Dal 18 gennaio è attivo un rifugio di emergenza per persone senza dimora negli spazi della parrocchia Santa Maria Regina Pacis a Ostia (piazza Regina Pacis, 13). La struttura, composta da tre tensostrutture attrezzate e riscaldate messe a disposizione da Croce Rossa Italiana, può ospitare ogni notte 15 persone garantendo anche la cena, la colazione e attività di animazione sociale.L’iniziativa della Caritas di Roma in collaborazione con il Municipio X di Roma, vede coinvolti anche i volontari delle parrocchie nelle prefetture 26 – 27 – 28 della Diocesi di Roma coordinati da operatori sociali professionali. Alla struttura è possibile accedere direttamente oppure attraverso i centri di ascolto parrocchiali e i servizi sociali del Municipio.La Caritas di Roma ha inoltre attivato il Servizio itinerante notturno: per segnalare situazioni di fragilità e pericolo si può scrivere all’indirizzo servizioitinerante@caritasroma.it o chiamare il numero 366.6349003.Per far fronte alle numerose richieste, inoltre, si invitatano le parrocchie e tutti i cittadini alla donazione di coperte e sacchi a pelo. È un gesto semplice ma può salvare una vita. Il punto di raccolta unico per tutta la città è l’Ostello “Don Luigi Di Liegro” in via Marsala, 109, aperto tutti i giorni dalle ore 8 alle 23.
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Municipio X e la Caritas di Roma attivano un ricovero di emergenza con 15 posti
Posted by fidest press agency su sabato, 21 gennaio 2023
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Covid: frena la discesa dei casi con i ricoveri stabili
Posted by fidest press agency su sabato, 13 agosto 2022
La curva dei casi di Covid-19 frena la sua discesa in Italia e il rallentamento riguarda la maggior parte delle province, probabilmente legato ai maggiori contatti tra le persone in occasione delle vacanze. Stabili anche i ricoveri in area medica e nelle terapie intensive nella settimana dal 26 luglio al 2 agosto negli ospedali della rete sentinella della Fiaso, dopo la diminuzione del -2% registrata la scorsa settimana. Resta bassa la percentuale di occupazione delle rianimazioni: 4,4% del totale dei pazienti Covid. Sul fronte delle cure, intanto, l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha dato il via libera all’utilizzo dell’anticorpo monoclonale Evusheld (tixagevimab e cilgavimab) nel trattamento precoce di soggetti con infezione da SARS-CoV-2 a rischio di una forma grave di COVID-19. Finora il medicinale era disponibile solo per la profilassi pre-esposizione in soggetti ad alto rischio. Con questo ampliamento, l’Aifa rende disponibile «un’opzione terapeutica per via intramuscolare per i soggetti nei quali la prescrizione dei farmaci antivirali e degli anticorpi monoclonali autorizzati è considerata inappropriata dal punto di vista clinico e/o epidemiologico, in relazione alla circolazione delle varianti virali», si legge in una nota dell’agenzia. La decisione anticipa la valutazione dell’Agenzia europea del farmaco Ema, che sarà completata a settembre 2022. Sul fronte delle cure, da un maxi-studio multicentrico israeliano pubblicato su ‘Jama Network Open’ e condotto su 29.611 operatori sanitari, è emerso che la quarta dose di vaccino protegge di più dal covid. Il lavoro scientifico ha valutato l’impatto del secondo booster di Pfizer/BioNTech sul tasso di infezioni ‘breakthrough’ (cioè in persone vaccinate) in epoca Omicron. È emerso che la percentuale di infezioni breakthrough è stata del 6,9% fra le persone vaccinate con 4 dosi, mentre è risultata più alta – cioè del 19,8% – nei vaccinati con 3 dosi. Questi dati, concludono gli autori, suggeriscono che una quarta dose di vaccino è stata efficace nel prevenire contagi Covid negli operatori sanitari, contribuendo a mantenere le funzioni del sistema sanitario durante la pandemia, durante l’ondata Omicron. Secondo i dati Fiso, circa il 95% dei ricoverati vaccinati nelle intensive e il 77% in reparti ordinari sono immunizzati da oltre sei mesi e l’età media dei pazienti vaccinati in area medica è di 76 anni e scende a 66 nelle rianimazioni. «C’è quindi un chiaro ritardo di tale fascia della popolazione nel sottoporsi alla quarta dose, che espone i soggetti fragili e gli over 60 alle conseguenze più gravi della malattia da Covid», osserva la Fiaso, la Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere. Nei reparti ordinari ci sono stati 21 nuovi ingressi. Si tratta di pazienti «con Covid», il cui ricovero è stato determinato da altre patologie ma che sono risultati positivi al tampone. L’incidenza di questi pazienti con COVID è salita questa settimana del +7,5% nei ricoveri ordinari e complessivamente questa categoria rappresenta il 58% del totale dei pazienti Covid presenti negli ospedali oggetto della rilevazione.Non solo danni economici e problemi di salute a lungo termine per chi ha avuto Covid-19. La pandemia rischia di lasciarci in eredità anche una società più violenta, caratterizzata da una maggiore aggressività individuale. «Stiamo approfondendo con una ricerca ad