“È stato un presidente incompetente”. Così Donald Trump mentre parlava con giornalisti alla Casa Bianca commentando il recente discorso di Barack Obama ai laureati del 2020. L’ex presidente non aveva nominato esplicitamente il suo successore ma aveva additato all’operato dell’attuale inquilino della Casa Bianca come completamente insoddisfacente.Gli ex presidenti americani di solito tacciono sulla condotta di quelli che li seguono come commander-in-chief. Pochissime le eccezioni a questo comportamento. Va ricordato però che Theodore Roosevelt, il 26esimo presidente (1901-09) in un discorso del 1912, criticò aspramente la piattaforma e il servizio del suo successore William Taft (1909-13). Per il resto della storia presidenziale si era stabilita una “pace” fra ex presidenti e presidenti in carica che è durata per molti anni.Il 2020 è però diverso non solo per la pandemia in corso ma anche per gli stili e ideologie diversi fra Trump e Obama. Il primo presidente afro-americano ha sottolineato nel suo discorso che nonostante tutti i problemi della recente pandemia i giovani devono essere ottimisti. L’America ha già sofferto tempi duri— schiavitù, altre pandemie, la Grande Depressione, e l’undici settembre. Obama ha ricalcato anche che l’America è uscita più forte dopo avere affrontato questi periodi bui. Il 44esimo ha anche rilevato la necessità dei giovani di partecipare attivamente alla politica perché gli “adulti” che controllano il sistema stanno fallendo. Obama ha detto anche che i nuovi laureati non dovrebbero fare quello che “dà l’impressione di essere buono o conveniente” come fanno i bambini. Sfortunatamente, ha proseguito Obama, molti adulti fanno esattamente così comportandosi da bambini. Bisogna invece, sempre secondo il 44esimo presidente, decidere da se stessi, basandosi sui valori come l’onestà, il duro lavoro, la responsabilità, la giustizia, la generosità e il rispetto per gli altri.Senza menzionare il nome, Obama si riferiva a tutte le qualità che mancano all’attuale presidente. La stoccata più profonda è emersa quando l’ex presidente ha parlato della pandemia che ha eliminato “ogni illusione che quelli al governo” sanno quello che fanno. “Non fanno nemmeno finta di governare”, ha continuato Obama, nonostante i loro “titoli pomposi”, additando Trump, senza però fare il nome del presidente in carica.Trump non ha ovviamente gradito e ha reagito come fa con chiunque non sia “gentile” con lui, ricorrendo all’attacco personale. I fatti però danno ragione al primo presidente afro-americano. La pandemia ha rivelato l’incompetenza di Trump. Con il 4 percento della popolazione mondiale gli Stati Uniti hanno registrato quasi 1,6 milioni di contagi, ossia il 30 percento del totale al mondo. La cifra dei decessi è alquanto sconcertante con quasi 94mila negli Usa, ossia il 29 percento del totale mondiale. La pandemia ha anche massacrato l’economia con più di 38 milioni di disoccupati attualmente. Nel secondo trimestre del 2020 si prevede un tasso di disoccupazione del 14 percento e un calo del Pil del 38 percento. L’economia che doveva essere il cavallo di battaglia della rielezione di Trump è sfumata costringendolo ad amplificare gli attacchi per togliersi ogni responsabilità e incolpare gli altri della situazione. Ecco come si spiegano i feroci tweet contro l’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, a cui ha minacciato di togliere i contributi. Il Covid-19 è un virus cinese e dunque Trump ha sentenziato che la colpa è della Cina. E se mancano le attrezzature di protezione al personale americano della sanità la colpa è dei governatori. Rispondendo a una domanda di un giornalista se lui ha qualche responsabilità, il 45esimo presidente ha risposto che la sua performance merita un perfetto dieci.
Con l’economia a pezzi, Trump sta facendo di tutto per accelerare la ripresa, incoraggiando gli Stati a riaprire, nella speranza di un miracolo per raggiungere cifre incoraggianti prima dell’elezione di novembre. Si tratta di un’eventualità poco probabile e dunque ha deciso che la strada migliore per la rielezione sarà quella di amplificare i suoi attacchi. Ecco come si spiega l’ultima sua teoria di complotto sull’amministrazione del suo predecessore che Trump ha già etichettato Obamagate. Si tratterebbe, secondo l’attuale inquilino della Casa Bianca, di manovre che Obama avrebbe fatto usando la Fbi per le primissime indagini che hanno alla fine scatenato il Russiagate. Non vi è nulla di concreto ma poco importa. Trump spera che il semplice fatto di parlarne toglierà l’attenzione mediatica dalla pandemia e la sua disastrosa performance e intrappolerà anche Joe Biden, il suo rivale a novembre. In effetti, Trump sta cercando di ripetere quello che ha fatto nel 2016, ossia demonizzare la concorrenza.In questo caso però sarà più difficile perché è già stato al potere per quasi quattro anni e dovrà fare salti mortali per districarsi dalle sue responsabilità nella profonda crisi attuale. Una comparazione con l’indice di gradimento di Trump in comparazione ai governatori ce lo chiarisce. Mentre buona parte dei leader Statali ricevono “buoni voti” dai loro cittadini per il loro operato nella pandemia, Trump si trova all’ultimo posto, secondo un recentissimo sondaggio, accompagnato dal governatore della Georgia Brian Kemp, il quale ha seguito la stessa strada noncurante del presidente nell’affrontare il Covid-19. I sondaggi che contano però sono quelli degli Stati in bilico ma anche qui le notizie sono poco promettenti per Trump. Gli attacchi dell’attuale inquilino della Casa Bianca al suo predecessore si riveleranno controproducenti. Obama rimane molto popolare con gli elettori democratici ma anche con gli americani in generale. Con gli elettori afro-americani rimane popolarissimo. Attaccare Obama non farà altro che stimolarli a presentarsi alle urne votando in massa contro Trump. (By Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California.)
