio 2010

Sono gli incidenti stradali la principale causa di morte per i lavoratori. Nel 2008 su 1.120 infortuni mortali registrati dall’INAIL, oltre la metà sono stati causati da incidenti avvenuti su strade e autostrade del nostro Paese. 355 persone sono morte durante lo svolgimento delle mansioni lavorative e 276 in incidenti verificatisi lungo il percorso casa/lavoro. Nel primo semestre del 2009 il 52% dei decessi legati al lavoro è accaduto in strada. Pur in leggera flessione rispetto all’impressionante 55% fatto registrare nel primo semestre del 2008, il quadro fornito dall’INAIL in occasione di “Progetto Sicurezza” – la mostra convegno organizzata per ricordare i 35 anni di attività di AIAS, in corso in questi giorni al Palazzo delle Stelline di Milano -, rimane drammatico. La formazione è uno dei temi su cui AIAS da anni concentra maggiormente i propri sforzi, partendo dal presupposto, sancito dalla legge, che la sicurezza sul lavoro comincia dall’addestramento dei propri dipendenti, che, attraverso corsi condotti da specialisti e tecnici competenti e qualificati, devono sapere che comportamenti adottare per prevenire gli infortuni. Per questo al tema della formazione è stato deciso di dedicate uno dei cinque workshop, che hanno animato la prima giornata di “Progetto Sicurezza”. I professionisti riuniti a Milano hanno concordato sul fatto che i cantieri stradali sono tra le aree più a rischio, perché gli automobilisti, nonostante i cartelli “Men at work”, continuano a sfrecciare a velocità folli sulle corsie, spesso ridotte in numero e ristrette in larghezza a causa dei lavori in corso. Solo sulle autostrade vengono attivati ogni anno 40 mila cantieri, che impiegano mediamente oltre 30 persone al giorno. Si tratta nella maggioranza dei casi di lavori di manutenzione ordinaria, come il rifacimento del manto stradale, interventi di ripristino della segnaletica orizzontale e la conservazione delle zone verdi, ma anche dalle grandi opere come la realizzazione di corsie aggiuntive. Su questo argomento INAIL ha recentemente avviato un progetto con Assosegnaletica, l’associazione che riunisce i produttori di segnaletica stradale in Italia.

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Congresso nazionale di oncologia medica

