E’ stato scritto: “La partecipazione rende le persone forti, competenti, in grado di reclamare la propria voce e produrre cambiamenti che senza di loro sarebbe impossibile immaginare e realizzare”. E se gli italiani, partendo da questo presupposto, non vanno a votare significa che qualcosa non funziona nel nostro sistema e su quello occidentale, nel suo insieme. Se pensiamo ai partiti con i quali oggi interagiamo è evidente che essi stanno mostrando i loro limiti. Manca, innanzitutto, il dialogo con gli elettori, la presa di coscienza delle loro aspettative, la capacità di tradurle in atti concreti. La prima domanda che dovremmo farci è perché siamo arrivati a questo punto? E la risposta appare sin troppo ovvia: vi è troppa demagogia, vi sono troppe promesse che non si possono mantenere, vi sono delle gravi interferenze generate da gruppi di potere che cercano solo i loro interessi partigiani. La loro sete di potere permette loro di fare prosperosi affari a scapito dei più deboli. E così facendo dividono l’umanità tra chi ha e chi è. Tra la ricchezza di pochi senza limiti e la povertà di tanti. E’ così che gioiscono per il discredito delle istituzioni e dei partiti perché in questo modo possono meglio controllare il 30-40% degli elettori relegando gli altri a subire il loro strapotere lasciandoli disertare le urne. Sino ad oggi vi sono stati dei timidi tentativi per stimolare i partiti ad un cambiamento nel rapporto con i loro elettori: lo ha fatto negli anni cinquanta dello scorso secolo “L’uomo qualunque” e nel XXI il Movimento cinque stelle. Entrambi sono diventati, stando alla definizione coniata di recente dal vice presidente della Camera dei deputati Fabio Rampelli, “biodegradabili”. E perché sono nati dalla diffusa volontà di quell’elettorato che ha inteso utilizzarli per scuotere i partiti esistenti verso un processo virtuoso nella gestione della democrazia e del rispetto per i ceti più deboli, per una giustizia sociale autentica e non negoziabile con gli artifici di potere. E’ un incarico a termine ma alla fine sono stati sopraffatti prima ancora che fossero riusciti nel loro intento. La risposta, a questo punto, potrebbe apparire contraddittoria dicendo andiamo tutti a votare. Ma non lo è se sappiamo fare le nostre scelte, se non ci facciamo abbindolare dalle promesse impossibili da realizzare, se scegliamo dal mazzo le persone giuste che ci sono e che gli stessi partiti mettono nelle loro liste ma che hanno poca probabilità d’essere eletti perché poco noti e non sponsorizzati dai media. Se l’elettore alla vigilia del voto si propone di spendere una parte del suo tempo ad analizzare i programmi e la serietà e fattibilità di poterli realizzare e quali benefici possono arrecare al benessere collettivo. In altri termini si richiede una maggiore attenzione e una valutazione più critica da parte dell’elettore. In difetto dovremmo sperare che i pentastellati sopravvivano alla loro “biodegradabilità” mendandosi dei loro errori e soprattutto dalle scelte poco accorte dei loro candidati. Riccardo Alfonso dal Centro studi politici della Fidest)
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La crisi dei partiti e la risposta degli elettori
Posted by fidest press agency su venerdì, 24 giugno 2022
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Quando i partiti ci dicono di voler cambiare tutto
Posted by fidest press agency su mercoledì, 14 agosto 2019
Se volessimo citare il primo uomo che ha soggiogato i suoi simili con la suggestiva proposta di voler cambiare tutto dovremmo tornare all’età della pietra. Da allora ad oggi ne è passata di acqua sotto i ponti ma la barca della speranza e dell’attesa è riuscita a tenere la barra dritta a dispetto delle acque agitate in cui si è trovata. E’ uno strano destino il nostro. Ci accontentiamo dei trenta miseri denari e per guadagnarli non ci facciamo scrupolo di tradire il nostro simile per affidarlo nelle mani del carnefice. Ma perché queste anime pie hanno bisogno di un cambiamento? Perché lo attendono con tanta ansia tanto da illudersi delle parole del primo imbonitore di turno seguendolo docilmente come nella storia del pifferaio di Hamelin? Perché la nostra mente è limitata a tal punto da deprivarsi dalla capacità che dovrebbe essere innata nel discernere il falso dal vero? Forse perché è stata tanta l’attesa e l’amarezza della disillusione che abbiamo finito con l’affidare ai posteri questa lunga attesa non volendo rinunciare a quell’ultimo barlume da un moccolo di candela. E’ che di generazione in generazioni ci prendiamo in carico questa pesante eredità ma finiamo sempre con il vanificarla non riuscendo a fare altro che a rinviarne la soluzione. Se in base a questa premessa ci caliamo nella realtà italiana potremmo spiegare meglio il grado umorale degli elettori da 25 anni a questa parte. E ci sono voluti 25 anni per arrivare a una sola conclusione: le promesse non sono mancate ma è rimasta immutata la logica gattopardesca “del tutto cambiare per nulla cambiare”. Abbiamo avuto persino partiti e movimenti nuovi o partiti che ci hanno fatto credere d’aver cambiato pelle ma hanno finito solo con il fare la fine dei pifferi di montagna che andarono a suonare e furono suonati. Ora è la volta del piffero verde e che dire se non ai posteri: a voi la “facile” sentenza. (Riccardo Alfonso)
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Ddl per eliminare equiparazione partiti-associazioni no profit
Posted by fidest press agency su mercoledì, 20 marzo 2019
“No al giacobinismo della ‘legge spazzacorrotti’ che con le sue norme rischia di mettere in ginocchio il mondo delle associazioni, del volontariato e più in generale il ‘Terzo settore'”. A dirlo è il presidente dei senatori di Fratelli d’Italia, Luca Ciriani, che ha presentato in Senato un disegno di legge di modifica della ‘legge spazzacorrotti’.