hoc il fenomeno. E i primi dati indicano che senza dubbio nel post Covid nella società si osserva una maggiore violenza». Lo anticipa all’Adnkronos Salute Armando Piccinni, direttore dell’Osservatorio sulla salute mentale in Italia e presidente della Fondazione Brf per la ricerca in psichiatria e neuroscienze, in base ai primi risultati di uno studio in corso sul Long Covid, messo a punto dalla Fondazione. «I primi dati indicano che l’aggressività fuori casa e all’interno della famiglia cresce notevolmente. Nella nostra ricerca stiamo cercando di evidenziare quali sono gli elementi che permangono maggiormente nei pazienti dopo il Covid. E abbiamo scoperto che nervosismo, aggressività, irritabilità sono tra gli items più evidenziati nel post infezione, sono alla ‘vetta’ dei disturbi post Covid. Un elemento individuale che si ripercuote nel sociale», dice Piccinni. «L’assistenza per la salute mentale deve essere una rete a cui debbono collaborare tutti, costituita da: assistenti sociali, medici di famiglia, pediatri di libera scelta, farmacisti. Ma anche figure sociali di riferimento non legate all’assistenza socio-sanitaria, come ad esempio i parroci che hanno spesso una chiara idea della situazione del quartiere in cui operano e che possono segnalare e sostenere. Ben vengano, in quest’ottica, accordi istituzionalmente regolati con i diversi operatori socio-sanitari del territorio», conclude Piccinni. (fonte Doctor33)
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Vaccini Covid ed effetto sui ricoveri
Posted by fidest press agency su venerdì, 15 aprile 2022
Da uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine e coordinato da Adrienne Randolph del Boston Children’s Hospital con la collaborazione dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC) di Atlanta emerge che la vaccinazione dei bambini di età compresa tra 5 e 11 anni ha ridotto i ricoveri per COVID-19 di oltre due terzi durante l’impennata dovuta alla variante omicron. Poiché questo gruppo di età è diventato idoneo al vaccino solo di recente, i numeri non erano sufficienti per valutare separatamente la malattia critica. Viceversa, fra 12 e 18 anni la vaccinazione è risultata efficace al 92% nel prevenire le ospedalizzazioni per la variante delta, scendendo al 40% con la variante omicron. In termini di prevenzione delle malattie gravi in questa fascia di età la vaccinazione è stata efficace al 96% durante il periodo delta e il 79% durante l’ondata omicron. Per giungere a questi risultati i ricercatori hanno usato i dati della rete nazionale Overcoming COVID-19, lanciata dalla stessa Randolph nel 2020, selezionando 1.185 bambini con COVID-19 in 31 ospedali pediatrici negli Stati Uniti: 918 erano adolescenti tra 12 e 18 anni e 267 bambini tra 5 e 11 anni. «Come gruppo di controllo sono stati arruolati pazienti di età simile ricoverati in ospedale per altri motivi» scrivono gli autori, precisando che lo studio è durato da luglio 2021 al 17 febbraio 2022, durante le ondate delta e omicron. Nei bambini dai 5 agli 11 anni, è stato possibile valutare i benefici del vaccino solo durante la variante omicron, dato che l’approvazione del vaccino Pfizer-BioNTech è avvenuta in questa fascia di età solo in ottobre 2021 a fronte della disponibilità da dicembre 2020 per gli adolescenti tra 16 e 18 anni e da maggio 2021 nei bambini tra 12 e 15 anni. Ciononostante, al 16 marzo 2022 solo il 27% dei bambini tra 5 e 11 anni aveva ricevuto due dosi di vaccino secondo i dati dei CDC raccolti dall’American Academy of Pediatrics. (fonte Doctor33)
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Covid-19: i corticosteroidi per via inalatoria influiscono sui ricoveri ospedalieri
Posted by fidest press agency su giovedì, 24 marzo 2022
I corticosteroidi somministrati per via inalatoria orale, riducendo l’infiammazione polmonare, potrebbero ridurre il ricovero in ospedale e velocizzare la risoluzione dei sintomi nei pazienti Covid-19. Alcune osservazioni hanno mostrato che le persone con asma bronchiale e broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) avevano meno probabilità di essere ricoverate in ospedale per COVID-19, il che si ipotizza sia dovuto alla terapia di routine con corticosteroidi per via inalatoria in quelle persone. Ora una review pubblicata su Cochrane cerca di fare il punto sulle conoscenze disponibili.I ricercatori hanno trovato 3 studi clinici randomizzati (Rct) validi (numero sufficiente di pazienti e presenza di un gruppo di controllo) per pazienti con Covid lieve per un totale di 2171 pazienti coinvolti. Sono stati trovati 10 studi in corso che includono pazienti o asintomatici o con malattia da moderata a grave, ma non ancora concluseti. Gli studi hanno analizzato partecipanti per lo più di età superiore ai 50 anni e con altri problemi medici, il 52% di loro erano donne, di cui 1057 hanno ricevuto corticosteroidi per via inalatoria.I risultati di questi studi indicano che probabilmente i corticosteroidi per via inalatoria, in particolare budesonide e ciclesonide, riducono il