La carenza di personale medico inserito in organico in pianta stabile deriva non solo dalla scarsa e insufficiente pianificazione del reale fabbisogno negli ultimi vent’anni, sia a livello nazionale che regionale, ma anche dal continuo “dissanguamento” del servizio pubblico da parte degli stessi medici, esasperati da condizioni di lavoro pesanti, ulteriormente messi alla prova dalla pandemia, da stipendi inadeguati e non aggiornati, neppure lontanamente paragonabili a quelli dei colleghi di altri stati europei. Se a questo si aggiunge l’inizio dell’attività lavorativa in età non più giovane, e la mancanza di progressione di carriera in quasi tutti gli ambiti lavorativi, ci si rende conto dell’insoddisfazione crescente che ha ormai raggiunto livelli di guardia. Per tutti questi motivi molti lasciano la professione, altri si trasferiscono all’estero, altri ancora abbandonano il ruolo pubblico per lavorare nel privato. Riteniamo, pertanto, che questo eventuale provvedimento non risolva le rilevanti problematiche esistenti, ma rischi fortemente di acuirne ulteriori. Per citarne solo alcune: a) bloccherebbe ulteriormente il fisiologico turn-over del personale medico, già estremamente carente nel nostro Paese, procrastinando l’assunzione di nuovi giovani medici dotati di entusiasmo, freschezza mentale ed energie fisiche per dedicarsi ad un lavoro mentalmente e fisicamente usurante e andando ulteriormente a sguarnire la base della piramide lavorativa che è ciò che nei nostri ospedali garantisce i livelli di assistenza essenziali, facendosi carico del lavoro attivo nei reparti, negli ambulatori e in pronto soccorso e congelando i ruoli apicali già da anni per lo più fuori dalle turnistiche di lavoro assistenziale. In questo contesto plaudiamo e troviamo di grande interesse e visione la proposta di ampliare le stabilizzazioni a medici specializzandi e dipendenti a tempo determinato che al contrario porterebbe linfa vitale, entusiasmo e nuove energie al sistema sanitario nazionale e contribuirebbe a rafforzare, rinnovandola, la base della piramide che svolge il lavoro attivo. b) impedirebbe per i prossimi anni progressioni di carriera nelle fasce di età compresa tra 40-50 anni e oltre, esasperando ulteriormente il senso di frustrazione in atto e spingendo sempre più medici a cercare soluzioni e carriere alternative; c) penalizzerebbe ancora di più le donne medico che non sono adeguatamente rappresentate in posizione apicale nelle generazioni al di sotto dei 70 anni. Soprattutto, nel breve/medio periodo, non risolverebbe le criticità esistenti, tra cui i turni di guardia notturna e festiva che affliggono tutte le strutture pubbliche, da cui la maggior parte dei settantenni sono esonerati da anni. Pertanto, riconoscendo il momento di crisi e la necessità di salvaguardare un sistema sanitario nazionale che non è mai stato così prezioso e fragile come in questo momento storico, suggeriamo alcuni fondamentali correttivi alla proposta: prevedere un’attività che sia esclusiva nel Servizio Sanitario Nazionale, imponendo limiti all’esercizio della libera professione svolta nelle strutture sanitarie pubbliche o extramoenia, data la motivazione “intrinseca” della proposta elaborata per gestire la crisi del personale medico nel SSN; prevedere che i medici ultrasettantenni possano rimanere in servizio attivo lasciando eventuali ruoli di direzione di struttura semplice o complessa (fatte salve le retribuzioni maturate), al fine di non precludere progressioni di carriera dei medici più giovani; utilizzare la permanenza in ruolo anche allo scopo di concorrere all’abbattimento progressivo delle interminabili liste di attesa nel servizio pubblico, prevedendo una collocazione nell’ambito di strutture ambulatoriali relative alla disciplina di appartenenza, anche in sostituzione di ferie, assenze, permessi, ecc; relativamente ai docenti di Medicina e Chirurgia, prevedere che rimangano in servizio solo i docenti il cui SSD rischi la chiusura delle Scuole di Specializzazione per effettiva carenza di Docenti. Questo è quello che chiedono anche i quasi 1.500 medici firmatari di una petizione promossa da Women for Oncology Italy e da Women in Surgery, che non ritengono che la soluzione delle problematiche sanitarie possa essere trovata nel prolungare l’età pensionabile!
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Basta rattoppi al SSN, non sono i medici in pensione che ci salvano
Posted by fidest press agency su martedì, 24 gennaio 2023
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Scuola: Dal 1° gennaio in pensione a 67 anni
Posted by fidest press agency su giovedì, 1 settembre 2022
Se dal 1° gennaio 2023 la Legge Fornero tornerà pienamente in vigore lo Stato avrà sulla coscienza, e dovrà farsene carico anche a livello sanitario, centinaia di migliaia di lavoratori costretti a rimanere in servizio fino a 67 anni convivendo con importanti patologie psico-fisiche: molti di loro appartengono al mondo della scuola. A ricordarlo, supportato da evidenze scientifiche e statistiche, è il sindacato Anief, che chiede ai partiti politici oggi impegnati nella campagna elettorale delle elezioni del 25 settembre di introdurre in cima ai loro programmi la possibilità di mandare in pensione i lavoratori italiani almeno cinque anni prima delle attuali soglie. A partire dalle categorie più esposte al burnout, che dal 2019 l’Ordine Mondiale della Sanità riconosce come sindrome, il cui significato – “bruciato” o “esaurito” – sta ad indicare una sindrome da esaurimento emotivo che può rivelarsi patologico, alla cui base c’è proprio lo stress da lavoro.“Con l’addio a Quota 100 e poi anche alla transitoria Quota 102, il ritorno alla Legge Fornero rappresenta per tantissimi docenti e Ata della scuola un vero incubo – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – perché costringe a rimanere in servizio dopo anche oltre 35 anni di contributi versati ed in presenza di una difficile condizione mentale e fisica: serve una deroga immediata per evitare di ritrovarci non solo con la categoria più vecchia al mondo, ma anche più malata. Occorre introdurre una deroga, che permette di lasciare il lavoro a 63 anni senza penalizzazioni sull’assegno di quiescenza. Non sarebbe, tra l’altro, nemmeno una concessione, perché a quell’età in pensione si va in tutti i Paesi dell’area Ocde”. Per concludere, Pacifico chiede “una ‘finestra’ ad hoc, assieme anche alla conversione gratuita in contributi della formazione universitaria, come pure rivendicato più volte di recente dal presidente dell’Inps Pasquale Tridico”.