In particolare il ddl del presidente di FdI al Senato modifica il punto in cui la legge prevede l’equiparazione ai partiti e ai movimenti politici di tutti quegli enti che abbiano nei propri organi direttivi (presidenti, consigli di amministrazione, consigli direttivi) persone che, nei 10 anni precedenti, abbiano avuto un qualsiasi coinvolgimento con la politica o con la pubblica amministrazione, non soltanto a livello parlamentare ma anche nei consigli comunali (sindaci, assessori o, addirittura, semplici consiglieri) o perfino come nominati in qualità di rappresentante del Comune o della Regione.
“E’ evidente – continua il presidente di FdI Senato – che si tratta di una norma assurda e di difficile applicazione che rischia di coinvolgere un numero infinito di semplici associazioni, che di fatto si troverebbero equiparate ai partiti politici o alle fondazioni. Il tutto con l’effetto di essere assoggettati a pesantissimi obblighi contabili e burocratici ed a assurdi costi aggiuntivi come la certificazione del bilancio da parte di società di revisione esterna, senza considerare i risvolti penali. Tutte novità che potrebbero mettere a serio rischio l’operatività e l’esistenza di queste realtà. Se per esempio il presidente della associazione che si occupa di disabili o anziani è stato dieci anni fa consigliere comunale in un Comune di 1000 abitanti, ecco che quella onlus dovrà assoggettarsi agli stessi vincoli di un partito politico. Demenziale”.
“Il mondo associativo e del volontariato, rappresenta un patrimonio della nostra Nazione, che non può essere messo in pericolo dal cieco furore di chi legifera alla cieca con presunzione e ignoranza e che ritiene che chi abbia prestato servizio nelle Istituzioni sia automaticamente un potenziale corruttore”, conclude il presidente Ciriani.
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Quanto i partiti ci dicono di voler cambiare tutto
Posted by fidest press agency su martedì, 4 settembre 2018
Se volessimo citare il primo uomo che ha soggiogato i suoi simili con la suggestiva proposta di voler cambiare tutto dovremmo tornare all’età della pietra. Da allora ad oggi ne è passata di acqua sotto i ponti ma la barca della speranza e dell’attesa è riuscita a tenere la barra dritta a dispetto delle acque agitate in cui si è trovata. E’ uno strano destino il nostro. Ci accontentiamo dei trenta miseri denari e per guadagnarli non ci facciamo scrupolo di tradire il nostro simile per affidarlo nelle mani del carnefice. Ma perché queste anime pie hanno bisogno di un cambiamento? Perché lo attendono con tanta ansia tanto da illudersi delle parole del primo imbonitore di turno seguendolo docilmente come nella storia del pifferaio di Hamelin? Perché la nostra mente è limitata a tal punto da deprivarsi dalla capacità che dovrebbe essere innata nel discernere il falso dal vero? Forse perché è stata tanta l’attesa e l’amarezza della disillusione che abbiamo finito con l’affidare ai posteri questa lunga attesa non volendo rinunciare a quell’ultimo barlume da un moccolo di candela. E’ che di generazione in generazioni ci prendiamo in carico questa pesante eredità ma finiamo sempre con il vanificarla non riuscendo a fare altro che a rinviarne la soluzione. Se in base a questa premessa ci caliamo nella realtà italiana potremmo spiegare meglio il grado umorale degli elettori da 25 anni a questa parte. E ci sono voluti 25 anni per arrivare a una sola conclusione: le promesse non sono mancate ma è rimasta immutata la logica gattopardesca “del tutto cambiare per nulla cambiare”. Abbiamo avuto persino partiti e movimenti nuovi o partiti che ci hanno fatto credere d’aver cambiato pelle ma hanno finito solo con il fare la fine dei pifferi di montagna che andarono a suonare e furono suonati. Ora è la volta dei pifferi giallo-verdi e che dire se non ai posteri: a voi la “facile” sentenza. (Riccardo Alfonso)
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Un partito che si candida a governare
Posted by fidest press agency su lunedì, 5 marzo 2018
Durante la recente campagna elettorale tre partiti (Fi, lega e P.D.) e un movimento hanno presentato i loro programmi e si sono candidati a governare il Paese. Uno dei quattro (Cinque stelle) lo avrebbe potuto fare solo se il cosiddetto “popolo sovrano” avesse dato loro i numeri per farlo. Non lo ha fatto, se non in parte, finendo con il dividere la torta del consenso popolare in quattro parti per via del voto di coalizione che ha fatto emergere un centro destra unito seppure fortemente diviso al suo interno. Tre di questi avevano l’unico fine d’inseguire la logica del tutto cambiare per nulla cambiare. Il solo movimento cinque stelle aveva espresso la sua chiara volontà di un mutamento radicale del sistema Italia se fosse stato in grado di raggiungere il fatidico 38-39%. Si è fermato al 31% dei consensi. A questo punto cosa resta al M5S da fare se non rendere evidente agli elettori le contraddizioni degli altri e il loro obiettivo di mettersi insieme per perpetuare l’inganno che li ha retti da 20 anni a questa parte? Ora il possibile scenario è quello che il capo dello Stato o affida l’incarico di formare un nuovo governo al centro destra che a sua volta dovrà scegliere come presidente del consiglio incaricato o Tajani o Salvini, o a Cinque stelle e se lo affiderà da subito a quest’ultimo, la mossa sarà percepita come il voler dimostrare che il Movimento non è disponibile ad una possibile intesa con gli altri partiti. In questo modo l’alibi sarà perfetto nel dare l’incarico all’esponente del centro destra e lo stesso Salvini si coprirà il capo di cenere e cederà lo scettro all’uomo di Bruxelles. (Riccardo Alfonso)
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Errare umanum est…
Posted by fidest press agency su sabato, 3 marzo 2018
…perseverare autem diabolicum, et tertia non datur. (Errare è umano, ma perseverare è diabolico, e la terza possibilità non è concessa). E il nostro errare in politica ha, oramai, superato la terza possibilità. La prima volta ha sacrificato la democrazia per seguire la strada della dittatura fascista. La seconda ci ha preso di contropiede con la democrazia acefala di stampo democristiano dove è mancata l’alternativa al governo del paese. La terza perché abbiamo seguito le note suadenti del pifferaio di turno e ancora la quarta con l’attuale governo che andava sin dall’inizio respinto al mittente.