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Gli attacchi velati di Obama e i contrattacchi spregiudicati di Trump
Posted by fidest press agency su lunedì, 25 Maggio 2020
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Obama-Putin-Trump: La storia continua
Posted by fidest press agency su lunedì, 1 gennaio 2018
Dall’archivio della Fidest proviamo a fare una ricostruzione dei precedenti che ci hanno portato alla crisi odierna tra Federazione russa e Stati Uniti e alla quasi certezza di una sua ricomposizione con la nuova presidenza Trump dichiaratamente amica di Putin. Il tutto è iniziato sul finire degli anni novanta dello scorso secolo. Fu il giorno in cui m’incontrai con un giornalista ucraino che dietro le mie insistenze mi confidò i retroscena che portarono alla caduta del muro di Berlino e al collasso dell’Unione Sovietica. La storia,
a suo avviso, ebbe inizio alcuni anni prima dell’evento berlinese quando in una notte al Cremlino si accesero le luci di una piccola sala di riunioni dove alcuni massimi esponenti del soviet sovietico, e non dopo un’accesa discussione che durò alcune ore, presero una decisione che il mio interlocutore definì storica. Da quel momento si attese solo l’occasione propizia per provocare la caduta del sistema comunista. Perché fu deciso in tal senso? La spiegazione parve ovvia al mio confidente. La guerra fredda in atto tra i due blocchi, quello comunista e il capitalista, era giunta a un punto morto. Nessuno dei due poteva prevalere senza rendere il pianeta terra invivibile dopo una tremenda guerra atomica. Bisognava, quindi, fare una scelta diversa, più radicale ma al tempo stesso più pragmatica. L’Urss si sarebbe liberata di gran parte dei paesi, diventati troppo ricalcitranti e critici al controllo politico e anche militare della guida russa e sarebbe diventato, altresì, un buon affare lasciare all’occidente le loro disastrate economie. Al tempo stesso avrebbe dato l’impressione all’occidente della sua incapacità di nuocere mentre avrebbe avuto tutta la possibilità di riorganizzarsi e di tessere nuove alleanze e di rinforzarsi senza apparire una minaccia.
Ora a distanza di circa 20 anni da quel racconto ci troviamo con una federazione russa sotto la guida di Putin, ritenuto da molti l’unico vero leader mondiale di indiscutibile potere e levatura di statista, con una Russia che sembra ritornata alla potenza militare, politica e diplomatica del passato e per giunta con un occidente debole, poco determinato e con un capitalismo di taglio statunitense che sta mostrando tutti i suoi limiti. Su questo scenario è evidente che la leadership statunitense a livello mondiale è in declino e che altri stati ed economie stanno prendendo il suo posto: penso alla Cina, all’India e alla stessa Federazione russa. In un mio libro ho avuto modo di prefigurare tali scenari futuri e di considerare anche il declino se non il disfacimento dell’Europa comunitaria che sarà destinata a spaccarsi in due parti tra l’Europa del Nord e quella del Sud federata con i paesi del Nord Africa e dell’Asia che si affacciano sul Mediterraneo. Il 2017, quindi, posso considerarlo l’anno della svolta che avvia la fase esecutiva del processo prefigurato dagli strateghi russi degli anni ottanta del XX secolo per una nuova leadership mondiale riducendo gli Stati Uniti ad una entità regionale di secondaria importanza. E Trump in questa fattispecie ne sarà il traghettatore come lo è, del resto, l’attuale inquilino del Vaticano. (Riccardo Alfonso del Centro studi di politica internazionale della Fidest)
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Obama di qua e Obama di là. Che brutto Paese
Posted by fidest press agency su giovedì, 11 Maggio 2017
La “visita” dell’ex-presidente Usa Barack Obama a Milano e poi in Toscana, ha scatenato tutto il provincialismo italiano. Quello insito nelle persone più importanti e nell’ultimo dei bischeri. Quello fatto di chi ama farsi i selfie in ogni occasione, figurarsi se poi e’ accanto a qualcuno che e’ un “selfie vivente” come Obama.
Restiamo comunque attoniti per il fatto che per andarlo ad ascoltare a Milano, con tanto di pienone ed esaurito, le persone hanno speso 850 euro, nell’ambito di una fiera gastronomica e, da quanto abbiamo capito, non sono soldi che poi vengono dati per qualche buona causa altruista. Si sa, gli ex-presidenti Usa (e non solo, notorio il caso dell’Uk Tony Blair) hanno come missione post “capo del mondo” quella di andare in giro a dire la propria (e sono quotati piu’ e meglio di tanti altri, per carita’…) percependo parcelle che, si’ finiscono in fondazioni e cose simili per il bene diffuso, ma che niente ci dice che in buona parte servano a finanziare lo stesso oratore. La cosa in se’ non ci scandalizza, non abbiamo l’approccio cattolico romano al denaro (che sarebbe sporco…), ma non riusciamo a digerire quello che, anche l’iper-liberal quotidiano The New York Times, ha chiesto che non accadesse anche nel caso di Obama: super parcelle la cui destinazione non e’ mai trasparente al 100%. Sara’ inascoltato?
Ma ne prendiamo atto. Cosi’ come prendiamo atto, dopo aver letto di chi andava da Obama risparmiando sul parrucchiere o chi cercava di non spendere perche’ forse riusciva ad imbucarsi: perfetto specchio dell’Italia che si riflette in ogni parte del mondo.
E non ci puo’ non venire in mente di quando, l’ex-presidente del Governo italiano, Matteo Renzi, grande anfitrione odierno della calata di Obama nella capitale meneghina, quando era “solo” Sindaco di Firenze, in un incontro in Usa sempre con Obama, si faceva spazio tra la folla di tanti amministratori ricevuti dal primo cittadino Usa, piegato su se stesso, con le spalle contrite e la mano destra tesa in avanti, diceva “Mister President, I’m a Mayor of Florence”. Sembrava Massimo D’Alema quando qualche anno prima, neo-ministro degli Esteri, nelle foto degli incontri internazionali accanto ai suoi colleghi dei Paesi piu’ importanti del mondo, con le spalle anche lui contrite, e forse anche per i baffetti che gli davano l’aspetto umile e buffo a mo’ di Charlie Chaplin, con lo sguardo spaurito e gli occhi mobili che si guardavano e riguardavano intorno, sembrava si dicesse da solo “ed io che ci faccio qui?” oppure “madonna, dove sono arrivato”.
Va buo’! Probabilmente e’ l’Italia in cui stiamo consumando gli ultimi anni della nostra vita (ne ho 64) e, visto che non sono stato “disciplinato” in passato e tuttora, mi tocca viverli come in una sorta di Inferno di Dante (il poeta, non il figlio del Sindaco di New York, Bill de Blasio), messo a soffrire in un girone in cui si e’ flagellati da luoghi comuni, provincialismo, frasi fatte, tutte ben mescolate con fake news che ti fanno perdere l’orbita del senno e dell’orientamento.
