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Posts Tagged ‘massacro’

Nicaragua: brutale massacro di indigeni Mayangna e Miskito

Posted by fidest press agency su giovedì, 9 settembre 2021

L’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) condanna il brutale massacro di almeno 13 indigeni Mayangna e Miskito morti in un attacco di coloni non indigeni. Secondo i media locali e le ONG, il massacro ha avuto luogo il 23 agosto nella riserva della biosfera di Bosawas, a nord del paese vicino al confine con l’Honduras. L’atto è stato deliberatamente messo in scena per essere particolarmente crudele. I corpi mostravano segni di tortura. Diverse donne sono state prima violentate e poi uccise. La vittima più giovane era un bambino di sei anni. Questo non è il primo incidente di questo tipo in Nicaragua. Finché la polizia non perseguirà coerentemente gli atti di violenza contro i popoli indigeni, non sarà l’ultimo. Il diffuso disinteresse delle autorità non indigene per la violenza contro gli indigeni incoraggia ulteriori reati. Questo fenomeno non è solo evidente in Nicaragua, ma in molte parti del Sud America. Il massacro è avvenuto tra le 19 e le 21 a Kiwakumbaih, una collina che è un luogo sacro e una zona tradizionale di caccia e pesca. Ciò che è inequivocabile è il silenzio della polizia su questo massacro, che traumatizza ulteriormente le famiglie in lutto. Il messaggio che in passa in questo modo è che la loro sofferenza non ha importanza. Perché non si tratta solo dell’invasione di riserve naturali e territori indigeni, ma di presunte esecuzioni pianificate. I responsabili politici devono finalmente attribuire pene adeguate a questi reati e far rispettare la legge in modo inequivocabile. Dopo tutto, le probabili ragioni dell’intrusione e della violenza sono le stesse che affliggono le comunità indigene in altre parti del continente: vale a dire la ricerca dell’oro, il disboscamento e l’accaparramento delle terre per lo sfruttamento agricolo.

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Israele: Il massacro di Ma’alot

Posted by fidest press agency su venerdì, 15 Maggio 2020

Avvenne il 15 maggio 1974 per mano del terrorismo palestinese. Un giorno scelto non a caso, visto che coincideva con il 26esimo anniversario della nascita dello Stato d’Israele. Ma’alot è una piccola città nella parte settentrionale di Israele, situata tra le colline della Galilea occidentale, molto vicino al confine con il Libano.Proprio dal confine con il Libano in quel giorno, che ricordava anche la Nakba palestinese, entrarono in territorio israeliano tre terroristi appartenenti al FDLP (Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina), con indosso divise dell’IDF (Forze di difesa israeliane).Armati con fucili AK-47 d’assalto, granate ed esplosivi, uccisero subito due donne arabo-israeliane e ne ferirono una terza. Bussarono a tutte le porte di un condominio fino a quando Fortuna, incinta di sette mesi, e Yosef Cohen aprirono la porta, trovando la morte assieme ai figli Eliahu e Miriam, rispettivamente di 4 e 5 anni. L’unico sopravvissuto della famiglia fu Yitzhack, terzo figlio di 16 mesi, sordomuto.I sei omicidi commessi non placarono la sete di morte dei tre terroristi palestinesi, che si diressero verso la scuola elementare di Netiv Meir grazie all’indicazione di Yaakov Kadosh, un lavoratore dei servizi igienico-sanitari, che uccisero dopo aver ricevuto le informazioni.Giunti alla scuola, la spietatezza e la malvagità di uccidere gli ebrei non si fermò: i tre terroristi palestinesi assassinarono subito il guardiano e alcuni bambini. Gli altri 105 bimbi assieme ai 10 maestri furono presi in ostaggio. All’interno dell’edificio erano presenti anche degli studenti di una scuola superiore in gita. Per il loro rilascio i terroristi-sequestratori chiesero la liberazione di altri 23 terroristi palestinesi, detenuti nelle carceri israeliani, fissando ultimatum alle ore di 18 dello stesso giorno. Alle 10 Sylvan Zerach, in congedo dall’esercito, si avvicinò nei pressi della scuola, ma fu ucciso dai terroristi.Alle 15 la Knesset (il Parlamento israeliano), si riunì per discutere della richiesta e decise di negoziare con i palestinesi, che si rifiutarono di prolungare l’ultimatum.Alle 17.45, la Sayeret Matkal, un’unità della brigata d’élite Golani, cominciò l’operazione di salvataggio, assaltando la scuola. Riuscì a uccidere i tre terroristi palestinesi, che però fecero in tempo a utilizzare le armi contro gli ostaggi, non avendo pietà nello sparare ai bambini inermi. Nella massacro morirono 25 persone, di cui 22 bambini, e vennero ferite 68 persone.

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Il massacro delle Fosse Ardeatine

Posted by fidest press agency su sabato, 28 marzo 2020

Roma, Via Rasella, 23 marzo 1944: nelle prime ore del pomeriggio, un gruppo di appartenenti ai GAP (Gruppi di Azione Patriottica) attaccò in Via Rasella un reparto di soldati sudtirolesi del reggimento Bozen alle dipendenze delle SS. L’esplosione di una carica di tritolo al passaggio della formazione militare, seguita dal lancio di bombe e da una sparatoria, provocò la morte di 33 dei 156 militari. L’attentato, come verrà reso noto in seguito, fu un avvertimento della Resistenza italiana contro gli invasori tedeschi.
Come risposta all’azione, Hitler ordinò una terribile rappresaglia che venne così stabilita: per ogni tedesco ucciso, sarebbero stati fucilati dieci italiani. Durante la notte Herbert Kappler, comandante delle SS a Roma, assieme al capitano Erich Priebke, stilarono la lista dei condannati a morte, che il mattino successivo venne integrata con altri nominativi dal questore di Roma Pietro Caruso. In tutto vennero prelevati detenuti politici e comuni dalle carceri di Regina Coeli e di Via Tasso e altri uomini dalla strada: 335 uomini, 5 in più rispetto al numero stabilito. I cinque malcapitati in più nell’elenco furono trucidati con gli altri perché, se fossero tornati liberi, avrebbero potuto raccontare quello che era successo.Trasportate in una cava in disuso sulla via Ardeatina, nel pomeriggio del 24 marzo le vittime vennero fatte inginocchiare con le mani legate dietro la schiena e trucidate, una dopo l’altra con un colpo di pistola alla nuca. I tedeschi, dopo aver compiuto il massacro, infierendo sulle vittime, fecero esplodere numerose mine per far crollare le cave ove si svolse il massacro e nascondere, o meglio rendere più difficoltosa, la scoperta di tale massacro. Sarà proprio Kappler che, quattro anni più tardi, racconterà, nel corso del processo a suo carico, la dinamica dell’eccidio.Un trafiletto su Il Messaggero del giorno dopo notificò al mondo che il massacro si è compiuto.