Davvero siamo molto scarsi in storia se negli ultimi novanta anni non siamo riusciti a renderla maestra della nostra vita?
Ma chi sono questi italiani che hanno così poca memoria e continuano a farsi sedurre dalle parole in luogo dei fatti? (Facta non verba).
Se abbiamo saputo coagulare un consenso molto elevato nei confronti dell’attuale governo con le sue improvvide iniziative che stanno mettendo in ginocchio l’intero paese.
Se continuiamo ad essere i “servi sciocchi” dei poteri forti che esprimono elettoralmente non più del 10% dell’elettorato eppure riescono a carpire il consenso della maggioranza assoluta dei cittadini.
Se ci crogioliamo al pensiero di fortificare il dissenso con l’antipolitica e il non voto che si trasformerebbe in un incauto lasciapassare per chi potrebbe meglio esercitare il suo potere perché ogni voto non dato diventa in pratica un consenso a favore di chi non vorremmo. Se ci scandalizziamo alle parole di Grillo sul confronto tra mafia e partiti come se non vi fossero state commistioni tra loro di sapore clientelare, affaristico, di voto di scambio.
Se non riusciamo a vedere il baratro in cui ci caccia inesorabilmente l’attuale governo che ha in pochi giorni umiliato i pensionati, i lavoratori con retribuzioni medio-basse, ma si guarda bene di colpire le grandi rendite e concede salvacondotti miliardari (ben cinquanta miliardi di euro) alle banche. Se non ci convinciamo che esiste in Italia una ricchezza ben tutelata e che l’attuale governo si guarda bene dal scalfirla e che da sola potrebbe risolvere tutti i nostri problemi economici e di pareggio del bilancio pubblico senza togliere il pane di bocca a chi ha solo quello da masticare. Ma allora in che razza di paese ci troviamo? (Riccardo Alfonso)
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Gli italiani e i partiti
Posted by fidest press agency su sabato, 3 marzo 2018
Si racconta che Pietro Nenni soleva dire che se due italiani discutono di politica alla fine nascono due partiti e tre correnti. Di là della battuta qualcosa di vero c’è. Penso, ad esempio, ai tanti partiti che da anni proliferano un po’ ovunque e si moltiplicano man mano che ci avviciniamo alle scadenze elettorali. E ora ci siamo e siamo alla fase finale. Nonostante ciò sembra che siamo incapaci di raccogliere le nostre forze appoggiando coralmente un movimento politico. Ma c’è di peggio. Nel segreto delle urne l’elettore finisce con il ripiegare sul simbolo che pure ha criticato ferocemente e giurato di non esprimergli in avvenire il proprio consenso.
Sembra che prevalga la paura di chi vorrebbe scegliere la strada nuova ma preferisce quella vecchia ritenendola meno imprevedibile.
Se così non fosse Fi, e il Pd dovrebbero scomparire dalla geografia politica dell’Italia per il come si sono comportati e sulle falsità che hanno espresso a partire dai loro leader.
