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Quotidiano di informazione – Anno 35 n°195

Posts Tagged ‘pressione’

Medici di famiglia sotto pressione

Posted by fidest press agency su martedì, 25 aprile 2023

Il bando per il concorso di medicina generale d’accesso al triennio 2023-25 non si vede ancora. Ma il ministero della Salute ha appena inviato alle Regioni la ripartizione del fondo a finanziare le borse. Ora tocca alle giunte bandire i posti. Il segretario Fimmg Silvestro Scotti ha sollecitato il ministero della Salute ad inviare gli ispettori nelle regioni in ritardo nell’indicare i fabbisogni. Intanto, il nodo carenze si fa sentire: molti pazienti e sempre meno medici, e sempre più lontani ed oberati, senza successori. Per capire la gravità della situazione basta andare a Milano, dove solo 48 zone carenti su 424 sono state coperte, o in Veneto all’Ulss 3 Serenissima, Venezia, dove 69 “zone carenti” fin qui sono state riempite così: 22 con incarichi provvisori, 17 con proroga automatica dei medici convenzionati settantenni per altri 2 anni, 14 alzando per scelta del medico il massimale da 1.500 a 1.800 assistiti… infine sono previste 16 cessazioni da qui a fine anno. Nel frattempo, le regioni stentano a concludere gli accordi decentrati. Maurizio Scassola segretario Fimmg Veneto, ricorda che i problemi di organico tra i Mmg nella sua regione esitano in sovraccarichi lavorativi accettati per senso di responsabilità. «Si può avere anche 2.000 pazienti per medico, ma bisogna vedere a che condizioni. Serve un nuovo modello organizzativo e bisogna mettere in parallelo le trattative nazionali e regionali, con le seconde in qualche caso a fare da apripista», dice Scassola a Doctor 33.In Veneto Fimmg sta preparando i documenti per il futuro tavolo negoziale che auspica venga aperto a maggio. «Le nostre proposte riguardano personale e informatica. Sul personale partiamo da una riflessione: al momento il 40% dei residenti ha un medico di famiglia non incluso in alcun modello organizzativo di livello “europeo”; il cittadino conta su studi senza collaboratore né infermiere, esclusi a suo tempo dagli incentivi per via dei tetti alle forme associative. Ora però la mole di lavoro è diventata insostenibile. A fronte di una popolazione che invecchia e soffre di cronicità complesse, come medici di famiglia chiediamo alle regioni e alla Sisac per la trattativa nazionale strumenti per offrire agli italiani un’assistenza di prossimità vera», dice Scassola. «Non servono modelli aggregativi rigidi, forme associative strutturali particolari, ma serve un salto di qualità che ci avvicini al paziente, ci renda più accessibili». C’è poi il tema della tecnologia. «In una regione come il Veneto, avanti nell’informatizzazione, l’uso del “bit” è diventato una palla al piede del medico di famiglia e dei suoi pazienti. Si sono moltiplicati sia i frangenti in cui il computer ci è indispensabile sia i portali con cui dobbiamo dialogare: il 50% del nostro tempo è dedicato allo schermo a scapito dell’osservazione dei pazienti. Nel nostro documento chiediamo ad Azienda Zero (che coordina la tecnologia delle Ulss Venete ndr) di semplificare con noi le procedure informatiche, tanto più che sulle reti si innesteranno i servizi di telemedicina».Fimmg Veneto sostiene il Servizio sanitario nazionale come modello di network per legare assistenza ospedaliera e territoriale, ma punta ad una via “veneta” alla soluzione dei problemi locali. «Vorremmo rilanciare la qualità della proposta politica che fin qui ha contraddistinto la Regione. Il punto chiave è dotarci di nuovi modelli organizzativi calibrati sui bisogni della popolazione; tali modelli devono fare riferimento ai nostri studi distribuiti capillarmente sul territorio. Più che altro -dice Scassola- servono personale e percorsi di gestione dei pazienti. Si possono costruire nuovi modelli a partire da chi ha elevati bisogni socioassistenziali, ma serve trovare formule, spendibili nel resto d’Italia, che ci consentano di investire sul personale dei nostri studi. Speriamo di costruire un percorso verso un accordo integrativo regionale innovativo. Anche a livello nazionale Fimmg ragiona su una formula sostenibile da vecchi e giovani medici per finanziare i fattori produttivi di tutta la categoria. Ma bisognerà anche favorire gli ingressi di nuovi, giovani colleghi. Sollecito in tal senso la mia regione ad iniziare le procedure concorsuali per il triennio, ed è importante che tutte le regioni vadano in tal senso. Aumenti di massimale ed altre toppe di breve periodo da soli servono a poco». (fonte doctor33)

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Italia: Pressione fiscale reale al 49%

Posted by fidest press agency su giovedì, 14 aprile 2022

La pressione fiscale reale italiana, calcolata al netto del sommerso, ha raggiunto ormai il 49%, il livello più alto d’Europa. Nel 2019 era al 48,2%. Il dato è stato fornito dal Consiglio nazionale di commercialisti nel corso di un’audizione sul Def svoltasi presso le commissioni Bilancio di Camera e Senato. “Stante l’elevata quota di economia sommersa e illegale in Italia – hanno spiegato Tommaso Di Nardo e Pasquale Saggese, ricercatori della Fondazione nazionale della categoria- la pressione fiscale reale, il sacrificio cioè realmente imposto alla collettività che opera nell’economia emersa, è di gran lunga più elevato di quello ufficialmente registrato dall’Istat per tutta l’economia. La contabilizzazione da parte dell’Istat di una consistente quota di economia sommersa ed illegale nel Pil, pari per il 2019 a 203 miliardi di euro, l’11,3% del Pil, determina un livello particolarmente elevato della pressione fiscale reale, pari nel 2019 al 48,2%”.

Pur non essendo ancora disponibili le stime Istat dell’economia sommersa per il 2020 e il 2021, i commercialisti hanno sostenuto che, “alla luce dell’incremento della pressione fiscale ufficiale, è comunque possibile ritenere che la pressione fiscale reale si sia incrementata di pari passo. Mantenendo costante la quota di economia sommersa all’11,3% del Pil nominale, come rilevato dall’Istat per il 2019, la pressione fiscale reale nel 2021 raggiunge il 49% del Pil emerso, portando l’Italia al primo posto in Europa”. “Per il 2022 e per gli anni successivi – hanno proseguito – il DEF prevede una riduzione della pressione fiscale essenzialmente dovuta alla revisione dell’Irpef operata nella legge di bilancio 2022 e all’abolizione dell’Irap per le attività di impresa e lavoro autonomo svolte in forma individuale”. Per il sostegno alla ripresa economica, sarebbe secondo i commercialisti “fondamentale ridurre la pressione fiscale che grava sulle famiglie che, negli ultimi anni, è sempre aumentata. Nonostante gli interventi volti alla riduzione del cuneo fiscale sul lavoro dipendente, il livello complessivo del gettito tributario imputabile alle famiglie è quello che ha subito l’effetto maggiore dello shock fiscale 2012-2013 anche per effetto di una tassazione immobiliare particolarmente elevata a cui si aggiunge l’incremento della fiscalità locale che, anche per compensare il venir meno dei trasferimenti statali, è cresciuto progressivamente seppure in maniera ampiamente differenziata sui territori”. I rappresentanti della categoria hanno poi sottolineato come “l’evidente incremento del gettito delle imposte indirette trainato dall’Iva e generato in larga misura dall’importante crescita dell’inflazione, si abbatte sulle famiglie italiane contribuendo ad appesantire ancora di più il carico fiscale complessivo. Pertanto – hanno concluso – sarebbe auspicabile tenere sotto controllo il gettito Iva che sta alla base della lievitazione della pressione fiscale indiretta dell’ultimo anno, ed eventualmente, laddove le condizioni del quadro macroeconomico e di finanza pubblica lo permettessero, compatibilmente con la normativa europea, adottare opportuni provvedimenti di sterilizzazione dell’aumento del gettito Iva”.