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Massacro contro i Mayangna in Nicaragua

Posted by fidest press agency su lunedì, 3 febbraio 2020

In seguito al massacro di indigeni Mayangna avvenuto lo scorso 28 gennaio nella biosfera di Bosawás in Nicaragua, l’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) chiede maggiore tutela per la popolazione indigena del Nicaragua e la fine dell’impunità per i crimini commessi contro gli indigeni del paese. Il 28 gennaio un gruppo di circa 80 persone armate ha assalito un villaggio di indigeni Mayangna nella biosfera di Bosawás. Dopo aver bruciato alcune case, gli assalitori hanno sparato agli abitanti del villaggio uccidendo almeno sei persone. Altre dieci persone risultano scomparse dopo l’aggressione. La riserva di Bosawás è un’area protetta grande circa 2,2 milioni di ettari, situata vicino alla frontiera con l’Honduras e riconosciuta nel 1997 come biosfera e patrimonio biologico globale dall’UNESCO. Di fatto è la più grande foresta vergine a nord dell’Amazzonia. Da anni le popolazioni indigene che abitano l’area lamentano l’aumento drammatico del disboscamento illegale e delle aggressioni da parte dei taglialegna illegali. Le immagini satellitari documentano infatti l’incremento delle aree disboscate e sfruttate per l’agricoltura all’interno della riserva e che oggi coprono il 31% del territorio. Nel 2000 l’area disboscata illegalmente copriva il 15% della riserva. In 20 anni il Nicaragua ha perso il 19% delle sue foreste. I disboscamenti illegali stanno mettendo a rischio l’intero ecosistema dell’area e distruggono la base vitale delle popolazioni indigene che nei boschi e dei boschi vivono. Le aggressioni armate contro le popolazioni indigene per appropriarsi illegalmente della terra purtroppo non sono un’eccezione e solitamente restano impunite. L’APM chiede al governo del Nicaragua di porre finalmente fine a questa guerra non dichiarata contro le popolazioni indigene e contro l’ambiente. In Nicaragua vivono circa 30.000 nativi Mayangna. L’assassinio di indigeni è diffuso e nei pochi casi in cui gli aggressori vengono arrestati, questi solitamente vengono assolti in giudizio per mancanza di prove. Secondo l’APM, il problema reale è che al Nicaragua manca la volontà politica per perseguire i crimini commessi contro la sua popolazione nativa. La scorsa settimana tre cittadini nicaraguensi sono stati arrestati in Costa Rica con l’accusa di aver assassinato un’intera famiglia nella riserva indigena Maio nell’ottobre 2019. L’APM seguirà attentamente la vicenda giudiziaria.

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Il massacro degli innocenti

Posted by fidest press agency su lunedì, 12 marzo 2018

Le televisioni, le radio, i giornali, srotolano filippiche nazional popolari sulla drammaticità degli eventi che vedono come protagonisti destinati al macero, donne, vecchi e bambini. Accadimenti che ci vengono raccontati come fossero eventi critici partoriti da una società che non può farne a meno, perché sangue integrante della propria tradizione. Eppure anche in questo caso, anche in questo frangente in cui l’animo umano sprofonda nella più indegna delle reazioni, viene da pensare che non è vero che siamo uguali, che siamo alla pari, che uomo e donna sono talmente complementari da fondersi. Assolutamente no. Infatti quando si verificano tragedie così devastanti, è sempre l’uomo a improvvisarsi eliminatore, è sempre la follia maschile a schiantarsi su donne e bambini, è sempre l’animo umano al maschile a fare vittime innocenti della violenza più bieca e definitiva. La donna nell’impazzimento della propria gelosia non sopprime la propria creatura, e se ciò accade sono rare e disgraziate volte. L’uomo nella sua contorta e potente gelosia, che null’altro è che l’ossessione della possessività, disgrega e annienta tutto ciò che ha il valore più grande, la propria famiglia. La donna non giunge mai a uccidere il proprio uomo, la propria figlia, nell’esplosione rabbiosa del proprio fallimento o della propria fiducia tradita, potrebbe arrivare al punto di non ritorno di “tagliartelo” mentre dormi, quello si, ma compiere una strage come fosse la risultanza di un’abitudine, assolutamente no. Se la differenza tra i due sessi è così palesemente contorta e disperante, forse c’è necessità di fare chiarezza e mettere da parte le solite parole d’ordine, con cui licenziare l’evento con qualche lacrima o silenzio di circostanza. Forse è più urgente ridefinire il valore e il significato delle parole, la sostanza che sta alla base della realtà che viviamo, che stiamo vivendo, che stiamo radicalizzando nei confronti della donna. Alla radice di ogni parola spesa male, o peggio, non spesa per niente, per proteggere uno status quo a dir poco criminale. Si tratta per molti versi di in-cultura, per altri ancora di sottocultura, la resistenza di un asse di coordinamento sociale fraudolento che invece sarebbe ora spostare verso posizioni meno ingiuste e violente nei riguardi della donna, di tutte le donne. Quando c’è di mezzo il tentativo neppure tanto celato di rendere inconsistente ciò che è giusto dallo sbagliato, il bene dal male, a seconda del gioco infame delle parti che s’accaparrano attenuanti e giustificazioni, la cultura che sta a radice di ogni possibile verità, è sottaciuta, peggio, relegata nei salotti buoni, dove parlare equivale a fare terreno fertile alle scontate prossime tragedie, soprattutto a fare passare come inevitabili le violenze sui bambini e sulle donne. (Vincenzo Andraous)