rischio che le persone infette dal Sars-CoV-2 vadano in ospedale o muoiano.I corticosteroidi inalatori, inoltre, possono ridurre il numero di giorni in cui le persone hanno sintomi da Covid-19 lievi entro 14 giorni. In particolare nelle persone trattate solo con le cure convenzionali la mortalità è stato circa 9 ogni 1000 (0,9%) infettati, mentre in quelli in cui sono stati aggiunti corticosteroidi questa è scesa a 6 (0,6%). Riguardo la durata dei sintomi si è vista una riduzione da 12 a 8 giorni con una scomparsa di tutti i sintomi entro 14 giorni che passa da 465 persone ogni 1000 casi a 553 ogni 1000 casi confrontando non trattai contrattati con i farmaci inalatori. Nei pazienti Covid-19 trattati con i corticosteroidi non si sono rilevati effetti avversi particolarmente diversi rispetto a quelli con cure standard.I ricercatori sottolineano come spesso i medici di base abbiano familiarità con questo tipo di trattamenti e questi risultati, che mostrano una lieve ma probabile differenza nel risultato clinico, possano aiutarli meglio nel valutare questa opportunità nei pazienti Covid-19 con sintomi lievi. Notano, d’altronde, che ci sono molti altri studi clinici in corso e che quindi dovranno aggiornare le loro conoscenze quando questi studi saranno conclusi per valutare l’incidenza reale di questi farmaci inalatori nel trattamento della Covid-19. (fonte Doctor33)
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La metà dei ricoveri programmati è saltata nei primi sei mesi 2020 a causa della pandemia
Posted by fidest press agency su sabato, 10 aprile 2021
Lo ha certificato l’Agenas che la Scuola Sant’Anna di Pisa (MES) ha condotto e presentato uno studio ad hoc, da cui il “lato peggiore” che emerge è la differenza nelle Regioni, che genera una netta mancanza di equità tra i cittadini.A dicembre lo stesso allarme lo ha lanciato Salutequità, Organizzazione indipendente per la valutazione della qualità delle politiche per la salute, che oltre alla caduta libera di ricoveri (una media del -40%, ma non solo tra quelli programmati) ha messo in evidenza il crollo delle ricette per prestazioni di specialistica ambulatoriale (-58%, 13,3 milioni di accertamenti diagnostici e 9,6 milioni di visite specialistiche in meno) e screening oncologici (-50/55%: nel complesso nei primi mesi 2020 non sono state diagnosticate circa 4.300 neoplasie e 4.000 adenomi) oltre che una drastica contrazione della spesa per farmaci innovativi non oncologici che, in alcune Regioni, ha riguardato anche quelli oncologici.Covid-19 è stato ed è ancora un moltiplicatore di disuguaglianze, con un rischio prevedibile sul livello di salute degli italiani.E su questo Salutequità incalza: se nei primi sei mesi il risultato è questo, cosa è accaduto fino a fine anno? Perché un dato che dovrebbe essere già ormai, purtroppo, evidente, tarda ancora a essere reso noto? “Nella seconda parte dell’anno, solo per fare un esempio – ricorda Tonino Aceti, presidente di Salutequità – l’ulteriore riduzione degli screening ha prodotto 13.011 minori diagnosi tra lesioni, carcinomi e adenomi avanzati: il 57% in più del dato della prima metà dell’anno”. Aceti punta il dito sul ritardo con cui sono resi noti i dati: “I ritardi nella pubblicazione dei dati contenuti nelle rilevazioni ufficiali hanno sempre rappresentato una criticità importante del SSN, sia dal punto di vista della verifica dell’efficacia degli interventi, sia da quello sulle modalità di utilizzo delle risorse stanziate, a partire da quelle previste nei provvedimenti emergenziali per il potenziamento del SSN, dall’assistenza territoriale, al recupero delle liste di attesa”. E Salutequità lancia precise proposte per colmare il gap di cui anche Agenas e i suoi partner potrebbero essere attori.
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“I ricoveri sono aumentati da un mese a questa parte”
Posted by fidest press agency su venerdì, 13 novembre 2020
“All’inizio erano giovani e paucisintomatici, anche con quadri seri, ora l’età si sta alzando. L’attuale occupazione delle terapie intensive al 30-40% è solo la punta dell’iceberg perché la vera guerra si combatte fuori, nei reparti medici, dove ogni giorno mettiamo in pratica quello che abbiamo imparato nella prima ondata e riusciamo a gestire i pazienti senza dover ricorrere ai colleghi intensivisti, preziosi ed indispensabili.È la progressiva saturazione delle aree mediche COVID che può mettere in crisi la tenuta del Sistema; è nei reparti che serve avere posti letto liberi, che stiamo recuperando a scapito di altri reparti, come quelli di chirurgia e di altre discipline. Serve che le persone capiscano che il virus c’è ed è sempre cattivo, gli ospedali vanno decongestionati e che oltre a medici, infermieri ed istituzioni, anche loro possono avere un ruolo importante mettendo in pratica quotidianamente le corrette misure per ridurre i contagi.Con più consapevolezza e responsabilità possiamo uscirne tutti vincitori!”. Professor Antonello Pietrangelo, Presidente della Società Italiana di Medicina Interna.