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Molti ipertesi assumono farmaci che aumentano la pressione

Posted by fidest press agency su mercoledì, 8 dicembre 2021

Negli Stati Uniti, circa il 18% degli adulti con ipertensione prenda farmaci che possono causare un aumento della pressione sanguigna. A dirlo è uno studio apparso su Jama Internal Medicine basato su dati di un sondaggio e i cui risultati mostrano un’associazione tra l’uso di tali medicinali e maggiori probabilità di ipertensione non controllata tra chi non prende antipertensivi e maggior uso di antipertensivi tra chi soffre di ipertensione, che sia controllata o meno.Come spiegano gli autori, la maggioranza degli adulti statunitensi con ipertensione non raggiunge gli obiettivi di pressione raccomandati e l’uso di farmaci che possono aumentarla è una questione trascurata. «Date le tendenze nazionali di aumento della polifarmacia, l’uso di farmaci che aumentano la pressione sanguigna può contribuire a scarsi tassi di controllo della pressione e anche peggiorare la polifarmacia» scrivono. Scopo dello studio era quindi caratterizzare la prevalenza dell’uso di farmaci che possono elevare la pressione e valutarne l’associazione con il controllo della pressione stessa e con l’uso di antipertensivi. Nello studio cross-sectional sono stati esaminati i dati di 5 cicli del sondaggio National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES), relativi agli anni 2009-2018, per un totale di 27.599 adulti inclusi. Dall’analisi è emerso che il 14,2% dei partecipanti ha riportato l’uso di farmaci che possono causare pressione elevata. Questo valeva anche per il 18,5% degli individui con ipertensione. I farmaci più prescritti erano antidepressivi, farmaci antinfiammatori non steroidei, steroidi ed estrogeni. Si è poi visto che, solo tra chi assumeva antipertensivi, l’uso di farmaci che possono alzare la pressione si associava a maggiori probabilità di ipertensione non controllata. Inoltre, il loro uso si associava a un maggior uso di antipertensivi, sia tra i soggetti con ipertensione controllata sia in quelli con ipertensione non controllata. Come sottolineato dagli autori, esistono alternative terapeutiche a molti farmaci che aumentano la pressione. «I nostri risultati indicano, quindi, un’importante opportunità per migliorare il controllo della pressione sanguigna ottimizzando i regimi terapeutici, un approccio che ha il potenziale di ridurre anche la polifarmacia e la complessità dei regimi terapeutici» scrivono, e aggiungono che i medici che assistono i pazienti con ipertensione dovrebbero eseguire regolarmente lo screening dei farmaci che possono causare pressione elevata e considerare la possibilità di non prescriverli, sostituirli o, se ciò non fosse possibile, ridurne il dosaggio o la durata di utilizzo. (fonte Doctor33)

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L’IPC statunitense di ottobre aggiunge pressione alla politica della Fed

Posted by fidest press agency su sabato, 20 novembre 2021

Commento a cura di Tiffany Wilding, economista esperta di America Settentrionale di PIMCO sull’inflazione Usa. Un altro rapporto sull’inflazione dell’indice dei prezzi al consumo (CPI) statunitense più solido del previsto per ottobre 2021 lascia decisamente intendere che i funzionari della Federal Reserve anticiperanno il calendario previsto per l’aumento dei tassi, nel tentativo di gestire il rischio che le aspettative di inflazione a lungo termine accelerino a causa delle pressioni inflazionistiche e della conseguente incertezza economica. La Fed rilascerà le previsioni aggiornate sull’aumento dei tassi a dicembre; dopo quest’ultimo rapporto sull’IPC, crediamo che la previsione media aggiornata della Fed potrebbe indicare due aumenti dei tassi nel 2022 e tre o quattro aumenti nel 2023.Il rapporto CPI di ottobre ha mostrato che i prezzi di un’ampia gamma di beni al dettaglio sono aumentati più del previsto, poiché i consumatori hanno anticipato gli acquisti per il periodo natalizio, e anche l’accelerazione nelle categorie degli alloggi negli ultimi due mesi è stata più decisa del previsto. Le continue pressioni della catena di approvvigionamento e la domanda di automobili hanno anche contribuito all’aumento dell’inflazione riportata. Per ora, ci aspettiamo che il ritmo del tapering degli acquisti di asset continui a 10 miliardi di dollari al mese per i Treasuries statunitensi e 5 miliardi di dollari al mese per i titoli garantiti da ipoteca (MBS) agency. Tuttavia, non saremmo sorpresi di vedere più richieste per i funzionari della Fed ad accelerare il tapering a gennaio, quando dovranno annunciare l’andamento in corso. (abstract)

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Fibrillazione atriale, spesso non dà sintomi. Importante il controllo della pressione

Posted by fidest press agency su sabato, 28 novembre 2020

Piccoli malesseri occasionali come palpitazioni, tachicardia, astenia, difficoltà di respiro, sono tra i possibili sintomi della fibrillazione atriale, la forma di aritmia più comune, causa di aumento del rischio di ictus e malattie cardiovascolari.L’aritmia cardiaca consiste in una alterazione della regolarità del battito cardiaco, considerato anormale non solo quando la frequenza è irregolare, ma anche quando è eccessivamente rapida (tachicardia) o lenta (bradicardia).Nella fibrillazione atriale accade che gli atri cardiaci, ossia le camere superiori del cuore non si contraggono in maniera sincrona, ma in modo molto rapido e irregolare. Il sangue quindi non viene pompato in modo sufficiente e viene trasferito al resto del corpo in maniera inefficiente; da qui il senso di debolezza o stanchezza, oppure la comparsa di battito cardiaco accelerato Le contrazioni irregolari possono causare inoltre il ristagno di sangue all’interno dell’atrio e la formazione di coaguli, che dal cuore possono entrare in circolo e raggiungere il cervello causando l’ictus.Se non trattata la fibrillazione atriale comporta un aumento del rischio di cardiopatia ischemica, scompenso cardiaco, ictus ischemico ed emorragico, malattia renale cronica, arteriopatia periferica e demenza vascolare.Si stima che circa l’8% degli individui di oltre 65 anni di età, e il 16% degli over 85, in Italia, sia affetto da fibrillazione atriale. Le cause più frequenti sono l’ipertensione arteriosa, che si riscontra in più della metà dei pazienti affetti da questa patologia, il diabete mellito e l’ipertiroidismo. Ma anche le persone senza problemi cardiaci possono sviluppare una fibrillazione atriale.Questa condizione è spesso del tutto asintomatica, e viene diagnosticata casualmente, in occasione di visite o esami indotti da altre motivazioni. Altre volte i sintomi sono presenti in maniera sfumata e non vengono individuati come segnali della presenza di malattia. Controllare frequentemente la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca, a casa o in farmacia, è importante per individuarla.Esistono apparecchi di misurazione della pressione che rivelano anche la presenza di aritmie. Studi recenti hanno evidenziato che esiste una relazione tra i valori della pressione arteriosa massima) e il rischio di fibrillazione atriale: a un aumento di 20 mmHg di pressione arteriosa sistolica corrisponde in media un aumento del 21% del rischio di manifestare questo tipo di aritmia, e che questa relazione è ancora più forte per le donne.Individuare la presenza di fibrillazione atriale è importante per impostare una terapia anticoagulante, con l’obiettivo non di guarire la malattia, ma di prevenirne le conseguenze. La terapia anticoagulante si basa, in parte ancora oggi, sul farmaco tradizionalmente utilizzato a questo scopo ossia il warfarin, appartenente alla categoria dei dicumarolici; il trattamento richiede però un frequente monitoraggio dei tempi di coagulazione e conseguente aggiustamento del dosaggio. In alcuni casi possono essere associati degli antiaritmici.Le persone che assumono il warfarin devono attenersi a una serie di regole riguardanti l’alimentazione e il consumo di alcuni cibi, in particolare quelli ad alto contenuto di vitamina K, poiché possono interagire con il farmaco alterandone l’effetto. Tra i cibi da evitare le verdure a foglia verde come cicoria, lattuga, spinaci, broccoli, cime di rapa, cavoletti di Bruxelles, rucola, verza, oltre a olio di soia, tè verde, tè nero.In anni recenti sono stati introdotti altri farmaci anticoagulanti, dotati di un diverso meccanismo di azione. Si tratta dei nuovi anticoagulanti orali (NOAC: dabigatran, rivaroxaban, apixaban, edoxaban) che sono a dose fissa e hanno una azione indipendente dalla vitamina K, e in molti casi sono prescritti come terapia di prima scelta.Tra le possibili terapie per la fibrillazione atriale esistono anche interventi mirati alla risoluzione del problema: la cardioversione elettrica, una procedura messa in atto con un defibrillatore che riporta il ritmo del battito cardiaco alla normalità, e l’ablazione transcatetere. Quest’ultima consiste in un intervento chirurgico per rimuovere l’area di tessuto cardiaco responsabile dell’alterazione del battito cardiaco, e viene utilizzata solo in casi selezionati, per cui terapia farmacologica e cardioversione elettrica non abbiano dato risultati. Stefania Cifani. (Fonte: Dica33)