Ma cosa ne verra’ fuori da questa “visita” di Obama? Leggiamo di scuole, master, corsi, incontri. Anche noi siamo convinti che la presidenza Obama sia stata una delle migliori Usa in questi ultimi decenni, ma proprio non riusciamo a non sentirci a disagio nel vedere il marito di Michelle aggirasi per monumenti con l’ombra di Renzi, il codazzo di fotografi e, immaginiamo, incassare la sua parcella. Ci domandiamo se sara’ qualcosa come quella di Bill Gates, che coi miliardi che ha fatto e continua a fare con la Microsoft, costruisce, tra l’altro, cessi portatili per i disgraziati dell’Africa. O qualcosa come il miliardario George Soros, tutto dedito a sostenere democrazie come piattaforme di societa’ aperte , soprattutto nell’Europa di cui e’ originario.
Se son rose fioriranno? C’e’ da capire quali siano queste rose… noi vediamo tante spine, ma siamo curiosi e, pur se pessimisti nel giudizio, siamo almeno ottimisti nell’azione. Altrimenti saremmo qui solo a piangerci addosso, che non e’ la nostra attivita’ preferita. (Vincenzo Donvito, presidente Aduc)
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The Global Food Innovation Summit: Obama ospite d’onore
Posted by fidest press agency su domenica, 7 Maggio 2017
Milano dall’8 all’11 maggio (FieraMilano Rho, padiglioni 8-12). Quattro giorni di conferenze e incontri sui grandi temi legati al food e all’innovazione in questo campo, dalle nuove tecniche di produzione alimentare, alla nutrizione del futuro fino alla food security e al diritto al cibo, sano, sostenibile e accessibile a tutti; una parte espositiva con start up, aziende, incubatori che presenteranno le loro proposte tecnologiche; più di 200 speakers internazionali, investitori e policy maker da tutto il mondo per confrontarsi sulle maggiori sfide globali.
Ospite d’onore di questa terza edizione di Seeds&Chips sarà l’ex Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, che sarà presente al Summit il 9 maggio, quando terrà un keynote speech e poi dialogherà con Sam Kass, chef-consigliere dell’ex Presidente USA e artefice della rivoluzione salutista alla Casa Bianca.
Nel ricco calendario di conferenze, autorevoli esperti del settore si confronteranno sugli scenari più significativi dell’alimentazione, della produzione e dell’approvvigionamento di cibo. In particolare, alla special conference Feeding the Cities – Urban and Vertical Farming dedicata alla coltivazione sostenibile nelle grandi metropoli, sarà il keynote speech del Sindaco di Milano Giuseppe Sala ad aprire i lavori. Alla conferenza Food Security for developing countries si affronterà invece il tema dell’approvvigionamento alimentare nei Paesi in via di sviluppo.
A Seeds&Chips saranno presentate anche due importanti ricerche, una panoramica d’eccezione sul comparto della food innovation: la ricerca di SWG per Seeds&Chips offrirà una panoramica dettagliata e completa sui temi dell’alimentazione e della food innovation in Italia: dallo spreco alimentare alla sostenibilità alimentare; dal legame tra cibo e opinione pubblica al grado di comprensione dell’innovazione alimentare in Italia; da etichette e tracciabilità alla realtà delle mense collettive. La ricerca-strumento di Simbiosity – the innovation hunters, prima società di (head) hunting specializzata sull’innovazione, presenterà invece i dati sull’ecosistema delle startup in Italia, per misurarne il valore. Lo studio, condotto attraverso un data base proprietario (Innovation Tracking System), è indirizzato specificamente ai settori Agri Food e Agri Tech e conferma la forza di un’imprenditorialità innovativa, da leggere e valorizzare.
Seeds&Chips è in collaborazione con TUTTOFOOD 2017, con un’azione sinergica generativa di effetti virtuosi per molti settori del sistema Paese.
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Arrivederci presidente Obama
Posted by fidest press agency su venerdì, 20 gennaio 2017
Firenze Novembre 2015. Il presidente Barack Obama è sulla copertina di Out, mensile punto di riferimento della comunità omosessuale. Una primizia per un presidente Usa. Il titolo: “Il nostro presidente, alleato, eroe, icona”.
4 agosto 2016. Sul settimanale femminile Glamour (versione Usa), Barack Obama, per festeggiare i suoi 55 anni e’ il protagonista di un editoriale. “Continuiamo a trovare incredibile un uomo che cambia un pannolino”. E saluta coloro che hanno combattuto per passare da una “manciata di posti di lavoro sottopagati” a posizioni dominanti. E loda i progressi compiuti nella vita delle donne in “questi cento, cinquanta e anche gli ultimi otto anni.” Troppo fresco questo Obama? Si’! Soprattutto quando ricorda di non aver mai nascosto -in gioventu’, ovviamente- di aver provato marijuana e cocaina. E poi, sempre in questo editoriale di Barry, si ricordano le sue posizioni a favore dei gay e della comunita’ Lgbt e delle femministe.
Anche se nel 2008 diceva ancora “io credo che il matrimonio, sia tra un uomo e una donna. Per me, in quanto cristiano, si tratta di una unione sacra”, l’uomo e’ andato avanti. Rispetto al suo predecessore Bill Clinton che sui gay nell’esercito fece approvare il decreto “don’t ask, don’t tell” (“non chiedere nulla, non domandare nulla”). E infatti, quando a giugno del 2015 la Corte Suprema disse ok al matrimonio gay (che fino ad allora era legale solo in 36 dei 50 Stati dell’Unione), non nascose la sua gioia: “Vittoria storia per l’America (…). Quanto tutti gli americani sono trattati nello stesso modo, noi siamo tutti piu’ liberi”.
Con le donne. Il 1dicembre 2008 nomina Hillary Clinton segretario di Stato, e Valerie Jarret all’Ufficio esecutivo del presidente, dove Jarret diviene il principale consigliere della Casa Bianca. Inoltre crea un’amabsciarrice itinerante nel mondo sui problemi delle donne: Melanne Verveer. E poi, nel 2009, la legge che facilita’ le procedure giudiziarie per delle lavoratrici che sono vittime di discriminazioni basate sul sesso (legge Lilly-Ledbetter sull’uguaglianza salariale). E poi il Consiglio della Casa Bianca sulla condizione delle donne, per assicurare che gli organismi federali facciano il loro dovere per l’eliminazione della violenza di genere. Poi una donna alla guida della Federal Reserve, Janet Yellen. Quindi Samantha Power ambasciatrice alle Nazioni Unite, e Susan Rice consigliere alla sicurezza nazionale. Alla fine di questo suo mandato, la parita’ e’ perfetta, 50 e 50, rispetto ai due terzi di uomini del suo primo mandato.