Posted by fidest press agency su martedì, 13 ottobre 2009

Milano.  Il tumore non è più un male incurabile: ne è convinto il 60% degli italiani. Una “rivoluzione culturale” rispetto alla percezione comune fino a pochi anni fa, legata alla miglior informazione sulla malattia e ai progressi delle terapie. Conquiste che appaiono evidenti, soprattutto quando si parla di un big  killer, il cancro del colon retto, che tanto ha beneficiato dei nuovi farmaci biologici mirati e dei programmi di  diagnosi precoce. Ma se uno su 2 dice che oggi di questa neoplasia si può guarire, il 42% sa che esistono terapie  efficaci e personalizzate e il 73% crede siano anche meno “aggressive” per l’organismo, fa riflettere che solo il  38% affermi che si può prevenire e che ben uno su 4 non sia disposto a cambiare il proprio stile di vita per  diminuire il livello di rischio. Per non parlare dello screening che è conosciuto solo dal 50% dei cittadini. La  fotografia emerge dalla prima indagine condotta dall’Associazione Italiana di Oncologia medica (AIOM) sulla  conoscenza, la prevenzione e le terapie sul tumore del colon retto. Un sondaggio che ha coinvolto nel settembre 2009  800 italiani, intervistati a Roma e Milano fuori da centri commerciali, presentato oggi nel capoluogo lombardo nella giornata di apertura del Congresso Nazionale AIOM. Più donne che uomini (62 contro  38%), la stragrande maggioranza (81%) ha conosciuto il cancro da vicino, perché ne è stato colpito un amico o  familiare. “Insomma, il tumore quando viene fa meno paura ma gli italiani si impegnano ancora troppo poco per  tenerlo lontano”, afferma il prof. Francesco Boccardo, presidente nazionale AIOM. “E non vi è consapevolezza sui  fattori di rischio – aggiunge il prof. Carmelo Iacono, presidente eletto AIOM -: sono sottostimate in particolare  l’importanza di praticare attività fisica (segnalata solo dal 15%) e di una corretta alimentazione (uno su due la sottovaluta). Al  contrario voci come l’inquinamento vengono ritenute rilevanti nel provocare il tumore da un 59%”. Il dato sulla  diagnosi precoce e l’adesione agli screening conferma come ancora nel nostro Paese serva molta educazione: su questo  si orienterà l’impegno della Società scientifica. “Siamo riusciti a trasmettere con successo un messaggio di fiducia  nelle terapie – continua il prof. Marco Venturini, segretario nazionale Aiom -: una scommessa vinta, anche perché  sono trascorsi solo 5 anni dall’approvazione di bevacizumab, il primo trattamento anti-angiogenesi approvato dalla  FDA per l’uso nel cancro del colon-retto avanzato o metastatico, che ha aperto la strada ad altri farmaci biologici. Ora dobbiamo impegnarci di più come società scientifica per educare alla  prevenzione”. Il cancro del colon-retto è stato individuato dagli esperti perchè paradigmatico: è la seconda causa di morte da tumore in Europa ed è il terzo più diffuso al mondo. Ogni giorno in  Italia 120 persone ricevono una diagnosi per questa neoplasia e 40 ne muoiono: si tratta del secondo “big killer”  che causa circa 16.000 decessi l’anno. “Ma si può prevenire con un corretto stile di vita, esiste uno screening ed è quello in cui i farmaci biologici hanno trovato il più largo  impiego clinico – spiega il prof. Boccardo -. Questi elementi hanno modificanto profondamente la storia della  malattia, tanto che oggi la sopravvivenza è pari al 54%”. “Abbiamo scelto questa neoplasia come emblema della portata dei cambiamenti avvenuti nella nostra disciplina – prosegue il  prof. Iacono – per lanciare un messaggio di speranza in occasione del nostro più importante appuntamento scientifico  annuale.

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Il killer che si chiama “fumo”

Posted by fidest press agency su mercoledì, 19 agosto 2009

Ogni anno, nell’Unione europea 500.000 persone muoiono prematuramente in seguito a malattie causate dal fumo e dai dati dell’Unione europea e dell’OMS emerge che la percentuale di fumatori in giovane età è in aumento. Nell’ultimo sondaggio condotto in tutta l’UE, il 36,8% dei giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni ha dichiarato di fumare regolarmente sigarette: la percentuale è del 38,8% tra i maschi e del 34,9% tra le femmine (Eurobarometro 57.2 “Atteggiamenti e opinioni dei giovani nei confronti delle droghe nella UE”, ottobre 2002). Secondo l’OMS, un fumatore adolescente su due è destinato a morire per gli effetti negativi del fumo. Oltre agli spot televisivi, al cinema , alla radio, alla stampa e alla cartellonistica, la campagna di prevenzione del fumo raggiunge i giovani attraverso tutta una serie di manifestazioni e di eventi organizzati in ogni Paese UE. Attraverso il sito internet http://www.fee-free.info, in undici lingue, ci si può collegare alle quit lines, centri di aiuto per smettere di fumare, a ONG, autorità sanitarie nazionali e siti web dell’Unione europea. La campagna è stata affidata all’agenzia Media Consulta e ha un bilancio complessivo di 18 milioni di euro in tre anni. L’adesione di emittenti nazionali e di reti televisive europee come l’Union européenne de radiodiffusion (UER), Eurosport e MTV ha permesso di raddoppiare il valore della campagna, mentre nelle sale cinematografiche si sono ottenuti sconti del 20%, per un valore superiore a 1 milione di euro.

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