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In Italia una persona su 3 ha livelli di pressione non ottimale

Posted by fidest press agency su lunedì, 6 luglio 2020

Ciò mette in pericolo la salute del cuore e delle arterie. L’ipertensione arteriosa è infatti tra i principali fattori di rischio per l’insorgenza di malattie cardiovascolari (infarto del miocardio, ictus, scompenso cardiaco), che costituiscono la prima causa si morte nel nostro Paese con 240mila decessi ogni anno. Quello che però spesso si sottovaluta è l’esistenza di un’anticamera dell’ipertensione, la cosiddetta pressione normale-alta o pre-ipertensione, che si manifesta con valori a ridosso di quelli patologici, sulla quale è opportuno intervenire tempestivamente per evitare che negli anni si trasformi in ‘vera’ ipertensione. La buona notizia è questa condizione può essere tenuta sotto controllo con strategie di intervento non farmacologiche, grazie alla recente disponibilità di nuovi integratori alimentari specifici, da utilizzare sempre in abbinamento a modifiche dello stile di vita.
Un recente Documento di consenso della Società Europea dell’Ipertensione (ESH), pubblicato sul Journal of Hypertension [2], ha infatti confermato che nei soggetti con livelli pressori borderline (compresi tra 130/139 mmHg per la massima e 85/89 mmHg per la minima), è raccomandato l’utilizzo di alimenti funzionali, prodotti nutraceutici e componenti di origine naturale che si sono dimostrati efficaci nel controllo della pressione arteriosa in studi clinici randomizzati e controllati. Il paper ribadisce quanto già affermato dalle Linee Guida ESH/ESC [3] circa la possibilità di ricorrere a un approccio non farmacologico in presenza di dislivelli pressori moderati (valori normali di pressione arteriosa sono considerati sistolica < 140 mmHg e diastolica < 90 mmHg). Su questi temi si è confrontato un board di esperti in cardiologia e nutraceutica durante il webinar “FIRST, un primo approccio naturale contro i primi segnali di ipertensione”, organizzato da Neopharmed Gentili, azienda farmaceutica italiana specializzata nel trattamento delle principali patologie cardio-metaboliche.Gli esperti hanno sottolineato l’importanza di non trascurare i primi segnali dell’ipertensione, ricordando che il rischio di morte per malattia cardiovascolare è direttamente proporzionale all’aumento dei livelli di pressione arteriosa, già a partire da valori di 115 mmHg sistolici e 75 mmHg diastolici.

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Le catene della grande distribuzione specializzata (GDS) sono sotto forte pressione

Posted by fidest press agency su venerdì, 12 giugno 2020

Di Fabio Bolognini, Co-Fondatore di Workinvoice. Lo sono soprattutto per quanto concerne l’abbigliamento. Le notizie recenti sui risultati trimestrali di GAP inc. (marchi GAP, Old Navy, Banana Republic, Athleta) con un calo delle vendite del 43% (che non comprende aprile e maggio) e la perdita trimestrale di $932 milioni su vendite di $2,1 miliardi suonano l’allarme per tutto il settore, comprese le catene italiane. A conferma della gravità della situazione, le azioni intraprese da GAP Inc. per affrontare la sua crisi sono drastiche: sospensione dei dividendi, riduzione del piano investimenti del 50%, sospensione del pagamento degli affitti, estensione di credito ai distributori indipendenti, attivazione di nuovi finanziamenti per $4 miliardi tra obbligazioni e finanziamenti garantiti da crediti (asset-backed). E ciò che spaventa di più è che ricette simili non sono state sufficienti per altri retailer, come Neiman Marcus, e JC Penney. Questo scenario negativo purtroppo è destinato a toccare anche le catene italiane. Da questa parte dell’oceano, infatti, è giunta la notizia che OVS Spa ha richiesto un finanziamento di 100 milioni a Unicredit con garanzia SACE. Anche i dati ISTAT confermano che la filiera del retail sta sperimentando una contrazione di ricavi e cassa estremamente importante: dell’80% in periodo di lockdown, con un calo sull’intero 2020 intorno al 30-40%.

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Il mercato ittico sotto pressione

Posted by fidest press agency su giovedì, 9 aprile 2020

<<Pescatori, venditori al dettaglio e aziende impegnate nella grande distribuzione operative al 30 per cento: il settore ittico rallenta ma incassa il colpo dell’emergenza coronavirus scongiurando la paralisi. Volano della ripresa del settore potrebbe rivelarsi proprio la dieta mediterranea agevolata da un brusco calo del prezzo del prodotto>>. E’ quanto afferma Daniele Attili, Direttore Commerciale della 4th Cliff Lobster Italia srl Azienda leader nel settore ittico da oltre 30 anni e con sede a Roma (Ostia). <>. Anche la pesca dunque, uno dei settori produttivi su cui si basa una buona fetta dell’economia del litorale romano, sta accusando il colpo dell’emergenza coronavirus. Ma anche in questo caso i nuovi strumenti di comunicazione sembrano dare una mano. In particolare la possibilità, riconosciuta dalle restrizioni, di continuare a lavorare ha permesso di ridurre la frenata, trasformando quello che poteva essere un disastroso tracollo in una frenata dolorosa ma gestibile almeno dai più solidi ed esperti. <>. Molti pescatori del litorale romano in particolare hanno ridotto le uscite a 3 settimanali, evitano contatti con i clienti e utilizzano guanti e mascherine. C’è poi il calo del prezzo del pescato che si sta rivelando una sorpresa per molti consumatori, che sono così tornati a preferire il prodotto fresco allo scatolame. Soluzione valida anche per la salute se si considera l’apporto vitaminico garantito da questo tipo di alimentazione. <>.

