A cura di Erin Browne e Emmanuel S. Sharef, Portfolio Manager di PIMCO. L’elevata incertezza sul fronte macroeconomico, una probabile recessione e interessi più alti che rafforzano il potenziale di rendimento sono tutti fattori a favore di uno spostamento dell’allocazione verso l’obbligazionario. Poiché la stretta creditizia riduce la necessità di restrizione monetaria, crediamo che la Federal Reserve (Fed) sia probabilmente vicina alla fine del suo ciclo di rialzi e che manterrà i tassi alti allo scivolare in recessione dell’economia americana. Cosa implica questo per i portafogli? La nostra analisi dei rendimenti storici delle diverse classi di attivo a fronte di mutamenti di politica della Fed offre un’utile cornice di riferimento per il posizionamento dei portafogli sull’orizzonte dei prossimi 12 mesi.Diversi trend potrebbero ridurre la necessità di maggiore restrizione monetaria per domare l’inflazione. La crescita del credito, che stava già rallentando prima del crollo della Silicon Valley Bank, è destinata a decelerare ulteriormente. Le condizioni per la concessione di credito probabilmente verranno inasprite soprattutto dalle banche regionali, colpendo perlopiù le piccole imprese. A sua volta, questo potrebbe incidere negativamente sulla creazione di occupazione visto che le piccole imprese con meno di 500 addetti impiegano quasi la metà della forza lavoro americana (fonte: U.S. Small Business Administration ad agosto 2022). L’inflazione americana, tuttavia, resta tuttora ben al di sopra dell’obiettivo della Fed. Se la Fed terminerà l’attuale ciclo di rialzi con una lunga pausa al picco per domare l’inflazione ostinata o invertirà la rotta avviando un ciclo di riduzione dei tassi quest’anno per sostenere la crescita a fronte della restrizione del credito e di maggiore disinflazione resta un interrogativo cruciale per gli investitori. Le classi di attivo potrebbero infatti avere un andamento molto diverso nei due scenari. Questa analisi storica suggerisce che un contesto recessivo generalmente richiede un posizionamento prudente anche dopo la fine di un ciclo di rialzi dei tassi. Sebbene la media di tutti gli esiti di crescita indichi che l’azionario ha avuto tendenza rialzista dopo il picco dei tassi sui fed funds, è altresì vero che ha avuto la tendenza a registrare correzioni con l’avvicinarsi dell’economia alla recessione.All’interno di queste osservazioni più generali, i risultati sono variati in modo significativo. In un insieme di dati che risalgono sino al 1950, la performance dell’azionario americano (misurata dall’S&P 500) 12 mesi dopo il picco dei tassi ha oscillato fra −41% e +38%. Tra gli anni in cui la Fed ha fatto una pausa, l’azionario ha registrato significativi guadagni nel successivo periodo di 12 mesi nel 2006 e nel 2019 ma nel 1981, quando l’inflazione era alle stelle e si è materializzata una recessione, l’S&P 500 ha registrato flessione mentre i rendimenti obbligazionari sono stati positivi. Abbiamo usato il rendimento del decennale americano come indicatore di performance obbligazionaria in questa figura ma sottolineiamo che la duration americana ha avuto la tendenza a registrare performance apprezzabili sulle diverse porzioni della curva.Riguardo agli specifici settori azionari, quelli difensivi come salute e beni di consumo essenziali tendono a sovraperformare il comparto dei consumi discrezionali e quello informatico nelle pause recessive ma i rendimenti sono negativi per quasi tutti i settori.Considerando il nostro scenario di base di una recessione negli Stati Uniti con pausa della Fed, nonché la gamma di possibili esiti ad ambo gli estremi di questo scenario di base, puntiamo sulle obbligazioni per rafforzare i portafogli. In particolare, preferiamo aggiungere duration di alta qualità a livelli interessanti, soprattutto nelle fasi di storno se riemergeranno timori d’inflazione. I livelli di partenza dei rendimenti storicamente hanno avuto la tendenza a essere validi indicatori dei rendimenti futuri dell’obbligazionario, e i livelli attuali rendono la duration competitiva rispetto ai rendimenti azionari. Se la Fed dovesse essere più rapida nell’inversione di rotta della politica monetaria, la duration potrebbe lo stesso sovraperformare l’azionario, stando alla nostra analisi storica. Nell’azionario manteniamo il sottopeso e adottiamo un approccio prudente, focalizzandoci su titoli di alta qualità con bassa leva, soprattutto quelli di società che possono far crescere gli utili in una contrazione economica. Siamo neutri sull’azionario europeo in quanto la crescita globale in calo, una carenza di downgrade degli EPS e un ciclo di rialzi dei tassi che è indietro rispetto a quello americano potrebbero mettere sotto pressione gli indici europei ciclici e orientati al value. Il Giappone è analogamente denso di settori ciclici e orientati all’esportazione nonché alle prese con ulteriore incertezza derivante dal potenziale venir meno della politica di controllo della curva dei rendimenti da parte della banca centrale nipponica.Guardiamo invece ai mercati emergenti asiatici per opportunità appetibili. In Cina, ad esempio, l’azionario potrebbe distinguersi: resta conveniente, e le revisioni al rialzo degli utili sono state modeste nonostante le prospettive di crescita in miglioramento. Continuiamo a monitorare i punti di svolta nel ciclo dei semiconduttori nel valutare potenziali opportunità in Corea del Sud e a Taiwan.Alla luce delle nostre previsioni macroeconomiche e di mercato, prediligiamo le obbligazioni nell’allocazione di portafoglio per le opportunità che offrono in termini di diversificazione, di preservazione del capitale e di rialzo. Nell’azionario ci manteniamo prudenti in quanto le aspettative sugli utili appaiono troppo elevate e le valutazioni troppo costose.Molto dipenderà dalle decisioni della Federal Reserve e delle relative forze macroeconomiche ma con l’economia che si sposta verso la recessione, l’obbligazionario può aiutare i portafogli a superare le sfide e l’incertezza. (abstract by http://www.verinieassociati.com/)
Posts Tagged ‘pimco’
PIMCO: Pausa o svolta sui tassi? Ripartire dalle obbligazioni
Posted by fidest press agency su martedì, 16 Maggio 2023
Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: obbligazioni, pimco, tassi | Leave a Comment »
PIMCO: La riapertura della Cina e le tensioni commerciali creano opportunità nei mercati emergenti
Posted by fidest press agency su sabato, 6 Maggio 2023
A cura di Pramol Dhawan, Managing Director e Portfolio Manager for Emerging Markets, Lupin Rahman, Executive Vice President e Portfolio Manager, e Carol Liao, China Economist di PIMCO. L’allentamento delle politiche zero-COVID-19 fa ben sperare per l’economia cinese quest’anno, rafforzando un contesto macroeconomico globale già costruttivo per i mercati emergenti. La crescita dei mercati sviluppati è stata più resiliente del previsto, anche se le recenti tensioni nei settori bancario statunitense ed europeo potrebbero aumentare il rischio di una recessione più profonda. Inoltre, l’inflazione headline a livello globale sembra aver raggiunto il suo picco e la Federal Reserve potrebbe essere vicina alla fine del suo ciclo di inasprimento delle politiche. Anche se gli emergenti beneficeranno in generale della ripresa cinese, è probabile che persistano attriti geopolitici e commerciali tra Cina e Stati Uniti. Ciò avrà impatti diversi tra i Paesi emergenti, a causa del riassetto delle relazioni commerciali globali. La ripresa in questo ciclo non sarà come al solito, poiché il motore della crescita cinese dovrebbe passare dagli investimenti ai consumi. Prevediamo un forte slancio nei settori dei viaggi, del turismo, dell’intrattenimento, degli eventi aziendali e della ristorazione, sostenuto dall’eccesso di risparmio delle famiglie. Dalla crisi finanziaria globale del 2008, l’impatto della Cina sulla crescita degli emergenti è aumentato e ha superato quello degli Stati Uniti e dell’Eurozona. Secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale e di J.P. Morgan, un incremento di un punto percentuale della crescita cinese fa salire la crescita degli emergenti di 0,2-0,4 punti percentuali. Sebbene si tratti di una stima eccessiva per questo ciclo, data la minore propensione marginale della Cina a consumare beni dei mercati emergenti anziché servizi, dovrebbe comunque essere di supporto alla crescita degli emergenti. In generale, i mercati emergenti dovrebbero beneficiare dell’impatto indiretto sulla crescita globale e sul sentiment dei mercati, con la potenzialità di compensare l’ostacolo ciclico di un rallentamento atteso nei mercati sviluppati.Inoltre, poiché gli investimenti in uscita verso la Cina potrebbero essere il prossimo bersaglio delle restrizioni statunitensi, le multinazionali americane stanno già cercando di delocalizzare le catene di fornitura fuori dalla Cina, in particolare per le esportazioni destinate agli Stati Uniti e per quelle specifiche del settore tecnologico. Paesi come la Malesia e l’India sono potenzialmente in grado di beneficiare di queste tendenze a lungo termine verso il nearshoring della tecnologia da parte degli Stati Uniti. Entrambi i Paesi hanno già settori tecnologici competitivi, con capitale umano qualificato e infrastrutture da espandere ulteriormente.Le tendenze a medio termine della catena di approvvigionamento cinese stanno influenzando gli emergenti in modi diversi. Tra questi, lo spostamento della produzione a valle verso produttori regionali a basso costo come Vietnam e Bangladesh. Gli investimenti diretti cinesi verso la regione sono aumentati notevolmente, così come le esportazioni cinesi verso la regione rispetto al resto del mondo (cfr. Figura 2). Sul versante a monte della catena, in particolare nei flussi commerciali legati alla tecnologia, Taiwan ha guadagnato quote rispetto a Corea e Giappone, potenzialmente a causa di considerazioni geopolitiche e di costo. A lungo termine, riteniamo che queste tendenze continueranno. Gli esportatori cinesi cercheranno probabilmente di esplorare nuovi mercati nei Paesi in via di sviluppo e nei Paesi emergenti, cercando di mitigare l’impatto delle restrizioni statunitensi. Detto questo, riteniamo che, dato il significativo squilibrio commerciale con gli Stati Uniti e l’ampio divario nei mercati tecnologici e finanziari, è improbabile che la Cina adotti misure di ritorsione sostanziali contro gli Stati Uniti. Inoltre, come gli Stati Uniti, la Cina continuerà probabilmente a espandere la propria influenza globale e a cercare cooperazione con possibili alleati. Le nostre prospettive cicliche per gli emergenti sono costruttive, in quanto la riapertura della Cina li favorisce in maniera spropositata e la Fed sembra vicina alla fine del ciclo di rialzo dei tassi. I vantaggi di diversificazione e di rendimento degli emergenti rispetto ai mercati core dovrebbero persistere. Riteniamo che un modo per cercare opportunità derivanti dagli effetti della riapertura della Cina sugli emergenti sia quello di considerare le valute asiatiche come il baht thailandese e il won coreano. PIMCO ritiene che il dollaro, che si è deprezzato dopo aver toccato il picco di 20 anni lo scorso settembre, probabilmente scenderà ulteriormente nel 2023 con il ridursi dell’inflazione, l’aumento dei rischi di recessione e l’attenuarsi di altri shock. Alcune esposizioni selezionate nel debito locale degli emergenti (denominato in valuta locale), come in Brasile e Messico, possono offrire elevati rendimenti reali relativi, che appaiono interessanti data la fase dell’attuale ciclo economico e dei tassi. Vediamo anche opportunità nel debito in valuta forte di Paesi selezionati di alta qualità che possono beneficiare delle tendenze al nearshoring, oltre che i Paesi che possono essere meno esposti ai relativi rischi di ribasso. (abstract by http://www.verinieassociati.com
Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: emergenti, mercati, pimco | Leave a Comment »
PIMCO: Commento in vista del meeting della FED
Posted by fidest press agency su giovedì, 4 Maggio 2023
A cura di Tiffany Wilding, North American Economist di PIMCO. – La Federal Reserve rilascerà una nuova dichiarazione mercoledì alle 20:00. Ci aspettiamo un aumento di 25 punti base dei tassi di interesse; al contempo, ci attendiamo che la Fed lasci intendere una pausa da ulteriori rialzi dei tassi, dati permettendo. – Riteniamo che la Fed possa fare ciò cambiando la forward guidance passando da “qualche politica aggiuntiva di consolidamento” a qualcosa del tipo “politiche aggiuntive di consolidamento”, che le consentirebbe di dare un segnale di pausa pur mantenendo un orientamento all’inasprimento. Riteniamo che il presidente Powell dovrà trovare un difficile equilibrio durante la conferenza stampa, ma alla fine ci aspettiamo che appaia come una “pausa da falco”. Le ricadute dello stress del settore bancario sono incerte, mentre l’inflazione e i salari si sono dimostrati persistenti dopo la riunione del Federal Open Market Committee (FOMC) di marzo. Il risultato è che il comitato è più diviso sulla prossima mossa della Fed di quanto non lo sia stato in diversi trimestri. A nostro avviso, per avere il tempo di valutare l’impatto, il compromesso più probabile è prepararsi a una pausa, condizionata però dai dati in arrivo e mantenendo una maggiore propensione al rialzo per la prossima mossa dell’istituto centrale.
Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: fed, meeting, pimco | Leave a Comment »
PIMCO: BCE, ancora un po’ di strada da fare
Posted by fidest press agency su mercoledì, 3 Maggio 2023
A cura di Konstantin Veit, Portfolio Manager di PIMCO. Le pressioni di fondo sui prezzi rimangono costanti: l’inflazione core dell’area euro ha raggiunto un nuovo massimo al 5,7% a marzo. Prevediamo che la Banca Centrale Europea aumenterà i tassi di interesse di 25 punti base nella riunione di maggio e, come a marzo, si asterrà dal comunicare aspettative senza riserve sul futuro andamento dei tassi di interesse. Anche se la BCE potrebbe rivelare già a maggio il proprio piano di reinvestimento del programma di acquisto di asset (APP) a partire da luglio, pensiamo che questa decisione sarà presa piuttosto a giugno.
Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: bce, pimco | Leave a Comment »
PIMCO: Dibattito sul tetto del debito USA: analisi dei rischi per la data X
Posted by fidest press agency su domenica, 30 aprile 2023
A cura di Libby Cantrill, Managing Director, Public Policy, Jerome Schneider, Portfolio Manager e Tiffany Wilding, US Economist di PIMCO. Un accordo sul tetto del debito rimane il nostro scenario base – con probabilità elevate – il che significa che, sebbene sia possibile un default tecnico (come accade ogni volta che il Congresso è obbligato ad aumentare il tetto del debito del Paese), riteniamo che tale esito catastrofico sarà evitato proprio perché il default sarebbe catastrofico, non solo per i mercati e l’economia, ma anche a livello politico.Anche se siamo fiduciosi che una risoluzione avverrà prima della scadenza del tetto del debito, i tempi e la modalità sono ancora da vedere. Se il passato è prologo, crediamo che ciò avverrà il più tardi possibile, ma prima che sia troppo tardi, e solo dopo un braccio di ferro.I probabili dettagli di un accordo potrebbero consistere in 1) sospensione o innalzamento totale del tetto del debito, idealmente in modo da spostare la prossima scadenza oltre le elezioni del novembre 2024; 2) l’inclusione di una qualche forma di revisione alla legge sulle autorizzazioni energetiche che il Presidente Biden ha sostenuto l’anno scorso – ma che non è mai stata presentata – che aiuterebbe anche il senatore democratico più vulnerabile, Joe Manchin, che è in corsa per la rielezione nel 2024; 3) il recupero dei fondi destinati alla pandemia da COVID-19 non utilizzati; e 4) l’eventuale creazione di una commissione sul debito per esaminare le parti più complesse e rilevanti del crescente debito degli Stati Uniti, vale a dire i diritti civili. Potrebbero essere in discussione anche il ripristino del credito d’imposta per la ricerca e lo sviluppo o l’imposizione di tetti alla spesa. Anche se riteniamo molto improbabile un default del debito statunitense, se questo dovesse verificarsi, i pagamenti degli interessi e delle scadenze potrebbero subire ritardi. Sebbene siano circolate voci secondo cui il Tesoro potrebbe dare priorità ai pagamenti dei titoli obbligazionari rispetto ad altri esborsi, come ad esempio la previdenza sociale, il Tesoro non ha confermato pubblicamente questa eventualità e ci sono dubbi sulla sua capacità operativa di farlo.Data la struttura a sconto dei T-bill (sono emessi a un prezzo scontato e scadono alla pari), è probabile che agli investitori in T-bill non vengano pagati in tempo gli interessi maturati a causa dei pagamenti ritardati rispetto alle scadenze, e i rendimenti netti impliciti sarebbero inferiori a quelli originariamente previsti. Poiché le scadenze dei T-bill sono tipicamente una parte importante delle strategie di gestione della liquidità di individui e aziende, un pagamento ritardato potrebbe avere effetti a cascata su altri pagamenti del settore privato.Certo, in caso di default tecnico, la Federal Reserve potrebbe tentare di intervenire, acquistando i T-bill in default e scambiando il collaterale buono con quello cattivo. Tuttavia, la Fed non sarebbe in grado di rimediare all’ampio deficit fiscale se il Tesoro smettesse di assolvere alle spese per la previdenza sociale e altri pagamenti, che ammontano a oltre 100 miliardi di dollari al mese. Anche in questo caso, non ci aspettiamo un default, ma una risoluzione che avverrà il più tardi possibile, ma prima che sia troppo tardi, e molto probabilmente si assisterà a una certa volatilità del mercato prima di tale evento. Ad esempio, negli ultimi dodici anni la performance media dell’S&P 500 da massimo a minimo nel mese precedente la risoluzione del tetto del debito è stata di circa -6,5%, anche se in parte è stata determinata da altri fattori, tra cui la crisi del debito europeo nel 2011. Sebbene la performance del mercato azionario abbia solitamente ritracciato dopo una risoluzione, potremmo comunque assistere a un impatto persistente sui mercati anche dopo un accordo sul tetto del debito.Infine, suggeriamo agli investitori di tenere d’occhio i costi e le condizioni della liquidità anche dopo un accordo sul tetto del debito. Il Tesoro cercherà probabilmente di ricostituire le sue riserve di cassa, che continueranno ad essere usate in previsione della data X, e dovremmo aspettarci che l’offerta di T-bill aumenti in modo sostanziale – forse di 1.000 miliardi di dollari o più – dopo un accordo. Questa significativa emissione toglierà dal mercato la liquidità in eccesso prima della fine dell’anno. Anche se una parte ragionevole di questa liquidità sarà compensata da una riduzione del saldo RRP della Fed, potrebbero esserci implicazioni per i costi più ampi di finanziamento e liquidità nei mercati dei capitali.
Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: debito, pimco, usa | Leave a Comment »
PIMCO: Commento a seguito del rapporto sul PIL USA
Posted by fidest press agency su sabato, 29 aprile 2023
A cura di Tiffany Wilding, US Economist di PIMCO. Cosa è successo? Il Prodotto Interno Lordo (PIL) reale del primo trimestre degli Stati Uniti ha deluso le aspettative, a causa di una diminuzione delle scorte superiore al previsto e di un’inflazione leggermente più elevata. Il PIL reale è cresciuto dell’1,1% trimestre su trimestre su base annua destagionalizzata (q/q saar), deludendo le aspettative e risultando significativamente inferiore alle stime di monitoraggio del PIL di inizio trimestre. La domanda interna finale per l’intero trimestre si è attestata al 2,4% q/q saar, ma gran parte di questo dato sembra essere dovuto a una domanda più forte in gennaio ed è stato compensato da una sorprendente debolezza nel quarto trimestre, suggerendo alcune distorsioni stagionali residue. Al di là dei fattori di disturbo, sembra che la domanda interna privata si aggiri intorno all’1%, con uno slancio che si è affievolito con l’avanzare del trimestre. Osserveremo i dettagli nell’andamento sequenziale mensile del rapporto di oggi sulle spese per consumi personali (PCE); tuttavia, nel complesso riteniamo che il rapporto sul PIL di ieri sia coerente con l’affievolimento dell’economia dopo un forte inizio dell’anno. Cosa dobbiamo aspettarci? Sebbene l’economia statunitense sia partita con forza all’inizio del 2023, lo slancio sembra essersi affievolito alla fine del trimestre. Ciò, insieme agli ulteriori venti contrari derivanti dalle tensioni nel settore bancario, fa sì che le nostre previsioni sul PIL reale del 2023 si attestino allo 0% nel quarto trimestre rispetto al quarto trimestre 2022 (Q4/Q4). Tuttavia, il percorso verso una modesta recessione sarà probabilmente volatile. Il sorprendente calo delle scorte nel 1° trimestre ha innalzato meccanicamente la nostra previsione per il 2° trimestre all’1,2% q/q saar, nonostante la nostra aspettativa di una decelerazione della domanda interna finale privata a circa lo 0,7% q/q saar nel 2° trimestre rispetto al 2,9% q/q saar nel 1° trimestre. In conclusione, il rapporto non ha modificato le nostre previsioni di una lieve recessione a partire dalla fine dell’anno.
Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: pil, pimco, rapporto, usa | Leave a Comment »
PIMCO: Riunioni di primavera della Banca Mondiale e del FMI, dibattiti accesi e scarso consenso
Posted by fidest press agency su venerdì, 21 aprile 2023
A cura di Allison Boxer, Economist di PIMCO. Rispetto alle riunioni autunnali del FMI di ottobre, ad aprile l’umore generale degli investitori e le autorità di politica monetaria è stato un po’ più sereno: i timori di un’imminente recessione in Europa sono apparsi ridotti e le prospettive sulla crescita cinese decisamente interessanti. Tuttavia, la politica monetaria restrittiva nei mercati sviluppati e le recenti tensioni nel settore bancario hanno dato nuovi spunti di discussione. Nel complesso, è emerso un disaccordo sulla tempistica e sull’entità di diverse controtendenze. Ecco i principali punti di una settimana densa di riunioni della Banca Mondiale e del FMI: La politica monetaria incide: quanto e quando? Il Fondo Monetario Internazionale ha pubblicato delle previsioni ancora tetre, prevedendo una crescita globale del 3% per il 2023, l’andamento più lento dal 1990. Non sorprende che molti dibattiti siano stati incentrati sulle prospettive per gli Stati Uniti, con un forte disaccordo sull’eventuale impatto economico dell’aumento di 5 punti percentuali del tasso sui fed funds. Molti ritengono che i fallimenti delle banche regionali siano sintomatici di una politica monetaria più restrittiva e di tassi più elevati; tuttavia, c’è disaccordo sul fatto che i fallimenti siano casi isolati o forieri di ulteriori tensioni nel settore bancario. Ci si aspetta una vigilanza bancaria più severa. Tuttavia, molti membri hanno concordato sul fatto che una chiara conseguenza dei fallimenti bancari sarà l’aumento dei controlli di vigilanza. Il secolare incontra il ciclico: c’è molto fermento intorno all’IRA. Sono state organizzate diverse sessioni del FMI sulla transizione energetica dalla brown alla green economy, sull’importanza degli investimenti nelle infrastrutture e sul cambiamento del panorama del commercio globale, tutte questioni importanti sia a breve che a lungo termine. Timori di passi falsi. Molti membri hanno espresso preoccupazione per i potenziali errori politici, in particolare per quanto riguarda l’imminente decisione relativa al tetto sul debito statunitense. Un importante economista repubblicano ha assegnato il 35% di probabilità a uno scenario di default tecnico. Anche se altri hanno sostenuto che il default non è nell’interesse politico di nessun partito, la preoccupazione è stata generalmente elevata, soprattutto tra i gestori di portafoglio non focalizzati sugli USA. Diversi investitori dei mercati emergenti hanno osservato che l’incertezza sul tetto al debito e le ripercussioni della crisi delle banche regionali hanno fatto sì che le riunioni sembrassero più simili a una conferenza sugli Stati Uniti, mettendo in secondo piano le peculiarità delle economie dei mercati emergenti.In conclusione: Ciò che ci sembra chiaro dalle riunioni di primavera della Banca Mondiale e del FMI è che gli investitori e i policymaker faticano a comprendere le implicazioni economiche e politiche delle diverse controtendenze: un inizio di 2023 solido, offuscato da una politica monetaria restrittiva, fallimenti bancari e un’inflazione ancora elevata. Con un forte disaccordo e poche certezze, queste riunioni potrebbero non essere il volano di picchi e inversioni direzionali del mercato, come invece è talvolta accaduto in passato. (abstract by http://www.verinieassociati.com/
Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: banca mondiale, fmi, pimco | Leave a Comment »
PIMCO: La Fed guarda più alla persistente inflazione rispetto allo stress del sistema bancario
Posted by fidest press agency su sabato, 25 marzo 2023
Tiffany Wilding, North American Economist e Allison Boxer, Economist di PIMCO. Nel corso della riunione di marzo, la Federal Reserve ha aumentato il tasso di riferimento di 25 punti base, segnalando al contempo una prospettiva più cauta, in quanto i funzionari sono alle prese con le recenti tensioni nel settore bancario e con un’inflazione ancora elevata. Il comunicato della Fed premette infatti che “i recenti sviluppi potrebbero comportare un inasprimento delle condizioni di credito per le famiglie e le imprese e pesare sull’attività economica, sulle assunzioni e sull’inflazione”. I funzionari della Fed hanno anche avvisato che potrebbero rimanere in attesa dopo questo rialzo, affermando che un ulteriore irrigidimento della politica “potrebbe” essere appropriato, anziché “sarà” appropriato come affermato nella precedente dichiarazione di febbraio.In linea di massima, riteniamo che le tensioni nel settore bancario rallenteranno l’attività economica, la domanda e infine l’inflazione, rendendo necessario un minore intervento della Fed per inasprire sufficientemente le condizioni finanziarie. Di conseguenza, la Fed si è probabilmente avvicinata alla fine del ciclo di rialzi. Tuttavia, notiamo che mantenere la politica a livelli restrittivi è diverso dall’avviare il processo di normalizzazione o addirittura di allentamento della politica. Infatti, i tempi e la velocità di un eventuale ciclo di riduzione dei tassi dipenderanno dall’evoluzione dell’inflazione e dei rischi per la stabilità finanziaria nel tempo.Lo scenario economico si è modificato in modo rapido e significativo nelle settimane e nei giorni precedenti la riunione della Fed di marzo. Dopo che la Fed ha rallentato il ritmo dei rialzi dei tassi nella precedente riunione (con un rialzo di 25 punti base), i dati sull’attività economica di febbraio e marzo hanno indicato una crescita più solida del previsto. In primo luogo, i dati sull’inflazione del quarto trimestre, che in precedenza mostravano una moderazione più pronunciata del tasso di inflazione statunitense, sono stati rivisti al rialzo. In secondo luogo, l’economia statunitense ha continuato ad aggiungere posti di lavoro a un ritmo ben superiore al trend, con oltre 800.000 posti solo nei primi due mesi dell’anno.Di fronte a queste sfide contrastanti, la Fed ha aumentato il tasso sui fed funds di 25 punti base, ma ha anche segnalato cautela e dipendenza dai dati in un contesto di elevata incertezza. È stata eliminata la forward guidance che prevedeva rialzi dei tassi “continui”, mentre il presidente Powell ha sottolineato che non si prevedono più rialzi continui, ma che invece “potrebbero” essere necessari.I funzionari della Fed hanno inoltre apportato modifiche minime al dot plot e alle proiezioni economiche, riflettendo l’accresciuta incertezza e i vari fattori che offuscano le prospettive. Durante la conferenza stampa, il presidente Powell ha sottolineato la capacità di ripresa del sistema bancario statunitense, ma ha anche ammesso che i funzionari della Fed monitoreranno attentamente la misura in cui i recenti sviluppi inaspriscono le condizioni del credito, il che potrebbe contribuire a compensare la necessità di ulteriori rialzi dei tassi.Sebbene i fallimenti di SVB e Signature Bank a marzo possano rivelarsi in ultima analisi casi isolati, riteniamo probabile che portino a un rallentamento della crescita del credito nell’economia in generale, nonostante le misure adottate dai politici per sostenere il settore bancario. Non è obbligatoriamente necessario un evento di deleveraging massiccio e sistemico (come abbiamo visto nel 2008) perché l’economia cada in recessione; il rallentamento della crescita del credito può da solo rappresentare un significativo vento contrario alla crescita del PIL. Nel corso del tempo, riteniamo che le sfide contrastanti che i funzionari della Fed hanno affrontato nella riunione di marzo finiranno per far pendere l’ago della bilancia verso una crescita più debole e un’inflazione con il tempo più bassa. Infatti, i tempi e la velocità di un eventuale ciclo di riduzione dei tassi dipenderanno probabilmente dalla rapidità con cui l’economia reale risponderà alla recente stretta. (abstract) Fonte: http://www.verinieassociati.com
Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: bancario, pimco, sistema | Leave a Comment »
PIMCO: Le tensioni nelle banche regionali accendono i riflettori sulla gestione della liquidità
Posted by fidest press agency su lunedì, 20 marzo 2023
A cura di Jerome Schneider, Portfolio Manager di PIMCO. Le difficoltà che hanno coinvolto alcune banche regionali hanno messo a dura prova i mercati finanziari, in quanto investitori e depositanti sono stati costretti a riflettere sull’effettiva sicurezza dei conti bancari. Come nelle crisi passate, i policymaker statunitensi stanno intervenendo per fornire soluzioni alle banche che si trovano improvvisamente ad affrontare un’ondata inaspettata di prelievi. La situazione potrebbe complicare la lotta della Federal Reserve all’inflazione. I funzionari devono ora bilanciare qualsiasi iniziativa legata ad un ulteriore inasprimento delle politiche con gli sforzi per minimizzare la volatilità del mercato e preservare la fiducia degli investitori. La Fed cercherà di fornire liquidità, sia in termini di conti individuali che di condizioni finanziarie.I rapidi sviluppi hanno portato a un cambiamento nel sentiment degli investitori. In precedenza, i segnali di un’inflazione persistente avevano indotto i mercati a rivedere al rialzo le aspettative sul tasso di riferimento terminale della Fed. Con l’emergere dei rischi legati alle banche regionali, i mercati hanno ricalibrato le aspettative sui tassi di interesse in un contesto che premia asset più sicuri. Nel breve termine i mercati si sono rapidamente rivalutati, con il rendimento del Treasury americano a due anni che è sceso da oltre il 5% due settimane fa a meno del 4% dell’inizio della scorsa settimana, prima di ritracciare parzialmente.La buona notizia è che i mercati sembrano funzionare regolarmente nonostante la volatilità. Tuttavia, questo episodio potrebbe limitare il processo di creazione di credito per le banche in un momento in cui la crescita del credito stava già rallentando. A nostro avviso, ciò potrebbe accelerare i tempi di una potenziale recessione negli Stati Uniti. Gli eventi recenti hanno posto nuovamente l’accento su una componente chiave dell’ecosistema finanziario: l’importanza che le aziende, i privati e gli investitori dovrebbero attribuire alla comprensione e ponderazione dei rischi associati alla gestione della liquidità. Come nel caso della crisi finanziaria globale (GFC) del 2008, gli eventi recenti ci ricordano ancora una volta questi rischi.Per i privati e i dirigenti d’azienda incaricati di gestire la liquidità e di navigare nelle recenti alterazioni del mercato, vi sono alcuni punti da considerare.I rendimenti degli investimenti monetari rimarranno molto divergenti. Sebbene i tassi di riferimento negli Stati Uniti siano aumentati di oltre 400 punti base nell’ultimo anno, non tutti i rendimenti monetari sono cresciuti di pari passo con le mosse della banca centrale. In particolare, i tassi sui depositi sono rimasti ben al di sotto dei rendimenti offerti dai pronti contro termine, dai T-bill e dalle strategie a breve termine. In genere, gli investitori devono assumersi un rischio maggiore per ottenere rendimenti più elevati; tuttavia, le attuali condizioni di mercato – in particolare la forma della curva dei rendimenti del Treasury – possono offrire opportunità per aumentare i rendimenti con rischi inferiori.I commercial paper e i certificati di deposito non sono del tutto privi di rischio. La Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC) assicura i depositi fino a 250.000 dollari, una garanzia che è stata ulteriormente integrata dall’annuncio fatto dalla Federal Reserve del Bank Term Funding Program. Tuttavia, gli investitori che depositano contanti al di sopra delle soglie prescritte possono di fatto valutare il merito di credito dell’istituto finanziario sottostante.Il rischio di controparte rimane un punto focale. Come evidenziato dai più recenti fallimenti bancari, molte società non finanziarie sembrano essere state colte alla sprovvista dal rischio che la loro banca potrebbe correre nel caso in cui la liquidità operativa (cioè il denaro utilizzato per pagare i dipendenti o i fornitori) venga congelata o persa in caso di insolvenza di una banca.I rischi permangono nei fondi del mercato monetario primario. Nonostante l’urgenza normativa di garantire che i fallimenti dei fondi monetari nel 2008 e i quasi fallimenti del 2020 non si ripetano, i fondi monetari rimangono una componente significativa del panorama della gestione della liquidità. Visti i risultati passati di questi fondi orientati al credito, gli investitori potrebbero voler prendere in considerazione alternative che inglobino il rischio di credito assunto, in termini di liquidità e prezzo, o spostare il loro focus sulle strategie dei fondi governativi di qualità superiore.I recenti titoli sui giornali sono stati fonte di preoccupazione sia per gli investitori individuali che per quelli istituzionali. Sebbene lo stress immediato derivante da quest’ultima vicenda che ha coinvolto il comparto bancario possa essere stato alleviato dalla risposta rapida della FDIC e delle autorità di regolamentazione, i soggetti che investono in liquidità potrebbero voler cogliere l’opportunità di rivedere i loro protocolli attuali per individuare potenziali aree di debolezza.
Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: gestione, liquidità, pimco | Leave a Comment »
PIMCO: la Fed e i fallimenti delle banche
Posted by fidest press agency su sabato, 18 marzo 2023
A cura di Tiffany Wilding, North American Economist di PIMCO. La strategia di politica monetaria della Federal Reserve ricorda il principio della rana bollita, ovvero la capacità di adattarsi a situazioni spiacevoli e deleterie senza reagire, se non quando ormai è troppo tardi. SVB era una banca di medie dimensioni con una forte esposizione alle startup tecnologiche, compresa un’ampia concentrazione di raccolta di depositi attraverso conti di deposito istituzionali, e con significative perdite non realizzate su un portafoglio di titoli garantiti da ipoteche agency e governativi, che è stata costretta a realizzare quando ha venduto asset per finanziare i deflussi di depositi. Le perdite non realizzate sui titoli detenuti da SVB sono state superiori al suo coefficiente Common Equity Tier 1 e i correntisti hanno perso fiducia nella capacità della banca di rimborsare i 175 miliardi di dollari di depositi (al 31 dicembre 2022), la maggior parte dei quali non era coperta dall’assicurazione FDIC. Di conseguenza, giovedì scorso i correntisti hanno ritirato 42 miliardi di dollari in depositi e venerdì la banca è stata rilevata dalle autorità di regolamentazione dello Stato della California, che hanno nominato la FDIC (Federal Deposit Insurance Corporation) come curatore fallimentare. Il fallimento di SVB ha contribuito a un più ampio sell-off dei prezzi dei titoli bancari, in particolare di altre banche regionali statunitensi. Di certo, SVB era per molti aspetti una banca unica nel suo genere. Altre banche regionali di dimensioni simili non hanno concentrazioni simili di depositi di investitori istituzionali non assicurati, il che implica che i loro “deposit betas” – l’aumento del tasso di interesse che sono costrette a pagare sui depositi quando la Fed aumenta i tassi – sono più bassi. Inoltre, non hanno concentrazioni simili di perdite non realizzate nei portafogli titoli rispetto al coefficiente Common Equity Tier 1. Di conseguenza, se fossero costrette a vendere titoli per finanziare i deflussi dai depositi, disporrebbero di riserve di capitale più ampie per far fronte a eventuali perdite forzate. Inoltre, riteniamo che le grandi banche di importanza sistemica americane, che devono rispettare il Dodd-Frank Act e sono soggette a regolari stress test di liquidità e di capitale, siano finanziariamente solide e meno vulnerabili a una fuga di depositi. In effetti, negli ultimi giorni molte delle banche più grandi hanno registrato un afflusso netto di depositi. Poiché il credito in essere a livello economico è una variabile di stock e il PIL è una variabile di flusso, è il flusso di credito che conta per il PIL. Le variazioni del flusso di credito – ciò che gli economisti chiamano impulso creditizio – sono ciò che conta per la crescita del PIL reale. Ci sono ottime ragioni per credere che la crescita del credito, che stava già rallentando, rallenterà ancora di più come risultato diretto dei recenti eventi, nonostante le misure adottate dai funzionari governativi e dalla Fed.In primo luogo, le banche regionali, le cui quotazioni azionarie erano in forte ribasso al momento della stesura del presente documento, saranno probabilmente più avverse al rischio, almeno nel breve periodo, finché la situazione non sarà più chiara e la volatilità non si sarà attenuata. Molte di queste banche sono ancora a rischio di deflusso di depositi verso le banche più grandi. Durante il fine settimana la FDIC ha annunciato la garanzia di tutti i depositi non assicurati di SVB e Signature Bank; non ha garantito tutti i depositi non assicurati del sistema bancario (né può farlo in base all’autorità esistente, il che significa che sarebbe necessaria una legge del Congresso). L’ampiezza di una garanzia esplicita di tutti i depositi non assicurati richiederebbe una legge del Congresso. Inoltre, secondo la Fed, le banche piccole rappresentano circa la metà del totale delle attività bancarie nazionali, un terzo dei prestiti commerciali e industriali in essere e la metà dei prestiti immobiliari. È difficile credere che queste banche, temendo un potenziale brusco deflusso di depositi, non inaspriscano i propri standard di prestito e non rallentino l’erogazione del credito come conseguenza diretta.In secondo luogo, e in relazione a ciò, la regolamentazione bancaria per le banche regionali è potenzialmente destinata a diventare più severa. Nel 2018 è stato approvato un disegno di legge (S. 2155) su base bipartisan che ha ridotto molti dei requisiti Dodd-Frank per le banche di piccole e medie dimensioni in termini di liquidità e capitale. Non si può dare la colpa di tutto alla riduzione della regolamentazione. La Fed ha avuto un certo margine di manovra nell’attuazione, e la sorveglianza ha probabilmente giocato un ruolo. Di conseguenza, è probabile che la Fed inasprisca gli standard normativi per le grandi banche regionali, laddove è possibile (in particolare per le banche con asset superiori a 100 miliardi di dollari), riducendo la loro capacità e volontà di effettuare alcuni dei prestiti più rischiosi che le banche più grandi che hanno dovuto rispettare la Dodd-Frank non hanno voluto concedere.In terzo luogo, supponendo che la risposta politica sia sufficiente a stabilizzare la fiducia e le basi dei depositi delle banche regionali nel breve termine, le politiche annunciate finora non affrontano la questione centrale, ovvero che gli investitori possono ottenere rendimenti più elevati in uno strumento di investimento a rischio inferiore con un fondo monetario in titoli di Stato, che ha accesso alla Reverse Repo Facility (RRP) della Fed. Facendo un passo indietro, i tassi sui depositi bancari sono rimasti indietro rispetto all’aumento del tasso sui fed funds, rendendo gli investimenti in fondi monetari più redditizi dei depositi bancari. Tuttavia, l’aumento degli interessi pagati sui depositi non è privo di costi. Nel caso di base, ridurrà il margine di interesse netto e contribuirà alla volatilità dei prezzi delle azioni. Nel peggiore dei casi, l’aumento dei tassi sui depositi potrebbe rendere alcune banche non redditizie, in quanto pagano per i depositi più del rendimento che ottengono dai titoli e dai prestiti accumulati negli ultimi due o tre anni. Alcune banche potrebbero cercare di difendere i propri margini di interesse netti aumentando il tasso di interesse sui prestiti. Oppure, se le banche sono price-taker sul mercato dei prestiti, potrebbero avere una minore propensione a erogare prestiti che ora sono meno redditizi a fronte dell’assunzione dello stesso rischio di credito. In ogni caso, ciò dovrebbe rallentare la crescita dei prestiti.In quarto luogo, anche prima di tutto ciò, gli standard di credito bancario si stavano irrigidendo e la crescita dei prestiti stava rallentando a causa dell’inasprimento delle condizioni monetarie. La politica monetaria agisce con dei ritardi, e gli effetti ritardati dell’inasprimento materiale delle condizioni finanziarie da parte della Fed l’anno scorso stavano contemporaneamente avendo un effetto maggiore sull’economia e sulle condizioni finanziarie. L’episodio di SVB ha rivelato che l’economia è effettivamente sensibile ai tassi di interesse e che le condizioni di politica monetaria sono effettivamente rigide e hanno un effetto sui segmenti più rischiosi del mercato. Quinto, con il rischio di recessione in aumento, è difficile credere che non ci saranno implicazioni per i mercati del debito privato in generale, tra cui un minore afflusso di denaro in questo spazio. Nell’ultimo decennio molti finanziamenti sono usciti dai mercati pubblici, in quanto l’inasprimento della regolamentazione per le grandi banche ha reso l’attività meno allettante. I mercati del debito privato sono esplosi in percentuale del PIL negli ultimi anni – passando da circa il 5% del PIL nel 2016 a circa il 10% attuale (circa 2.500 miliardi di dollari) – con rapporti con l’economia e i mercati finanziari molto meno trasparenti. Se da un lato le società di venture capital che detenevano i depositi operativi presso SVB saranno ripagate per finanziare le esigenze di capitale circolante, dall’altro l’evento solleva interrogativi sugli altri tipi di rischio che potrebbero nascondersi in questi mercati. La maggior parte delle strutture di debito del mercato privato sono a tasso variabile, con coperture limitate dei tassi d’interesse, e tendono a essere utilizzate da società che hanno una leva finanziaria elevata e sono più sensibili ai cicli economici. Se i mercati finanziari pubblici possono essere dominati dalle società a grande capitalizzazione, le piccole e medie imprese che tendono a contrarre prestiti dalle banche e sui mercati privati dominano l’economia reale, rappresentando circa la metà dell’occupazione totale degli Stati Uniti. In generale, le banche potrebbero essere ben capitalizzate, ma il rischio di fuga dei depositi è ancora presente, in quanto esse devono competere con i fondi monetari che offrono rendimenti più elevati e accesso all’RRP della Fed. Di conseguenza, è difficile immaginare che non inaspriscano gli standard di prestito e non rallentino la crescita dei prestiti. Per la crescita economica e l’inflazione, è la crescita del credito ciò che conta in termini reali.Tutto ciò significa che la Fed deve fare meno fatica per arrivare allo stesso risultato: le condizioni finanziarie rigide stanno rallentando la creazione di credito e finiranno per rallentare l’inflazione. Di conseguenza, la domanda da porsi non è se la Fed aumenterà di 50 o 25 punti base nella riunione di marzo. La domanda è piuttosto: il ciclo di rialzo dei tassi della Fed è finito? (abstract by http://www.verinieassociati.com)
Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: fallimenti, fed, pimco | Leave a Comment »