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Covid-19: calano decessi e ricoveri. Iss: se confermato si vede fase 2
Posted by fidest press agency su venerdì, 10 aprile 2020
Cala sensibilmente il numero dei ricoveri, degli accessi in terapia intensiva e dei decessi per Covid-19.Sono queste le cifre che spingono l’Istituto Superiore di Sanità, per la prima volta dall’inizio dell’emergenza, a parlare di “fase 2, se questi dati si confermano”. Ipotesi che oramai sembra essere messa a rischio solo da chi continua a violare le norme anti-contagio, dopo il nuovo boom di denunciati: oltre 9mila nelle ultime 24 ore. Sono 91.246 i malati di coronavirus in Italia, 2.972 in più (+3,37%) rispetto a sabato, ma rallenta l’incremento del numero di vittime, in tutto 15.887. A far sperare, nonostante il pesante bilancio, è l’ultimo dato sui 525 decessi in un giorno (+3,42%). «E’ il numero più basso di deceduti dal 19 marzo ad oggi», commenta il capo della Protezione Civile, Angelo Borrelli, facendo riferimento a una data dalla quale le cifre sui decessi giornalieri non erano mai più scese sotto la soglia dei 400 morti per il virus. Continuano a diminuire, per il secondo giorno consecutivo, gli accessi in terapia intensiva. Sono 3.977 i malati in rianimazione, 17 in meno, mentre per la prima volta anche le cifre sui ricoverati con sintomi si riducono: ora sono 28.949 ovvero 61 in meno. Numeri meno confortanti sul nuovo aumento di guariti: ‘solo’ 819 in più per un totale di 21.815. Ma la curva ormai sembra scivolare verso la direzione attesa. «Se questi dati si confermano, dovremo cominciare a pensare alla fase 2», spiega il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro. Parole che volgono timidamente uno sguardo al segnale di lento alleggerimento delle misure, che potrebbe segnare la progressiva fine della quarantena italiana, passando dal ‘contenimento’ del virus al ‘mantenimento’ per il riavvio di alcune attività. «Abbiamo vari indicatori – aggiunge Brusaferro – e l’atteso è che nei prossimi giorni vedremo ancora questo trend diminuire». Resta però chiaro che la sperata discesa è solo all’inizio e per questo ancora fragile. «La costante attività delle forze dell’ordine è un buon deterrente, ma è importante che vengano mantenuti comportamenti molto stringenti. Confidiamo nell’atteggiamento della popolazione, che deve essere corretto con il comportamento che viene richiesto. Dunque non bisogna abbassare la guardia», avverte Borrelli in vista delle giornate di Pasqua e Pasquetta, giorni in cui si rischia un nuovo record di ‘furbetti’ pronto ad essere scongiurato con l’aumento di controlli in quelle date. Le persone denunciate sabato dalle forze di polizia per i divieti sugli spostamenti sono state 9.284 mentre venerdì, il giorno precedente, erano state 8.187. Dall’11 marzo, data di inizio delle prescrizioni, le contestazioni alle persone per violazioni ai divieti anti-contagio sono state 176.767. Anche per questo, sulla scia dell’ordinanza già in vigore in Lombardia, anche il governatore Toscana annuncia un provvedimento simile che renda «obbligatorio l’uso della mascherina all’esterno delle abitazioni», in vista di un ordine che raddoppi le dieci milioni di mascherine già in dotazione nella regione. «L’ordinanza della Regione Lombardia va rispettata, è importante dove non si riesce a rispettare la distanza – precisa Borrelli commentando questo tipo di disposizione – le produzioni che si sono avviate ne renderanno possibile la fornitura a tutta la popolazione». (fonte Doctor33)
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“Criteri di appropriatezza dell’accesso ai ricoveri di riabilitazione ospedaliera”
Posted by fidest press agency su giovedì, 2 Maggio 2019
Il mese scorso si è tenuta presso il Ministero della Salute un’importante riunione, che ha visto riuniti tre funzionarie della programmazione sanitaria (solo al termine si è aggiunto il Direttore Generale, Dott. Andrea Urbani) e i delegati di alcune Associazioni di pazienti che avevano chiesto di poter essere udite sui provvedimenti in corso di approvazione “Criteri di appropriatezza dell’accesso ai ricoveri di riabilitazione ospedaliera” ed “Individuazione di percorsi appropriati nella rete di riabilitazione”. La riunione è parsa fin dall’inizio anomala e la conversazione è stata condotta in modo incerto. Nonostante, infatti, le Associazioni invitate alla riunione nei giorni precedenti avessero avanzato reiterate richieste di ricevere ufficialmente i documenti oggetto delle osservazioni, questi non sono stati inviati. Alcune avevano avuto modo di consultarli, dopo averli ricevuti da fonti ‘non ufficiali’, e potevano quindi commentare o sollevare criticità, in modo pertinente. Altre basavano le loro osservazioni su ciò che ‘avevano potuto sentire e leggere’ sul web, sulla stampa o grazie ad un ‘tam tam’ diffuso tra chi, a vario titolo, è interessato dal provvedimento.Quando è stato chiesto perché non si poteva accedere a tali documenti, la risposta, in prima battuta, è stata che non vi era stata l’autorizzazione a diffonderli; successivamente è stato affermato che erano ancora in fase di stesura e poi ancora è parso di capire che saranno, comunque, inviati alla Conferenza Stato Regioni per la loro approvazione. A questo punto ci si chiede: perché invitare le Associazioni senza metterle in grado di esprimere le proprie osservazioni su documenti che non hanno avuta la possibilità di esaminare? Su questi le Associazioni hanno rilevato che sono da apportare alcune modifiche, ritenute essenziali per favorire il recupero ed il mantenimento delle funzionalità dei pazienti che ne hanno diritto, senza pregiudiziali restrizioni, non commisurate a bisogno e potenzialità di recupero dei pazienti, dei criteri di accesso alla riabilitazione intensiva e ad alta specialità.Si è unanimamente ribadito che devono poter accedere alla riabilitazione neurologica tutti i pazienti che, dopo un evento acuto, manifestino una disabilità più o meno grave che ne giustifica la collocazione nel setting appropriato; l’alta specialità non può essere riservata a chi è stato in coma ma piuttosto a chi ne ha bisogno, da valutarsi con criteri di appropriatezza riabilitativa.
Rispetto alle principali criticità espresse dai presenti, le maggiori preoccupazioni sono state destate dalla percentuale di ricoveri stabilita per i soggetti che non provengono dai reparti per acuti. Numerosi interventi hanno sottolineato come molte patologie croniche o ingravescenti richiedono periodi di ricovero per problematiche ‘non acute’ e quindi renderebbero inutile, troppo dispendioso o impossibile il passaggio dal reparto per acuti.