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Redditi da lavoro e pressione fiscale

Posted by fidest press agency su sabato, 15 febbraio 2020

Un tema attualmente al centro dell’agenda politica sul quale bisogna agire considerando che è già in atto ed evidente una riduzione della forbice tra i redditi da lavoro. Riduzione in gran parte avvenuta non solo grazie al positivo taglio del prelievo agli stipendi medio-bassi ma anche a causa dell’aumento delle imposte su quelli medio-alti.Nel periodo che va dal 2008 al 2019, il prelievo (Irpef + addizionali) è aumentato per i dirigenti (retribuzione annua lorda media 100mila euro) e per i quadri (54mila €) rispettivamente del +2,3 e +2,5% ed è diminuito per gli impiegati (31mila €) e gli operai (25mila €) del -20,7 e -47,95%. L’incidenza di Irpef e addizionali sulla retribuzione imponibile, cioè l’aliquota media, è passata dal 2008 al 2019 dal 38 al 38,9% per i dirigenti, dal 32,2 al 33% per i quadri, dal 20,9 al 16,6% per gli impiegati e dal 15,7 all’8,2% per gli operai.Nel periodo in esame, la forbice tra la retribuzione media annua lorda di un dirigente e quella di un operaio è restata pari a 6,7 volte, ma quella calcolata sulla retribuzione netta si è abbassata da 4,9 volte del 2008 a 4,4 volte del 2019. Oltre al travisato aumento delle diseguaglianze, che di fatto riguarda in alto uno sparuto gruppetto di persone e nel caso i patrimoni, c’è e reale in Italia un progressivo impoverimento della cosiddetta “classe media”, cioè di quel ceto produttivo composto da professionisti, manager, insegnanti, impiegati, piccoli imprenditori, che ha rappresentato storicamente il fulcro della democrazia rappresentativa e della crescita inclusiva.Lo confermano, oltre ai dati già esposti anche, i risultati delle indagini condotte dalla Banca d’Italia nel periodo 2002-2016, da cui emerge che le retribuzioni nette di dirigenti pubblici e privati, di quadri e impiegati direttivi si sono accresciute del 26% a prezzi correnti, cioè ad un tasso più contenuto di quello stimato per il complesso dei lavoratori dipendenti (+32%).L’urgente la realizzazione di una riforma della fiscalità e in particolare dei meccanismi di progressione delle aliquote Irpef deve quindi andare nel segno della semplificazione e della giusta progressività, per rendere il sistema più giusto, efficiente, equo e coerente con i principi di solidarietà e di uguaglianza. In questo senso – per tutti, ma soprattutto per chi già paga tanto e troppo, oltre a non andare oltre una soglia già eccessiva – serve dare messaggi sul fronte della riduzione della spesa e del recupero dell’evasione e prevedere di reperire eventuali ulteriori risorse non sui redditi da lavoro, ma altrove.“L’obiettivo ultimo del legislatore – ricorda Guido Carella presidente di Manageritalia – deve essere quello, in primis, di tutelare le categorie meno abbienti senza colpire, va sottolineato, i redditi da lavoro medio-alti già tartassati. Non ci stancheremo mai di dire che non si può far pagare sempre e sempre di più alle stesse categorie”. “Soprattutto – chiude Carella – occorre pensare ad innescare una vera e strutturale crescita dell’economia, senza la quale i redditi resteranno sempre al palo o scenderanno e ogni anno si ripresenterà il problema e “lo spettro” di una spesa pubblica difficilmente sostenibile e di una pressione fiscale elevata e concentrata su pochi cittadini, con il rischio di compromettere la tenuta complessiva del welfare state”.

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Tasse, la classifica dei Paesi UE con la pressione fiscale più alta

Posted by fidest press agency su sabato, 2 novembre 2019

Passando a considerare la griglia completa dei Paesi, si scopre che a guidare la classifica di quelli più tassati dal fisco c’è la Francia che si conferma il paese dell’Unione europea dove la tassazione (tasse sul reddito e contribuzione sociale) è più elevata, in base ai dati Eurostat del 2018. Nel paese la pressione fiscale è al 48,4%, in aumento dall’anno precedente (48,3%), seguita da Belgio (47,2%, in aumento dal 47%), Danimarca (45,9%, in calo rispetto dal 46,8%), Svezia (44,4%, in calo dal 44,7%), Austria (42,8%, in aumento dal 42,4%), Finlandia (42,4%, in calo dal 43,1%) e Italia (42%, in lieve calo rispetto al precedente 42,1%). I paesi dove il fisco colpisce meno sono Irlanda (23%), Romania (27,1%), Bulgaria (29,9%), Lituania (30,5%) e Lettonia (31,4%). La media europea resta praticamente invariata al 40,3%.Rispetto al 2017 la pressione fiscale è salita nella maggior parte dei paesi (16), in particolare in Lussemburgo (da 39,1% nel 2017 al 40,7% nel 2018) e Romania (da 25,8% a 27,1%).Per quanto riguarda la sola imposta sul reddito, in testa resta la Danimarca (28,9%), seguita da Svezia (18,6%), Belgio (16,8%), Lussemburgo (16,4%), Finlandia (15,9%) e Italia (14,1%). Tuttavia l’ostilità e l’avversione che gli italiani manifestano per le tasse, non nascono solo dall’avvilente constatazione della sempre più marcata sproporzione tra quanto versato e la qualità dei servizi pubblici, sempre più scadenti, che a fronte di ciò viene offerta. A giocare un ruolo determinante sulla sempre più dilagante insofferenza verso il pagamento delle imposte c’è infatti anche la convinzione che la pressione fiscale esistente nel nostro Paese sia sempre più insopportabile. E a confermare questa sensazione, evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, arrivano, anno dopo anno, numeri e statistiche, che non fanno altro che confermare quello che ormai è un incontrovertibile dato di fatto. I dati più aggiornati, ci dicono infatti che nonostante il peso del fisco in Italia sia calato di 0,1 punti, dal 42,1 % del 2017 al 42% del 2018, esso resta comunque il settimo più pesante dei grandi Paesi industrializzati.

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Presentazione progetto: monitoro la mia pressione

Posted by fidest press agency su sabato, 13 luglio 2019

Roma, 18 luglio 2019, ore 10:00 Ministero della Salute, Auditorium Cosimo Piccinno – Lungotevere Ripa. L’ipertensione è uno dei principali problemi di salute della popolazione senior, con una prevalenza che aumenta con il crescere dell’età. La presenza dell’ipertensione si associa a un aumentato rischio di ictus, insufficienza cardiaca, malattia coronarica, malattia renale. Senior Italia FederAnziani in collaborazione con SIIA – Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa, ha condotto un’indagine presso la popolazione anziana monitorando la pressione di 15.000 over 65 in tutta Italia. I risultati dei dati saranno presentati in una conferenza stampa presso il Ministero della Salute. Partecipano all’evento: Pierpaolo Sileri (Presidente Commissione Igiene e Sanità del Senato), Roberto Messina (Presidente Senior Italia FederAnziani), Claudio Ferri (Presidente SIIA), Enrico Agabiti Rosei (Comitato Scientifico ESH – European Society of Hypertension).Sono stati invitati: Giulia Grillo (Ministro della Salute) Armando Bartolazzi (Sottosegretario di Stato alla Salute) Luca Coletto (Sottosegretario di Stato alla Salute)

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Titoli italiani sotto pressione