E veniamo alla cannabis. Nel 2014 viene legalizzata anche per fini ludici in Colorado e nello Stato di Washington, mentre a New York e in altri 20 Stati e’ legale quella medica. Obama, ce si era tenuto in disparte, tranne ricordare che l’FBI aveva cose piu’ importanti da fare che non correre dietro a chi si faceva una canna, si confida al giornale The New Yorker. La cannabis, signor presidente? “Io non penso che sia piu’ pericolosa dell’alcool”, dice sottolineando che fumare “non e’ una cosa molto sana”.
“Yes we can. Yes we did”. E’ piu’ che un discorso di addio quello dello scorso 10 gennaio a Chicago. Obama ha fatto una sorta di inno alla democrazia. Ha dato un nuova credibilita’ al progressismo e all’attivita’ di un governo, modernizzando l’America e rendendola piu’ giusta: 15 milioni di posti di lavoro sono stati creati in 75 mesi (un record dal 1939), una storica riforma della sanita’, una fiscalita’ piu’ progressiva e la lotta contro il cambiamento climatico sono diventati realta’. 3,5 milioni di persone sono uscite dalla poverta’ nel 2015, un record dal 1968. Per lo storico Robert Dallek,Obama “ha umanizzato il sistema industriale americano”. Ci sono problemi: la mobilita’ sociale e’ debole nelle minoranze, dove anche la “white working class” ha poco accesso a buoni posti di lavoro. Gli indigenti continuano a prosperare ed una epidemia di oppioidi colpisce i bianchi di questa categoria. Mentre la questione razziale e’ emersa proprio
nel periodo del presidente afro-americano. E infine c’e’ il probabile errore del suo totale appoggio alla campagna presidenziale di Hillary Clinton contro Donald Trump, e nel non aver lasciato eredi della stazza e con il carisma di Bernie Sanders. Ci e’ rimasto l’ottimismo di un uomo che si chiama Barack Hussein Obama negli Usa post 11 settembre, che ha parlato di speranza e progresso cosi’ come aveva fatto Martin Luther King. Arrivederci presidente. (Vincenzo Donvito, presidente Aduc)
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Le lusinghe di Obama e le vicende di casa nostra
Posted by fidest press agency su lunedì, 24 ottobre 2016
A Washington più che uno spot a favore del Sì in vista del referendum italico, come amici e nemici di Renzi si sono prontamente rinfacciati con il solito approccio provinciale, tra trionfalismi fuori luogo e infondate accuse di ingerenza amerikana (la “k” è d’obbligo) nei nostri affari interni, è andato in scena un galà in onore dell’Italia che aveva come obiettivo la campagna elettorale di Hillary Clinton, cui Obama partecipa attivamente (gli è rimasto solo quello), nel tentativo, non sapremo dire se riuscito, di conquistare il grande bacino di voti degli italo- statunitensi. E come tale va rapidamente archiviato. Anche perché di ritorno dai fasti (apparenti) a stelle e strisce, il presidente del Consiglio si ritrova due patate bollenti per le mani, tra loro intrecciate: la questione europea, in cui ha ormai deciso di giocare il ruolo del pierino, e l’ancor più delicata vicenda geostrategica che ha per protagonista Putin. Sarà bene che Renzi smetta di fare campagna referendaria girando l’Italia come una trottola – ma non aveva detto che voleva spersonalizzare la contesa? – e si concentri su questi due fronti, che ben più dell’eventuale vittoria del No possono procurargli (e procurare a noi) seri problemi.
A Bruxelles il Governo ha deciso di forzare un po’ la mano sui conti pubblici. Bene, nessuna obiezione di principio. Anzi. Ma, in pratica, su che basi ci stiamo ritagliando un ruolo, dal momento che il confine tra seri oppositori di una politica economica sbagliata o comunque limitativa e quello di fastidiosi rompiscatole privi di attendibilità è assai sottile? Saremmo credibili se avessimo predisposto una manovra di bilancio tutta concentrata sugli investimenti finalizzati alla crescita e se ci fossimo minimamente dedicati alla riduzione del debito (che con gli avanzi primari non frena la sua crescita, né in valore assoluto né in percentuale sul pil). Anzi, in questo caso avremmo avuto buon gioco a sforare i limiti del deficit ben di più di quanto abbiamo osato fare. Ma così non è stato. Su oltre 26 miliardi di manovra, più di 15 sono andati per la sterilizzazione dell’Iva (che comunque rispunterà fuori l’anno prossimo) e dei restanti 11 una parte cospicua è spesa pubblica corrente, tra previdenza (con una commendevole inversione di tendenza sull’età pensionabile) e pubblico impiego, e solo una parte residua finanzia lo sviluppo, l’innovazione delle imprese e la produttività (con buoni provvedimenti, a cominciare da quelli relativi al piano “Industria 4.0”). Mentre dal lato delle entrate, 12 miliardi sono di deficit aggiuntivo; gli altri 14 poggiano per la metà su una tantum, e la restante parte riguarda entrate (come il recupero dell’evasione) e minori spese (la spending review rappresenta solo il 20% dell’intero spettro delle coperture) a forte tasso di aleatorietà. Come si vede, senza neppure aver bisogno di entrare nei dettagli, la composizione della manovra è fragile (difficile dire che assicura l’1% di crescita del pil previsto, stima che nessun organismo previsionale condivide) e assai discutibile: cosa che oltre ad essere sbagliata in sé, ci rende deboli nel confronto con l’Europa, alla quale, gridando, rinfacciamo i suoi limiti senza aver fatto i compiti a casa come si deve. Che non sono quelli di tagliare selvaggiamente in nome del “dio rigore”, ma di spendere anche di più purché diversamente (in conto capitale, non per spesa corrente). Non pochi sostengono che si tratti di una manovra di stampo elettorale, in vista del 4 dicembre. Può darsi, ma non c’è bisogno di spingersi sul ciglio di questa frontiera polemica per sostenere che siamo di fronte ad una legge di bilancio poco ambiziosa e sicuramente non discosta dalla politica economica messa in campo fin dal primo momento dal