Eppure la soluzione del problema è possibile offrendo al movimento cinque stelle di Beppe Grillo la possibilità di fare da “giustiziere”. Per raggiungere questo risultato dovremmo essere conseguenti con un voto corale. E’ questo il vero punto della questione. In questo caso la logica dei grandi numeri è la sola che potrebbe aprire la porta al diverso se non proprio a una svolta radicale. (Riccardo Alfonso)
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L’imbroglio mediatico
Posted by fidest press agency su giovedì, 7 dicembre 2017
di Pietro Di Muccio de Quattro. Ci fu un tempo, quando i “compagni” d’una volta pretendevano una riparazione non dovuta, che le parole della politica aleggiavano tra le nebbie dell’ambiguità. Per esempio, chiamavano “lottizzazione” la spartizione delle cariche dalle quali erano esclusi (pochissime!). Mentre, se le cariche toccavano anche a loro (quasi sempre!), la stessa spartizione la nobilitavano con il nome di “partecipazione democratica”. Bisogna dire che i comunisti erano esperti nell’uso orwelliano della lingua italiana, ma non erano i soli a storpiarla. La diffusione di una neolingua bolsa ed oscura generò diverse varianti gergali: politichese, sindacalese, burocratese e, tramite esse, l’imbastardimento della formulazione delle leggi e delle regole normative. Questo nuovo idioma allusivo ed oscuro è diventato il mezzo d’espressione del ceto dirigente, che disdegna di parlare e scrivere per farsi capire dagli ultimi, mentre ambisce ad essere considerato, accettato, apprezzato dai simili. Come scrisse Galileo, il nostro più grande scienziato, “parlare oscuramente lo sa fare ognuno, ma chiaro pochissimi”. Era vero allora e più ancora oggi. La verità galileiana bisogna integrarla adesso notando che adoperare molte parole dove ne basterebbero poche è considerata una virtù, tant’è che i logorroici, i prolissi, i verbosi non vengono stigmatizzati ma benevolmente reputati facondi ed eloquenti. Questo carattere linguistico, una vera “sindrome del disprezzo del cittadino”, per quanto deleterio è solo un aspetto dell’imbroglio mediatico, da annoverare tra le cause fondamentali della decadenza politica della Repubblica italiana, passata nel volgere d’una generazione dalla partitocrazia all’oligarchia, entrambe però mitigate dal voto.
È tanto risaputo quanto incontestabile che l’opinione dei cittadini, specialmente in tempo di elezioni, venga determinata pressoché completamente dalla televisione e dalla radio, considerando pure che la cultura del popolo, nonostante la moltiplicazione e la pervasività dei mezzi d’informazione, come la rete, sta ad un livello inqualificabile. Secondo il “Rapporto sullo stato sociale 2017” pubblicato dall’università “La Sapienza” di Roma, il tasso di alfabetizzazione del 70 per cento degl’Italiani adulti è inferiore al grado “minimo e indispensabile per un positivo inserimento nelle dinamiche sociali ed economiche” (sic!). Detto altrimenti, e per doveroso omaggio alla chiarezza invocata da Galileo, circa trenta (30!) milioni di maggiorenni ed elettori non sono in grado di formarsi un’opinione fondata ed esatta sulle questioni politiche ed economiche. In base a che, dunque, votano? Umori, impressioni, inganni, superficialità.
Qui sarebbe insostituibile la radiotelevisione, se non fosse appagata dalla funzione pappagallesca di amplificazione dello sciocchezzaio nazionalpopolare, che, portato ossessivamente agli onori dello schermo domestico, diventa verità familiare. Fateci caso: tutte le trasmissioni d’informazione sono monopolizzate da un gruppetto ben individuato di opinionisti di varia estrazione ed autorevolezza, sempre gli stessi, non più di una quarantina, i quali dibattono da posizioni apparentemente contrapposte e danno solo l’impressione del pluralismo delle idee. La verità invece è che manca quasi sempre la voce che esprima un punto di vista davvero alternativo, quale, per esempio, il punto di vista, minoritario e/o inattuale, che prospetti un’analisi e una soluzione le quali, proprio perché originali e/o controcorrente, fuoriescono dal coro delle voci gradite agli ascoltatori. La Rai in particolare, pagata com’è dai cittadini con una specifica tassa, avrebbe il dovere di coltivare l’esplorazione delle possibilità nuove, la contemplazione delle idee autentiche, l’organizzazione di dibattiti qualificati, la diffusione delle verità scientifiche e dell’autentica cultura politica invece di lisciare il pelo alle futili inclinazioni degli utenti. Divertire, informare, insegnare sono doveri delle radiotelevisioni, che dovrebbero contribuire a smascherare gl’imbrogli anziché concorrere a perpetrarli. Il pluralismo delle voci è una vergognosa impostura quando le voci sono ragli e i soliti vocianti, somari. (fonte: http://www.societalibera.org)
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Politica: la logica di appartenenza
Posted by fidest press agency su lunedì, 9 ottobre 2017
Un altro tema caro ai politici che militano nei partiti è di voler riconoscere nei parlamentari del M5S qualcosa di “familiare”. Taluni dicono, infatti, che hanno una mentalità di “centro destra” e altri no essendo per lo più di “centro sinistra” e così dicendo si consolano pensando di poterli asservire, prima o poi, alla loro causa. A questo punto è forse noioso ripetere le stesse cose ma, a volte, è necessario, anche se potrebbe diventare un atto disperato se pensiamo che non ci sia peggiore sordo di chi non vuol sentire. Per anni Grillo ha cavalcato la protesta di quanti sono stati bellamente presi in giro dal nuovo che si prospettava e che diventava regolarmente il vecchio che si perpetuava con le mummie che li rappresentavano. Il cambiamento a questo riguardo non s’identifica più con la logica delle alleanze tra partiti, ma sulle cose da fare, e fare non significa solo dire, ovviamente. Ecco perché in casa Pd dovrebbe prevalere il convincimento che se il programma del M5S è affine al loro ciò che quest’ultimi possono garantire al Paese è un qualcosa che il PD e la stessa Forza italia e alleati non possono più dare: la fiducia. E allora la governabilità esiste e con essa le maggioranze parlamentari qualificate. Si tratta solo di capire il nuovo che si presenta e di saper cogliere il diverso che non significa avere un partito padronale, da una parte, e le confuse anime sull’altra sponda, ma una genuina cultura del cambiamento. Punto e basta. (Riccardo Alfonso)
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Gli italiani e i partiti
Posted by fidest press agency su martedì, 26 settembre 2017
Si racconta che Pietro Nenni soleva dire che se due italiani discutono di politica alla fine nascono due partiti e tre correnti. Di là della battuta qualcosa di vero c’è. Penso, ad esempio, ai tanti partiti che da anni proliferano un po’ ovunque e si moltiplicano man mano che ci avviciniamo alle scadenze elettorali. Sembra che siamo incapaci di raccogliere le nostre forze appoggiando coralmente un movimento politico. Ma c’è di peggio. Nel segreto delle urne l’elettore finisce con il ripiegare sul simbolo che pure ha criticato ferocemente e giurato di non esprimergli in avvenire il proprio consenso.