PIMCO: Prospettive del mercato asiatico 2023, resilienza regionale tra le tensioni dei mercati globali
Posted by fidest press agency su mercoledì, 8 marzo 2023
By Stephen Chang, Portfolio Manager Asia, Carol Liao, China Economist e Subhash Ganga, Portfolio Manager Asia Emerging Markets di PIMCO.Nonostante alcuni venti contrari nella congiuntura economica globale, tra cui una probabile recessione nei mercati sviluppati, riteniamo che la crescita economica di molti mercati asiatici rimarrà resiliente nel 2023, grazie al proseguimento della ripresa post COVID-19.Riteniamo che la riapertura della Cina, più rapida del previsto, possa dare impulso all’economia globale e a quelle locali, in particolare alla Thailandia, dipendente dal turismo, e alla Malesia, dipendente dalla crescita cinese. Il nostro scenario base per il 2023 prevede una crescita annuale del PIL cinese superiore al 5%, che ci aspettiamo essere trainata dalla domanda dei consumatori, in aumento rispetto al 3% del 2022. La nostra previsione sulla crescita cinese nel 2023 tiene conto dei modesti valori del 2022 e del forte rimbalzo dei consumi, soprattutto nel settore dei servizi, e di una riduzione delle esportazioni nette di -0,6 punti percentuali (ppt). I dati relativi a viaggi e mobilità, come il traffico all’interno delle città e i viaggi in metropolitana, che tendono ad essere strettamente legati alle vendite al dettaglio, sono rimbalzati fortemente in tutto il Paese nel gennaio 2023, suggerendo una solida ripresa dei consumi.Prospettive dell’Asia emergente esclusa la Cina: Continua la divergenza rispetto al resto del mondo, ma con un’inversione di tendenza rispetto all’anno scorso. Dopo la pandemia, l’Asia emergente ha avuto una ripresa più lenta rispetto al resto del mondo e non ha sperimentato grandi pressioni inflazionistiche dovute alla domanda. Nel 2023 prevediamo che questa divergenza nelle dinamiche tra crescita e inflazione continuerà, ma all’inverso.Mentre il resto del mondo è alle prese con un rallentamento della crescita e dell’inflazione, riteniamo che l’Asia emergente possa registrare una solida crescita e un aumento delle pressioni generate dall’inflazione core, mentre la ripresa post COVID prosegue grazie a politiche monetarie e fiscali accomodanti. La riapertura della Cina probabilmente sosterrà in misura crescente l’intera regione asiatica, in particolare la Thailandia e la Malesia.Prevediamo che alcuni Paesi, come la Thailandia e la Malesia, continueranno a normalizzare le loro politiche monetarie, visti i rischi derivanti da crescita e inflazione che dovranno affrontare nel 2023 e la politica monetaria relativamente accomodante. Ad eccezione dell’Indonesia, la maggior parte dei Paesi della regione non ha mostrato alcun segno di consolidamento fiscale. Gli spread tra i rendimenti delle obbligazioni a lungo termine e quelli dei Treasury si stanno notevolmente restringendo, consentendo alle banche centrali della regione un maggiore margine di manovra per continuare a normalizzare i tassi di interesse, data la dinamica tra crescita e inflazione.Nel complesso, vediamo notevoli opportunità nel credito asiatico per gli investitori che adottano un approccio d’investimento attivo e selettivo. Dal punto di vista tematico, riteniamo che vi sia l’opportunità di capitalizzare la ripresa ciclica derivante dalle riaperture post COVID, ad esempio investendo in società selezionate del settore dei trasporti della regione. Il settore della tecnologia, dei media e delle telecomunicazioni (TMT) è un’area in cui è possibile effettuare operazioni progressive nel comparto credito per gli investitori che si aspettano che le attuali misure correttive a livello normativo possano essere in gran parte completate, consentendo una ripresa della crescita. Il settore del gaming è un altro comparto che viene coinvolto nel tema della ripresa dei viaggi e dei consumi, anche se dobbiamo avvertire che le valutazioni sembrano ora prezzare gran parte della normalizzazione, con un notevole ritracciamento dell’allargamento dello spread registrato lo scorso anno.Considerando il contesto di venti contrari nell’economia globale e una probabile recessione nei mercati sviluppati, siamo cauti nelle aree economicamente più sensibili dei mercati finanziari, ma rimaniamo relativamente costruttivi sul quadro macroeconomico dell’Asia. La riapertura della Cina e il suo orientamento alla crescita hanno contribuito a migliorare le prospettive della regione, soprattutto per i Paesi che hanno legami economici più forti con la Cina. Tuttavia, una rigorosa gestione del rischio e un’attenta selezione dei titoli saranno fondamentali per gli investitori in questa regione. Riteniamo che si possa ottenere alfa con un’allocazione selettiva dei Paesi e una rotazione del credito, tenendo d’occhio le mosse delle banche centrali dei mercati industrializzati, gli sviluppi geopolitici e l’evoluzione delle politiche monetarie nel corso di quest’anno.
Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: mercati globali, pimco | Leave a Comment »
PIMCO: La crescita della domanda e la scarsità dell’offerta sosterranno le materie prime nel 2023
Posted by fidest press agency su venerdì, 3 marzo 2023
A cura di Greg Sharenow, Portfolio Manager Commodities and Real Assets, Lewis Hagedorn, Portfolio Manager Commodities e Jennifer Ziehe, Strategist Real Return di PIMCO. Gli investitori potrebbero chiedersi per quanto tempo i mercati delle materie prime potranno sostenere il rally in atto dalla primavera del 2020. L’aumento dei tassi di interesse e la decelerazione della crescita (e la potenziale recessione) nei principali mercati sviluppati saranno i probabili venti contrari del 2023. Tuttavia, la rapida riapertura della Cina e la crescita della domanda a livello globale post pandemia, oltre ai fattori legati all’offerta, tra cui la persistente scarsità delle scorte e l’incertezza legata alla guerra tra Russia e Ucraina, rafforzano l’ipotesi che i prezzi delle materie prime continuino a rimanere elevati anche nel prossimo anno.Un fattore chiave che ha sostenuto la forza del mercato delle materie prime negli ultimi anni è la significativa scarsità dell’offerta in molti settori, che secondo le nostre previsioni persisterà. Questa tendenza è determinata in parte dalla ripresa della domanda globale e dalle condizioni climatiche avverse che hanno colpito importanti colture, ma soprattutto dalla scarsità di investimenti nell’offerta. Il risultato finale è un basso livello di scorte nei settori dei metalli di base, dell’agricoltura e del petrolio.La Russia è una fonte di volatilità e incertezza, ma nel nostro scenario base la Russia rimarrà probabilmente un catalizzatore per l’aumento dei prezzi delle materie prime.Il contesto macroeconomico dovrebbe sostenere ampiamente le materie prime nel 2023. Sebbene i rialzi dei tassi delle banche centrali abbiano frenato la crescita dei mercati sviluppati, la riapertura della Cina offre i presupposti per un’ampia compensazione – la Cina ha una influenza notevole, data la quantità di materie prime utilizzate nella sua economia. Gli effetti della riapertura della Cina, insieme al perdurare di livelli bassi di scorte, forniscono un’ampia spinta di fondo, ma è probabile che i singoli settori delle materie prime subiscano impatti diversi sui prezzi:Energia, in particolare i prodotti petroliferi raffinati: I primi segnali indicano che i viaggi verso, da e all’interno della Cina probabilmente rimbalzeranno nel 2023, anche se non ancora ai livelli pre-pandemici. Nel corso del tempo, ciò dovrebbe stimolare una maggiore domanda di benzina, gasolio e carburante per aerei, sostenendo i prezzi.Agricoltura: In generale siamo ottimisti per quanto riguarda il settore dell’agricoltura, dove i problemi di approvvigionamento hanno sostenuto l’aumento dei prezzi che probabilmente non diminuiranno molto nel 2023. Diversi anni di condizioni meteorologiche avverse hanno danneggiato i raccolti in molte regioni; a ciò si aggiunge la guerra in Ucraina, uno dei principali produttori. Le scorte sono scarse in gran parte della catena di approvvigionamento, nonostante durante gli anni di pandemia la Cina non sia stata un grande acquirente, il che suggerisce una potenziale vulnerabilità quando l’economia cinese si riprenderà. Molto dipenderà dal clima dell’emisfero settentrionale durante la prossima estate. Date le scarse condizioni iniziali del terreno, i prezzi saranno probabilmente più vulnerabili a eventuali sviluppi meteorologici avversi.Metalli industriali: Le scorte dichiarate sono piuttosto basse. Anche se non ci aspettiamo un’impennata del settore manifatturiero cinese – i lockdown hanno danneggiato più i servizi che il settore manifatturiero e la domanda di esportazioni rimane debole – la ripresa del settore immobiliare dovrebbe aiutare la domanda di metalli. Ciò detto, gran parte del settore dei metalli ha già prezzato la riapertura della Cina.Oro: Storicamente, la Cina è stata uno dei principali acquirenti di oro e ciò potrebbe favorire una spinta ai prezzi nel 2023. Tuttavia, viste le notevoli performance recenti, riteniamo che l’oro sia costoso ai livelli attuali e ci aspettiamo che l’aumento dei rendimenti reali possa pesare sui prezzi dell’oro quest’anno.In qualsiasi contesto, un’allocazione in materie prime può fornire diversificazione e una solida copertura contro l’inflazione all’interno di un portafoglio d’investimento. Come abbiamo visto negli ultimi due anni, i portafogli di investimento tradizionali possono essere vulnerabili agli aumenti inattesi dell’inflazione. Le materie prime possono offrire una solida copertura contro l’inflazione. Considerando le nostre prospettive complessivamente costruttive sul settore, in particolare su quello energetico e agricolo, riteniamo che vi siano validi motivi per detenere materie prime e che, anche, il “costo” atteso per coprirsi dal rischio di inflazione attraverso un’allocazione in materie prime appaia basso.
Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: crescita, domanda, offerta, pimco | Leave a Comment »
PIMCO: I mercati finalmente ascoltano il messaggio della Fed sugli “aumenti costanti”
Posted by fidest press agency su mercoledì, 1 marzo 2023
A cura di Richard Clarida, Global Economic Advisor di PIMCO È stato un mese intenso per gli investitori e gli osservatori della Fed. Il 1° febbraio, dopo aver annunciato un rialzo di 25 punti base del tasso sui federal funds, la Federal Reserve statunitense ha dichiarato di prevedere che degli “aumenti costanti” sarebbero necessari per portare la politica monetaria nell’intervallo restrittivo necessario per indirizzare l’inflazione statunitense verso un percorso che la riporti, nel tempo, all’obiettivo di lungo periodo del 2%. Questi sviluppi illustrano bene l’interazione tra dati, destinazione e dinamiche di mercato che probabilmente si verificherà nell’anno a venire, mentre la Fed cerca di architettare quello che definiremmo un “softish landing” (se non addirittura “soft”) per l’economia statunitense, riducendo la crescita della domanda aggregata in modo da raggiungere un migliore equilibrio con l’offerta aggregata, nel perseguimento del proprio mandato di stabilità dei prezzi a lungo termine. I funzionari della Fed hanno affermato che il rischio di fare troppo poco per ridurre l’inflazione è superiore al rischio di fare troppo. Tuttavia, a nostro avviso, la maggior parte del lavoro più pesante da fare prima di sospendere i rialzi dei tassi entro la fine dell’anno è già stato fatto, anche se il rischio è che il picco del tasso sui fed funds che vedremo in questo ciclo sia più alto se i progressi nella riduzione dell’inflazione saranno più lenti di quanto la Fed si aspetta. Il tasso sui fed funds è salito per l’ultima volta al 4,75% (verso il 5,25%!) nel 2006. Sebbene non si tratti esattamente di storia antica, è comunque trascorso un lasso di tempo sufficiente per far sì che i mercati impieghino un po’ di tempo per adattarsi a una curva dei rendimenti ancorata a un tale livello. E bisognerebbe guardare ancora più indietro – addirittura decenni – per risalire all’ultima volta che la Fed ha intrapreso un ritmo di inasprimento monetario così rapido come quello del 2022. Una differenza cruciale oggi rispetto ai precedenti cicli di rialzo dei tassi è la comunicazione: La Fed è diventata molto più trasparente, offrendo proiezioni, obiettivi e indicazioni dettagliate oltre a discorsi, commenti, dichiarazioni e ricerche.Tuttavia, gli investitori dovrebbero rimanere attenti alle discrepanze che, occasionalmente, si sono riscontrate tra le indicazioni della Fed e alcuni importanti indici delle condizioni finanziarie. Sebbene secondo alcuni indici le condizioni finanziarie si siano leggermente allentate, ricordiamo che la politica monetaria opera con un certo ritardo, il che significa che l’economia statunitense probabilmente non ha ancora assorbito tutta la portata dell’inasprimento della Fed. Come ha indicato il presidente Powell nella conferenza stampa del 1° febbraio, parte di questo apparente scollamento riflette la convinzione diffusa degli investitori (dimostrata dalle valutazioni di mercato) che quest’anno i livelli di inflazione scenderanno più rapidamente di quanto previsto dalla Fed. Oltre alla sfida di domare l’inflazione, la Fed rimane concentrata sulla valutazione e sul sostegno del livello di massima occupazione nell’economia post-pandemia, in linea con l’obiettivo di inflazione del 2%. Il mercato del lavoro statunitense ha subito una trasformazione significativa dopo la pandemia: la partecipazione alla forza lavoro è crollata, le aziende faticano a coprire le posizioni aperte e gli aumenti salariali sono andati ben oltre un ritmo in linea con la produttività sottostante e con l’obiettivo di inflazione della Fed. Con i rialzi dei tassi ormai alle spalle e l’impegno della Fed a riportare col il tempo l’inflazione al target, le filosofie d’investimento che sono state utili a molti investitori prima del 2022 sono tornate di nuovo attuali. Si pensi ai concetti di base di diversificazione, gestione attiva, mitigazione del rischio. In particolare, i mercati del reddito fisso sono pronti per rendimenti interessanti, dato che i rendimenti di partenza sono a livelli che non si vedevano da anni. Come abbiamo affermato nell’ultimo Cyclical Outlook di PIMCO, “Le obbligazioni sono tornate”, intravediamo opportunità nel reddito fisso core, nei titoli garantiti da ipoteca, nel credito di alta qualità, nelle materie prime e nelle obbligazioni indicizzate all’inflazione. (abstract by http://www.verinieassociati.com
Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: aumenti, mercati, pimco | Leave a Comment »
PIMCO: Il peggio per i mercati emergenti sembra alle spalle
Posted by fidest press agency su martedì, 21 febbraio 2023
A cura di Pramol Dhawan, Head of Emerging Markets e Lupin Rahman, Head of EM Sovereign Credit di PIMCO. Nonostante una confluenza di shock senza precedenti, i mercati emergenti hanno dato prova di resilienza, con scarsi segnali di crisi su vasta scala. Come asset class, i mercati emergenti sembrano essere indirizzati verso performance più robuste. I tassi reali elevati nei mercati emergenti, o corretti per l’inflazione, attenuano i rischi di contagio derivanti da ulteriori rialzi dei tassi d’interesse della Federal Reserve (Fed) statunitense e gli effetti del dollaro forte. La riapertura dell’economia cinese fornisce una notevole spinta e i picchi dell’inflazione e delle pressioni fiscali sembrano essere stati superati. Siamo complessivamente sempre più positivi sui mercati emergenti e su alcuni titoli di debito locali dei mercati emergenti in particolare. Rimaniamo comunque cauti fino a quando le prospettive di politica monetaria non saranno più chiare, poiché molto dipende dalla capacità della Fed di contenere l’inflazione e dalla capacità della Cina di stimolare l’attività economica. Nel 2022 è successo praticamente tutto quello che poteva penalizzare i mercati emergenti, con le pressioni pandemiche esacerbate dalla guerra in Ucraina, il rapido aumento dei tassi da parte della Fed, i prezzi elevati dell’energia e dei generi alimentari, la politica zero-COVID della Cina, l’ascesa dei regimi populisti e i problemi climatici irrisolti. Tuttavia, la maggior parte dei paesi emergenti ha recuperato i livelli del PIL precedenti alla pandemia. La leva finanziaria nei mercati emergenti è rimasta sotto controllo, con un debito sostanzialmente stabile rispetto al PILOggi i mercati emergenti contraggono prestiti prevalentemente in valuta locale e con scadenze più lunghe rispetto al passato. Questo, insieme alla crescita del risparmio pubblico dei mercati emergenti, contribuisce a minimizzare i rischi di rifinanziamento esterno e l’impatto dell’aumento dei tassi statunitensi sui costi di finanziamento e sulla sostenibilità del debito.La bilancia commerciale dei ME è finanziata prevalentemente dai flussi di investimenti diretti esteri (IDE). Questi tendono a essere più stabili rispetto alla volatilità dei flussi di mercato dell’era post-crisi finanziaria globale del 2008 (GFC), caratterizzata dal quantitative easing delle banche centrali mondiali. I flussi di IDE sono guidati da forze di più lungo periodo che hanno subito un’accelerazione, come il “nearshoring” in paesi come il Messico, la necessità di indipendenza energetica nei paesi industrializzati e gli investimenti legati al clima nei paesi emergenti. La riduzione degli squilibri esterni – sotto forma di un minor numero di ancoraggi valutari sopravvalutati e di una minore leva finanziaria esterna – offre un ulteriore cuscinetto, consentendo al cambio dei ME di essere una valvola di sfogo delle implicazioni del ciclo di politica monetaria della Fed. Dopo la crisi finanziaria mondiale, la Cina è subentrata agli Stati Uniti e all’Europa come principale motore della crescita dei mercati emergenti, in quanto si è trasformata da utilizzatore finale di materie prime, a ingranaggio della produzione globale, a consumatore di beni e servizi dei mercati emergenti, come il turismo. Finora la crescita dei mercati emergenti ha resistito nonostante il rallentamento della Cina. Una riapertura positiva della Cina avvantaggerebbe in modo sproporzionato i mercati emergenti, anche se in questo ciclo la domanda si è spostata dalle materie prime ai servizi. Con la crescita cinese in aumento del 5%-5,5% su base annua nel 2023 nello scenario di base di PIMCO, i mercati emergenti probabilmente resisteranno anche in caso di recessione dei paesi industrializzati (che secondo noi sarebbe lieve). Il nostro scenario base indica che la crescita dei mercati emergenti si contrarrà al 3,5%, dal 5,5%, man mano che il rallentamento dei paesi sviluppati si accentuerà e i gap di produzione dei mercati emergenti si ridurranno. Tuttavia, questo dato non riflette pienamente i benefici derivanti dalla riapertura della Cina, che, secondo le nostre previsioni, dovrebbe affermarsi nella prima metà del 2023 e accelerare nella seconda metà.I mercati di frontiera appaiono vulnerabili, con alcuni paesi esclusi dai mercati dei capitali. Il tasso di insolvenza sovrana per questo sottoinsieme dei mercati emergenti sta aumentando, con diversi paesi che probabilmente ristruttureranno il loro debito nei prossimi anni. È quindi imperativo concentrarsi sui potenziali aspetti negativi e disporre di un quadro complessivo per affrontare questi rischi. Riteniamo che il peggio sia alle spalle per i mercati emergenti e che quest’anno gli investitori possano trovare migliori opportunità in tutto il panorama dei mercati emergenti. In particolare, attualmente privilegiamo gli asset locali dei mercati emergenti in paesi con tassi reali elevati, come il Brasile; il credito societario nei paesi esportatori di materie prime; alcuni titoli finanziari dei mercati emergenti; le posizioni rialziste sui cambi in paesi come la Thailandia, che riteniamo ben posizionati sulla ripresa della Cina. (abstract by http://www.verinieassociati.com)
Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: emergenti, mercati, pimco | Leave a Comment »
PIMCO: Spazio per ulteriori rialzi
Posted by fidest press agency su domenica, 19 febbraio 2023