Governo Renzi, quella – basata sull’idea, sbagliata, che distribuire un po’ di soldi a vario titolo avrebbe generato crescita attraverso un aumento dei consumi, e per di più avrebbe prodotto maggiore equità e quindi vantaggi politico-elettorali – che ha suscitato una condizione economica del Paese di cui, paradossalmente, lo stesso primo ministro si è a più riprese dichiarato insoddisfatto. Il “verso” all’Italia non è stato cambiato fin qui, né lo sarà con questa manovra. Che riceva o meno il via libera di Bruxelles. Viceversa, la temperatura dei nostri rapporti con l’Europa ha importanza decisiva sull’altro scacchiere, quello geopolitico. E in particolare sul fronte caldo dei rapporti con la Russia. Qui si cammina sulle uova, stretti nella morsa tra la scelta americana – che la Clinton probabilmente manterrà e Trump sicuramente interromperà – di isolare Putin, regalandogli così un ruolo di “leader globale” che difficilmente avrebbe saputo conquistare senza i marchiani errori di Obama, e la dottrina tedesca del “nessun nemico a Oriente”, che in Europa è stata un dogma fino allo scoppio del problema ucraino e l’accettazione del diktat Usa sulle sanzioni alla Russia. Le quali hanno prodotto, oltre ad un forte danno per alcuni paesi esportatori, tra cui l’Italia, un forte risentimento dei russi per il peggiorare della loro condizione economia che ha finito col dare allo Zar Vladimir un forte consenso interno, che gli ha permesso di imbavagliare l’opposizione e di innescare un’escalation diplomatica e militare nell’Est Europa e in Medio Oriente, fino a permettersi un’incursione senza precedenti (vedi il caso degli hacker anti-Clinton) addirittura nella campagna elettorale americana. Renzi, in tutto questo, ha di fatto scelto di stare dalla parte degli Usa, e lo ha fatto platealmente a Washington inebriato dagli oneri concessigli con il pomposo ricevimento alla Casa Bianca. Bene, si dirà, non possiamo non essere atlantisti. Ma non sarebbe stato più prudente attendere di sapere chi sarà il prossimo presidente? In fondo manca un mese, e in un batter d’occhio Obama e la sua politica estera, chiunque vinca, saranno dimenticati. Muoversi in questo scenario sarebbe difficile per chiunque, figuriamoci per chi lo fa nei ritagli di tempo tra un comizio, una comparsata televisiva e una visita in una fabbrica. Speriamo che il 4 dicembre arrivi presto, e che il “dopo” ci porti la possibilità di ragionare. By Enrico Cisnetto direttore http://www.terzarepubblica.it
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Se Obama avesse saputo…
Posted by fidest press agency su venerdì, 21 ottobre 2016
“Se Renzi avesse detto a Obama tutta la verità, il presidente degli Stati Uniti d’America avrebbe scelto il no. Non c’è l’elezione diretta né nel capo dello Stato né del presidente del Consiglio. Non c’è il limite sulla tassazione per famiglie e imprese, non c’è la norma a tutela dei giovani per impedire che paghino loro il debito pubblico, non c’è la norma antiribaltone che impedisca ai parlamentari eletti di passare dall’opposizione al governo, non c’è la difesa della sovranità nazionale minacciata da potentati e organismi europei. Non c’è nulla della democrazia decidente americana. Per questo motivo, siamo sicuri Obama avrebbe fatto un’altra scelta”. È quanto dichiara il capogruppo di Fratelli d’Italia-Alleanza nazionale Fabio Rampelli. (n.r. Non credo che Obama non fosse a conoscenza della situazione italiana. La verità, probabilmente, è un’altra. E’ che le multinazionali americane stanno facendo enormi pressioni per poter avere il via libera per esercitare in posizione egemone in Europa e si ritiene che l’appoggio italiano possa funzionare da grimaldello per scardinare l’opposizione degli altri paesi comunitari. Ciò spiega l’accoglienza al nostro presidente del Consiglio ma rischia di diventare un prezzo molto elevato per le nostra già dissestate economie e per lo status già precario dei nostri lavoratori che finiranno con l’essere letteralmente schiacciati dal bulldozer statunitense.)
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Obama l’intellettuale
Posted by fidest press agency su sabato, 26 marzo 2016
Ad un anno e mezzo dalla fine del secondo mandato presidenziale alla Casa Bianca i politologi di tutto il mondo incominciano a fare un bilancio del ruolo esercitato da questo presidente “nero” eletto dai grandi elettori statunitensi non certo per il colore della sua pelle, come la vulgata popolare vorrebbe far credere, ma per un calcolo politico maturato da una delle grandi lobby americane che si richiamano al mondo finanziario. Egli inizialmente le assecondò salvo poi marciare con i propri piedi proprio perché non aveva nel suo Dna la dote del burattino ma nemmeno quella del burattinaio: il suo identikit era e resta quello di un uomo che ha fatto della cultura a tutto tondo il suo punto di forza e di distinzione. Un uomo, quindi, che genera il suo potere dall’interno e s’irradia all’esterno non per opprimere ma per comunicare, non per disporre acriticamente ma per trovare la via di un dialogo costruttivo e intelligente con i suoi elettori, con il popolo che amministra e di riflesso su tutta l’umanità.
Egli è di certo consapevole che gli Stati Uniti hanno irrisolti molti problemi tra i più spinosi e tra questi in primo luogo la questione sociale. Essa si dirama indubbiamente sull’incapacità delle classi dominanti di aprirsi con la parte più debole del popolo. Il capitalismo, infatti, ha ampiamente dimostrato di saper produrre ricchezza e benessere ma ha anche attestato d’essere incapace di saper equamente distribuire saggiamente tali risorse con il risultato di determinare grandi ricchezze per pochi privilegiati e povertà ed emarginazione sociale al resto della popolazione.
E il capitalismo che si è irradiato al mondo intero ha di certo esportato ovunque ricchezza ma non si è sottratto ai suoi limiti cercando d’offrire a tutti le stesse condizioni di floridezza.
Oggi questa stessa globalizzazione dei mercati finanziari e delle multinazionali ha anche globalizzato l’informazione e l’ha resa permeabile al disagio sociale e alle sue ricadute poco virtuose in quanto ha generato per lo più conflitti e soprusi.