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Scuola: In pensione con 750 euro dopo 30 anni di regolare lavoro, per Anief siamo alla follia
Posted by fidest press agency su venerdì, 15 luglio 2022
Non solo alle soglie dei 70 anni: i dipendenti andranno in pensione anche con importi da fame. A confermarlo è stato oggi l’Inps, nel corso del Rapporto annuale: l’istituto nazionale ha detto che per i lavoratori i nati tra il 1965 e il 1980, con 30 anni di contributi versati e un salario di 9 euro lordi l’ora, un lavoratore potrebbe avere una pensione a 65 anni di circa 750 euro. “Siamo alla follia – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – perché per mantenere in verde le casse dello Stato si sta deteriorando il sistema dei diritti basilari previsti dalla Costituzione: prima quello che riguarda il lavoro, con tanti dipendenti, ad esempio nella scuola, costretti a rimanere supplenti malgrado avessero tutti i requisiti per essere immessi in ruolo e l’Unione europea chiede altrettanto per non incappare nell’abuso di contratti a termine. Adesso l’Inps ci dice che dopo decenni di lavoro regolarmente retribuito, con tanto di soldi del dipendente confluiti nelle casse della previdenza nazionale, ci si ritroverà con una pensione appena superiore a quella sociale. Noi non ci stiamo e gridiamo tutto il nostro sdegno: occorre cambiare la legge e introdurre delle deroghe, a partire dalla scuola dove si deve lasciare attorno ai 60 anni di età e senza penalizzazioni”. Il sindacalista ha di recente presentato, come segretario organizzativo Confedir, nel corso del 57° congresso Federspev, la soluzione al problema: “Bisogna introdurre assegni allineati all’inflazione e liquidazione immediata TFS/TFS e anticipo di un anno per le mamme. Inoltre, è indispensabile che per professioni logoranti e con un’alta percentuale di burnout, come i lavoratori di Scuola e Sanità, si riconosca lavoro usurate e quindi l’uscita anticipata attorno ai 60 anni di età senza decurtazioni. C’è urgenza di approvare anche delle deroghe, a partire dal 1° gennaio 2023: ne va di mezzo anche la qualità del servizio pubblico”, ha concluso Pacifico.
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Scuola: Pensione, 10mila domande in meno del 2021
Posted by fidest press agency su giovedì, 14 aprile 2022
La fine di Quota 100, solo parzialmente compensato soltanto per un anno con Quota 102, sta producendo i primi effetti negativi per i lavoratori e “benefici” per le casse dello Stato: nella scuola quest’anno sono state presentate 10mila domande in meno di pensionamento. “Sono troppo poche le domande per le pensioni – afferma il sindacalista – perché Quota 102 e Opzione Donna penalizzano chi lavora a scuola, dove bisogna lavorare 43 anni per avere la pensione, tra l’altro pure ridotta del 35% se si vuole uscire qualche anno prima a 63-64 anni”, ha detto Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief. All’agenzia Teleborsa, il sindacalista ha detto che questo modo di trattare i lavoratori pubblici “è criminale perché si lavora tutta una vita intera ed è scandaloso che questo avvenga nella scuola, dove si è stato registrato il più alto livello di burnout nell’ambito del pubblico impiego”. Pacifico è tornato a chiedere “una finestra” di uscita anticipata dalla scuola senza penalizzazioni.“È a questo – ha continuato il presidente – che punta l’Anief: ad una finestra non penalizzante per il personale della scuola, che vada a svecchiare il personale più vecchio al mondo e, nel contempo, vada a riconoscere il lavoro svolto e gli anni di formazione a partire dal riscatto gratuito degli anni universitari per un titolo che oggi è considerato titolo di accesso a questa professione”. Secondo Anief è sempre più indispensabile permettere il pensionamento a 63 anni per tutti i dipendenti della scuola, includendoli nell’elenco delle professioni gravose che meritano l’anticipo senza tagli all’assegno di pensione: l’incidenza tumorale a fine carriera risulta infatti molto più alta rispetto ad altri comparti pubblici e privati. Come va data la possibilità ai docenti del riscatto gratuito della laurea. Il sindacato, invece, respinge la soluzione prospettata dal Governo di approvare dal 2023 ‘Opzione per tutti’, che come l’anticipo ‘Opzione Donna’ sottrae dall’assegno pensionistico fino al 35-40% che corrispondono a 500-600 euro al mese sottratti illegittimamente a chi ha lavorato per una vita.