A tal proposito, è stato spiegato dai rappresentanti del Ministero che, dai dati in loro possesso, riferiti agli anni precedenti, solo il 17% del totale dei ricoveri su tutto il territorio nazionale proveniva dal domicilio e che, attenendosi a questi, nel documento si è inserito che la porzione di ricoveri a tariffa piena per soggetti provenienti appunto dal domicilio dapprima non dovesse superare il 15%, poi, tenendo conto delle osservazioni emerse, tale soglia è stata innalzata al 20%.Il dato, è stato specificato, è da intendersi su base regionale ovvero ogni singola Regione avrà un tetto massimo del 20% per tutte le strutture interessate e per tutte le patologie. Ogni Regione potrebbe anche innalzare tale soglia, ma non è chiaro in base a quali criteri e con quali conseguenze.Le criticità espresse dai presenti si sono riferite soprattutto al dato di partenza: davvero sembra troppo basso che il totale riferito di ricoveri effettuati negli anni scorsi di pazienti provenienti dal domicilio sia solo del 17%! La nuova percentuale fissata, ritenuta decisamente insufficiente a coprire il fabbisogno, porterebbe, comunque, ad una discrepanza tra i soggetti per l’accesso alle cure: ad esempio, se in una Regione nel mese di giugno la quota è già stata superata, non sarebbe più possibile per altri soggetti accedere al ricovero.Le Associazioni hanno ribadito che, nonostante i bisogni, le offerte di riabilitazione in regime di ricovero e soprattutto quelle per il servizio territoriale, sono davvero poche e in alcune Regioni quasi del tutto assenti. Non è possibile quindi pensare ad un sistema omogeneo su tutto il territorio per l’invio di soggetti alle strutture dedicate. Solo pochi potrebbero trovare attrezzature e personale specifico adeguato alle proprie esigenze.È stato affermato che il Ministero riconosce la disomogeneità presente sul territorio nazionale relativa all’offerta di riabilitazione (ricoveri e interventi territoriali), ma che è previsto che le singole Regioni debbano adeguarsi e organizzarsi al meglio, nel rispetto della loro autonomia decisionale. Permane il dubbio che tutto rimanga com’è ora, con una disparità ancora più accentuata dall’impossibilità di garantire ‘migrazioni’ nelle Regioni con maggiore offerta. È stata quindi rilevata la mancanza del coinvolgimento dei Familiari e delle Associazioni dei pazienti nella scelta dei percorsi più utili e consoni alle caratteristiche dei soggetti che rappresentano, chiaramente evidenziata dall’impossibilità di verificare anche l’ultima versione del documento, ancora una volta dichiarato ‘non visionabile’.La questione, quindi, è purtroppo rimasta in sospeso e non si può che confidare in un nuovo successivo costruttivo confronto, che offra la possibilità di visionare e, se il caso, rivedere alcuni passi del decreto. Devono, infatti, assolutamente essere garantite continuità assistenziale e cura a tutte le persone che necessitano di proseguire un percorso di neuroriabilitazione, in modo continuativo e omogeneo su tutto il territorio nazionale.
Nel complesso la sensazione è che l’audizione abbia avuto luogo perché ne è stata fatta richiesta ‘a gran voce’, ma non purtroppo per raccogliere realmente le osservazioni e le esigenze che provengono dalle varie Associazioni in rappresentanza dei propri pazienti, poiché sembra che tutto sia già stato stabilito. Speriamo di sbagliare…
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Residenze Sanitarie Assistenziali
Posted by fidest press agency su venerdì, 1 aprile 2011
Il Consiglio di Stato sembra finalmente aver messo la parola fine alla vicenda Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA). La vicenda e’ nota e l’Aduc se ne occupa da anni, denunciando le prassi illegittime di moltissimi comuni d’Italia che, a fronte di ricoveri di soggetti anziani non autosufficienti o disabili gravi, calcolano la quota di retta a carico dell’utente non solo sulla base del suo reddito, come prevede la legge, ma anche del reddito dei suoi familiari, a cui poi viene richiesto il pagamento. Una prassi che spesso mette in ginocchio famiglie intere, costrette a pagare cifre esorbitanti. La legge ISEE prevederebbe, infatti, che le rette di ricovero in Rsa siano pagate per il 50% dal SSN e per il restante 50% dai Comuni con l’eventuale compartecipazione dell’utente. Cio’ non accade in molti comuni d’Italia. I Tribunali amministrativi nel corso di questi anni si sono pronunciati in maniera oscillante: il TAR Lombardia da’ da sempre ragione agli utenti; il Tar Toscana, dopo una prima sentenza favorevole agli utenti, ha poi cambiato indirizzo dando ragione ai comuni. Dopo anni di alti e bassi, si e’ finalmente pronunciato il Consiglio di Stato (n.1607/2011), organo di secondo e ultimo grado della giustizia amministrativa, dando ragione agli utenti: le rette per la degenza in RSA di persone ultrasessantacinquenni non autosufficienti e disabili gravi devono tener conto dei redditi del solo assistito e non anche dei redditi dei parenti. La sentenza sul punto è chiara, estesamente motivata e sgombra il campo da qualsiasi dubbio:“In precedenza, è già stato evidenziato come il d. lgs. n. 109/98 abbia introdotto l’I.S.E.E. come criterio generale di valutazione della situazione