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Assalto a pullman di copti in Egitto: 23 morti, 25 feriti. Fermiamo il massacro dei cristiani

Posted by fidest press agency su sabato, 27 Maggio 2017

cairoLa Comunità di Sant’Egidio si stringe attorno alla Chiesa Copta di Egitto, colpita da un nuovo, disumano, attacco, che ha provocato decine vittime, tra cui molti bambini. E’ davvero l’espressione di una violenza cieca che ha come unico suo obiettivo seminare terrore e morte. Si trattava di pellegrini che pacificamente si dirigevano verso il santuario di Menyah, a sud della Capitale, semplici famiglie di fedeli. Come nella domenica delle Palme ad Alessandria e Tanta, come nel dicembre scorso al Cairo, sono state uccise persone innocenti e inermi, solo perché cristiane. In questo momento di dolore manifestiamo tutta la nostra vicinanza al patriarca Tawadros II e a tutta la sua Chiesa, radicata in quella terra dagli inizi del cristianesimo e parte integrante, a pieno titolo, della nazione egiziana. Occorre, in questo difficilissimo passaggio storico, non lasciare soli i copti egiziani, far sentire la solidarietà di tutte le Chiese e dei credenti di tutte le religioni e percorrere ogni strada possibile per uscire al più presto da questa terribile spirale di violenza.

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Procedura contro la Danimarca per massacro dei globicefali

Posted by fidest press agency su lunedì, 15 Maggio 2017

DenmarkCol sostegno formale di 27 Membri del Parlamento Europeo, Sea Shepherd Paesi Bassi ha ufficialmente presentato istanza alla Commissione Europea affinché sia aperta una procedura per violazione contro la Danimarca, per aver agevolato il massacro di globicefali e altri cetacei nelle Isole Faroe.Ogni anno, da giugno fino alla fine di novembre, centinaia di globicefali vengono fatti spiaggiare a forza sulle spiagge delle Isole Faroe, mediante l’uso di barche a motore. Gli animali sono poi massacrati nel contesto di quella che viene definita grindadráp, o Grind. Sebbene esista una direttiva dell’UE che proibisce agli Stati membri di perturbare, catturare o uccidere, sotto qualunque forma, i cetacei, le Isole Faroe, autonome, costituiscono un territorio dipendente della Danimarca ma non sono uno Stato membro della UE e pertanto le leggi di quest’ultima non hanno influenza su tali isole. In ogni caso, l’istanza di violazione presentata da Sea Shepherd fornisce prove che dimostrano come agenti e ufficiali danesi, facenti parte della Polizia, della Marina Militare e delle Autorità Doganali, abbiano agevolato la Grind e vi abbiano persino preso parte attivamente, causando la morte di cetacei in violazione alla Direttiva del Consiglio relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche.”Uccidere balene e delfini è proibito in Europa”, afferma il Coordinatore di Sea Shepherd Paesi Bassi Geert Vons “Fornendo sostegno alle Isole Faroe per quanto riguarda l’uccisione dei globicefali e di altri cetacei, la Danimarca agevola questo massacro e manca di adempiere ai propri obblighi quale membro dell’Unione Europea. Il governo della Danimarca ha dimostrato di essere pronto a fare tutto ciò che è in suo potere per far sì che il massacro continui”. (foto: denmark)

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24 Marzo 1944: il massacro delle Fosse Ardeatine