Sembra che prevalga la paura di chi vorrebbe scegliere la strada nuova ma preferisce quella vecchia ritenendola meno imprevedibile.
Eppure la soluzione del problema è possibile offrendo al movimento cinque stelle di Beppe Grillo la possibilità di fare da “giustiziere”. Per raggiungere questo risultato dovremmo essere conseguenti con un voto corale. E’ questo il vero punto della questione. Ora Grillo ci ha dato una nuova figura: Luigi di Maio ma già le sirene del malaugurio lo danno per perdente per il semplice fatto che è giovane, inesperto, incapace di coagulare intorno a sé una coalizione di esperti qualificati e di spessore internazionale. Eppure due anni fa abbiamo digerito senza battere ciglio un altro inesperto e giovane e abbiamo al riguardo taciuto. Cosa cambia ora? (Riccardo Alfonso)
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La par condicio e le prossime elezioni politiche
Posted by fidest press agency su martedì, 25 luglio 2017
Non mancherà occasione per i partiti di ritornare sull’argomento e invocare a gran voce la sua riforma. Ma in pratica cosa significa? Si tratta di dare maggiore audience nei media ai partiti più rappresentativi sul piano parlamentare e privando di fatto ogni accesso a quelli che non hanno un parlamentare o di nuova formazione. L’impressione che traiamo di primo acchito è che si vogliono privilegiare i partiti esistenti e tra essi le forze più organizzate e capaci di raccogliere consensi disponendo di maggiori risorse economiche. A questo punto dobbiamo anche pensare che i movimenti politici, alla fine pur condizionati dalla legge elettorale che sceglieranno, punteranno sulle candidature più affidabili sul piano dell’ortodossia ed eviteranno quelle “liberali” ovvero meno rispettose della disciplina di partito per quanto possano essere più gradite agli elettori. Se così è dovremmo celebrare un nuovo revival dell’istituto partitico consolidato rispetto alle forze libere e determinare di fatto la tendenza alla concentrazione dei partiti e, in subordine, ad alleanze “strategiche” essenziali per le forze minori, se vogliono sopravvivere. Dovremmo quindi chiederci quale vantaggio ne possiamo trarre nella gestione del potere rappresentativo a livello Parlamentare e di esecutivo nel governo. Probabilmente di forze più coese, più disciplinate. Ma siamo sicuri che così facendo rendiamo un buon servizio alla democrazia della rappresentanza? La verità è che stiamo andando verso un criterio di concentrazioni partitiche sempre più accentuate proprio nella logica del maggioritario che pure si vorrebbe edulcorare o meglio ancora vanificare. Ma se prevale il maggioritario dovremmo appiattirci su tre distinte posizioni e senza sbavature di sorta: due partiti per il grande centro, un altro per la destra ed un altro ancora per la sinistra. E su questa misura il centro potrà giocare la sua parte ora con il partito che si allea con la destra ed ora con la sinistra ma senza dialogare con altre forze minoritarie che possono attraversare l’intero schieramento elettorale. Semplicemente non dovrebbero più esistere. A questo punto sta proprio alla destra come alla sinistra scegliersi il partito unico per farsi rappresentare. Gli altri potranno restare in vita solo come “movimento di opinione” e sperare nella “carità” altrui. Gli italiani, probabilmente, se fossero più consapevoli della partita che si gioca dietro la riforma della par condicio vi presterebbero, senza meno, più attenzione e con loro gli stessi partiti che ne potrebbero trarne giovamento. (Riccardo Alfonso direttore centro studi politici e sociali della Fidest)
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L’Italia del “divide et impera”
Posted by fidest press agency su martedì, 20 giugno 2017
Al riguardo ritengo importante sottolineare un aspetto della vita politica italiana che va esaminato con cura. Mi riferisco al fatto che, a ragione o a torto, noi, come italiani, non facciamo altro che dividerci. Una volta che cerchiamo di accorparci scoppiano i bubboni e si tende a ricominciare daccapo. E’ la vocazione di chi detiene il potere che ci spinge al divide et impera. La nostra logica dovrebbe essere, invece, quella di cercare, sia pure ingoiando qualche rospo, la via per ritrovarci insieme. Proprio oggi sono reduce da una riunione romana dove alcune sigle partitiche e associazioni si sono incontrati per studiare la possibilità di ritrovarsi sotto una sola lista per le prossime politiche. A conti fatti “sulla carta” sono portatori di oltre il 4% dei consensi elettorali (ma non in tutte le circoscrizioni). Questi signori se raggiungessero un accordo soddisfacente potrebbero avere per lo meno una modestra rappresentanza parlamentare mentre marciando divisi farebbero il gioco dei grandi movimenti e raccoglierebbero solo la ben misera soddisfazione di avere, che posso dire?, lo 0,7 o l’1% dei consensi? Parlando, di un’altra formazione politica, penso al partito pensionati. Vi rilevo, ad esempio, la palese contraddizione di aver raccolto a livello nazionale nelle politiche del 2006 