Al cospetto di questo scenario il nostro auspicio è di trovare alla guida delle sorti del mondo uomini e donne dopo Obama altrettanto pronti a fare la differenza tra la barbarie dei taglia gole e le logiche capitalistiche ispirate al profitto fine a se stesso, per restituire alla società umana il suo primato per una giustizia sociale aperta e condivisa universalmente. E questo compito spetta in primo luogo al ruolo che sapremo affidare alla cultura e alla conoscenza. (Riccardo Alfonso fidest@gmail.com)
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Primarie U.S.A.: elezioni di metà mandato, governo diviso, povero Obama
Posted by fidest press agency su sabato, 19 marzo 2016
Roma mercoledì 23 marzo 2016, ore 11.00 aula Mauro Wolf – dipartimento di Comunicazione e ricerca sociale via Salaria 113/117, si tiene il quarto appuntamento del ciclo di seminari Sistemi Politici Comparati, promosso dal dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale e dalla Fondazione Nova Spes, dal titolo “Primarie, elezioni di metà mandato, governo diviso: povero Obama”. Il dibattito si concentra sul “modello americano”, le sue peculiarità, le affinità con i maggiori sistemi politici occidentali. Intervengono Rita di Leo della Sapienza, Giampiero Gramaglia dell’ Istituto Affari Internazionali, Francesco Marchianò del Centro di Riforma dello Stato. L’incontro, aperto fino ad esaurimento posti.
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President Obama just took bold action to help remedy the gun violence epidemic in our country
Posted by fidest press agency su mercoledì, 6 gennaio 2016
Yesterday morning, the President announced a set of executive actions that will close loopholes and expand background checks on gun purchases — real steps toward making our communities safer.The President’s executive actions are a big step forward and have the potential to save lives, but the comprehensive solution America needs has got to come from Congress. So far, despite bipartisan support and the overwhelming majority of Americans that want reform, they have done nothing to act. It’s up to all of us to keep up the pressure on Congress, and OFA organizers and supporters are going all in to bring about the kind of change our country needs. (obama)
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Ricerca nel settore delle energie rinnovabili con nuovi fondi
Posted by fidest press agency su martedì, 1 dicembre 2015
Greenpeace commenta positivamente l’annuncio di Barack Obama e della “Breakthrough energy Coalition” – un gruppo di investitori privati capeggiato da Bill Gates e Mark Zuckerberg – di sostenere la ricerca nel settore delle energie rinnovabili con nuovi fondi per un valore di diversi miliardi di dollari. L’annuncio è stato fatto oggi all’apertura del vertice sui cambiamenti climatici di Parigi.«Un finanziamento dell’ordine di miliardi di dollari per sviluppare le energie rinnovabili è benvenuto in un settore che già registra enormi progressi. Potrà aiutarci a raggiungere l’obiettivo di un mondo 100% rinnovabile per tutti entro il 2050. Obama ha dichiarato che stavolta intende fare sul sul serio. E se questi nuovi fondi saranno realmente usati per incentivare tecnologie pulite e rinnovabili, che già sono in grado di produrre ottimi risultati, allora dimostrerà di fare davvero sul serio», ha dichiarato Martin Kaiser di Greenpeace.Continua Kaiser: «Abbiamo però bisogno di metodi democratici per decidere come usare le ingenti risorse che saranno stanziate. Che per esempio non possono essere usate per finanziare rimedi discutibili come la geo-ingegneria, che potrebbe forse stabilizzare le emissioni nel breve periodo ma che non scongiura affatto i rischi a lungo termine. Ancora non sappiamo chi deciderà come distribuire questi fondi, ma le persone che più subiscono gli impatti del cambiamento climatico dovranno avere voce in capitolo».«Il presidente francese Hollande ha aperto i negoziati di Parigi riconoscendo il ruolo chiave delle rinnovabili per contenere il riscaldamento globale ed evitare gli scenari peggiori. Affermando che l’aumento della temperatura globale deve restare al di sotto di 1,5°C, Hollande ha ammesso che per alcuni Paesi presenti al summit è questione di sopravvivenza. È anche molto importante che il presidente francese abbia riconosciuto l’importanza di sottoscrivere un accordo vincolante. Ora sta a lui e agli altri leader riuniti a Parigi raggiungere questo obiettivo», ha dichiarato Jean-Francois Julliard, direttore esecutivo di Greenpeace Francia.
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Obama blocca la costruzione dell’oleodotto Keystone
Posted by fidest press agency su domenica, 8 novembre 2015
Commentando l’annuncio del Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, che ha deciso di bloccare la costruzione dell’oleodotto Keystone che avrebbe dovuto importare petrolio dal Canada, Giuseppe Onufrio, Direttore Esecutivo di Greenpeace Italia, dichiara:«Questa notizia dimostra che l’opposizione di cittadini e comunità può fermare pericolosi progetti di sfruttamento di combustibili fossili. Cancellando sia il progetto Keystone XL che le concessioni per le trivellazioni in Alaska, Obama ha riaffermato la sua leadership nella lotta ai cambiamenti climatici. Un’ottima notizia, soprattutto in vista della Conferenza sul clima che si terrà a Parigi tra tre settimane».«Sempre più leader mondiali – da Papa Francesco al Presidente della Cina Xi Jinping – stanno spingendo per una transizione verso energia pulita ed efficienza energetica, sottolineando l’importanza di lasciare sottoterra fonti energetiche vecchie e pericolose come carbone, petrolio e gas», continua Onufrio. «A colpirci nel discorso di Obama, l’assenza di riferimenti all’Europa, che ha ormai perso la leadership sulle politiche energetiche e climatiche. Purtroppo, causa di questo declino sono anche le decisioni dei governi italiani che, da anni ormai, si caratterizzano per politiche che mirano a bloccare lo sviluppo delle rinnovabili, a proporre tariffe elettriche che disincentivano l’efficienza energetica e a trivellare i nostri mari, in cerca di scarse riserve di idrocarburi, spesso di pessima qualità. Dopo le scelte nette di Obama, in vista del vertice di Parigi chiediamo a Renzi di cambiare rotta, per lo sviluppo del Paese e il futuro del Pianeta», conclude Onufrio.