Posted by fidest press agency su sabato, 25 marzo 2017

Fosse ArdeatineSia pure con qualche giorno di ritardo, e ci rammarichiamo per questo, pubblichiamo il comunicato che ci è pervenuto da Emanuel Baroz per ricordarci un evento drammatico che ha vista coinvolta la Capitale durante la seconda guerra mondiale. “24 marzo 1944: il massacro delle Fosse Ardeatine di Carlo Cipiciani. Ci sono storie che sembrano inventate. Come questa. Il 24 marzo 1944, il giorno dopo l’attacco contro l’11a compagnia del III battaglione dell’SS Polizei Regiment Bozen in via Rasella a Roma, dove restano uccisi 31 militari tedeschi e 2 civili (altri 10 soldati moriranno nei giorni successivi), per ordine di Adolf Hitler viene decisa una rappresaglia di 10 italiani per ogni tedesco ucciso.
Ci sono storie che sembrano incubi. Come questa storia di belve con sembianza umana, che parlano tedesco e dicono: “Punizioni esemplari”. La Convenzione di Ginevra del 1929 fa esplicito divieto per gli atti di rappresaglia nei confronti dei prigionieri di guerra. Ma al comando tedesco non importa. Ci si aggrappa ai codici di diritto bellico nazionali che consentirebbero la rappresaglia. Ma si violano anche quelli: non si aspettano le 24 ore di rito perché i responsabili si consegnino, non si indaga su eventuali responsabilità, non si risparmiano civili innocenti, non si fanno avvisi alla popolazione. Ci vuole una punizione esemplare, una rappresaglia.
Ci sono incubi che sono storia. Una punizione esemplare, una parola che mette i brividi, una regressione per la bestia umana che anima il nazismo già agonizzante. Hitler vorrebbe far saltare in aria un intero quartiere di Roma con tutti quelli che lo abitano, e per ogni poliziotto tedesco ucciso vorrebbe far fucilare da 30 a 40 italiani. Himmler dà ordine di cominciare ad organizzare la deportazione di tutta la popolazione maschile dei quartieri più pericolosi, famiglie comprese rastrellando le persone dai 18 ai 45 anni e solo per motivi logistici. Alla fine la decisione: 10 italiani per ogni soldato. Se sono partigiani prigionieri bene, sennò pazienza. Ebrei, comunisti, detenuti comuni, gente rastrellata per caso, testimoni scomodi. L’importante è che la belva umana sia sazia.
fosse ardeatine1Ci sono incubi che durano da 66 anni. Herbert Kappler, ufficiale delle SS e comandante della polizia tedesca a Roma, già responsabile del rastrellamento del Ghetto di Roma e delle torture contro i partigiani nel carcere di via Tasso, comanda le operazioni, coadiuvato dal capitano Priebke. Un plotone di soldati tedeschi blocca l’accesso alla cava di arenaria, 4 camion portano 335 persone all’incrocio di via Fosse Ardeatine e via delle sette chiese. Arrivano 5 auto piene di SS armati di tutto punto. Scendono lentamente, molti di loro sono stati torturati. Le SS li spingono dentro la cava, cominciano le esecuzioni. I soldati lanciano bombe a mano nella cava, e si infierisce senza pietà anche sui corpi senza vita. Poi due serie di mine servono a nascondere o almeno a rendere più difficoltosa la scoperta di quest’eccidio. Anche le belva provano vergogna.
Ci sono storie che fanno orrore. Finita l’esecuzione, i tedeschi affiggono pure nelle vie di Roma un manifesto in cui il comando tedesco promette che se vengono consegnati gli attentatori non ci sarà nessuna rappresaglia (anche se su questa parte della storia abbiamo ricevuto alcuni messaggi da parte dei nostri lettori che ci dicono non sia vera). Per coprire le loro colpe. Ma anche la terra ha orrore, si ribella: i corpi senza vita emanano un odore così forte che i tedeschi sono costretti a tornare, il 25 marzo, per far saltare ancora la cava. E la voce si sparge sulle strade di Roma. In molti sanno cosa c’è lì sotto, alle Fosse Ardeatine. In molti fingeranno di non saperlo.
Ci sono storie che sembrano un sogno, un incubo, un orrore che non riesce a spegnersi dopo 66 anni. Ma è storia, sono accadute, proprio qui davanti ai noi. Ci sono 335 persone innocenti massacrate per vendetta, in mezzo all’assurda guerra dove milioni di uomini finirono in un camino solo perché ebrei. Storie di cui si è persa la memoria, che si preferisce non raccontare, perché ormai è passato. Storie di un passato che bisogna lasciarsi alle spalle.
E’ vero che tanto tempo è passato. E’ vero che altri incubi disumani compiuti da tanti compongono quest’assurda storia dell’uomo che si fa belva, parlando tedesco, italiano, russo, turco, inglese, serbo, arabo, israeliano e chissà quale altra lingua di questo mondo. Sarà. Ma anche per questo io resto qui, davanti a questa strada, e mi sembra di vederli tutti lì, i martiri delle Fosse Ardeatine. Antonio, Umberto, Aldo, Ilario, Cesare, Ugo, Giacomo, Enrico, Carlo e tanti altri. Muti davanti a noi. Il vento continua a soffiare su questa storia. Giornalettismo .Nella foto: la targa posta alle Fosse Ardeatine in ricordo dei martiri.

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Etiopia: indagine indipendente per il massacro degli Oromo

Posted by fidest press agency su domenica, 4 dicembre 2016

etiopiaA due mesi dalla terribile strage compiuta durante la festa di Irreechaa lo scorso 2 ottobre, l’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) accusa il governo etiope di voler nascondere il vero numero delle vittime nonché lo svolgersi delle circostanze che hanno portato alla loro morte e chiede che venga finalmente autorizzata l’indagine indipendente chiesta anche dalle Nazioni Unite.Dopo aver analizzato le dichiarazioni dei numerosi testimoni, l’APM non solo nutre grossi dubbi sulla veridicità del rapporto ufficiale rispetto allo svolgimento dei fatti ma è anche convinta che il numero dei morti durante il raduno religioso sia notevolmente maggiore dei 56 morti dichiarati ufficialmente dalle autorità etiope. Secondo le stime avanzate dalle organizzazioni per i diritti umani locali e da rappresentanti del popolo degli Oromo, durante la festa di Irreechaa sono morte almeno 678 persone quando le forze di sicurezza hanno iniziato ad attaccare i due milioni di pellegrini presenti. Centinaia di famiglie sono ancora in attesa di avere notizie dei loro cari scomparsi durante il raduno religioso e vi sono parecchie testimonianze considerate affidabili che raccontano di oltre 100 cadaveri trovati lungo le rive del lago Hora a Bishoftu poco dopo la strage. E’ proprio verso il lago che la gente scappava in fuga dalla polizia quando in seguito all’intervento delle forze dell’ordine è scoppiato il panico tra la massa e molti sono evidentemente morti annegati nel lago.Finora le autorità si sono rifiutate di rispondere alle molte domande dei familiari delle vittime. La strage di Bishoftu rappresenta un pericoloso spartiacque nella politica del paese africano che ha ulteriormente scatenato l’ira degli Oromo, già pesantemente vittime della politica economica del paese sostenuta peraltro dalla cosiddetta cooperazione allo sviluppo europea, e che ora accusano il governo di essere il principale responsabile della morte di tante persone innocenti.Secondo le dichiarazioni dei testimoni oculari, la festa religiosa si è svolta per molto tempo in modo del tutto pacifico fin quando dei rappresentanti governativi sono saliti sul palco al posto dei responsabili Gadaa che per tradizione si occupano dell’organizzazione dell’evento. Di fronte ai cori dei presenti intonati per impedire ai rappresentanti governativi di tenere un comizio durante la festa religiosa, la polizia ha innescato una reazione di panico di massa lanciando gas lacrimogeni e sparando sulla folla.Per l’APM è del tutto fuorviante parlare di uno “spiacevole e tragico incidente” ma è evidente che la strage sia da imputare alla reazione spropositata e fuori luogo delle forze di sicurezza. Nella già difficile situazione etiope, questa strage insieme al rifiuto di un’indagine indipendente rischiano di inasprire ulteriormente le violenze nel paese. L’APM chiede quindi che il governo etiope acconsenta all’indagine indipendente chiesta anche dalle Nazioni Unite.