economica delle persone che richiedono prestazioni sociali agevolate e l’applicazione di tale parametro comporta che la condizione economica del richiedente sia definita in relazione ad elementi reddituali e patrimoniali del nucleo familiare cui egli appartiene. Rispetto a particolari situazioni, lo stesso d. lgs. n. 109/98 prevede tuttavia l’utilizzo di un diverso parametro, basato sulla situazione del solo interessato.In particolare, l’art. 3, comma 2-ter […]. La deroga rispetto alla valutazione dell’intero nucleo familiare è limitata, sotto il profilo soggettivo, alle persone con handicap permanente grave e ai soggetti ultra sessantacinquenni non autosufficienti (con specifico accertamento in entrambi i casi) e, con riguardo all’ambito oggettivo, alle prestazioni inserite in percorsi integrati di natura sociosanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale, di tipo diurno oppure continuativo.Ricorrendo tali presupposti, deve essere presa in considerazione la situazione economica del solo assistito. La tesi che esclude l’immediata applicabilità della norma, in virtù dell’attuazione demandata ad un apposito d.p.c.m., benché sostenuta da questo Consiglio di Stato in sede consultiva (sez. III, n. 569/2009) non appare convincente ed è già stata disattesa dalla Sezione in alcuni precedenti cautelari (sez. V, ord. nn. 3065/09, 4582/09 e 2130/10), che hanno trovato conferma in una recente sentenza (sez. V, sent. n. 551/2011, in cui è affermato che la mancata adozione del d.p.c.m. non può paralizzare l’operatività della norma, salve ulteriori considerazioni legate al caso di specie sulla situazione reddituale complessiva). Deve ritenersi che il citato art. 3, comma 2-ter, pur demandando in parte la sua attuazione al successivo decreto, abbia introdotto un principio, immediatamente applicabile, costituito dalla evidenziazione della situazione economica del solo assistito, rispetto alle persone con handicap permanente grave e ai soggetti ultra sessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle aziende unità sanitarie locali. Tale regola non incontra alcun ostacolo per la sua immediata applicabilità e il citato decreto, pur potendo introdurre innovative misure per favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza, non potrebbe stabilire un principio diverso dalla valutazione della situazione del solo assistito; di conseguenza, anche in attesa dell’adozione del decreto, sia il legislatore regionale sia i regolamenti comunali devono attenersi ad un principio, idoneo a costituire uno dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, attendendo proprio ad una facilitazione all’accesso ai servizi sociali per le persone più bisognose di assistenza.” Il Consiglio di Stato “ritorna” anche sulla sentenza emessa poco tempo fa, la n. 551/2011 – che i Comuni italiani avevano erroneamente interpretato come una vittoria delle proprie tesi esprimendo “Grande soddisfazione a nome di tutti i Comuni per una sentenza che ristabilisce un principio fondamentale di giustizia” (così Attilio Fontana, Sindaco di Varese e Presidente di Anci Lombardia) – spiegando, come si legge nella parte di sentenza sopra riportata, che anche nel provvedimento 551/2011 i giudici affermano la immediata applicabilita’ dell’art. 3 comma 2 ter, d.lgs. 109/98. La pronuncia del Consiglio di Stato e’ una importantissima vittoria degli utenti, vessati da anni da richieste illegittime da parte dei Comuni, e da rette spropositato rispetto ai redditi delle persone ricoverate. Crediamo che questa importante sentenza avrà gran peso sui prossimi giudizi innanzi ai Tar regionali, che non potranno non tenerne conto nella decisione dei prossimi ricorsi.
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Molise: degenza pre-operatoria eccessiva
Posted by fidest press agency su sabato, 5 febbraio 2011
Campobasso. Stando ai dati diffusi dall’Eurispes nel Rapporto Italia 2011, nel Molise il ricovero che precede gli interventi chirurgici sembra essere il più lungo d’Italia. Difatti in questa regione sembra che la media sia di 2,33 giorni, quasi il doppio della media nazionale (1,38 giorni). Permanenza che risulta a dir poco eccessiva e alla quale viene contrapposta come prima ragione la poca disponibilità di posti letto che costringe i pazienti a dei ricoveri anticipati al fine di non perdere il turno. “Il trend negativo che continua a registrare la sanità molisana viene confermato anche dai dati alquanto scoraggianti sulla tempistica per la degenza pre-operatoria nella regione”. Con queste parole interviene sull’argomento la responsabile per il Molise dell’Italia dei Diritti, Anna Aurisano. Tra i motivi legati all’insoddisfazione dei degenti verso la Sanità, c’è anche il costo del ticket troppo elevato e la poca qualità del servizio erogato che ha portato ad un aumento delle persone che si rivolgono a strutture private in caso di interventi chirurgici. L’esponente del movimento guidato da Antonello De Pierro continua la sua analisi con decisione dichiarando che: “E’ sempre più necessario un forte e radicale rinnovo della dirigenza politica regionale che sta conducendo il Molise sempre più ad essere un fanalino di coda un po’ in tutti i settori rispetto al resto delle regioni italiane”.