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A manufactured crisis
Posted by fidest press agency su domenica, 20 settembre 2015
There’s a lot going on right now, but we can’t lose track of this: As of today, Congress has just six scheduled days of work to avoid another government shutdown.It’s deja vu — just like they did in 2013, extreme voices in Congress are taking pet political issues that have nothing to do with funding our government and using them to manufacture a crisis.It’s simply beyond irresponsible — if they refuse to do their jobs, it’ll affect millions of Americans.And let’s be clear: It’s Congress’ job to pass a budget. Putting together a budget isn’t the time to play political games to try and take health care away from millions, restrict women’s health care options, or block efforts to cut back on carbon pollution They’ve done it before, and it cost us $24 billion — an unnecessary and very real expense, and one that doesn’t even begin to describe the damage done to people’s lives by deferred paychecks and the loss of services that businesses and working families depend on.There’s still time for Congress to come together to pass a smart budget. But if Congressional leaders choose politics over people, we’ll be headed toward a shutdown soon. It’s going to be up to OFA supporters to fight back, just like we did to end the shutdown in 2013. Like President Obama said: “We’ve fought back because of you. We shouldn’t slip back because of Congress. I urge them to send me a budget that invests in our future.” (Photo: obama)
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Obama blocca il risarcimento alle vittime degli attentati: “una cifra così alta farebbe crollare l’ANP”
Posted by fidest press agency su giovedì, 20 agosto 2015
Autore: Mario Del Monte e pubblicato su progetto Dreyfus) L’amministrazione Obama è intervenuta sull’azione legale intentata dai parenti delle vittime del terrorismo contro l’Autorità Nazionale Palestinese chiedendo al giudice dello Stato di New York di non emettere una sentenza che potrebbe destabilizzare l’organizzazione guidata da Mahmoud Abbas. Durante il processo la giuria aveva assegnato un risarcimento di 218,5 milioni di dollari alle vittime dei sei attentati avvenuti fra il 2002 e il 2004 a Gerusalemme, importo che è stato poi automaticamente triplicato in base all’Anti Terrorism Act degli Stati Uniti per un totale di 655,5 milioni di dollari. Se si includono anche gli interessi, anch’essi triplicati, la somma arriva all’incredibile cifra di un miliardo di dollari, più o meno un terzo dell’intero budget annuale dell’Autorità Nazionale Palestinese. Nonostante i palestinesi abbiano già presentato ricorso, lamentando il fatto di non dover essere ritenuti responsabili per azioni di alcuni individui, gli è stato comunque richiesto di versare circa trenta milioni di dollari al mese fino a quando il caso non sarà risolto.Il governo americano sostiene che una così alta cifra per il risarcimento indebolirebbe l’Autorità Nazionale Palestinese, danneggerebbe l’azione degli Stati Uniti in politica estera e farebbe cadere qualsiasi prospettiva di pace basata sulla soluzione a due Stati.
“Abbiamo già chiarito ad altri governi che il crollo dell’ANP ci porterebbe a una crisi il cui impatto non si limiterebbe a danneggiare la sicurezza di Israele o dei palestinesi ma avrebbe un effetto domino su altre parti della regione. L’indebolimento dell’Autorità Nazionale Palestinese potrebbe alimentare rabbia e frustrazione e sfociare in violenza” ha scritto il vice Segretario di Stato USA Antony Blinken in una dichiarazione legale di cinque pagine depositata presso la Corte Distrettuale di Manhattan.Kent Yalowitz, l’avvocato delle famiglie delle vittime, ha dichiarato di essere molto deluso dal fatto che il Dipartimento di Stato abbia deciso di non prendere posizione contro l’OLP e contro l’ANP che stipendia regolarmente terroristi condannati e detenuti nelle carceri israeliane. “Se hanno abbastanza soldi per pagare dei terroristi ne hanno abbastanza anche per risarcire le vittime.” Il portavoce dell’Autorità Nazionale Palestinese si è rifiutato di commentare la notizia.Il primo grado del processo è terminato a Febbraio 2015 con la vittoria delle 10 famiglie delle vittime. Gli attentati, i cui esecutori materiali appartenevano alle Brigate Martiri di Al-Aqsa, Hamas e alle forze di polizia dell’ANP, hanno causato 33 morti e più di 450 feriti tra cui alcuni cittadini americani. Per quanto riguarda l’attentato su un bus del 2004 alcuni funzionari della polizia palestinese hanno confessato di aver pianificato l’attacco e di aver costruito l’ordigno utilizzato dai terroristi. Tutte le persone coinvolte negli attentati vengono tutt’oggi stipendiate, insieme alle loro famiglie, dall’Autorità Nazionale Palestinese.La decisione dell’amministrazione di intervenire nel processo ha scatenato le critiche sia delle persone coinvolte che di alcuni legislatori statunitensi. La maggior parte dei fondi incassati mensilmente dall’Autorità Nazionale Palestinese sono donazioni provenienti da governi stranieri fra cui gli Stati Uniti con 400 milioni di dollari. Questo perché l’organizzazione guidata da Abbas non può essere propriamente definita un governo: incapace di raccogliere le imposte sul territorio, l’ANP è affetta da tempo da un grave problema di corruzione ai suoi vertici, con funzionari che si arricchiscono tramite i fondi provenienti dai programmi di aiuto internazionali senza che ci sia alcun controllo o trasparenza.Perché allora il governo statunitense dovrebbe salvare un organizzazione corrotta che finanzia il terrorismo contro Israele? La risposta è nel concetto di realpolitik che ha caratterizzato le azioni in politica estera di Obama: non esiste un’alternativa ad ANP e ciò che potrebbe venir fuori da una situazione di caos incontrollato è peggio dell’organizzazione di Abbas. Su questo Obama ha trovato una sponda anche in Israele dove l’idea di una West Bank controllata da gruppi jihadisti simili a Hamas non è decisamente allettante. Meglio allora tenere in piedi l’Autorità Nazionale Palestinese, per quanto cinico possa essere è sempre meglio avere a che fare con un nemico che già si conosce. (foto attentato)
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Obama e i cambiamenti climatici
Posted by fidest press agency su martedì, 4 agosto 2015
Oggi l’EPA – l’Agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti – ha annunciato il piano per ridurre l’inquinamento causato dalle centrali a carbone nel Paese. “Il Clean Power Plan è un importante passo avanti negli sforzi che stanno facendo gli Stati Uniti per affrontare i cambiamenti climatici, ma chiunque abbia seguito i recenti sviluppi scientifici sa che è profondamente inadeguato da solo. Se il governo Obama vuole davvero lasciare un’eredità positiva su questo fronte e un pianeta in cui i nostri figli possano vivere, deve fermare le trivellazioni e l’estrazione dei combustibili fossili di proprietà pubblica e bloccare i pericolosi piani di trivellazioni petrolifere della Shell nell’Artico” afferma Annie Leonard, direttrice esecutiva di Greenpeace Stati Uniti.“Il Presidente Obama ha sottolineato che i bambini chiederanno se “abbiamo fatto tutto quello che potevamo per affrontare questo problema”, ora bisogna che dimostri lo stesso coraggio che la scorsa settimana hanno mostrato tante persone comuni appese per 40 ore a un ponte di Portland oppure in kayak di fronte alla rompighiacci della Shell in procinto di salpare verso l’Artico.Con il Clean Power Plan è chiaro che il Presidente Obama vuole fare sul serio, ma finché non intraprende dei passi affinché la grande maggioranza dei combustibili fossili rimangano sottoterra, come chiedono gli scienziati, la sua eredità è fragile come il ghiaccio dell’Artico.Il Presidente deve usare la sua leadership, infine, non per unirsi agli altri Paesi, ma per incoraggiarli a firmare un accordo legalmente vincolante alla prossima Conferenza sul clima delle Nazioni Unite di Parigi” conclude Leonard.