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Fermate Erdogan! Fermate il massacro!

Posted by fidest press agency su venerdì, 26 febbraio 2016

mercatino bolzanoBolzano Sabato 27 febbraio, ore 15, Piazza Municipio. Associazione per i popoli minacciati e Associazione Diaco con la comunità kurda locale organizzano una manifestazione di protesta per l’interventismo della Turchia nel già intricato conflitto siriano.
Dopo i bombardamenti turchi dell’enclave kurdo-siriana di Afrin, la zona più occidentale del Rojava, l’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) accusa il governo turco del presidente Erdogan di gravissime violazioni dei diritti umani. Non vi è stata alcuna provocazione da parte dell’amministrazione di Afrin ma ciononostante da ieri notte (18 febbraio) l’esercito turco bombarda diverse località e villaggi nel distretto di Afrin. In particolare sono stati bombardati i villaggi di Shaykh al Hadid (Shiye), Derbalout, Hammam, Freriye, Sanare e Qarmitlike. Le granate cadono anche nel centro di Afrin, regione che si è dichiarata autonoma, e si contano già i primi morti e feriti tra la popolazione civile rimasta sul posto.Il governo turco giustifica il proprio attacco sostenendo che milizie kurdo-siriane avrebbero attaccato postazioni militari turche, ma le milizie kurde, impegnate a difendere il territorio dai miliziani dell’IS e dalle truppe del regime siriano di Bashar al-Assad, negano con forza e parlano di un “vile attentato terroristico”.La popolazione civile di Afrin subisce dal 2012 gli attacchi militari e i blocchi delle strade che collegano l’enclave kurda di Afrin con la capitale provinciale di Aleppo da parte di diverse organizzazioni radical-islamiche come il Fronte Al Nusra, Ahrar Al Sham, Jaish Al Islam, Jaish Al Mujahidin e non ultimo il cosiddetto Stato Islamico IS. Il governo turco da parte sua ha sempre lasciato via libera alle milizie radical-islamiche mentre interviene ora contro la popolazione civile kurda. Nelle regioni di Afrin molti civili resistono nonostante il conflitto e vorrebbero restare ma gli ultimi attacchi rischiano di costringere chi è rimasto a fuggire e a cercare asilo e protezione altrove.E’ evidente che il governo turco mira a impedire la costituzione di una regione autonoma kurda in Siria, proprio lungo la frontiera con la Turchia, se necessario molto probabilmente anche invadendo la regione. La maggioranza dei Kurdi e delle altre minoranze presenti sul territorio come gli Assiro/Aramei, i Cristiani, gli Yezidi, gli Alawiti, i Drusi, gli Ismailiti o gli Sciiti si oppongono decisamente all’intervento turco in Siria. Il governo turco dal canto suo sostiene principalmente i gruppi radical-islamici e non l’opposizione laica che dopo la dittatura di Assad chiede una Siria democratica.

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Nigeria: polizia fa undici morti in manifestazioni nel Biafra

Posted by fidest press agency su giovedì, 21 gennaio 2016

FCO 312 - Nigeria Travel Advice Ed2 [WEB]Lo scorso 17 gennaio nella regione nigeriana del Biafra, nel sudest del paese, undici persone sono morte durante diverse manifestazioni a causa della violenza delle forze dell’ordine. L’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) critica aspramente le forze dell’ordine che nonostante le molte testimonianze oculari e i rapporti chiari dei medici continuano a negare l’accaduto. L’APM inoltre chiede l’istituzione di una commissione indipendente che indaghi sulle violenze e obblighi i responsabili a rispondere davanti a un tribunale. Nonostante il divieto antidemocratico di svolgere manifestazioni, nel Biafra si stanno moltiplicando le proteste per l’arresto arbitrario del direttore di Radio Biafra Nnamdi Kanu. Dal 2 dicembre 2015 ad oggi almeno 26 persone sono morte per la sanguinosa repressione di proteste e la situazione rischia di esplodere.Durante le manifestazioni del 17 gennaio che nella città di Aba (stato federale di Abia) chiedevano la liberazione di Kanu, otto persone appartenenti all’organizzazione “Indigenous People of Biafra” (IPOB) sono morte per l’intervento della polizia. La repressione delle manifestazioni tenute nelle città di Asabaim e di Enugu nello stato federale del Delta ha causato 30 feriti e 26 arresti. Durante un’altra manifestazione, tenuta sempre ad Aba il 18 gennaio, le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco sui manifestanti uccidendo altre tre persone. Ancora una volta la polizia ha smentito l’accaduto e ha sostenuto di aver sparato solo gas lacrimogeni. Secondo l’APM, gli interventi violenti delle forze di sicurezza non fanno altro che aggravare una situazione già difficile. Invece di tentare di abbassare la tensione, le autorità puntano sullo scontro e le manifestazioni di potere. In tal modo nella popolazione cresce la rabbia per l’arbitrarietà e l’impunità delle autorità e le proteste si fanno sempre più accese. Contemporaneamente Nnamdi Kanu continua a essere trattenuto in carcere nonostante un tribunale abbia ordinato la sua scarcerazione. Kanu avrebbe dovuto presentarsi davanti al Tribunale federale di Abuja lo scorso 17 gennaio ma poiché il giudice non si è presentato, l’avvio del processo è stato spostato al 21 gennaio.