A cura di Tiffany Wilding, North American Economist di PIMCO. Martedì il Bureau of Labor Statistics (BLS) ha pubblicato il dato sull’indice dei prezzi al consumo (CPI) di gennaio. Secondo l’indagine di Bloomberg, le variazioni del dato headline e core sono state in linea con le aspettative mediane degli analisti. Tuttavia, dopo che il BLS ha incorporato i fattori di destagionalizzazione e le ponderazioni del paniere di consumo aggiornati annualmente, la traiettoria dell’inflazione rivista è risultata più “viscosa” di quanto si pensasse in precedenza e ha contribuito a far emergere dai dati economici di gennaio che l’economia statunitense è stata sorprendentemente resiliente e che la Fed farà di più per garantire una moderazione dell’inflazione. A dicembre, i funzionari della Fed avevano previsto altri due aumenti dei tassi di 25 punti base (pb), secondo la sintesi delle proiezioni economiche (SEP). Ma dopo i recenti dati, riteniamo molto probabile che la SEP della Fed venga nuovamente rivista al rialzo, in modo che la mediana rifletta un ulteriore rialzo dei tassi, con un conseguente aumento di 25 pb a marzo, maggio e giugno e un intervallo di picco dei tassi del 5,25%-5,5%. Ciò detto, le proiezioni sono ciò che sono – ovvero proiezioni – e il fatto che la Fed rispetti effettivamente questa traiettoria dei tassi rimane una questione aperta. Le condizioni finanziarie sono ancora rigide nonostante il recente allentamento, le banche stanno inasprendo le condizioni di credito e i risparmi dei consumatori stanno diminuendo. Di conseguenza, anche se i dati recenti suggeriscono che l’economia statunitense è stata più resiliente di quanto ci si aspettasse, le nostre previsioni propendono ancora per un indebolimento. In particolare, vorremmo sottolineare i seguenti punti relativi ai recenti dati economici: Un minore impulso disinflazionistico verso la fine dell’anno è una notizia sempre più deludente, anche se il tasso dell’inflazione core su base annua (a/a) ha chiaramente raggiunto il picco. In precedenza, avevamo sostenuto che passare da un’inflazione dell’8% a una del 4% sarebbe stato relativamente facile perché i vincoli dell’offerta, legati prima alla pandemia e poi alla guerra in Ucraina, insieme a un’impennata della domanda indotta dagli stimoli e ad un’accelerazione del costo unitario del lavoro, sembravano indurre un aggiustamento pluriennale del livello dei prezzi che aveva in gran parte fatto il suo corso. Anche se non abbiamo mai pensato che la disinflazione sarebbe stata una linea retta, la revisione della dinamica avalla la prospettiva che, sebbene l’inflazione sia ancora suscettibile di moderazione, potrebbe richiedere più tempo. Gli indicatori sulla produttività di gennaio suggeriscono inoltre che l’economia statunitense è stata più resiliente all’inizio dell’anno di quanto si pensasse in origine. Non si vuole mai attribuire troppo peso a un singolo rapporto, ma i dati sull’occupazione di gennaio sono stati piuttosto solidi anche dopo aver preso in considerazione le revisioni e l’aggiornamento del benchmark: analogamente al CPI, l’aggiornamento degli indicatori stagionali da parte del BLS suggerisce che la dinamica del mercato del lavoro ha mostrato maggiore forza verso la fine dell’anno. Indipendentemente da ciò, sospettiamo che i problemi legati alla destagionalizzazione abbiano anche depresso le vendite al dettaglio dichiarate a novembre e dicembre, perché i consumatori hanno effettuato acquisti prima del consueto. Questo, unito all’aumento del reddito discrezionale aggregato per gli anziani derivante dall’aumento dell’adeguamento del costo della vita nella previdenza sociale a gennaio, porterà a un notevole rimbalzo delle vendite. Tuttavia, gli indicatori prospettici non sono così rosei. Come abbiamo scritto la settimana scorsa, le condizioni finanziarie sono ancora rigide rispetto agli standard storici e dati distinti della Fed suggeriscono che le banche stanno inasprendo le condizioni di credito praticamente in modo trasversale. Inoltre, i consumatori hanno risparmi negativi in termini reali, dato che i redditi aggregati reali sono ancora inferiori del 2% rispetto al trend pre-pandemico, mentre i consumi reali sono superiori del 2%. Sebbene i consumatori possano sostenere questo livello di consumi reali per un determinato periodo di tempo, dopo aver accumulato grandi scorte di liquidità durante la pandemia, questi trend non sono sostenibili nel medio termine. Cosa significa tutto questo? La Fed ha ancora il difficile compito di bilanciare il rischio di fare troppo e indebolire inutilmente il mercato del lavoro, con il rischio di non fare abbastanza e permettere all’inflazione di perdurare. Bilanciare questi rischi è ancora più difficile se si considerano i ritardi variabili e incerti nel meccanismo di trasmissione della politica monetaria e la possibilità di cambiamenti strutturali nell’economia dopo la pandemia. La Fed ha agito correttamente moderando il ritmo dei rialzi dei tassi di fronte a queste sfide, ora che è riuscita a spostare la politica monetaria in territorio restrittivo. Tuttavia, quanto siano restrittive le condizioni attuali, e quanto a lungo dovranno rimanere tali, rimane una questione aperta, che i funzionari di politica monetaria continueranno a indagare nel corso del prossimo anno. Per il momento, i dati economici sono coerenti con l’idea che ci sia lo spazio per qualche altro rialzo e riteniamo che i funzionari della Fed coglieranno l’opportunità per confermare il riprezzamento del mercato. Abstract by http://www.verinieassociati.com
Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: pimco, rialzi | Leave a Comment »
PIMCO: La forza del dollaro, somma di tutte le paure
Posted by fidest press agency su mercoledì, 15 febbraio 2023
A cura di Gene Frieda, Global Strategist di PIMCO. Gli investitori sono soliti valutare la forza del dollaro focalizzandosi sull’operato della Federal Reserve. L’eccezionale forza del dollaro nei confronti di un ampio paniere di valute ha chiaramente beneficiato dei sette rialzi dei tassi dello scorso anno, che hanno portato il tasso target dei Federal Funds al massimo degli ultimi 15 anni. Poiché la Fed continua la sua lotta per ridurre l’inflazione negli Stati Uniti, prevediamo che aumenterà ancora i tassi nel primo trimestre del 2023, prima di fare una pausa. Sebbene l’aumento dei rendimenti abbia chiaramente favorito il dollaro lo scorso anno, qualsiasi visione prospettica deve anche tenere conto di come il dollaro sia stato sostenuto dagli shock del 2022 – la guerra Russia-Ucraina, l’impennata dei prezzi dell’energia e l’inflazione – e della misura in cui questi potrebbero attenuarsi nel 2023. Riteniamo che il dollaro, che si è deprezzato dopo aver toccato il picco ventennale lo scorso settembre, probabilmente scenderà ulteriormente nel 2023 con il calo dell’inflazione, la diminuzione del rischio di recessione e l’attenuarsi di altri shock.Oltre all’aumento dei tassi d’interesse e dei rendimenti negli Stati Uniti, il dollaro è stato sostenuto dall’avversione al rischio attraverso due vettori. In primo luogo, la politica monetaria è stata molto più volatile del normale e altamente correlata tra i Paesi dei mercati sviluppati. Dal marzo 2022 la politica monetaria si è fortemente irrigidita quasi ovunque (ad eccezione della Cina, dove le condizioni finanziarie si sono inasprite attraverso altri canali). Di conseguenza, la volatilità è aumentata nei mercati del reddito fisso, valutari e azionari. Il dollaro, ampiamente considerato un bene rifugio, ne ha beneficiato.In secondo luogo, sebbene abbiamo avuto la tendenza a descrivere la forza del dollaro principalmente come un riflesso delle politiche economiche statunitensi, a nostro avviso, è più probabile che sia la somma dei timori di altri Paesi, o più specificamente, di importanti shock che hanno danneggiato la crescita nelle regioni chiave. Tra questi vi sono: Il significativo premio al rischio imposto sugli asset europei lo scorso anno per via del rischio di coda che le forniture energetiche russe potessero essere interrotte o, peggio, un evento nucleare. La guerra tra Russia e Ucraina ha rappresentato uno shock globale in termini di commercio dell’energia. Gli importatori in Asia e in Europa hanno sofferto per l’aumento dei prezzi dell’energia, mentre gli esportatori come gli Stati Uniti ne hanno tratto vantaggio. E poi c’è stata la politica zero-COVID di Pechino, che ha creato uno shock negativo della domanda proveniente dalla Cina e dalla regione. Debolezza del dollaro in vista. Nei prossimi mesi, tuttavia, riteniamo che il vantaggio in termini di rendimento del dollaro rispetto alle altre economie sviluppate si ridurrà con l’avvicinarsi della pausa del ciclo di rialzo della Fed, prevista per il primo trimestre del 2023. Dato il ritmo più veloce dei rialzi cumulativi dei tassi, è probabile che il vantaggio in termini di rendimento del dollaro si riduca nelle prime fasi di un ciclo di taglio dei tassi, anche se il dollaro mantiene un rendimento relativamente elevato. Inoltre, le variazioni nella percezione del rischio di inflazione e di crescita tendono a essere inversamente correlate. Quando l’inflazione si contrae, le aspettative di crescita tendono a migliorare. Ciò tende a ridurre l’incertezza e, a nostro avviso, si oppone al significativo rafforzamento del dollaro.Altri fattori che potrebbero incentivare la debolezza del dollaro sono: La politica della Fed, che tende a determinare l’andamento dei rialzi dei tassi altrove. Un rallentamento – ed eventualmente una pausa – nel ciclo di rialzo dei tassi della Fed implica probabilmente un rallentamento e una pausa anche delle altre banche centrali. Riduzione dell’incertezza e aumento della propensione al rischio degli investitori con il calo dell’inflazione. Anche se altre banche centrali mantengono tassi d’interesse reali più elevati, è probabile che i tassi nominali scendano su scala globale con il calo dell’inflazione.La fine della politica cinese dello zero-COVID, almeno nella misura in cui porterà a una solida ripresa. Come potrebbe evolvere il percorso del dollaro In breve, riteniamo che i premi al rischio diminuiranno con il ridursi dell’inflazione e della volatilità della politica monetaria. Nuovi shock rappresentano chiaramente un rischio, ma il premio al rischio del dollaro (e la volatilità cross-asset) rimane considerevole, a nostro avviso. Tutto ciò non esclude la possibilità che l’inflazione negli Stati Uniti diventi più viscosa rispetto ad altre economie avanzate o che la politica monetaria rimanga restrittiva per un periodo di tempo prolungato. In effetti, gli attuali livelli di volatilità implicita nei mercati valutari e del reddito fisso suggeriscono che il premio al rischio scontato nel prezzo di mercato del dollaro rimanga consistente. Tuttavia, questi premi potrebbero diminuire ulteriormente con il ridursi degli shock e con l’accumularsi di segnali a sostegno di un miglioramento e diminuzione dell’impennata dell’inflazione dello scorso anno. Prevediamo che il dollaro continuerà a perdere il suo appeal come valuta rifugio di ultima istanza.
Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: dollaro, paure, pimco | Leave a Comment »
PIMCO: Preview rapporto CPI USA
Posted by fidest press agency su martedì, 14 febbraio 2023
A cura di Tiffany Wilding, North American Economist e Allison Boxer, Economist di PIMCO. Questa settimana seguiremo da vicino due dati economici importanti per gli Stati Uniti: i dati sull’inflazione di gennaio e le vendite al dettaglio. A seguito delle revisioni annuali dell’indice dei prezzi al consumo (CPI), ci aspettiamo che la componente core, strettamente osservata, che esclude i generi alimentari e l’energia, aumenti dello 0,3% mese su mese (m/m) a gennaio, in linea con il recente ritmo dell’inflazione core. Prevediamo inoltre che le vendite al dettaglio abbiano riaccelerato a gennaio dopo una fine del 2022 più morbida. – Prevediamo un aumento dello 0,3% m/m dell’indice CPI core, leggermente al di sotto del consenso e in linea con il ritmo recente dell’inflazione core. Le revisioni annuali dei fattori stagionali per il CPI hanno indicato un ritmo leggermente più robusto dell’inflazione core per la fine dell’anno, mentre i pesi aggiornati hanno modestamente abbassato le nostre aspettative per il rapporto CPI della prossima settimana. Negli ultimi 3 mesi dell’anno, il CPI core m/m ha registrato una media dello 0,35% rispetto allo 0,25% m/m prima delle revisioni. Tuttavia, anche dopo le revisioni al rialzo, il ritmo annualizzato a 3 mesi del CPI core è stato del 4,25%, in calo rispetto al 7,06% di giugno. – Ci aspettiamo anche che le vendite al dettaglio siano aumentate a gennaio dopo due mesi consecutivi di contrazione. Riteniamo che questa forza rifletta probabilmente 1) una spinta alla spesa grazie all’aumento della previdenza sociale dovuto all’indicizzazione dell’inflazione 2) migliori volumi sull’attività promozionale post-vacanze 3) stagionalità più favorevoli rispetto a novembre e gennaio. Anche le vendite al dettaglio dovrebbero essere più forti grazie al rimbalzo delle vendite di auto. – Allo stesso modo, anche la produzione industriale dovrebbe riaccelerare dopo due mesi consecutivi di contrazione. Prevediamo un forte aumento dell’1% rispetto al mese precedente, invertendo parzialmente i due mesi consecutivi di contrazione del settore manifatturiero.
Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: cipi usa, pimco, rapporto | Leave a Comment »
PIMCO: Un divario persistente tra le aspettative di mercato e le prospettive della Fed
Posted by fidest press agency su sabato, 11 febbraio 2023
A cura di Tiffany Wilding, North American Economist di PIMCO. Nel corso della conferenza stampa successiva alla riunione del Federal Open Market Committee (FOMC) della scorsa settimana, il presidente Jerome Powell è stato interpellato in merito alla divergenza tra il percorso del tasso sui Fed Funds implicito nei forward rate agreement e le previsioni della Fed stessa, pubblicate nell’ultimo Summary of Economic Projections (SEP) di metà dicembre. All’epoca i contratti future sui Fed Funds con scadenza dicembre 2023 rendevano il 4,6% rispetto alla proiezione mediana del SEP del 5,1%, mentre il rendimento del contratto con scadenza dicembre 2024 trattava al 3,2% rispetto alla mediana del SEP del 4,1%. Il presidente Powell ha risposto che la divergenza è probabilmente in gran parte il risultato “dell’aspettativa del mercato che l’inflazione scenda più rapidamente”. Ha poi sottolineato che l’inflazione dei servizi core, esclusa la componente sugli alloggi (più direttamente correlata ai mercati del lavoro e all’inflazione salariale) non ha ovviamente raggiunto il picco.Forse ancora più interessante è il fatto che, dopo il rapporto sull’occupazione negli Stati Uniti di questo gennaio, che ha mostrato un tasso di disoccupazione del 3,4% oltre a revisioni al rialzo dell’inflazione della retribuzione oraria media, l’aspettativa del mercato sulla probabile traiettoria del tasso sui Fed Funds non è cambiata molto.In primo luogo, le grandi sorprese relative al mercato del lavoro non sono rare in prossimità del picco di un ciclo di rialzo dei tassi. Secondo l’indagine Bloomberg e il Bureau of Labor Statistics (BLS), nell’agosto 1997 gli occupati statunitensi sorpresero di quasi due deviazioni standard (316.000 prima pubblicazione contro le 70.000 del consenso) prima che la Fed tagliasse i tassi di 75 punti base (pb) complessivamente negli ultimi mesi del 1998. I dati sul lavoro hanno sorpreso in modo analogo nel febbraio 2000 (268.000 unità prima pubblicazione contro le 90.000 del consenso) prima che la Fed tagliasse i tassi di 475 pb complessivamente nel 2001 per attenuare l’impatto dello scoppio della bolla delle dot-com sull’economia. Nel gennaio 2007, e poi di nuovo nel novembre dello stesso anno, il BLS ha pubblicato dati sull’occupazione ben al di sopra (circa 1,5 deviazioni standard) del consenso di Bloomberg, per poi vedere la Fed tagliare i tassi di 500 pb complessivamente dalla fine del 2007 al 2008 in risposta alla crisi finanziaria globale e allo scoppio della bolla immobiliare.In secondo luogo, storicamente la Fed non ha mantenuto a lungo il livello di picco dei tassi terminali. In effetti, se si considerano i periodi storici a partire dagli anni ’80 in cui la Fed è rimasta in attesa dopo il rialzo, si evince che il periodo medio di permanenza dei tassi in corrispondenza del tasso terminale del ciclo di rialzo è stato di circa 7 mesi, mentre i cicli “inflazionistici” sono stati più brevi. Inoltre, quando la Fed ha iniziato a diminuire i tassi, li ha ridotti in media di 230 pb nell’anno successivo all’inizio dei tagli. Terzo e ultimo punto: sebbene le aspettative di mercato sulle condizioni finanziarie si siano un po’ allentate di recente, quest’ultime rimangono ancora rigide rispetto agli standard storici. Di conseguenza, una recessione – seppur lieve – sembra ancora un’ipotesi di base ragionevole per l’economia statunitense, anche se i recenti dati hanno mostrato maggiore resilienza del previsto. Cosa significa tutto questo? Sebbene i dati economici degli ultimi mesi abbiano più o meno supportato le proiezioni della Fed, il divario tra le aspettative di mercato e le previsioni della stessa Fed potrebbe persistere. In effetti, i dati recenti non ci hanno indotto a modificare la nostra previsione di una lieve recessione negli Stati Uniti – stiamo solo posticipando leggermente i tempi – e tendiamo ad allinearci con le aspettative di mercato che suggeriscono che il rapporto sul mercato del lavoro di venerdì scorso abbia aumentato le probabilità che la Fed annunci rialzi di 25 punti percentuali sia a marzo che a maggio. Le condizioni finanziarie rimangono complessivamente rigide, mentre l’inflazione sembra moderarsi e l’aumento dei tassi di interesse sembra pesare sull’economia con un certo ritardo. Alla luce di questo contesto macro, non sorprende che gli operatori di mercato vedano un’elevata probabilità che la politica monetaria della Fed ricalchi i recenti precedenti storici, in cui la pausa in corrispondenza del tasso terminale è stata di breve durata e i tagli dei tassi hanno seguito a breve.
Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: fed, pimco, prospettive | Leave a Comment »
PIMCO: La BCE non ha ancora finito
Posted by fidest press agency su giovedì, 9 febbraio 2023
A cura di Konstantin Veit, Portfolio Manager di PIMCO. Nella riunione di febbraio la Banca centrale europea (BCE) ha aumentato il tasso sui depositi di altri 50 punti base (pb), raggiungendo il 2,5%, portando così il tasso di riferimento in territorio restrittivo. La BCE ha chiarito che continuerà a prevedere un aumento significativo dei tassi di interesse, con l’obiettivo di garantire il tempestivo ritorno dell’inflazione al suo obiettivo di medio termine, pari al 2%. L’inflazione headline dell’area dell’euro per il mese di gennaio dovrebbe attestarsi intorno all’8,5% e l’inflazione di fondo al 5,2% quando saranno resi noti i dati definitivi alla fine del mese (le stime preliminari indicavano sia l’8,5% che il 5,2%). Un picco del tasso di riferimento intorno al 3,25%-3,5% previsto dal mercato non sembra irragionevole, data l’incertezza ancora grande sulle dinamiche dell’inflazione. La BCE ha ribadito che c’è ancora molto da fare per quanto riguarda i tassi di interesse. La tendenza degli accordi salariali continua a favorire i lavoratori. La banca centrale prevede che la crescita della retribuzione per occupato sarà del 3,9% su base annua nel 2025, ben al di sopra della media di lungo periodo del 2,1%. Inoltre, la politica fiscale è considerata in gran parte non abbastanza mirata e le condizioni finanziarie basate sul mercato sono probabilmente ancora troppo allentate per gli obiettivi della BCE – il mercato prevede tagli dei tassi già nella seconda metà dell’anno. Affinché l’inflazione si normalizzi completamente per tornare all’obiettivo del 2% della BCE, è probabile che sia necessario un certo raffreddamento dell’economia e del mercato del lavoro. La recente resilienza economica sottostante dell’area euro non è quindi una notizia totalmente positiva per la BCE. Rimaniamo cauti sulla duration europea a breve termine.Il Presidente della BCE Christine Lagarde ha sottolineato che non esiste una forward guidance sui tassi di interesse e che la BCE rimane saldamente in modalità “riunione per riunione”, con le dinamiche dell’inflazione a guidare il futuro percorso dei tassi di riferimento. Tuttavia, ha anche annunciato l’intenzione di aumentare i tassi di interesse di altri 50 punti base nella prossima riunione di politica monetaria di marzo, in cui valuterà il successivo percorso di policy alla luce delle nuove proiezioni macroeconomiche degli esperti della BCE. Ma Lagarde ha lasciato intendere che probabilmente ci saranno altri rialzi dei tassi oltre la prossima riunione.Le nostre convinzioni rimangono poche per quanto riguarda l’andamento e la portata di ulteriori rialzi, date le incognite sull’evoluzione dell’inflazione. A meno che le nuove proiezioni macroeconomiche degli esperti della BCE non impongano diversamente, un altro rialzo di 50 punti percentuali a marzo sembra certamente cosa fatta, mentre la visibilità oltre il brevissimo termine rimane scarsa. Pertanto, non siamo in disaccordo con il terminal rate attualmente previsto dal mercato, ma continuiamo a essere piuttosto scettici sui tagli dei tassi previsti per la seconda metà dell’anno e vediamo il rischio che la BCE mantenga un orientamento restrittivo più a lungo di quanto il mercato attualmente si aspetti.Sebbene l’impatto dell’inasprimento quantitativo sulle dimensioni del bilancio della BCE, pari a 7.900 miliardi di euro, e sulla liquidità in eccesso sarà modesto nel breve termine, l’impatto principale sarà un aumento considerevole delle emissioni obbligazionarie sul mercato e prevediamo che l’offerta netta di titoli di Stato europei sarà più che raddoppiata quest’anno. La riduzione delle partecipazioni APP sarà proporzionale ai quattro portafogli APP, ma all’interno del portafoglio di obbligazioni societarie i reinvestimenti saranno orientati verso emittenti con una migliore performance in termini di ricadute sul clima. Infine, potremmo assistere a ulteriori sforzi per rendere più “verde” lo stock di titoli del settore pubblico e privato nel corso del tempo, in linea con le recenti riflessioni del membro del Comitato esecutivo della BCE Isabel Schnabel. Questi sforzi potrebbero includere il passaggio da un approccio basato sui flussi a un approccio basato sugli strumenti per i portafogli obbligazionari del settore privato, l’aumento della quota di obbligazioni emesse da istituzioni e agenzie sovranazionali e una certa rimodulazione del portafoglio di obbligazioni sovrane verso i green bond. (abstract by http://www.verinieassociati.com/
Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: bce, pimco | Leave a Comment »
PIMCO: Decisioni di politica monetaria della BCE ampiamente in linea con le aspettative
Posted by fidest press agency su venerdì, 3 febbraio 2023
By Konstantin Veit, Portfolio Manager di PIMCO Nel complesso, le decisioni di politica monetaria della BCE di ieri sono state ampiamente in linea con le aspettative. La reazione da colomba del mercato non è del tutto intuitiva e probabilmente è stata influenzata anche dalle riunioni della Fed e della Banca d’Inghilterra. La BCE ha aumentato i tassi di riferimento di 50 punti base e ha lasciato intendere che il ciclo di rialzi non è terminato, dato che l’inflazione di fondo rimane ai massimi storici. La BCE intende aumentare i tassi di altri 50 punti base a marzo e valuterà il percorso successivo alla luce delle nuove proiezioni macroeconomiche di marzo.Il Presidente Lagarde ha fortemente lasciato intendere che la BCE non concluderà a marzo.La BCE non ha fornito molte indicazioni sulla potenziale destinazione dei tassi d’interesse, ma ha accennato al fatto che essi dovranno comunque aumentare in modo significativo e a un ritmo costante, fino a raggiungere livelli sufficientemente restrittivi.Le nostre convinzioni restano poche per quanto riguarda l’andamento e la portata dei rialzi dei tassi della BCE, date le ampie incertezze sulle dinamiche dell’inflazione. La BCE ha inoltre reso noti i dettagli dell’esercizio del QT nell’APP. In linea con le aspettative, i reinvestimenti parziali saranno condotti secondo la prassi attuale, in proporzione alla quota di rimborsi di ciascun programma costitutivo. Non prevediamo conseguenze sul mercato a seguito di questi dettagli.
Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: bce, monetaria, pimco, politica | Leave a Comment »