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Medicina difensiva: “obbligatoria per legge”
Posted by fidest press agency su giovedì, 20 Maggio 2010
«Sono sempre più frequenti le sentenze che condannano i medici per non aver prescritto esami clinici, utili solo in una minima percentuale di casi. Questo significa che la medicina difensiva è diventata, di fatto, obbligatoria per legge». Parola di Maurizio Maggiorotti, presidente Amami (Associazione per i medici accusati di malpractice ingiustamente), intervenuto al convegno «La professione sanitaria tra le attese dei cittadini e i timori dei professionisti», in corso ad Arezzo. «La medicina difensiva, che obbliga i medici a prescrivere esami scarsamente utili – sottolinea Maggiorotti – viene criticata astrattamente da chi non è esposto al quotidiano controllo della magistratura. Da una parte – spiega – si chiede ai medici di prescrivere solo ricoveri, esami e farmaci indispensabili e dall’altra, nei giudizi per malpractice, si condannano per omissione i medici che non hanno fatto la diagnosi più improbabile o non hanno prescritto esami di terzo livello. In questo stato di cose prescrivere in eccesso diventa la routine». «Grazie all’attenzione di questo Governo – conclude Maggiorotti – la nostra storica richiesta di prevedere un tentativo obbligatorio di conciliazione nelle cause per malpractice è stata ascoltata, se lo sarà anche quella relativa al fondo vittime dell’area terapeutica, è probabile che questo momento buio del rapporto medico-paziente diventi un ricordo del passato». (fonte doctor news)
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Gravi le raccomandazioni per i ricoveri
Posted by fidest press agency su martedì, 20 aprile 2010
Per accelerare il ricovero in ospedale, il 21,4% dei pazienti è dovuto ricorrere alla raccomandazione. Al Centro e al Sud Italia, ben il 30% ha dovuto scomodare le proprie conoscenze personali. “É un dato preoccupante, che ci porterà ad avviare una riflessione sugli strumenti specifici da adottare per evitare questo fenomeno in futuro”, afferma il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, commentando il dato emerso dalla ricerca Censis su aspettative, opinioni e valutazioni dei cittadini sulla sanità presentata venerdì scoro al Ministero. Nonostante il ricovero sia programmato, e si disponga della necessaria indicazione del medico, il percorso che porta in ospedale si rivela, in molti casi, fatto di burocrazia, ostacoli vari e “spintarelle” per superarli. Un paziente su tre deve prima sottoporsi a una visita a pagamento o in intramoenia dal medico dell’ospedale. “Il dato – prosegue il ministro – non è mai emerso in maniera così chiara. Indica che ci sono ancora grossissimi problemi sul meccanismo dell’intramoenia”, l’attività libero professionale svolta dai medici nel servizio sanitario nazionale. Un meccanismo, evidenzia Fazio, “ben lontano dall’essere di per sé perfetto. L’intramoenia può funzionare, ma deve avere come pilastro la misurazione del numero delle prestazioni, in modo che i medici siano obbligati a svolgerne un certo numero durante l’orario di lavoro, prima della libera professione”, come prevede il Ddl sul governo clinico all’esame della Commissione Affari sociali della Camera. (fonte farmacista33)
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Ricoveri scesi nel 2008
Posted by fidest press agency su giovedì, 12 novembre 2009
Scendono i ricoveri negli ospedali della Penisola. I dati relativi all’anno 2008 “confermano la tendenza già emersa da qualche anno: si registra una riduzione dei ricoveri in quasi tutte le tipologie di attività (acuti e riabilitazione), in regime ordinario e diurno. In particolare,i ricoveri nel 2008 sono stati 12.128.678, in diminuzione dell’1,7% rispetto al 2007”. Lo precisa in una nota il ministero del Welfare, che sul sito del dicastero della Salute ha pubblicato l’analisi preliminare sull’attività di ricovero dell’anno 2008. Dalla quale emerge una diminuzione, seppur lieve, anche dei parti cesarei negli ospedali italiani. I ricoveri scendono, dunque, ma “fanno eccezione i reparti per lungodegenti, che aumentano il numero delle dimissioni, con un incremento del 3%. Segno positivo anche per il numero di dimissioni di neonati sani: +2,2% rispetto al 2007. Le giornate di degenza nel 2008 risultano pari a 76.055 milioni, con una riduzione dello 0,9 %. Il tasso di ospedalizzazione complessivo a livello nazionale scende sotto il 195 per 1.000 abitanti”. “Tutte le Regioni appartenenti all’area centro meridionale del Paese, e in particolare, ma non solo, quelle che hanno sottoscritto nel 2007 il Piano di rientro (Campania, Lazio, Abruzzo, Molise, Sicilia) presentano ancora tassi di ospedalizzazione per acuti superiori o prossimi a 200 per 1.000 abitanti. Comunque – fa notare il dicastero – per tutte le Regioni sono registrabili consistenti riduzioni che portano a evidenziare un importante processo di deospedalizzazione in atto”.
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Carenza organico carceri Lazio
Posted by fidest press agency su mercoledì, 5 agosto 2009
“Quali contromisure le istituzioni intendono assumere per aumentare la dotazione organica degli Istituti Penitenziari del Lazio? – Lo chiede Vladimiro Rinaldi, capogruppo della Lista Storace alla Regione Lazio, nell’interrogazione presentata oggi al Presidente della Giunta Piero Marrazzo – “In questi mesi abbiamo rilanciato a più riprese le istanze dei Direttori degli Istituti raccolte dal mio collaboratore Dottor Daniele Belli”. “La dotazione organica di agenti di polizia penitenziaria nella maggior parte delle carceri del Lazio è carente nella percentuale del 30% rispetto al D.M. – afferma Belli -, senza contare che il numero dei detenuti è in continuo aumento, che il personale è spesso impegnato per visite e ricoveri esterni di detenuti o comandato per altri compiti in uffici esterni alle strutture carcerarie”. “Speriamo poi – aggiunge Rinaldi – che prima o poi vengano attivati sia l’Istituto Penitenziario di Rieti che i nuovi padiglioni dell’Istituto di Velletri ma, anche per questi dovrà essere previsto l’impiego di ulteriori numerose unità operative. Ad oggi – conclude Rinaldi – le istituzioni non sono andate oltre le dichiarazioni di intenti, lasciando i Direttori dei Penitenziari a fare da cuscinetto tra le diverse istanze e le fiamme azzurre a sostenere un sovraccarico di lavoro in condizioni impossibili senza una prospettiva di miglioramento. A questo punto ci attendiamo che la Giunta possa fornirci a breve un riscontro positivo concreto.”