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Turchia: Un massacro deliberato e pianificato

Posted by fidest press agency su giovedì, 21 gennaio 2016

turchia-ist3Barbara Spinelli (Gue/Ngl) ha preso la parola nel corso della Sessione plenaria del Parlamento europeo sul punto in agenda relativo alla situazione nella Turchia sudorientale. Era presente in aula il commissario per l’allargamento e la politica di vicinato Johannes Hahn, in rappresentanza del vicepresidente Federica Mogherini.«Ho co-firmato l’appello dei 1.820 accademici turchi», ha detto Barbara Spinelli, «e confermo che una solidarietà mondiale s’è creata con il popolo curdo, colpito da un massacro deliberato e pianificato. In decine di città della Turchia sud-orientale il coprifuoco è permanente da mesi. Mancano cibo, medicine, ambulanze. Sono assalite anche città senza alcuna barricata. A centinaia di uccisi si nega la sepoltura. I firmatari dell’appello sono considerati complici del terrorismo e subiscono vessazioni. Sono violate la Costituzione turca e le leggi internazionali».«La lotta al terrorismo è puro pretesto. Lo scopo è spezzare un popolo che aspira solo a essere riconosciuto come parte del proprio paese. Migliaia di turchi sperano in una mediazione dell’Alto Rappresentante e dell’Onu: per ottenere che si riapra il negoziato tra governo e ribelli curdi che Erdogan ha interrotto. Perché cessi l’eccidio subito. Rispondendo proprio oggi a una mia interrogazione scritta, la Signora Mogherini dice che Erdogan è nostro alleato sui migranti e contro l’Isis. L’argomentazione non tiene neanche un minuto».

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Libia e massacro civili

Posted by fidest press agency su giovedì, 24 marzo 2011

“Se non avessimo preso questa iniziativa militare ci saremmo trovati a piangere come abbiamo fatto in passato per altri massacri. Bene ha fatto l’Italia a concedere le sue basi ma auspichiamo un comando Nato». Lo ha detto nell’Aula della Camera Gianni Vernetti dell’Alleanza per l’Italia intervenendo sulle risoluzioni presentate sulla situazione in Libia. «Il Mediterraneo – ha detto – è cambiato in queste settimane e l’Europa non può tenerne conto. La vera sfida oggi è promuovere lo sviluppo e consolidare istituzioni democratiche per chi ha voluto mandare a casa i dittatori. Per questo siamo per riconoscere e sostenere il Consiglio nazionale di transizione di Bengasi”. “È una straordinaria opportunità per l’Italia e per l’Europa – ha continuato l’on. Vernetti – un Mediterraneo democratico e stabile. Risponde a un chiaro interesse nazionale di Italia ed Ue. Per questo votiamo sì al rispetto di quanto previsto dalla risoluzione 1973 dell’Onu”. “E quindi – ha concluso Vernetti – proponiamo come Terzo polo una mozione che autorizzi il Governo a fare tutto quanto il necessario per rispettare la risoluzione 1973 delle Nazioni Unite che chiede la “No-fly zone”, la protezione dei civili, il differimento di Gheddafi alla Corte penale internazionale”.

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Gheddafi: interrompa le violenze

Posted by fidest press agency su lunedì, 21 febbraio 2011

“Cresce di ora in ora il numero di vittime civili in molte città libiche della Cirenaica e la rivolta popolare viene repressa con una violenza ed una durezza inaudita”Ha dichiarato l’on.Gianni Vernetti, deputato di Alleanza per l’Italia e già Sottosegretario agli Affari Esteri. “L’esercito e le forze di sicurezza – ha proseguito l’on.Vernetti- hanno fatto uso di RPG contro la folla e prosegue senza sosta il massacro di civili innocenti a Benghasi, Baida, Tobruz, Shahat e la rivolta sta coinvolgendo anche l’area intorno a Tripoli” “In queste ore l’amministrazione di USA, Gran Bretagna e Francia hanno chiesto con forza al colonnello Gheddafi di interrompere le violenze ed aprire un dialogo con la società civile che ha animato le proteste in tutto il paese” “L’Italia in quanto primo partner economico e commerciale della Libia in occidente – ha proseguito l’on.Vernetti- ed alla luce delle buone relazioni bilaterali rafforzate dall’approvazione del Trattato di Amicizia Italia-Libia, potrebbe avere una grandissima  influenza nei confronti della leadership libica, per indurre il dittatore Ghedafi sulla strada del dialogo” “Purtroppo il Governo italiano ha optato fin qui per la scelta della più totale “non ingerenza” negli affari interni del regime di Gheddafi, decidendo con il silenzio più assoluto di non volere essere protagonista della gestione di una crisi così importante per l’Italia.“L’Italia non può tacere se uno dei suoi più importanti partner economici, massacra civili inermi, quando questi chiedono democrazia e rispetto dei diritti umani” “Chiedo quindi – ha concluso l’on.Vernetti- che il Governo riferisca immediatamente alle Camere sulle azioni che intende intraprendere nei confronti del Governo libico e chiedo anche che la Commissione Affari Esteri esamini in una seduta straordinaria l’impatto che la nuova situazione creatasi in Libia potrà avere nell’insieme delle relazioni bilaterali, a cominciare dal Trattato di Amicizia Italia-Libia.”