l’1% dei consensi a fronte di un “popolo di pensionati” che si avvicina di molto al 20% della sua forza elettorale. E allora mi chiedo: se gli stessi pensionati non votano il loro partito il dividersi ulteriormente nella loro rappresentanza politica, mi appare addirittura tragico-comico. Alla fine resta solo una considerazione da fare: i pensionati o gli invalidi o i precari o gli emarginati in genere hanno una sola possibilità per farsi ascoltare: è quella di dimostrare con i numeri che sono una presenza elettorale che conta. Questo devono capirlo essenzialmente i milioni di pensionati e di precari e di emarginati di tutta Italia, ma devono anche avere la convinzione che questo interesse all’unità non nasconde in qualche modo fini partigiani reconditi e rivalse personali. E’ una lotta politica a 360 gradi. E’ per la nostra sopravvivenza ma, soprattutto, come idea per una società migliore e più solidale. Se partiamo da questa premessa non ho remore per scendere in campo ed offrire tutta la mia collaborazione. (Riccardo Alfonso direttore Centro studi sociali e politici)
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Legge elettorale e “inciuci” partitici
Posted by fidest press agency su sabato, 10 giugno 2017
«Siamo fieri che grazie alla battaglia di Fratelli d’Italia contro le liste bloccate e i parlamentari nominati il M5S sia stato costretto a mettere in discussione la sua posizione di sostegno a questa pessima legge elettorale. Ora chiediamo ai grillini di andare fino in fondo e di dire che se non ci saranno le preferenze non voteranno la legge elettorale, altrimenti significa che stanno continuando a prendere in giro gli italiani.Se la legislatura arriva al termine? Credo che ormai, comunque vada, si andrà a votare in tempi abbastanza rapidi. Il vero tema, però, è un altro: penso che i partiti dicano una cosa ma ne vogliano un’altra. Perchè se Renzi, Salvini e Grillo dichiarano di essere favorevoli alle preferenze e in questa legge elettorale le preferenze non ci sono o sono tutti sotto ricatto di Berlusconi, oppure in realtà non le vogliono ma vogliono le liste bloccate di nominati». È quanto ha dichiarato interpellata dai giornalisti alla Camera il presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, a margine della discussione in aula sulla legge elettorale.
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Antonino Magistro è il presidente del Polo Popolare Italiano (P.P.I.)
Posted by fidest press agency su lunedì, 29 Maggio 2017
Si tratta di una nuova confederazione politica che vede uniti sotto di sé con intenti comuni diversi, Movimenti politici, Associazioni, Sindacati autonomi, piccoli partiti, e la società civile fatta di persone che hanno smesso di riconoscersi nei soliti partiti.
Il P.P.I. vuole essere un movimento che farà passi concreti per realizzare le idee e i progetti dei cittadini quindi nasce con l’intento di restituire al Popolo Italiano la sovranità che gli spetta di diritto. Questo si realizzerà attraverso un lavoro di squadra, con un programma politico condivisibile e condiviso che vuole imparare dagli esempi negativi avuti fin’ora per evitare accuratamente di ripetere gli stessi passi e che si prefigge tali obiettivi da portare avanti con chiarezza in forma coesa ed unanime:
• una politica popolare e sociale che tenga conto dei valori fondanti della Democrazia, con attenzione ai più deboli, anziani, diversamente abili, poveri, donne e giovani;
• una politica chiara che persegue obiettivi utili ai cittadini invece che alle lobby di potere;
• una più equa distribuzione delle risorse, la valorizzazione della meritocrazia, effettiva attenzione ai giovani e agli anziani, alle giovani coppie e alle famiglie naturali;
• una politica semplice, comprensibile e al servizio del cittadino, chiunque esso sia, all’insegna della praticità e della concretezza, frutto dell’esperienza di chi ha operato e opera nelle rispettive realtà politiche, sociali ed economiche, a tutti i livelli.
Per concretizzare tali linee guida la Coalizione Federativa intende raggiungere uno stretto legame con le aree territoriali periferiche nella difesa assoluta delle autonomie decentrate e dell’ambiente, al superamento della contrapposizione destra-sinistra, per aprirsi, senza pregiudiziali, a persone ed idee che condividano e rafforzino princìpi di libertà, autonomia e operosità nell’interesse di tutti. Il fine ultimo sarà quello di affermare un nuovo sistema paese per lo sviluppo delle economie e delle risorse nazionali. L’importante è crederci e nel credere che vi possano essere persone, noinostante gli sfasci provocati dalla cattiva politica e dai politici “faccendieri”, che sappiano restituire alla politica il suo primato nell’interesse della collettività. Per rendere più chiara e ben definita questa linea politica Il P.P.I. organizzerà con Magistro, nel mese di giugno 2017, delle assemblee costituenti nel nord nel centro e nel sud Italia. (By Barbara Oliva in abstract)
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La Rai lottizzata da Renzi?