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149 persone dall’Aquila negli Ospedali di Chieti
Posted by fidest press agency su mercoledì, 15 aprile 2009
E’ salito a 149 (da 116 che erano venerdì) il bilancio delle persone provenienti dall’Aquila che hanno trovato assistenza sanitaria nei tre ospedali della Asl di Chieti a partire dal 6 aprile scorso. Di queste, due sono decedute la notte scorsa nell’Ospedale di Chieti: un uomo di 79 anni e una donna di 78, ricoverati ieri e morti entrambi per cause naturali, non imputabili ai traumi causati dal terremoto. Al momento sono complessivamente 51 i ricoverati, mentre 23 sono stati dimessi dai reparti di degenza dopo il ricovero e 73 hanno ricevuto solo prestazioni di Pronto soccorso. Nel dettaglio, al Policlinico «SS. Annunziata» di Chieti si sono rivolte finora 99 persone, di cui 40 ancora ricoverate e le due decedute. Quindici sono state dimesse dai reparti, 42 sono state medicate in Pronto soccorso. All’Ospedale «SS. Immacolata» di Guardiagrele sono giunti complessivamente 21 feriti, di cui tre ancora ricoverati, sei dimessi dai reparti e 15 curati in Pronto soccorso. All’Ospedale «G. Bernabeo» di Ortona sono stati trasferiti finora 26 feriti, di cui otto ancora ricoverati, due dimessi dai reparti e 16 assistiti in Pronto soccorso. Va ribadito e sottolineato l’impegno di medici, infermieri, tecnici e di tutte le figure professionali operanti nella Asl di Chieti che hanno rinunciato spontaneamente a ferie e riposi e hanno accettato di lavorare con turni doppi per fare fronte a tutte le esigenze sanitarie dei pazienti giunti dall’Aquila. Le Direzioni sanitarie sono in contatto costante con la Prefettura di Chieti per risolvere tutti i problemi logistici per i pazienti in fase di dimissione. La Asl ringrazia tutte le associazioni, i commercianti e i cittadini che, in vari modi, hanno fornito gratuitamente aiuto ai pazienti ricoverati e ai loro famigliari. La Direzione generale dell’Azienda sanitaria locale di Chieti ha invitato le proprie strutture a evitare qualsiasi intoppo burocratico e a fornire informazioni e supporto ai pazienti provenienti dal territorio della Asl dell’Aquila. Sul territorio è stata rafforzata la risposta sanitaria, tramite i Distretti e grazie alla piena collaborazione dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta, i quali si sono messi direttamente in contatto con gli alberghi e le altre strutture ricettive che assistono le persone giunte dalle aree del sisma, al fine di garantire l’assistenza più rapida ed efficace possibile.
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Nuovi posti letto al Pertini
Posted by fidest press agency su mercoledì, 8 aprile 2009
Roma. Il segretario romano dell’Italia dei Valori: “Benvenga una maggiore capacità di accoglienza del Pertini purché non si accompagni a tagli in altri ospedali della capitale.” Il segretario romano dell’Italia dei Valori Roberto Soldà si riferisce all’incremento di duecento posti letto annunciato dal presidente dell’Agenzia di Sanità Pubblica Lucio D’Ubaldo per l’ospedale Sandro Pertini. A suscitare la perplessità del segretario romano del partito guidato da Antonio Di Pietro è invece lo stop dei progetti per nuovi ospedali alla Bufalotta o a Cinecittà, oltre alla previsione di ridurre i posti per il ricovero negli ospedali del nord-ovest della Capitale. “I tagli alla sanità – commenta Soldà – sono difficili da accettare se rischiano di compromettere uno dei diritti fondamentali della persona, quello alla salute. Non mi perderei in matematici rapporti tra numero di abitanti e letti ospedalieri che peraltro non tengono conto del fatto che le strutture sanitarie Romane servono un bacino ben più esteso rispetto a quello costituito dai soli residenti. Per garantire un corretto funzionamento del sistema sanitario locale – conclude – servono soluzioni di più ampio respiro.”
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Farmaci scaduti e terapie ritardate
Posted by fidest press agency su martedì, 17 marzo 2009
Confermato il licenziamento per giusta causa dell’infermiere professionale per violazioni di obblighi fondamentali posti dalla legge a carico del lavoratore e particolarmente in ragione della delicata attività sanitaria quale quella affidata alla categoria di appartenenza. I giudici di appello avevano posto in rilievo come i pazienti ricoverati nel nucleo “giallo”, cui l’infermiere era normalmente addetto, erano affetti da infermità più gravi rispetto a quelle dei pazienti di altro nucleo, e che il ritardo nella somministrazione, ai primi, dei farmaci di cui avevano maggior bisogno non poteva trovare giustificazione nel fatto che il lavoratore si occupava anche del nucleo riguardante pazienti meno gravi, ben potendo egli graduare diversamente il suo intervento in relazione a tanto. Inoltre la normale assegnazione al reparto con i pazienti maggiormente bisognosi di terapie, conferiva gravità al fatto di avere lasciato farmaci scaduti (compreso un farmaco salvavita) persino nel carrello di emergenza, quando era proprio compito dell’infermiere professionale controllare la validità dei farmaci. (Avv. Ennio Grassini – http://www.dirittosanitario.net)
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