Posted by fidest press agency su giovedì, 8 novembre 2018

(By Antonio Ruggeri, gestore del fondo OYSTER European Corporate Bonds di SYZ Asset Management) Da quando il governo italiano ha annunciato un deficit al 2,4% per il 2019, i titoli governativi italiani si sono trovati nuovamente sotto pressione. Lo spread nei confronti dei Bund tedeschi a 10 anni si è attestato sopra la soglia dei 300 pb per la prima volta dal 2013, trascinando verso il basso i titoli bancari e le obbligazioni subordinate. La reazione è stata provocata dalla significativa deviazione non solo rispetto all’orientamento definito dal precedente governo, in parte attesa, ma anche dall’obiettivo dell’1,6% annunciato dallo stesso ministro delle finanze a inizio settembre.Le vendite in massa sui mercati si sono materializzate ancor prima che giungessero i giudizi delle agenzie di rating, previsti per fine ottobre, anticipando un rischio di declassamento ben superiore alla tripla B meno. Gli spread attuali dei CDS e delle obbligazioni italiane non solo sono più ampi di 150 pb rispetto al Portogallo, il cui rating è BBB-, ma anche rispetto ad alcuni paesi emergenti con rating “spazzatura” e fondamentali strutturalmente peggiori.In effetti le reazioni del mercato al declassamento da parte di Moody’s sono state blande se non marginalmente positive, dato l’outlook stabile assegnato dall’agenzia. Reazioni leggermente migliori sono state suscitate dalla decisione di S&P di confermare il rating BBB, riconoscendo che l’Italia può ancora contare su “un’economia prospera e diversificata e una solida posizione netta con l’estero”. In ogni caso, dato che le attuali valutazioni sono molto più elevate di quelle dei paesi con rating simili e i timori di vedere l’Italia sprofondare presto a livello “spazzatura” si sono dissipati, il rimbalzo avrebbe potuto essere più pronunciato.Tra di essi non vi è ancora il rischio di insolvenza: vista l’inclinazione positiva della curva dei rendimenti e nessun tasso sopra il 4%, è difficile sostenere che il mercato stia scontando un rischio di default a breve termine.Per quanto possa sembrare banale, riteniamo che si tratti di incertezza dovuta a un mix di fattori politici ed economici. Dal punto di vista economico, per quanto il deficit non sia in sé così preoccupante, gli investitori hanno poca fiducia nelle proiezioni del PIL italiano e, pertanto, hanno iniziato a scontare un ulteriore deterioramento dei fondamentali, in particolare del rapporto debito/PIL.Tuttavia, visto che lo spread attuale non è significativamente maggiore rispetto al livello di fine giugno, ossia molti mesi prima della pubblicazione del bilancio, è probabile che sia principalmente la sfida alla UE e agli Stati membri a creare incertezze e preoccupazioni negli investitori e ad essere alla base del maggior premio pagato dalle obbligazioni italiane. Con la modifica dell’outlook da stabile a negativo, la stessa S&P conferma queste preoccupazioni in quanto prevede aspettative di crescita eccessivamente ottimistiche, elevate probabilità di deterioramento dei fondamentali e, in particolare, maggiore incertezza a livello politico. L’agenzia dichiara che tutti questi fattori hanno minato la fiducia degli investitori che, pertanto, resta la principale ragione dell’attuale premio al rischio richiesto all’Italia. Per questi motivi non prevediamo un netto e prolungato miglioramento per gli asset italiani fino a quando non verrà ristabilita la fiducia.Se questo è il caso, stentiamo a credere che tali incertezze si dissolveranno presto, a meno che il governo italiano faccia un deciso passo indietro. Ma ciò non avverrà per effetto delle azioni dirette o della pressione morale esercitata dalla Commissione europea o dalle agenzie di rating. L’unica ragione che potrebbe provocarlo sarebbe la pressione dei mercati sugli spread: nonostante la retorica utilizzata in campagna elettorale, sia i 5 Stelle che la Lega non possono ignorare l’impatto di costi di finanziamento più alti non solo sul bilancio preventivo ma, aspetto più importante, sulla situazione patrimoniale delle banche e, in ultima istanza, sull’elettorato. E infatti, anche se il governo continua ad adottare una linea dura nei confronti della UE, i toni nei confronti dei mercati si sono abbassati, lasciando intendere agli investitori che il livello dello spread ritenuto critico è intorno ai 400 punti base. Se le nostre analisi sono giuste, quindi, la situazione potrebbe ancora peggiorare prima che possa migliorare nuovamente.

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Roma Tre: Congress on Water under Extreme conditions

Posted by fidest press agency su martedì, 13 giugno 2017

Roma Mercoledì 14 Giugno 2017, ore 9:00 / 16 Giugno 2017 Aula Magna del Rettorato Via Ostiense 129. Questo congresso ha lo scopo di discutere lo stato dell’arte nel campo della ricerca sull’acqua in condizioni estreme di temperatura e pressione e di individuare nuove strategie per la maggiore comprensione dei fenomeni. Gli argomenti trattati includono l’acqua sotto raffreddata, vale a dire tenuta in fase liquida sotto il punto di congelamento, l’acqua supercritica nella zona di pressione e temperatura sopra il punto critico, le soluzioni acquose, l’acqua confinata e l’acqua alle interfacce. Sono tutte situazioni, il cui studio rappresenta una forte sfida per le tecniche sperimentali, gli approcci teorici e la simulazione numerica. D’altra parte questi studi sono di grande rilevanza in quanto l’acqua è il composto più importante in natura ed è caratterizzato da un diagramma di fase molto complesso con un gran numero di diverse strutture solide. Esso mostra molte anomalie in tutto lo spazio termodinamico. La comprensione del comportamento dell’acqua, nella sua fase pura e/o in contatto con substrati e/o in soluzioni con materiali inorganici o biologici, è di fondamentale importanza per una vasta gamma di applicazioni in fisica, chimica e biochimica. A questo congresso prenderanno parte alcuni fra i più importanti studiosi della fenomenologia dell’acqua provenienti da vari paesi del mondo. Oltre a una trentina di invited talk, avremo anche short talk e poster con un totale di circa settanta partecipanti. Scopo del congresso è di indentificare nuove strategie per il progresso in questo campo, con attenzione in particolare alle sfide legate allo sviluppo di tecniche computazionali avanzate. Questo congresso appartiene a una serie di incontri che Paola Gallo e Mauro Rovere hanno organizzato ogni due anni a partire dal 2009. L’ultima edizione nel 2015 si è svolta già a Roma Tre.

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Con Renzi la pressione fiscale è aumentata

Posted by fidest press agency su mercoledì, 15 febbraio 2017

fisco2005aDichiarazione dell’onorevole Renato Brunetta, presidente dei deputati di Forza Italia:“Al giovane professor Marattin, perché impari a fare i suoi grafici e ad essere un po’ meno assertivo e arrogante nelle sue comparsate televisive: innanzitutto esiste la funzione “mostra etichette dati” che li rende più leggibili. La usi quando vuol comunicare onestamente! In secondo luogo: se la fonte citata è il Def, quello di quale anno? Per andare indietro fino al 2012 deve prendere la Nota di aggiornamento del Def 2013, dove la pressione fiscale riferita al 2012 è, però, al 44% e non poco meno del 43,5% come emerge dal suo impreciso istogramma. Né può appellarsi ai dati Istat, che per il 2012 danno la pressione fiscale al 43,6%. Quanto al 2015 e al 2016, poi, probabilmente Lei fa riferimento alla Nota di aggiornamento del Def 2016 e non al Def, come indicato in maniera frettolosa e superficiale, utilizzando tra l’altro l’imbroglio della dicitura “al netto del bonus 80 euro”, quando sa benissimo che Istat, Eurostat e Ufficio Parlamentare di Bilancio sono stati chiari nel ribadire come per le regole contabili il bonus degli 80 euro è da considerarsi “maggiore spesa” e non “minore entrata”, come vorrebbe Lei e il suo capo, “professor” Renzi. Pertanto, la pressione fiscale nel 2015 si è attestata al 43,4%, e questo non solo è scritto nella Nota di aggiornamento del Def 2016 ma anche certificato dall’Istat, che Lei in tv cita per farsi il bello, ma che poi nel suo lavoro evidentemente non consulta. Altro che il 42,8% (circa) che vorreste farci credere.In termini assoluti, per concludere, le entrate correnti nel 2013, prima dell’avvento di Renzi al governo, ammontavano a 742,4 miliardi di euro (fonte: Def 2014), mentre nel 2016 (fonte: Nota di aggiornamento del Def 2016) sono salite a 778,6 miliardi. Il che vuol dire che nei mille giorni di Renzi la pressione fiscale è aumentata di 36,2 miliardi di euro. Prelevati dalla tasche degli italiani per finanziare, caro professor Marattin, le mance e mancette del Suo presidente del Consiglio, per fortuna ormai ex. E a suo promemoria, onde evitarLe difficili ricerche, con Berlusconi nel 2011 la pressione fiscale era ben più bassa: al 41,6%”.