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Dopo tanti scandali, il Libor va in pensione
Posted by fidest press agency su mercoledì, 26 gennaio 2022
By Mario Lettieri e Paolo Raimondi. Dal primo gennaio 2022 il London Interbank Offered Rate (Libor), per anni alla base degli scambi di prestiti, è arrivato al capolinea. Lo stesso vale anche per l’Euribor e per altri tassi di riferimento (benchmark). Essi verranno sostituiti da altri benchmark, che dovrebbero essere più affidabili, tra cui: il Sofr (Secured overnight financing rate), tasso di interesse che misura il costo della raccolta di denaro con scadenza a un giorno (overnight) nel mercato «pronti contro termine» dei titoli del Tesoro Usa; il Sonia (Sterling overnight index average), sviluppato dalla Bank of England; il Saron (Swiss average rate overnight), basato su effettivi scambi di mercato in franchi svizzeri. Il nuovo sistema sarà fondato su un insieme di tassi overnight, ritenuti quasi privi di rischio (acronimo: rfr), perché basati su transazioni effettivamente avvenute su un mercato attivo e liquido il giorno precedente. I nuovi tassi si decideranno in conformità a contratti già chiusi e non su stime, su sondaggi tra le banche coinvolte. Di conseguenza, con il nuovo sistema l’ammontare degli interessi da pagare sarà determinato dalla media dei tassi overnight durante il periodo del contratto e non conosciuto in anticipo, come avveniva prima. Com’è noto, il Libor è stato per 45 anni il principale benchmark di riferimento per le transazioni sul mercato interbancario internazionale. A esso erano collegati tutti i tassi applicati ai prodotti bancari, influenzando operazioni finanziarie per circa 800.000 miliardi di dollari. Il Libor era un tasso variabile, calcolato giornalmente dalla British Bankers’ Association sulla media di otto valori forniti da sedici grandi banche. A sua volta, l’Euribor era fissato dalle banche, organizzate nella Federazione bancaria europea. Va rilevato che esso continuerà a operare fino alla metà del 2023 per circa 230.000 miliardi di dollari di contratti esistenti. Il cambiamento è dovuto a ragioni di trasparenza, di correttezza e di migliore controllo, a seguito dei tanti scandali e delle manipolazioni fatte dal 1991. Le banche coinvolte avevano fatto “cartello” e, violando l’antitrust, operavano di comune accordo e fornivano valori giornalieri differenti da quelli veri. Lo scandalo più grande esplose nell’estate del 2012, quando l’inglese Barclays ammise le sue colpe e concordò con le autorità britanniche e statunitensi il pagamento di una multa di 453 milioni di dollari. Molte altre anomalie vennero a galla e coinvolsero le principali banche mondiali. L’Ubs svizzera dovette pagare alle autorità di regolamentazione 1,5 miliardi, la Royal Bank of Scotland 612 milioni, la Deutsche Bank 2,5 miliardi. Anche la Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic), l’organismo federale USA per la garanzia dei depositi bancari, portò in tribunale ben sedici grandi banche internazionali per aver manipolato il Libor, causando ingenti perdite ad alcuni gruppi finanziari americani. Le banche coinvolte, processate e sanzionate, comprendevano le americane Jp Morgan, Citigroup, Bank of America; le europee Ubs, Credit Suisse, Deutsche Bank, Société Générale, Hsbc, Barclays e Royal Bank of Scotland e le asiatiche Bank of Tokyo e Mitsubishi. Simili scandali avvennero anche con l’Euribor. Si certificò che la Barclays manipolò il tasso d’interesse in collaborazione con altri quattro istituti bancari, quali la Deutsche Bank, il Crédit Agricole, la Société Générale e l’Hsbc. Tanto che nel 2013, gli organismi di controllo di Bruxelles multarono un altro gruppo di banche per un totale di 1,7 miliardi di euro. Con il pagamento di una multa, le banche si garantivano che i procedimenti penali fossero chiusi. L’ammissione di colpa e le sanzioni irrogate alle banche diventavano delle “scene teatrali” per l’opinione pubblica. Negli Usa, per esempio, dal punto di vista penale non si applicava il corpus legislativo RICO (Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act), che sancisce che, quando più persone concorrono in un atto criminale, scatta l’accusa di “conspiracy”. La riforma ci sembra valida e più trasparente. E’ il caso, però, di ricordare che spesso “fatta la legge trovato l’inganno”. Speriamo che non sia così. Mario Lettieri già sottosegretario all’Economia e Paolo Raimondi economista.
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Scuola: Con la Legge di Bilancio pensione anticipata per pochi
Posted by fidest press agency su lunedì, 6 dicembre 2021
Un anno di “Quota 102”, l’anticipo concesso solo ai maestri della scuola d’infanzia e primaria, la conferma dell’Opzione donna che ti permette di lasciare il servizio in cambio della pensione poco più che sociale: poi via quasi tutti a 67 anni, come previsto dalla Legge Fornero. È questa la grigia prospettiva contenuta nella manovra di fine anno contro la quale Anief si è opposta ed ha presentato una serie di emendamenti proprio alla Legge di Bilancio 2022, a favore del personale dei comparti Istruzione, Ricerca e Sanità. Tra le richieste del sindacato, figurano l’uscita anticipata a partire dai 61 anni, con 35 anni di contributi, senza decurtazioni e con il calcolo interamente retributivo, diventata sempre più necessaria a seguito della pandemia e del gravoso stress psicofisico che vive il personale. Per Anief occorre equiparare i parametri già previsti per i lavoratori delle forze armate ai dipendenti della scuola; bisogna andare pure a cancellare le vigenti decurtazioni del trattamento retributivo ai fini del finanziamento del TFR ed introdurre nell’Ape Sociale tutta la categoria dei docenti. Riguardo la questione irrisolta dell’Interruzione e recupero del Trattamento di fine rapporto dei dipendenti pubblici TFR, Anief chiede “di garantire la parità di trattamento con i dipendenti del settore privato”, facendo venire meno la “trattenuta del 2,50 % sull’80% della retribuzione lorda, ovvero del 2% sulla retribuzione complessiva annuale, per il finanziamento del Trattamento di fine rapporto”. Dal 2022, scrive ancora il sindacato, questa trattenuta dovrà essere effettuata in base all’articolo 2120 c.c., “con applicazione dell’aliquota del 6,91 per cento”, cancellando in tal modo “le illegittime decurtazioni del proprio trattamento retributivo ai fini del finanziamento del TFR che deve essere a totale carico del datore di lavoro – amministrazione, come per i lavoratori privati dove la “rivalsa del 2,50% a carico dei dipendenti non è praticata”. Infine, Anief chiede di allargare il carattere della gravosità della professione docente a tutti gli ordini di scuola, non fermandosi alla scuola dell’infanzia e primaria, anche perché, si legge nell’emendamento, “i nostri docenti sono i più anziani non solo tra i Paesi sviluppati rispetto all’Europa
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Lavoro: Mura (Pd), edili in pensione con 30 anni contributi
Posted by fidest press agency su lunedì, 15 novembre 2021
“La condizione degli edili deve cambiare radicalmente sotto il profilo della sicurezza e nelle misure previdenziali, collegando finalmente i due temi e permettendo a questi lavoratori di andare in pensione con 30 anni di contributi. Dobbiamo impegnarci spero trasversalmente per dare una risposta all’appello lanciato oggi dai sindacati ma che quasi ogni giorno ci raggiunge quando veniamo a sapere che un muratore spesso anziano è morto o si è ferito cadendo dall’alto”. Lo dichiara la presidente della commissione Lavoro della Camera Romina Mura (Pd) prendendo posizione su temi posti dalla manifestazione promossa a Roma dai sindacati degli edili. “Abbassare da 36 a 30 gli anni di contributi necessari per gli operai dell’edilizia per accedere a 63 anni all’APE sociale – precisa la parlamentare – è la proposta della Commissione Damiano istituita dal ministro Orlando: deve essere la guida che ci indirizza tutti, innanzitutto perché è giusto e poi perché sarebbe un modo per porre finalmente un argine allo stillicidio di infortuni e morti”.