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A un anno dal massacro di Cristiani

Posted by fidest press agency su venerdì, 30 luglio 2010

Gojra Pakistan (30.7.2009). La minoranza religiosa è senza protezione e senza diritti – La legge contro la blasfemia alimenta la violenza Per evitare ulteriori aggressioni arbitrarie a persone appartenenti a minoranze religiose in Pakistan, l’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) chiede l’immediato annullamento delle disposizioni sulla blasfemia nel codice penale pakistano. In occasione del primo anniversario del massacro di Cristiani a Gojra (provincia del Punjab), l’APM chiede che i responsabili delle violenza siano finalmente processati. Inoltre l’APM chiede maggiore tutela per le minoranze cristiana e musulmana degli Ahmadiyya. Durante le violenze scoppiate il 30 luglio 2009 e continuate per diversi giorni, gruppi di musulmani radicali avevano bruciato diverse chiese e oltre 100 case di credenti cristiani. Nove persone appartenenti alla comunità cristiana sono state uccise. Nonostante le autorità abbiano individuato i responsabili dei crimini, questi continuano a restare impuniti. I Cristiani costituiscono meno del 2% dei 160 milioni di abitanti del Pakistan. Secondo il padre John Shakir Nadeem, membro della Conferenza Episcopale Pakistana, Gojra non rappresenta un’eccezione: ci sono regioni in Pakistan in cui i credenti cristiani e/o Ahmadiyya vengono trattati come animali, tenuti in condizione di schiavitù, minacciati, sono vittime di violenza o di conversioni forzate. Secondo la Commissione per la Giustizia e la Pace della Conferenza Episcopale Pakistana, continua ad aumentare il numero delle persone costrette a convertirsi all’Islam. Nel 2008 sono stati infatti documentati 414 casi di conversione forzata. Il 22 luglio 2010 la Corte Suprema Pakistana ha ordinato la liberazione della signora Zaibunnisa, Cristiana 60enne, dopo che questa aveva trascorso 14 anni in carcere, accusata di blasfemia ma senza aver mai subito un reale processo.

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Genocidio di Srebrenica

Posted by fidest press agency su mercoledì, 21 luglio 2010

Nella commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera dei Deputati, è stata presentata una risoluzione, a firma congiunta degli onorevoli  Aldo Di Biagio e Franco Narducci, condivisa bipartisan da altri deputati, al fine di sollecitare l’impegno del Governo all’adozione  delle risoluzione del Consiglio Europeo,  P6-TA (2009) 0028, con cui si chiede ai governi europei e dei Balcani Occidentali di riconoscere ufficialmente il giorno 11 luglio  come la giornata della Memoria della Strage di Sbrebrenica”. “Sono felice, precisa Aldo Di Biagio, dell’immediata sottoscrizione trasversale e bipartisan della risoluzione, che ha  un alto valore simbolico e rappresenta il doveroso  tributo alle vittime di quell’orrendo genocidio che fu perpetrato in tre giorni e che ha visto il massacro di più di 8.500 musulmani; l’Italia, in quanto paese dell’Unione Europea e membro delle Nazioni Unite e della NATO,  ha il dovere morale e istituzionale di riconoscere le istanze delle vittime o delle famiglie di vittime di quella strage che ancora oggi vivono in Bosnia e chiedono giustizia e verità,  il dovere di mostrare rispetto e riconoscimento nei confronti delle migliaia di cittadini bosniaci che oggi vivono e lavorano nel nostro paese, l’occasione per ribadire ancora una volta il valore della dignità di tutti gli essere umani, indipendentemente da  razza, etnia o religione. L’adozione della Risoluzione europea per il nostro Paese significa completare il processo di riconciliazione con quei fatti  attraverso lo strumento  importante della memoria, in quanto la memoria rappresenta un monito teso a ricordare  a tutta l’umanità e alle generazioni future  che la dignità umana  non può essere più violata e in modo così profondo e insopportabile”.

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Nessun accordo per proteggere le balene

Posted by fidest press agency su domenica, 27 giugno 2010

Si è conclusa  ad Agadir in Marocco la 62esima riunione della Commissione baleniera internazionale (IWC). Purtroppo, ancora una volta non si è raggiunto alcun tipo di accordo per proteggere le balene: un’altra riunione fatta di sole chiacchiere, mentre il prossimo anno Giappone, Norvegia e Islanda continueranno a massacrarne impunemente migliaia di esemplari. “I governi riuniti ad Agadir dovrebbero vergognarsi – commenta Giorgia Monti, resposnsabile campagna Mare di Greenpeace Italia – di essersi ritirati a discutere a “porte chiuse” per nascondere le loro discussioni sterili che non hanno permesso di fare nessun passo avanti nella protezione delle balene. Ma non possono certo nascondere la vergogna della caccia baleniera e della loro incapacità per cercare di fermarla” E’ giunto il momento per tutti quei Governi che si schierano per la conservazione delle balene – come l’Italia –  di mettere immediatamente in atto azioni politiche decise per porre fine alla falsa “caccia per ragioni scientifiche” del Giappone nel Santuario dell’Oceano Antartico e la caccia della Norvegia e dell’Islanda, portata avanti in totale violazione della moratoria esistente. “Da oltre trent’anni – continua Monti – Greenpeace lotta in difesa delle balene. I nostri due attivisti – Junichi e Toru – rischiano più di un anno di carcere per aver denunciato la corruzione e il contrabbando di carne del programma giapponese di caccia alle balene. Cosa sono disposti a fare i paesi che dicono di voler proteggere le balene? Noi continueremo a lavorare per fermare questo vergognoso massacro!”