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“G7: Go for 100% Renewables”
Posted by fidest press agency su lunedì, 8 giugno 2015
Garmisch Partenkirchen, Germany. As the G7 meeting gets underway in Elmau, Greenpeace activists from Germany and Austria early this morning laser-projected a 1000 meter-wide message onto the Zugspitz massif near the summit which read: “G7: Go for 100% renewables!” to demand a global energy transition from world leaders.At the G7-meeting, host Chancellor Merkel has put climate change high on the agenda Monday morning.Greenpeace head of international climate politics, Martin Kaiser, said:“Now is the moment for Merkel to mark the beginning of the end of coal and oil. It is only by the G7 agreeing on their complete phase out of coal and oil by mid-century that she can regain her reputation as the “Climate-Chancellor’.”In 2009, at the G8 summit in Italy the G7, including Russia, had committed themselves to a 80% reduction of greenhouse gas emissions by 2050 from 1990 emissions. Directly before the summit in Elmau, Merkel called on the G7 to contribute to the success of the COP21 global climate agreement happening at the end of the year in Paris.“The only way that Elmau can be seen as a success is when Obama, Abe and Harper show some responsibility to our planet and take their feet off of the throat of a climate agreement. This means an unequivocal commitment and support for competitive renewable energy technologies. Nuclear energy and carbon capture and storage are risky and misleading pipe-dreams if you want a climate-safe future,“ added Kaiser.
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A Sorrento, l’orto degli Obama
Posted by fidest press agency su domenica, 16 Maggio 2010
Dalla A di asparagi alla Z di zucchine passando per lattuga, pomodori, spinaci e ravanelli. Si chiama “L’orto di Michelle” l’ultima novità in fatto di gelati firmata dal pasticciere Antonio Cafiero. Una vera istituzione made in Sorrento che ha appena inaugurato un corner speciale del banco ice-cream del suo locale di corso Italia con bontà ispirate all’orto della Casa Bianca, fortemente voluto nonché curato direttamente da lady Obama. Dopo aver sfornato con successo una sfilza di gelati, non ultimi quelli ai “Fiori di Bach”, che aiuterebbero a ritrovare la perduta armonia, Cafiero stavolta ha pensato di dedicare le sue fresche creazioni a prodotti della terra, biologici e genuini, sulla scia di quelli coltivati da Michelle Obama nel suo orticello. Anche se le chicche griffate “Gelateria Primavera” non finisco qui. Tra gli ice-cream più gettonati del momento figurano, infatti, quello al Provolone del Monaco, prodotto tipico della penisola sorrentina, e quello al gusto pizza Margherita, con pomodoro e fior di latte, adorato soprattutto dai turisti tedeschi. (cafiero)
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President Obama Priorities Next Week
Posted by fidest press agency su sabato, 21 marzo 2009
Washington In his weekly address, President Barack Obama announced that in the coming week, he will highlight the core principles of his budget: cutting the deficit in half by the end of his first term and making investments in long-delayed priorities like energy independence, education and health care reform. Making progress on these critical issues will end the bubble-bust cycle of the past and jumpstart our economy in the short term while laying the groundwork for America’s long-term prosperity.
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New Director of the Office of National Drug
Posted by fidest press agency su mercoledì, 11 marzo 2009
Washington, DC White House Vice President Biden announced today that President Obama will nominate Seattle Police Chief Gil Kerlikowske as the new Director of the Office of National Drug Control Policy. “With escalating violence along our Southwest border and far too many suffering from the disease of addiction here at home, never has it been more important to have a national drug control strategy guided by sound principles of public safety and public health. We must demonstrate to our international partners, the criminal organizations threatening to undermine stability and the rule of law in those nations, and the American people, that we take seriously our responsibility to reduce drug use in the United States. Gil Kerlikowske has the expertise, the experience, and the sound judgment to lead our national efforts against drug trafficking and use, and he will make an excellent addition to my Administration,” said President Obama. “Gil Kerlikowske is recognized both nationally and internationally for his innovative leadership and law enforcement solutions. He brings a lifetime of experience working on drug policy issues. He has worked on the issue at all levels – from the Department of Justice to the front lines as a major city chief. He understands that combating drugs requires a comprehensive approach that includes enforcement, prevention and treatment,” said Vice President Joe Biden. Gil Kerlikowske has been the Chief of Police for Seattle for 9 years where he has been credited publicly with bringing down crime rates to record lows. He is the current president of the Major City Chiefs Association, which is composed of the 56 of the largest enforcement agencies in the United States. He also served as Police Commissioner for the City of Buffalo, where he served until 1998, when he left to become the Deputy Director of the COPS program for the Department of Justice.
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New deal in Usa
Posted by fidest press agency su sabato, 7 marzo 2009
Washington Dc White house President Barack Obama used his weekly address to detail his plans to fix our ailing economy, noting that reforming healthcare is necessary to ensure our long term fiscal health. While ending this crisis will not be quick or easy, the President’s plans will take the swift, bold, and responsible actions needed for the United States to emerge stronger and more prosperous than before. And that is why reforming healthcare, jumpstarting job creation, restoring lending, relieving responsible homeowners, and making hard choices are all so critically important right now
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