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Tolta la pensione di invalidità a chi lavora
Posted by fidest press agency su domenica, 14 novembre 2021
«Secondo quanto evidenziato dall’Inps tutti gli invalidi civili che hanno un’attività lavorativa, anche piccola o simbolica, si vedranno sopprimere l’assegno di invalidità di 287 euro. Abbiamo apprezzato l’intervento di alcuni ministri che si sono impegnati a risistemare questa delicata faccenda, ma al momento non possiamo far altro che esprimere grande allarme e preoccupazione per l’accanimento così violento nei confronti di persone con invalidità che vorrebbero mantenersi attive. E si tratta solo della modesta somma di 287 euro, una goccia nel mare dei loro bisogni» dichiara Roberto Messina, Presidente di Senior Italia FederAnziani.A seguito della pronuncia della Corte di Cassazione che è intervenuta sul requisito dell’inattività lavorativa, infatti, l’INPS ha fatto sapere in un suo messaggio che l’assegno mensile di assistenza può essere liquidato solo nel caso in cui risulti l’inattività lavorativa del soggetto beneficiario.«Lanciamo un appello al Ministro del Lavoro Andrea Orlando e alla Ministra per la Disabilità Erika Stefani – prosegue Messina – affinché trovino al più presto una soluzione per evitare che ora tante persone con disabilità civile si trovino a dover scegliere tra quel piccolo contributo e un lavoro che consente loro di restare integrati nella società, di sentirsi parte attiva della vita del Paese, di mantenere vive le relazioni con gli altri e dare il loro importante contributo. Insomma, da una parte ci sarebbe l’assegno di neanche trecento euro mensili, e dall’altro la possibilità di svolgere piccoli lavori che possono significare tanto per chi si trova in condizioni di difficoltà economica, ma che soprattutto rappresentano per molti anche un fatto di dignità a cui legittimamente non si vuole rinunciare. Ci aspettiamo, piuttosto, che le risorse del Pnrr siano utilizzate proprio per supportare le persone più fragili, tra cui le persone invalide, con iniziative che migliorino la qualità della loro vita e che sostengano la loro autonomia, di cui il lavoro è una parte importante, a tutte le età. Senior Italia FederAnziani è pronta a incontrare i ministri competenti al fine di essere di sostegno per la risoluzione del problema.»
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Scuola: mezzo milione di docenti in pensione nei prossimi 15 anni
Posted by fidest press agency su lunedì, 29 marzo 2021
Nei tre lustri che ci attendono oltre la metà degli insegnanti lascerà il lavoro per la pensione: lo dice il rapporto della rete Eurydice dal titolo Teachers in Europe: Careers, Development and Well-being. Dallo studio – pubblicato oggi – emerge che l’invecchiamento degli insegnanti interessa più della metà dei sistemi educativi e l’Italia, dove appena il 6,4% di insegnanti ha meno di 35 anni di età (solo la Grecia e il Portogallo fanno peggio), è uno dei paesi dove la tendenza è maggiormente sentita. In media nell’UE tra gli insegnanti con meno di 35 anni più di un terzo lavora con contratti a tempo determinato, ma in Italia la percentuale di precarietà sale al 78%: come in Spagna, Austria e Portogallo, sono addirittura più di due terzi, con contratti brevi e spesso non superiori a un anno (come il caso dell’Italia).Anief reputa che i dati pubblicati oggi costituiscono un ulteriore motivo per introdurre delle regole sul reclutamento adeguate al contesto e moderne, introducendo quindi il doppio canale, le assunzioni dopo 36 mesi e i concorsi riservati, così da favorire il turn over in modo naturale e svecchiare la categoria. “Non possiamo ritrovarci nella spiacevole situazione degli ultimi anni, quando le nuove immissioni in ruolo non hanno nemmeno coperto le cattedre liberate dai pensionamenti – dice Marcello Pacifico, leader Anief -: lo scorso anno si è arrivati al paradosso che a fronte di circa 85 mila assunzioni a tempo indeterminato accordate dal Mef ne sono state poi effettuate meno di 25 mila, mandandone in fumo quindi 60 mila. È anche da questo che deriva il boom di supplenze di quest’anno e che nella prossima estate, se non si attuano le assunzioni per titoli e servizi, potrà solo che aumentare. Così ci ritroveremo col doppio record: i docenti più vecchi e pure i più precari d’Europa. I fondi del Recovery plan possono servire anche a questo”. “Avere più di 50-55 anni significa essere più esposti alle patologie, oltre che allo stesso Covid – dice Marcello Pacifico, presidente Anief -. Riteniamo che sia doveroso quindi procedere all’uscita graduale di questi insegnanti a partire dai 62 anni, ovviamente senza tagli all’assegno di quiescenza, così come si fa con personale delle forze armate. Non è possibile continuare ad ignorare lo stress psicofisico di chi svolge questa professione in tutti gli ordini di scuola, continuando pure a negare il rischio biologico invece riconosciuto ad altri professionisti, ad iniziare da quelli che operano in campo sanitario. Nello stesso tempo – continua Pacifico – per ringiovanire la categoria degli insegnanti è bene che otto docenti under 35 su dieci non siano più assunti con contratti a tempo determinato: è una prerogativa necessaria, da introdurre per via legislativa”.