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In piazza contro la manovra-massacro

Posted by fidest press agency su venerdì, 4 giugno 2010

Roma 5 giugno 2010 Corteo nazionale partenza da Piazza della Repubblica ore 15.00 Manifestazione regionale a Milano – Partenza da Lg.go Cairoli  – ore 15.00. Comincia una lunga fase di lotta del mondo del lavoro contro la manovra-massacro e l’attacco a diritti, salario, welfare: domani, sabato 5 giugno, tutti in piazza a Roma per la manifestazione nazionale indetta da USB e Confederazione Cobas, con corteo in partenza da Piazza della Repubblica alle ore 15.00. A Milano si svolgerà una manifestazione principalmente lombarda, con partenza da L.go Cairoli sempre alle 15.00. I due cortei saranno aperti dallo stesso striscione: La crisi va pagata da chi l’ha provocata.
Questo il percorso del corteo nazionale a Roma: Piazza della Repubblica, Via Cernaia, Via Palestro, Via XX Settembre (dove sosterà rumorosamente sotto le finestre di Tremonti), L.go di S. Susanna, Via Barberini, Piazza Barberini, Via Sistina, Piazza del Popolo.Il movimento dei precari, dei senza casa e dei senza reddito si è dato appuntamento alle ore 14.00 a Porta Pia, davanti al Ministero dell’Infrastrutture, per poi ricongiungersi al corteo principale.
Hanno dato la propria adesione:  Federazione della Sinistra, Blocchi Precari Metropolitani, Loa Acrobax, Coordinamento cittadino di lotta per la casa, Rete degli  Indipendenti, Volturno Occupato, Generazione Precaria, Collettivo L’Officina, studenti e studentesse Università Roma Tre. Sarà presente anche un consistente spezzone del Forum Palestina e delle altre organizzazioni che in questi giorni hanno dato vita alle mobilitazioni contro l’attacco terroristico alla Freedom Flottiglia. Un membro della comunità palestinese interverrà dal palco a conclusione del corteo.
Queste manifestazioni danno il via ad un fitto periodo di mobilitazioni indette dalla Unione Sindacale di base:  7 e 8 giugno gli scioperi regionali della Scuola in Emilia Romagna e Calabria; 7 giugno lo sciopero dei lavoratori Aeroportuali delle aziende aderenti ad Assohandlers; 8 giugno lo sciopero nazionale di Lsu, Lpu, cassintegrati e lavoratori in mobilità; il 9 giugno lo sciopero del lavoratori della Croce Rossa; 10 giugno i “Tetti della ricerca…e non solo”, con iniziative in tutti gli enti di ricerca; 11 giugno sciopero di 24 del Trasporto pubblico locale; 14 e 15 Giugno sciopero della Scuola in Piemonte, Lazio, Campania e Sicilia; sempre il 14 giugno sciopero generale di 24 ore del Pubblico Impiego.

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Contro la manovra-massacro

Posted by fidest press agency su domenica, 30 Maggio 2010

A Roma e Milano 5 giugno manifestazioni. 14 giugno sciopero generale del Pubblico Impiego. Si stanno svolgendo in tutta Italia le manifestazioni dei lavoratori pubblici davanti alle sedi degli istituti bancari per la prima giornata di mobilitazione nazionale indetta oggi da RdB/USB Pubblico Impiego.  A Catanzaro, Vicenza, Padova, Torino, Milano, Parma, Ancona nella mattinata; a Roma, Genova, Vicenza, Bologna, Firenze, Napoli, Salerno, Catania, Palermo, Cagliari nel pomeriggio, i lavoratori sono scesi in piazza a gridare il loro sdegno contro una manovra che li penalizza nel salario e taglia posti di lavoro espellendo tanti precari, mentre non tocca gli interessi di banche, speculatori finanziari, evasori fiscali, corrotti e corruttori, veri responsabili della crisi in corso. A Roma circa 200 lavoratori hanno raggiunto la sede centrale della Banca d’Italia in via Nazionale. Espliciti gli striscioni dei manifestanti davanti Palazzo Koch: “20 anni di sacrifici possono bastare! ora paghi chi non ha mai pagato”; “i lavoratori pubblici non sono il bancomat del governo”. Alcuni cartelli riportavano nel dettaglio gli utili delle banche e delle società finanziare; altri ancora le pensioni percepite mensilmente da alcuni illustri pensionati INPDAP, distintisi per ostilità verso i lavoratori pubblici e per i quali la pensione non rappresenta l’unica fonte di reddito: Giuliano Amato, con 22.048,11 Euro; Mario Draghi, con 14.843,56; Giuliano Cazzola, 10.776,66, per citarne solo alcuni. La forte e diffusa partecipazione a questa prima risposta del lavoro pubblico contro la manovra-massacro del governo conferma la necessità dei prossimi appuntamenti di lotta indetti dalla Unione Sindacale di Base: il 5 giugno le manifestazioni a Roma e Milano; il 14 lo sciopero generale del Pubblico Impiego l’intera giornata.

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Risoluzione su Srebrenica

Posted by fidest press agency su mercoledì, 31 marzo 2010

L’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) definisce la risoluzione su Srebrenica discussa dal Parlamento di Belgrado uno schiaffo in faccia alle vittime bosniache sopravvissute al genocidio. Invece di fare lunghi dibattiti su un testo che possa far sembrare meno grave il genocidio, il governo serbo farebbe bene a occuparsi dell’arresto del criminale di guerra Ratko Mladic, ricercato con un mandato di arresto internazionale. Il testo della risoluzione di Belgrado parla semplicemente di “crimini” ma mai esplicitamente di genocidio come il massacro di Srebrenica è invece stato classificato dalla Corte Internazionale dell’Aia. Per anni il generale Mladic ha goduto dell’aperto sostegno della Serbia. Nonostante fosse ricercato già dal 1995, fino alla fine di marzo 2002 Mladic girava liberamente per le strade di Belgrado. Nel 2003 e 2004 la sua presenza è stata segnalata addirittura in diverse caserme dell’esercito serbo sottomesso all’allora ministro della difesa e attuale presidente serbo Boris Tadic. Fino al novembre 2005 Mladic ha ricevuto regolarmente versata la pensione. A dimostrazione del sostegno e della protezione concessa a Ratko Mladic e all’esercito della cosiddetta Republika Srpska, che la Corte Internazionale considera direttamente responsabili del genocidio, tra il 1991 e il 1994 Mladic è stato promosso tre volte dalle autorità di Belgrado. Dopo il suo pensionamento nella Republika Srpska nel 1996 Mladic ha ottenuto un posto come consigliere dell’unità di crisi dell’esercito jugoslavo che ha abbandonato solamente nel 2002 per andare definitivamente in pensione.

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