Posted by fidest press agency su giovedì, 27 aprile 2017
«La convocazione straordinaria del Cda Rai suona come un redde rationem nei confronti del direttore generale, un professionista che avrebbe potuto e dovuto rivoluzionare la Rai emancipandola dai partiti e si è trovato a subire i diktat renziani, dannosi per il pluralismo e mortificanti per lui. Non abbiamo mai risparmiato le nostre critiche ad Antonio Campo Dall’Orto, ma la sinistra non faccia finta di volerlo rimuovere perché ha a cuore il servizio pubblico. L’unica ragione che muove il Pd è chiaramente sostituire Campo Dall’Orto con qualcuno perfino più accondiscendente di lui, per potersi finalmente liberare di programmi che si permettono di fare informazione – pur da sinistra – come “Carta Bianca”, “Report” o addirittura “Gazebo”, e trasformare definitivamente la Rai in un’emittente di regime. Chiedo a Forza Italia, alla Lega, al M5S e a tutte le altre forze politiche di opposizione presenti in Parlamento di essere pienamente consapevoli di quello che sta succedendo. Perché ci avevano promesso che i partiti sarebbero usciti dalla Rai, ma la storia è stata un’altra e il futuro che ci si profila davanti rischia di essere ancor più inquietante». È quanto dichiara il presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni.
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Partiti espressione della gente e non delle lobby
Posted by fidest press agency su mercoledì, 21 settembre 2016
“Ha ragione Parisi, il leader non si autoproclama, né aggiungo, può proclamarsi con regio decreto. Le elezioni primarie sono uno strumento di legittimazione popolare che coinvolge i cittadini nel confronto tra più candidati e più proposte programmatiche. Se il partito di Parisi avesse voluto avrebbe potuto metterle come condizione del naufragato ‘patto del Nazareno’, sottoponendole al controllo delle istituzioni invece che dei partiti”. È quanto dichiara il co-fondatore e capogruppo di Fratelli d’Italia-Alleanza nazionale alla Camera dei deputati Fabio Rampelli.
“Ma il punto è questo – aggiunge Rampelli – si è d’accordo o no a sottoporsi a procedure democratiche? Perché se si smantellano i partiti ritenendoli farraginosi, fino a trasformare i congressi in rare vetrine mediatiche e contestualmente si ostacola la democrazia diretta, significa che si vuole consegnare il potere decisionale a un uomo solo oppure a cordate di potere oppure a tecnocrazie ‘illuminate’ troppi simili a derive totalitarie. È ora che i club esclusivi gettino la maschera”.
“O le scelte vengono ricollocate nei partiti e nei corpi intermedi come strumenti di partecipazione consapevole oppure –osserva – si devono organizzare tutte le istituzioni intorno al principio di democrazia diretta. Altre soluzioni sono semplicemente antidemocratiche e configgono con la nostra costituzione repubblicana. FDI la sua scelta l’ha fatta da tempo e l’ha rinverdita sabato scorso con il primo referendum propositivo realizzato in oltre cento città italiane”.
“I risultati- precisa Rampelli – non sono scientifici, certo, ma indicano un umore diffuso tra gli italiani di cui la politica deve farsi carico. Gli italiani vogliono votare direttamente il presidente della Repubblica, esigono un tetto massimo alle tasse, bocciano la riforma Renzi, sono seccati dai diktat di Bruxelles e disponibili ad abbandonare l’euro, esigono un’inversione di rotta radicale su immigrazione e integralismo islamico. Il governo conosce bene queste tendenze, ma le ignora perché l’intellighenzia rossa da anni ormai è infastidita dal sentimento popolare”.
“La piattaforma da cui ripartire per aggredire il declino- ha concluso- è il ritorno alla sovranità popolare, a partiti espressione della gente e non delle lobby”.
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“Crisi partiti frutto scelte mancate su famiglia?”
Posted by fidest press agency su giovedì, 9 giugno 2016
“Discutere nelle Aule del Parlamento della legge sui partiti, subito dopo questa tormentata ed ambigua elezione amministrativa con risultati ancora oggetto di macchinose interpretazioni, potrebbe sembrare quasi uno scherzo del destino. Perché se una cosa è certa, questa riguarda la profonda crisi dei partiti e la loro difficoltà a ritrovare una identità chiara e semplice, che consenta all’elettore di capire chi sta votando, cosa farà il partito scelto, e in che misura lui potrà far sentire la sua voce sulle scelte del partito che deciderà di appoggiare. Crisi dei partiti dunque e voto di riforma sui partiti: due facce di una stessa medaglia, su cui varrebbe la pena riflettere seriamente. “Lo afferma l’onorevole Paola Binetti di Area popolare, che continua: “Non c’è dubbio che la scure che si è abbattuta sia sul Pd che su Forza Italia, a destra più che a sinistra, perché la destra era più frammentata, riflette anche le posizioni che questi partiti hanno assunto negli ultimi mesi in merito a questioni tutt’altro che irrilevanti e di cui mi piace segnalare almeno due fatti concreti. L’euforia con cui si è votata la legge sulle unioni civili e l’indifferenza con cui si sono affrontati i problemi delle famiglie. L’ostinata attenzione a difendere il diritto delle coppie omosessuali ad avere un figlio sfidando a tutto campo le leggi e i limiti posti dalla natura, e la sostanziale distrazione davanti ai problemi delle famiglie numerose e davanti al desiderio di tante altre famiglie di avere più di un figlio, mentre sono angosciate dalla paura di non poterselo permettere. La rincorsa a calendarizzare la legge sulla liberalizzazione delle droghe e la scarsa volontà di calendarizzare tante altre legge che pure riguardano salute e benessere dei cittadini, come ad esempio la legge sull’azzardo. La totale incapacità di cogliere il messaggio del Family day, con il suo straordinario concorso di popolo, mentre la voce di altre minoranze riusciva a farsi ascoltare e ad ottenere risultati concreti. La tutela appassionata dei diritti individuali di alcuni spinti fino a legittimare semplici desideri in concreti assetti normativi, mentre ben altri diritti come quelli delle persone affette da malattie rare, quelli di anziani e di malati cronici soffrivano tutto il peso di una crisi ormai decennale. Chissà se nell’analisi del voto e dei relativi successi ed insuccessi, qualcuno si soffermerà anche su questi contenuti e si chiederà dove sta il bene delle famiglie italiane che così facilmente può essere assimilato al bene del Paese. Magari provare a fare questa analisi potrebbe essere utile”.