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Scuola: Chiedono d’andare in pensione 35mila docenti
Posted by fidest press agency su venerdì, 29 gennaio 2021
Ben 35 mila docenti e 10 mila Ata: sono numeri importanti quelli che riguardano i pensionamenti nella scuola, ancora di più perché l’uscita dal mondo del lavoro, per la meritata pensione, sembra destinato a crescere. A proposito dei pensionamenti, l’Anief continua ad avere una posizione inflessibile: il comparto della docenza ed in generale dei dipendenti della scuola non può infatti permettersi di continuare a collocare in pensione i propri dipendenti alle soglie dei 70 anni. L’organizzazione sindacale ritiene, quindi, che sia giunta l’ora di tornare ai parametri sui contributi utili. Il sindacato reputa quindi indispensabili rendere di nuovo attuative le disposizioni normative previgenti all’approvazione della cosiddetta legge Monti-Fornero, in particolare l’articolo 24, della legge 22 dicembre 2011.L’esigenza di svecchiare la docenza scolastica, anche perché l’età media di quella italiana è tra le più alte al mondo, si deve anche al diffuso e gravoso stress psicofisico, unito all’attuale pesante gap generazionale tra personale scolastico e discenti necessita di un’apposita finestra che permetta l’accesso e la decorrenza del trattamento pensionistico di vecchiaia o di anzianità. Ecco perché l’Anief reputa “indispensabile allargare l’attuale finestra di pensione anticipata prevista soltanto per il personale delle forze armate”: è un dato di fatto quello di considerare “gravoso” il lavoro svolto “in tutti gli ordini di scuola”.Il pensionamento anticipato si giustifica anche misurando l’alto stress che comporta l’operare nelle mura scolastiche, oltre che le malattie conseguenti e l’alto rischio biologico. Ecco perché riteniamo che, in attesa di una vera riforma, sarebbe utile agganciare le professionalità della scuola all’Ape Social, non producendo, in tal modo, alcuna decurtazione all’assegna di quiescenza, esattamente così come si applica ai dipendenti statali in divisa. Il concetto che secondo il sindacato deve passare è che i lavoratori della scuola vanno considerati tra le professionalità “fragili”
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Scuola: Stabilite le date per andare in pensione nel 2021
Posted by fidest press agency su martedì, 17 novembre 2020
I docenti e tutto il personale intenzionato ad andare in pensione segni a penna rossa il 7 dicembre, è la data ultima per formulare una serie di domande: la cessazione per dimissioni volontarie dal servizio; la permanenza in servizio per raggiugere il minimo di anni contributivi; la revoca delle istanze già presentate; chi avendo i requisiti per la pensione anticipata (41 anni e 10 mesi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini), e non avendo ancora compiuto il 65° anno di età, chiede la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale con contestuale attribuzione del trattamento pensionistico. La domanda potrà essere formulata avvalendosi di due istanze Polis che saranno attive contemporaneamente. La prima conterrà le tipologie con le domande di cessazione ordinarie: domanda di cessazione con riconoscimento dei requisiti maturati entro il 31 dicembre 2019; domanda di cessazione con riconoscimento dei requisiti maturati entro il 31 dicembre 2021; domanda di cessazione dal servizio in assenza delle condizioni per la maturazione del diritto a pensione; domanda di cessazione dal servizio del personale già trattenuto in servizio negli anni precedenti. La seconda istanza conterrà, esclusivamente la domanda di cessazione dal servizio per raggiungimento dei requisiti previsti dall’art. 14, D.L. 28 gennaio 2019, n. 4 convertito con modificazioni dalla L. 28 marzo 2019, n.26 (quota 100). Qualora fossero presentate entrambe le istanze di dimissioni volontarie finalizzate sia alla pensione anticipata che alla pensione quota cento, quest’ultima verrà considerata in subordine alla prima istanza.I dipendenti devono anche esprimere l’opzione per la cessazione dal servizio, ovvero per la permanenza a tempo pieno, nel caso fossero accertate circostanze ostative alla concessione del part-time (superamento del limite percentuale stabilito o situazioni di esubero nel profilo o propria classe di concorso). Si specifica anche che le domande di trattenimento in servizio per raggiungere il minimo contributivo continuano ad essere presentate in forma cartacea sempre entro il termine del 7 dicembre 2020. Nella circolare del ministero dell’Istruzione si specifica che l’accertamento del diritto al trattamento pensionistico sarà effettuato da parte delle sedi competenti dell’INPS sulla base dei dati presenti sul conto assicurativo individuale ed esclusivamente con riferimento alla tipologia di pensione indicata nelle istanze di cessazione, entro il termine ultimo del 24 maggio 2021.Dopo l’accertamento del diritto, il personale interessato potrà inviare domanda di pensione direttamente all’INPS, esclusivamente attraverso le seguenti modalità: presentazione della domanda on-line accedendo al sito dell’Istituto, previa registrazione; presentazione della domanda tramite Contact Center Integrato (n. 803164); presentazione telematica della domanda attraverso l’assistenza gratuita del Patronato.I Dirigenti Scolastici, il personale docente, educativo ed A.T.A. di ruolo, ivi compresi gli insegnanti di religione utilizzano, esclusivamente, la procedura web POLIS “istanze on line”, relativa alle domande di cessazione, disponibile sul sito internet del Ministero. Al personale in servizio all’estero è consentito presentare l’istanza anche con modalità cartacea. Il personale delle province di Trento, Bolzano ed Aosta, presenta le domande in formato cartaceo direttamente alla sede scolastica di servizio/titolarità, che provvederà ad inoltrarle ai competenti Uffici territoriali.