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Quali sono i corretti livelli di pressione arteriosa?

Posted by fidest press agency su mercoledì, 2 novembre 2016

pressione arteriosaBerlino. Avere livelli di pressione nella norma, i famosi 80-120 mmHg che quasi tutti conoscono, aiuta a prevenire problemi cardiovascolari, infarti e ictus. Ma cosa fare se i livelli sono più alti, anche di poco? Il dibattito è aperto tra i medici, ed è stato recentemente rilanciato da uno nuovo studio, lo SPRINT (Systolic Blood Pressure Intervention Trial) realizzato dal National Heart, Lung and Blood Institute statunitense. Gli americani sono convinti che la pressione elevata vada trattata con aggressività, i medici europei sono più cauti, e il confronto tra le due visioni si è sviluppato anche in occasione del simposio “Bringing Cardiovscular Medicine Center Stage: New Trends Today and Tomorrow”, organizzato dalla Charité University Medicine di Berlino e promosso dalla Fondazione Internazionale Menarini. «Lo studio SPRINT suggerisce che un approccio aggressivo per abbassare la pressione è benefico per ridurre gli eventi cardiovascolari. Vi sono numerose evidenze di come il trattamento antipertensivo si accompagni a una riduzione del rischio cardiovascolare e renale. Lo stesso discorso vale per la riduzione della della pressione per sé, a prescindere da come si ottiene» commenta Giuseppe Mancia, Direttore del Centro di Epidemiologia e Trial Clinici dell’Istituto Auxologico Italiano di Milano. «Nonostante decenni di ricerca, però, le informazioni non sono ancora conclusive su quale dovrebbe essere il valore di pressione da raggiungere con la terapia per massimizzare la protezione renale e cardiovascolare». Secondo lo studio SPRINT, più si abbassa il livello di pressione più si incrementano i benefici per tutte le età, sia grazie a un trattamento farmacologico sia con modifiche allo stile di vita, per esempio con dieta, attività fisica, eliminazione del fumo di sigaretta. «Però alcuni dati dello studio non sono così chiari: per esempio la sola riduzione elevata della pressione non ha effetti benefici sull’ictus mentre sembra ridurre il rischio di ictus se è accompagnata da una terapia antipertensiva, per cui quest’ultima potrebbe amplificare alcuni effetti benefici» aggiunge Mancia. «Si è poi osservato un marcato incremento di effetti collaterali nei pazienti trattati intensivamente, aspetto che al di fuori di uno studio, cioè nella vita reale, potrebbe provocare la discontinuità e la scarsa aderenza al trattamento da parte dei pazienti, con un conseguente incremento di rischio cardiovascolare che può attenuare, se non annullare, ogni teorico beneficio».
I dati dello studio poi non sono danno indicazioni definitive su come comportarsi con i pazienti che presentano una pressione appena più alta del normale, cioè tra i 121 e i 134 mmHg, quindi in definitiva resta aperto il dibattito per definire quale deve essere il livello di pressione da raggiungere. «Saranno necessari nuovi studi che esplorino in particolare le possibili differenze nel livello ottimale di pressione secondo le caratteristiche demografiche, incluse quelle etniche, e i fenotipi clinici, come la presenza o assenza di danno d’organo, la durata di malattia, le caratteristiche di eventuali eventi cardiocircolatori». Quindi i target di pressione arteriosa raccomandati dovranno essere abbassati per seguire le indicazioni dello studio SPRINT? Alla domanda risponderanno le future linee guida europee e statunitensi, che sono in preparazione. «Le linee guida europee con le indicazioni per il controllo della pressione sono in revisione e saranno pronte nel 2018 e anche gli americani stanno aggiornando le loro linee guida. La mia opinione è che gli americani siano più propensi a seguire le indicazioni dello studio SPRINT, anche perché lo studio è stato realizzato dal National Heart, Lung and Blood Institute, che è un loro ente statale. Gli europei invece guardano ai differenti aspetti dello studio, per cui le due linee guida potrebbero differire». La questione quindi non è così semplice, e il cardiologo oggi deve valutare se dire al paziente che deve abbassare la pressione a 120 mmHg assumendo farmaci ogni giorno e per diversi anni per ridurre il rischio di eventi cardiovascolari, però aumentando il rischio di effetti collaterali. Una indicazione che spesso il paziente inizia ma poi non segue. «Abbiamo farmaci efficaci, ma i pazienti non li usano. La pressione è sotto controllo solo in un paziente su tre. A volte un trattamento non funziona perché il paziente non lo assume. Il primo intervento da fare riguarda quindi la corretta informazione ai pazienti, per ridurre il rischio di infarti, ictus e altri eventi cardiovascolari» conclude Mancia.

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Cervello a rischio se la pressione è alta

Posted by fidest press agency su mercoledì, 31 agosto 2016

cardiology congress-2016Roma. Il declino cognitivo è, per alcuni, il prezzo che pagano alla longevità, ma un mix di fattori genetici, ambientali e personali a mantenere una mente lucida anche in tarda età è una vera conquista. Ecco perché è così importante conoscere e analizzare ogni elemento che possa interferire con il buon funzionamento del cervello.
“Studi sull’ipertensione hanno messo questo disturbo sul banco degli imputati” – spiega Franco Romeo – Local Press Coordinator dell’ESC e Direttore Cardiologia Policlinico Tor Vergata di Roma – “nonostante diversi studi abbiano cercato di analizzare l’impatto della pressione alta sulle funzioni cognitive, la maggior parte ha confrontato i pazienti non trattati con quelli in terapia mentre sono più scarse le ricerche che hanno messo in relazione soggetti in terapia con i normotesi”.
La nuova ricerca presentata all’ESC 2016 ha preso in esame 48 adulti di età compresa tra 65 e 85 anni, divisi poi in due gruppi: 26 normotesi e 22 con ipertensione controllata da farmaci. Ogni partecipante ha accettato a sottoporsi ad una valutazione neuropsicologica orientata a determinare i livelli di memoria, attenzione, linguaggio e funzioni esecutive, insieme ad un monitoraggio pressorio delle 24 ore e ad analisi del sangue (sodio, potassio, calcio, creatinina, glucosio, trigliceridi, funzionalità tiroidea). Per ogni valore è stata condotta l’analisi di varianza (una tecnica che permette di confrontare gruppi di dati con la variabilità interna ai gruppi e tra i gruppi, nota con l’acronimo ANOVAs).
cervelloI risultati hanno rilevato una differenza significativa tra i due gruppi nei tempi di risposta al Color Word Interference Test (CWIT) in cui bisogna leggere il nome del colore con cui è dipinto il nome di un colore (es. YELLOW scritto con inchiostro ROSSO, quindi la risposta giusta è ROSSO, in psicologia viene chiamato ‘effetto stroop’).
“E’ interessante notare come in questo test i pazienti in trattamento mostravano performance peggiori rispetto a quelli del gruppo con pressione nella norma. La ricerca ha anche evidenziato una correlazione positiva tra valori pressori di 135mmHg e i risultati del Trail Making Test parte B che valuta la capacità di pianificazione spaziale in un compito di tipo visuo-motorio: consiste ad esempio nell’unire con una linea lettere e numeri sparsi su un foglio in una sequenza definita A1,B2,C3 ecc e il punteggio è basato sul numero di secondi impiegati a completare il test” aggiunge il dottor Michele Gulizia, Local Press Coordinator dell’ESC e Direttore Cardiologia Ospedale Garibaldi di Catania – che aggiunge “Il gruppo di ricercatori canadesi ha quindi preso atto che una pressione sistolica maggiore di 135 mmHg è un fattore di rischio per prestazioni cognitive, rinforzando l’ipotesi che l’ipertensione debba essere attentamente monitorata e controllata per proteggere anche il cervello”.
“Problema non di poco conto se pensiamo che l’ipertensione interessa milioni di connazionali ed è causa di numerose complicazioni cardiovascolari e non” avverte Leonardo Bolognese – Direttore Cardiologia ospedale di Arezzo e Local Press Coordinator di ESC “l’hanno definita il killer silenzioso che ha lasciato una scia di 240mila morti solo nel nostro Paese, pari al 40% di tutte le cause. La correlazione con la funzione cerebrale risiede nel fatto che nonostante esistano terapie efficaci, solo 1 paziente su 4 riceve un trattamento adeguato e controlla i valori efficacemente. La compliance infatti è un ‘nodo gordiano’ molti soggetti non assumono la terapia in modo corretto, altri non la assumono affatto, che spiega come alcuni casi definiti ‘resistenti’ dipendono invece da problemi di aderenza”.
Controllare l’instabilità pressoria (e non solo il valore medio) è una strategia per proteggere le funzioni cognitive, così come sottolineato anche da una ricerca pubblicata quest’anno su Hypertension. Da ricordare inoltre è che la pressione alta è il fattore di rischio numero uno per l’ictus e nei soggetti tra 40 e 61 anni il rischio di mortalità cardiovascolare raddoppia ogni 10/20 mmHg in più.