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Alla base della crisi dei partiti c’è l’Europa?
Posted by fidest press agency su mercoledì, 4 Maggio 2016
Roma 17 maggio ore 18 alla School of Government della Luiss Guido Carli di Roma (Via di Villa Emiliani 14) sarà presentato il libro del politologo Peter Mair (1951-2011) “Governare il vuoto. La fine della democrazia dei partiti”, testo considerato da più parti un saggio fondamentale per comprendere l’attuale crisi della politica rappresentativa in Italia e in Europa.
A discutere del libro ci sarà un parterre d’eccezione composto da Mauro Calise, Ilvo Diamanti, Sergio Fabbrini, Leonardo Morlino e Angelo Panebianco, coordinati da Marco Damilano.
Il libro analizza a fondo le ragioni della crisi dei partiti politici e il conseguente emergere del populismo. Secondo Mair, da un lato i partiti hanno perso il loro proverbiale radicamento all’interno della società; dall’altra, in conseguenza di questo, venute meno le funzioni rappresentative dei partiti (funzioni spesso assorbite da altre agenzie) questi ultimi hanno finito per diventare auto-referenziali, focalizzati principalmente sull’efficiente ed efficace gestione della politica. Le funzioni svolte dai partiti, e che ci si aspetta debbano svolgere, sono dunque cambiate passando da una combinazione di ruoli rappresentativi e governativi ad un ruolo quasi esclusivamente governativo. Questo è il passaggio che segna la fine del tradizionale partito di massa.
Il risultato è l’inizio di una nuova forma di democrazia, in cui i cittadini rimangono a casa mentre i partiti vanno a governare.
Ci si trova così di fronte al paradosso: le elezioni e gli altri elementi della democrazia popolare continuano ad essere importanti ma non sono più considerati garanti assoluti della legittimità. Al contrario, l’impressione è che ora le strutture del potere e del processo decisionale necessitino a volte di essere protette dall’azione popolare e dai suoi “input” eccessivi.
È quello che accade all’interno dello spazio politico dell’Unione Europea, una istituzione il cui deficit democratico è sempre più evidente.Ed è proprio sul ruolo giocato dall’UE in questo processo che si basa la grande intuizione di Mair. Secondo Mair lo sviluppo di un processo decisionale a livello europeo (europeizzazione) ha giocato un ruolo cardine nel ridimensionamento della competizione politica tra partiti a livello nazionale (depoliticizzazione). Questo è avvenuto perché da un lato il potere decisionale si è spostato da un livello nazionale a uno sovranazionale nel quale contano le istituzioni non legate ai partiti (la Banca Europea, l’Europol ecc.), dall’altro perché la discussione delle politiche non avviene più tra partiti nazionali ma a livello sovranazionale tra i diversi governi nazionali. Sparisce dunque la dialettica maggioranza/opposizione.
Questa traslazione verso l’alto della funzione decisionale fa sì che se da un lato è in qualche modo garantita la rappresentatività dei cittadini (anche se è difficile comprendere come ciò avvenga in maniera efficace) dall’altra è, di fatto, impedita la possibilità della formazione di una forza di opposizione all’interno del sistema di governo. Ciò favorisce la nascita a livello nazionale di forze populiste euroscettiche se non del tutto antieuropee.
Peter Mair (1951-2011), irlandese, è stato uno dei principali protagonisti della scienza politica contemporanea. Ha insegnato Politica comparata nell’Università di Leiden e presso l’Istituto Universitario Europeo di Fiesole, specializzandosi nello studio dei partiti e dei sistemi di partito, con particolare attenzione alle patologie della rappresentanza democratica come la disaffezione degli elettori dalla politica e la costante avanzata dei populismi. (foto: governare il vuoto)
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Abolizione finanziamento ai partiti
Posted by fidest press agency su sabato, 14 dicembre 2013
Italiano: Matteo Renzi è un politico italiano, attuale sindaco della città di Firenze. (Photo credit: Wikipedia)
“Da oggi i partiti e la politica dovranno cominciare davvero a fare fundraising e la donazione di fondi sarà un nuovo indice per misurare la partecipazione dei cittadini alla vita politica e sociale del Paese”. Questo il commento del Segretario Generale di Competere.EU, Roberto Race e del Senior Fellow del think tank e Presidente del Centro Studi sul Non Profit Raffaele Picilli sull’approvazione del Governo in Consiglio dei Ministri del decreto di abolizione del finanziamento pubblico ai partiti.Il think tank Competere.EU, il pensatoio italiano nato per elaborare e implementare politiche e pratiche per lo sviluppo sostenibile, ha tra le sue aree di interesse proprio il finanziamento ai partiti, il quale viene seguito da un osservatorio con report dedicati.
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