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L’idea di andare in pensione
Posted by fidest press agency su martedì, 25 agosto 2020
Da molte parti si sollecita l’allungamento dell’età lavorativa di un pensionamento ritardato rispetto al limite oggi stabilito. Io, e lo dico da anni, sono convinto che questo sistema previdenziale come quello assistenziale abbiano fatto il loro tempo e che sia giunto il momento di una loro rivisitazione alla luce di un mutato rapporto esistenziale dettato dalle nuove tecnologie e dalla ricerca scientifica e medica. Cosa potremmo avere in cambio? Un contratto assicurativo decennale di previdenza e assistenza prelevabile sulle retribuzioni dei lavoratori e che consentissero, al suo scadere, una rendita mensile pari al 20% sulla base dell’ultimo stipendio percepito e altrettanto nei decenni successivi. Nello stesso tempo l’assistenza sanitaria da universale dovrebbe trasformarsi in “prevenzione universale” nel senso che ogni persona ha diritto ad avere check-up periodico a prescindere dal suo stato di salute per individuare eventuali malattie asintomatiche. Tutti dotati di un chip dal quale vi sia l’anamnesi del proprio stato di salute, le terapie adottate, i risultati ottenuti, i controlli specialistici effettuati e i farmaci assunti. Nello stesso tempo ognuno sarà chiamato a donare il proprio sangue periodicamente per una banca del sangue personalizzata da utilizzare in caso di necessità o anche da tenere a disposizione per gli usi delle sale operatorie.
Un progetto che ha un suo limite, per via di un nostro deforme concetto mercantilistico, poiché dobbiamo passare dall’idea che l’essere umano non è più un bene economico ma sociale, e quindi talune prestazioni devono restare gratuite poiché se vale il diritto alla vita altrettanto deve valere il diritto a vivere nel migliore dei modi. Per estensione lo stesso concetto vale per l’istruzione, l’avere un’abitazione e un lavoro. È un passaggio concettualmente difficile ma vitale. (Riccardo Alfonso)
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Inps: Reddito e pensione cittadinanza a 2,5 mln di persone
Posted by fidest press agency su mercoledì, 22 gennaio 2020
Secondo i dati Inps, attualmente le famiglie beneficiarie di Reddito e Pensione di cittadinanza sono nel complesso 1.041.462, pari a 2.513.925 persone coinvolte.”Bene, ma non basta. Si è coperto solo il 57,2% delle famiglie povere, pari a 1 milione e 822 mila, e meno del 50% (49,9%) degli individui poveri, pari a 5 mln e 40 persone” afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori. “Inoltre l’importo medio, pari a 493 euro, è insufficiente persino a coprire la soglia di povertà più bassa in assoluto, quella di un single con più di 75 anni che vive in un piccolo comune del Mezzogiorno, pari a 500,01 euro. Figurarsi per la soglia più alta di oltre 2 mln al mese, valida per le famiglie da 5 componenti che vivono in un centro area metropolitana del Nord” conclude Dona.
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Inps: Reddito e pensione cittadinanza a 2,5 mln di persone
Posted by fidest press agency su mercoledì, 22 gennaio 2020
Secondo i dati Inps, attualmente le famiglie beneficiarie di Reddito e Pensione di cittadinanza sono nel complesso 1.041.462, pari a 2.513.925 persone coinvolte.”Bene, ma non basta. Si è coperto solo il 57,2% delle famiglie povere, pari a 1 milione e 822 mila, e meno del 50% (49,9%) degli individui poveri, pari a 5 mln e 40 persone” afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori. “Inoltre l’importo medio, pari a 493 euro, è insufficiente persino a coprire la soglia di povertà più bassa in assoluto, quella di un single con più di 75 anni che vive in un piccolo comune del Mezzogiorno, pari a 500,01 euro. Figurarsi per la soglia più alta di oltre 2 mila euro al mese, valida per le famiglie da 5 componenti che vivono in un centro area metropolitana del Nord” conclude Dona.
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Scuola: Emanata la circolare Miur di cessazione dal servizio del personale scolastico dal 1° settembre 2020
Posted by fidest press agency su lunedì, 16 dicembre 2019
E’ stata emanata la Circolare Miur prot. 50487 condivisa con l’Inps con la quale si forniscono le indicazioni operative per le cessazioni dal servizio dal 1° settembre. Marcello Pacifico (Anief): Non è giusto mandare in pensione a 62 anni con decurtazioni, soprattutto se il lavoro è gravoso, come quello del personale scolastico, anche se non riconosciuto dalla legge: si ribadisce la necessità d’inserire l’insegnamento all’interno dell’Ape social. Le domande di cessazione dal servizio e le revoche delle stesse devono essere presentate entro il 30 dicembre 2019. I dirigenti scolastici, il personale docente, educativo e Ata di ruolo devono utilizzare esclusivamente la procedura web POLIS “istanze on line”, relativa alle domande di cessazione, disponibile sul sito internet del Ministero; nella domanda di cessazione gli interessati devono dichiarare espressamente la volontà di cessare o permanere in servizio una volta che sia verificato dall’Inps il possesso o meno dei requisiti contributivi. Successivamente le domande di pensione devono essere inoltrate all’ente Previdenziale INPS in modalità telematica. Si ricorda che l’accertamento del diritto al trattamento pensionistico sarà effettuato da parte delle sedi competenti dell’INPS sulla base dei dati presenti sul conto assicurativo entro i termini che saranno comunicati con nota congiunta MIUR/INPS. Le domande di trattenimento in servizio continuano a essere presentate in forma cartacea entro il termine del 30 dicembre 2019. Si ricorda che nel 2020 potranno chiedere la permanenza in servizio i soli soggetti che, compiendo 67 anni di età entro il 31 agosto 2020, non siano in possesso di 20 anni di anzianità contributiva entro tale data.I docenti interessati all’Ape sociale o alla pensione anticipata per i lavori gravosi e per i lavoratori precoci potranno, una volta ottenuto il riconoscimento dall’INPS, presentare la domanda di cessazione dal servizio con modalità cartacea, sempre con effetto dal 1° settembre 2020. Con il vigente ordinamento permangono i requisiti contributivi e anagrafici per le pensioni di vecchiaia al compimento dei 67 anni di età; per la pensione anticipata è richiesto il requisito contributivo di 41 anni e 10 mesi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini. È prevista la possibilità di fruire della pensione anticipata “Quota 100” al raggiungimento dei 62 anni di età e almeno 38 anni di contributi. Confermata Opzione donna per chi ha almeno 58 anni di età e 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2018, optando per il calcolo della pensione con sistema interamente contributivo.