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Sovrappeso, ipertensione e colesterolo sono ancora i nemici più diffusi di una vita lunga e in buona salute

Posted by fidest press agency su giovedì, 11 giugno 2015

anzianiSovrappeso (48%), pressione alta (46%) e colesterolo (38%) sono le tre minacce alla longevità più diffuse e ancora poco contrastate, persino da un campione rappresentativo di persone che pure sembrano avere particolarmente a cuore un invecchiamento in buona salute. Questi risultati, infatti, sono emersi dal Longevity Check-up, un vero e proprio test sui sette parametri di salute cardiovascolare il cui rispetto è ritenuto dalla scienza il vero segreto della longevità. Il Chech-up è stato offerto dalle Marche, regione con l’aspettativa di vita più alta d’Italia, all’interno del proprio spazio EXPO, per promuovere le abitudini alimentari e gli stili di vita che rappresentano le strategie ottimali per candidarsi a divenire centenari.Grazie alla collaborazione di Italia Longeva – network internazionale fondato dalla Regione insieme al Ministero della Salute, proprio per indagare e diffondere le evidenze scientifiche su un invecchiamento in buona salute fisica e mentale – i visitatori dello spazio Marche all’interno dell’EXPO hanno avuto l’opportunità di eseguire il Longevity Check-up. Hanno effettuato il test, rivolgendosi ai medici di Italia Longeva, circa mille persone: il 94% italiani e il 6% stranieri, con un’età media di 54 anni e con una prevalenza del campione femminile (il 56%, contro il 44% di maschi).“Il dato genetico – dichiara il professor Roberto Bernabei, presidente di Italia Longeva – incide fra il 20 e il 25% sulla speranza di vita di ciascuno di noi. Ciò significa che quel che fa la differenza sono le abitudini di vita, dall’alimentazione all’attività fisica: la longevità è quindi una conquista personale. Per questo abbiamo posto al centro del nostro Longevity Check-up i sette parametri di salute cardiovascolare che sono alla base di una vita lunga e in salute: astensione dal fumo, regolare esercizio fisico, dieta equilibrata con adeguato apporto di frutta e verdura, lotta al sovrappeso, valori di colesterolemia sotto controllo e attenzione anche alla pressione arteriosa e alla glicemia. Purtroppo, dal nostro test sui visitatori dello spazio Marche in EXPO è risultato che solo il 9% delle persone esaminate rispetta tutti e sette questi parametri”.E infatti quasi la metà del campione che si è sottoposto al Longevity Check-up (48%) presenta un peso corporeo eccessivo (di questo 48%, il 35% è risultato in sovrappeso e il 13% addirittura obeso); il 46% ha la pressione troppo alta e il 38% valori di colesterolo fuori controllo. Ancora molto diffuso anche il vizio del fumo, con il 17% di fumatori impenitenti e il 25% di ex fumatori. Meglio, invece, la sensibilità per una dieta corretta e un adeguato esercizio fisico, con l’80% del campione analizzato che segue una dieta equilibrata e il 70% che pratica regolarmente un’attività sportiva.“Significativamente – aggiunge Bernabei – dal nostro test è risultato che i marchigiani seguono una dieta corretta addirittura nell’85% dei casi, e conseguentemente manifestano un controllo ottimale del colesterolo nel 66% del campione che si è sottoposto al Check-up. È chiaro, quindi, che l’alimentazione gioca un ruolo cruciale per la conquista della longevità, eppure mangiare bene non basta: l’esercizio fisico, che nelle Marche è spesso imposto dall’acclività del terreno, fatto di sali-scendi collinari, una rete familiare e sociale solida, il mantenimento di forti rapporti inter-generazionali, fra genitori e figli e fra nonni e nipoti, e persino saldi riferimenti spirituali sono all’origine di una vecchiaia lunga e serena, che si fonda sulla salute fisica, ma anche sulla lucidità intellettiva e sull’equilibrio psicologico”. Nel Forum internazionale sulla longevità, con il quale proprio oggi termina la presenza della Regione Marche all’Expo, è stata proposta un’analisi scientifica – grazie alla presenza dei massimi esperti a livello internazionale – delle abitudini delle popolazioni più longeve del mondo, gli abitanti delle famose ‘Blue Zone’. “Gli studi mostrano chiaramente che il fumo, l’obesità, la felicità e persino la solitudine sono contagiosi – ha detto nel corso del Forum Dan Buettner, l’esploratore del National Geographic che ha studiato le Blue Zone sparse per il pianeta –. Il segreto, in fondo, è circondarsi di amici che seguano e ci incoraggino a seguire uno stile di vita salutare. Anche dal punto di vista dell’esercizio fisico, infatti, i popoli più longevi del mondo non passano la giornata a sollevare pesi in palestra, non sono maratoneti né assidui frequentatori di circoli sportivi: piuttosto, vivono in un ecosistema familiare, lavorativo, sociale e ambientale che li induce a muoversi in continuazione, senza neanche pensarci. La strategia ottimale per la longevità sembra quindi soprattutto combattere la pigrizia e la tristezza, andare a piedi a lavoro, fare le scale invece di prendere l’ascensore”.“Negli ultimi decenni – ha spiegato Gianni Pes, del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Sassari, scopritore della prima Blue Zone – le ricerche sulla longevità si sono concentrate su una strategia multidisciplinare, che ha visto l’integrazione di genetica, demografia, antropologia e scienza dell’alimentazione, tutte alleate nello sforzo comune di comprendere non solo come si viva più a lungo, ma soprattutto come si possa invecchiare in buona salute, fisica e mentale. Non tutti sanno che è italiana la prima zona del pianeta ormai ampiamente accreditata dalla scienza come vero osservatorio internazionale sulla longevità: la prima Blue Zone. Si tratta dell’Ogliastra, la zona montuosa centro-orientale della Sardegna nella quale si registrano gli indici di sopravvivenza media più elevati al mondo, soprattutto nella popolazione di sesso maschile, e ciò in controtendenza rispetto a quanto avviene nel resto del pianeta. A mio parere, la principale lezione che possiamo apprendere dallo studio delle Zone Blu è che i fattori modificabili hanno un peso maggiore di quelli ereditari, e pertanto uno stile di vita equilibrato è la migliore strategia per una vita lunga e in buona salute. Cibi elaborati, sedentarietà, isolamento sociale, vizi persino ricercati e ogni altra abitudine che più si discosti dallo stile di vita di popoli pastorali, con un’alimentazione essenziale e la necessità di spostarsi al seguito delle greggi, sono senza dubbio le strategie meno efficaci per candidarsi alla longevità”.“Complessivamente abbiamo rilevato – conclude Roberto Bernabei – che per vivere a lungo l’alimentazione corretta è necessaria ma non sufficiente. È imprescindibile anche l’esercizio fisico, una rete familiare e sociale solida e persino saldi riferimenti spirituali. In sostanza, quasi con uno slogan, può dirsi che la salute fisica non è sufficiente per invecchiare in salute, e gli elementi psico-sociali sono altrettanto indispensabili; se non altro, perché la longevità non è ‘sopravvivere molto’, ma piuttosto imparare a costruire e a difendere, giorno dopo giorno, una vita degna di essere vissuta a lungo”.