Il presidente Pacifico ha dichiarato che “non è giusto mandare in pensione a 62 anni con decurtazioni, soprattutto se il lavoro è gravoso, come quello del personale scolastico, anche se non è considerato tale dalla legge. In realtà, la professione docente è esposta allo stess da lavoro correlato, collegata al burnout e alle conseguenti malattie professionali; perciò l’Anief ribadisce la necessità d’inserire l’insegnamento all’interno dell’Ape social”.
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In Italia sono i Millennial a risparmiare di più per la pensione
Posted by fidest press agency su martedì, 3 dicembre 2019
La pianificazione finanziaria in vista della pensione rappresenta uno dei temi più controversi, anche in ragione delle attuali dinamiche demografiche. Ma quanto mettono da parte gli investitori in vista dell’età post-lavorativa? A quanto pare non abbastanza, stando ai dati emersi dalla ricerca annuale Schroders Global Investor Study 2019*, condotta su oltre 25.000 investitori in 32 Paesi.Infatti, pur essendo generalmente noti per essere dei buoni risparmiatori, gli italiani sono risultati tra gli investitori che risparmiano meno per la pensione. In Italia gli investitori non ancora in pensione accantonano in media il 12,4% del reddito totale, rispetto ad esempio ad austriaci e svizzeri, ai primi posti in classifica, che risparmiano rispettivamente il 21,6% e il 21,3%. La percentuale di risparmio dell’Italia è inferiore anche alla media globale al 15,3% e a quella europea al 14,9%.Tuttavia, risulta incoraggiante lo spaccato a livello generazionale: infatti, nonostante siano ancora in piena età lavorativa e sia maggiore il tempo che li separa dalla pensione, in Italia i Millennial (18-37 anni) sono consapevoli di dover risparmiare di più, in quanto dedicano in media il 14,6% del proprio reddito ai risparmi per la pensione. Fanno seguito la Generazione X (38-50 anni) con l’11,5% e i Baby Boomer (51-70 anni) con il 9,7%. Una tendenza che si conferma anche a livello globale, ma con percentuali medie di risparmio generalmente più elevate e pari al 15,9% per i Millennial, 14,7% per la Generazione X e 13,7% per i Baby Boomer.
Quasi tutti gli investitori italiani non ancora in pensione (91%) riconoscono però che alcuni fattori potrebbero convincerli a risparmiare di più in vista di tale fase. Ad esempio, il 30% di questa fetta di investitori sarebbe propenso ad accantonare più denaro se avesse accesso a maggiori informazioni sulla quantità di risparmi necessari per sostenere lo stile di vita desiderato in pensione. Entrambi i dati sono simili alle medie globali: il 94% degli investitori non ancora in pensione ammette che alcune condizioni potrebbero incentivare maggiori risparmi e il 34% di essi lo farebbe concretamente a fronte di maggiori informazioni sul livello di risparmi di cui avrebbero bisogno per potersi permettere lo stile di vita auspicato dopo il pensionamento.Dallo studio emerge infine che, all’opposto, esistono anche alcuni fattori che influenzano negativamente la propensione degli investitori ad accantonare per la pensione. Ad esempio, il 17% degli italiani (identica la media globale), pur volendo risparmiare, ritiene che i bisogni del momento siano più rilevanti. Tra gli altri bias comportamentali selezionati dai rispondenti, sempre il 17% degli investitori italiani (15% il dato globale) ammette di concedersi degli sfizi nel presente invece di risparmiare per la pensione, mentre il 15% degli investitori italiani si dice fiducioso che i contributi versati dal datore di lavoro saranno sufficienti per la pensione (16% la media globale).
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Riscatto laurea ai fini pensionistici
Posted by fidest press agency su domenica, 29 settembre 2019
Tante sono le spese di cui le famiglie devono tener conto per non sforare il proprio bilancio. Negli ultimi mesi, è entrato a far parte della casistica anche il “riscatto della laurea”. Infatti, dopo l’eliminazione del vincolo dei 45 anni, molte famiglie stanno pensando di riscattare la laurea dei propri figli, in considerazione delle difficoltà che potrebbero incontrare in futuro per il conseguimento della pensione, contribuendo a creare, in tal modo, almeno uno “zoccolo” previdenziale.Ad avviso di Adiconsum, affinché il riscatto della laurea agevolato rappresenti davvero un’opportunità, è necessario che il Governo garantisca che quanto versato ora mantenga il suo valore anche nel futuro. Ad esempio, in parole povere, i 26.000 euro pagati oggi per riscattare la laurea quinquennale devono mantenere il loro valore anche al momento della pensione.Adiconsum, in qualità di gestore del Fondo di prevenzione del sovraindebitamento rivolto alle famiglie in difficoltà, su incarico del Ministero dell’Economia, conosce bene i problemi delle famiglie e sa che molte di queste sarebbero disposte ad indebitarsi, e finanche a sovraindebitarsi, pur di dare un futuro di stabilità previdenziale ai propri figli. A tal proposito, il riscatto della laurea rappresenta una forma di investimento che implica un’educazione finanziaria per valutare se investire o meno i propri soldi.Prima di mettere mano ai propri risparmi o di indebitarsi, consigliamo di verificare con grande attenzione, recandosi presso un patronato, l’effettiva convenienza o meno del riscatto della laurea ai fini pensionistici.