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Giornata Mondiale contro l’ipertensione

Posted by fidest press agency su venerdì, 15 Maggio 2015

ipertensione2In programma il 17 maggio e promossa in tutto il mondo dalla World Hypertension League torna l’appuntamento annuale della SIIA – Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa – con la Giornata Mondiale contro l’ipertensione, “Impara a conoscere la tua pressione arteriosa” è il messaggio della Campagna e la mission che da sempre la SIIA porta avanti per creare tra i cittadini una coscienza del problema, dei rischi correlati e informarli dei vantaggi della corretta gestione di una patologia che affligge ormai una persona su tre e che rappresenta ancora oggi la prima causa di morte al mondo.Obiettivo della Giornata è quindi quello di diffondere un messaggio sociale sull’importanza di conoscere e tenere sotto controllo i propri valori, aumentando la coscienza individuale circa gli accorgimenti per prevenire l’ipertensione e sugli strumenti per arginarla.
«Il problema è enorme e l’attenzione inspiegabilmente bassa – commenta il Prof. Claudio Borghi, Presidente SIIA – In Italia abbiamo oltre 16 milioni di ipertesi e solo una persona su tre ha la pressione ben curata. A livello mondiale la cifra sale a circa 1 miliardo e mezzo. Sono numeri che non possiamo trascurare: ogni anno muoiono per malattie cardiovascolari dovute alla pressione alta 280.000 persone in Italia e 8,5 milioni di persone nel mondo. Si fatica a comprendere come mai il problema possa essere vissuto con indifferenza da larga parte della popolazione, quando ormai gli strumenti di diagnosi sono più che accessibili e le strategie di prevenzione efficaci».Nel promuovere una prevenzione che passi attraverso l’adozione metodica di determinati accorgimenti, la SIIA ha lanciato di recente una App per aiutare i pazienti a “gestire” la propria ipertensione: dalla possibilità di monitorare nel tempo i valori creando un grafico del proprio trend, a quella di prenotare una visita nel centro più vicino. In occasione dell’XI Giornata mondiale e con il prezioso contributo della Croce Rossa Italiana saranno allestite su tutto il territorio nazionale numerose postazioni mediche per dare l’opportunità a tutti i cittadini di effettuare il controllo gratuito della pressione.
Sarà possibile eseguire la misurazione dei valori pressori, senza necessità di impegnativa, anche presso gli ambulatori, i centri accreditati dalla SIIA e nelle farmacie aderenti all’iniziativa. In ognuna di queste sedi sarà possibile ritirare del materiale informativo e divulgativo inerente i rischi causati dalle cattive abitudini, i vantaggi di adottare uno stile di vita salutare e le indicazioni su come effettuare in modo corretto la rilevazione della pressione arteriosa.Per conosce le postazioni attive in occasione della Giornata mondiale consultare il sito http://www.siia.it.Alla Giornata Mondiale contro l’Ipertensione Arteriosa hanno aderito: la Croce Rossa Italiana, la Rai, la Federazione Ordini Farmacisti Italiani (FOFI), Federfarma e Assofarm.

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La storia naturale della pressione arteriosa

Posted by fidest press agency su domenica, 23 febbraio 2014

pressione arteriosaSe nei 25 anni che separano un giovane adulto dalla mezza età la pressione aumenta, cresce anche il rischio di aterosclerosi coronarica, misurabile dal grado di calcificazioni delle arterie cardiache. Questo è quanto emerge da uno studio pubblicato su Jama e coordinato da Norrina Allen, ricercatrice alla Feinberg school of medicine della Northwestern university di Chicago. «La pressione sanguigna è un importante fattore di rischio per la malattia cardiovascolare, ma gli attuali modelli predittivi considerano solo i valori misurati al momento di stimare la morbilità coronarica, cosa che di solito si fa nella mezza età o più avanti, senza considerare l’effetto potenziale dei valori pressori nel corso del tempo» spiega la ricercatrice, che assieme ai colleghi ha provato a correlare le tendenze pressorie all’estensione delle calcificazione coronariche (Cac) nei 4681 partecipanti allo studio Cardia, Coronary artery risk development in young adults, ambosessi bianchi e neri fra 18 e 30 anni all’inizio dello studio, nel 1985-1986. Durante i 25 anni di follow-up i ricercatori hanno misurato pressione sistolica, diastolica e mediana identificando cinque distinte sottopopolazioni in base alle variazioni di pressione registrate fino alla mezza età: il 22% dei partecipanti ha mantenuto bassi valori in tutto il follow-up; il 42% aveva livelli moderati persistenti; il 12% aveva livelli che aumentavano gradualmente; il 19% aveva la pressione alta in modo stabile e il 5% iniziava con valori elevati che aumentavano ancora durante il follow-up. «A conti fatti, la prevalenza di un punteggio di calcificazione coronarica elevato variava dal 4% nel primo gruppo al 25% nell’ultimo» riprende Allen. E conclude: «Anche se la pressione sanguigna è un fattore di rischio noto da decenni, questi risultati suggeriscono che il suo andamento a lungo termine può essere una preziosa fonte di informazioni sul rischio coronarico». E in un editoriale di accompagnamento Pantelis Sarafidis, dell’università di Salonicco, in Grecia, commenta: «I dati di Allen e colleghi approcciano in modo nuovo la valutazione del rischio di malattia cardiovascolare e aprono importanti prospettive nella prevenzione della malattia coronarica dimostrando l’esistenza di diverse possibili evoluzioni della pressione sanguigna nel quarto di secolo che separa un giovane adulto dalla mezza età».

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Pressione fiscale per le imprese

Posted by fidest press agency su sabato, 31 marzo 2012

L’Italia è il primo Paese in Europa e il 13° al mondo per la più alta pressione fiscale sulle imprese. Imposte e tasse pagate dalle aziende sui profitti lordi, vale a dire il cosiddetto total tax rate, raggiungono la percentuale del 68,5%, un vero e proprio record che non ha eguali in Europa, nella classifica dei Paesi europei con il maggiore prelievo fiscale sull’attività d’impresa dietro l’Italia c’è la Francia con il 65,7%, poi la Germania con il 46,7%, la Spagna con il 38,7% ed il Regno Unito con il 37,3%. Per i nostri imprenditori le cose peggiorano se si considerano i tributi aggiuntivi come l’Iva sui consumi, le accise sui carburanti e sull’energia elettrica, l’IMU, l’Irpef e i contributi sociali del dipendente pagata dal datore di lavoro, l’Irap. Si calcola che tutte queste voci fanno lievitare all’86,4% il prelievo di risorse per le imprese. E mentre le imprese italiane sopportano questo salasso, una larga parte dell’economia sfugge a qualsiasi tassazione e prospera indisturbata. Alcuni autorevoli studi indicano che le attività sommerse infatti generano un valore aggiunto che oscilla tra un minimo di 255 miliardi di euro e un massimo di 275 miliardi di euro, pari rispettivamente al 16,3% e al 17,5% del PIL.(Confartigianato imprese Crotone)

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