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Scuola: Precari licenziati ad un passo dalla pensione
Posted by fidest press agency su domenica, 29 settembre 2019
Nei giorni della caccia al supplente, per coprire le oltre 100 mila cattedre che gli uffici scolastici territoriali non sono riusciti ad assegnare, si torna a parlare di insegnanti, amministrativi, tecnici e collaboratori scolastici ancora supplenti che al raggiungimento dei 67 anni vengono cancellati dalle graduatorie e collocati forzatamente fuori dalla scuola. È un chiaro abuso, contro il quale Anief combatte da anni trovando sempre più giudici concordi nel mantenere il personale precario in servizio, permettendogli in diversi casi di raggiungere i requisiti minimi per avere l’assegno pensionistico.Marcello Pacifico (Anief): “Secondo il costante orientamento della Corte Costituzionale, conseguire la pensione minima costituisce un bene inviolabile e il ministero dell’Istruzione non può eludere tale principio, con previsioni che discriminano il lavoratore precario rispetto al personale di ruolo, per cui è espressamente prevista la possibilità di permanere in servizio fino al raggiungimento del settantesimo anno di età, se può raggiungere il minimo contributivo ai fini della quiescenza”. I precari che chiedono di rimanere in servizio oltre i limiti pensionistici imposti dalla Legge Fornero possono farlo, a differenza di quanto sostiene il Miur, fino al compimento del 70esimo anno di età. Lo ricorda oggi la rivista “Orizzonte Scuola”, che ha pubblicato un’inchiesta sui diversi casi di lavoratori che chiedono di rimanere fino a 70 anni e che invece si ritrovano forzatamente esclusi dal servizio lavorativo, in diversi casi vedendo sfumare non solo l’agognata immissione nei ruoli dello Stato, ma anche la possibilità di accedere alla pensione.
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Le domande per il reddito e la pensione di cittadinanza
Posted by fidest press agency su mercoledì, 7 agosto 2019
Quelle presentate a luglio sono 896.173 accolte. Lo fa sapere l’Inps. “Solo il 49,19% di chi ne avrebbe diritto e bisogno ha avuto il sostegno del reddito di cittadinanza. Meno del 50% delle famiglie povere assolute, pari, secondo l’Istat, a 1 milione e 822 mila, ha avuto un aiuto da parte dello Stato” afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori. “Il problema della povertà, quindi, è ben lungi dall’essere stato risolto. Ancora 925 mila e 827 famiglie non ha la possibilità di acquisire un paniere di beni e servizi considerato essenziale per uno standard di vita minimamente accettabile. Vergognoso!” conclude Dona.
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Scuola: Insegnanti italiani sempre più anziani, entro dieci anni la metà andrà in pensione
Posted by fidest press agency su sabato, 22 giugno 2019
Lo dice l’Ocse, attraverso l’indagine internazionale sull’insegnamento e l’apprendimento TALIS: l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico invita l’Italia a muoversi per sopperire ai tanti posti, oltre 400 mila, che si andranno a liberare entro due lustri: “Il 48% degli insegnanti in Italia ha 50 anni e più (media OCSE 34%). Ciò significa che l’Italia dovrà rinnovare circa un docente su due nel prossimo decennio”, scrive nella “Nota Paese rivolta all’Italia”, dal quale risulta comunque un giudizio più che positivo del docente medio italiano, sempre aggiornato, collaborativo e al passo con la tecnologia applicata alla didattica. Marcello Pacifico (Anief): “La stima realizzata dall’Ocse sull’alto numero di docenti che entro il 2029 lasceranno la cattedra è un campanello d’allarme che chi governa la scuola non può non sentire: più di 400 mila insegnanti che lasceranno il servizio, alle media di 40 mila l’anno, confermano le nostre previsioni di 300 mila cattedre da coprire con assunzioni entro il prossimo biennio, considerando che ad oggi c’è una carenza di cattedre che supera quota 120 mila. Per farlo, continueremo a dirlo sino all’estremo, non si può prescindere dalla riapertura delle GaE e dal ricorso, all’occorrenza, della seconda fascia d’istituto, visto che in entrambi i casi si tratta di precari selezionati, formati e abilitati”.I docenti italiani hanno un’età media di 49 anni, contro i 44 anni della media nei Paesi OCSE: lo scrive l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, a seguito dell’indagine internazionale sull’insegnamento e l’apprendimento TALIS (Teaching and Learning International Survey) per il 2018 pubblicata in queste ore. Il risultato non sorprende, perché non fa altro che confermare il Conto annuale pubblicato dal Mef, pubblicato in primavera, dal quale è risultato che i nostri insegnanti hanno l’età più avanzata in Europa. Il docente italiano è fortemente collaborativo, quasi sempre frequenta corsi di formazione e aggiornamento almeno una volta l’anno, nella maggior parte dei casi “riferisce di aver spesso calmato studenti problematici” e “valuta abitualmente i progressi dei propri studenti osservandoli e fornendo un feedback immediato”. Inoltre, “l’uso delle TIC per l’insegnamento” è stato incluso nella formazione o istruzione formale” e per due insegnanti su tre quella dell’insegnamento “è stata la prima scelta professionale”.
“Ciò che esce fuori dallo studio Ocse – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – è un profilo di un insegnante italiano attaccato alla professione, che si forma in modo continuo, efficace nell’azione formativa e con un rapporto positivo con i propri alunni. Anche il grado di competenza tecnologica è diventato adeguato alla professione. Un grave problema irrisolto rimane invece quello del ricambio inadeguato di personale. Tanto da detenere la palma del Paese con docenti più avanti negli anni rispetto agli altri Paesi. E non saranno certo i concorsi-lumaca a risolvere la situazione”.
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