La terapia adiuvante per le pazienti con un tumore del seno “HER2-positivo” può essere ridotta di intensità, ottenendo, anche nel lungo termine, stessa efficacia e minore tossicità: un nuovo studio internazionale, pubblicato su Lancet Oncology, corredata da un editoriale del Prof. Giuseppe Curigliano, Direttore della Divisione Nuovi farmaci per Terapie Innovative dell’Istituto Europeo di Oncologia e Professore di Oncologia Medica all’Università Statale di Milano, conferma che per alcune forme iniziali di tumore mammario la chemioterapia può essere ridotta senza perdere efficacia. I tumori HER2-positivi si caratterizzano per la sovraespressione della proteina HER2, che li rende biologicamente aggressivi e resistenti ad alcuni farmaci anticancro. Proprio in virtù della sovraespressione di HER2, però, questi tumori rispondono all’anticorpo monoclonale Trastuzumab, che viene quindi associato a diversi chemioterapici nei trattamenti standard. “Nel lavoro su Lancet Oncology, insieme a Sara Tolaney e altri otto colleghi del Dana Farber Cancer Institute, presentiamo un’analisi dei risultati a 10 anni dello studio di riferimento sulla de-escalation – spiega il Dr Paolo Tarantino, coautore dello studio ricercatore del team di Curigliano allo IEO- Su 406 pazienti coinvolte nella sperimentazione, il tasso di sopravvivenza legata al tumore mammario è stato del 98.8% a 10 anni, con sole sei recidive a distanza”. “Questo”.”Questo lavoro rappresenta una pietra miliare nella storia del cancro della mammella: abbiamo definitivamente dimostrato che per i tumori iniziali HER2-positivi – dichiara Curigliano – Il lavoro pubblicato oggi completa un percorso iniziato dal mio gruppo in IEO nel 2009, quando abbiamo dimostrato che i tumori HER2-positivi in stadio iniziale hanno in realtà una prognosi molto buona, se diagnosticati in fase molto precoce, e quindi possono essere trattati con terapie chemioterapiche meno aggressive e meno tossiche. Da lì sono partiti gli studi sulla “de-escalation” (modulazione di intensità), che hanno dimostrato che una chemioterapia più “leggera” è in effetti sicura ed efficace, e permette alle pazienti di vivere a lungo e con meno effetti collaterali sull’organismo. (abstract by Doctor33)
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Tumore al seno, ridurre la chemioterapia senza perdere efficacia
Posted by fidest press agency su martedì, 28 marzo 2023
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Prevenzione per il tumore al seno
Posted by fidest press agency su venerdì, 8 ottobre 2021
«Anche quest’anno il mese di ottobre sarà dedicato alla prevenzione per il tumore al seno grazie all’iniziativa “Ottobre rosa”, che attraverso iniziative gratuite in tutta Italia consentirà di poter accedere in maniera diretta al programma di esami e screening. L’annus horribilis della pandemia Covid19 ha rappresentato, purtroppo, un freno per gli esami di screening e dunque per la prevenzione. La naturale paura di recarsi in ospedale, con il rischio di entrare in contatto con il virus e contrarre l’infezione, ha fatto desistere dal sottoporsi ai primi controlli o esami di routine. Ma anche la conversione di diversi reparti in area Covid, nei momenti di maggior emergenza sanitaria, ha avuto i suoi effetti. Oggi per fortuna lo scenario epidemiologico è più rassicurante, con un calo nel numero dei contagi e una campagna vaccinale già avanzata. Per questo motivo l’invito alle donne è quello di rivolgersi con fiducia alle strutture e di usare sempre tutte le precauzioni suggerite. La diagnosi precoce, infatti, è fondamentale e riesce a fare la differenza nella cura e trattamento di questa patologia, così come per tutte le altre. Sono ancora molte, infatti, le donne a cui viene diagnosticato un tumore al seno: secondo un’indagine della Lega Italiana Lotta al Tumore (LILT) lo scorso anno, nel 2020, sono stati registrati 55mila nuovi casi», afferma il Comitato centrale FNOPO.Per tale motivo è auspicabile inserire la figura dell’ostetrica/o nei centri di screening mammografici, e nei centri oncologici, affinché lavori di concerto nei team multiprofessionali. Dopo alcuni interventi e terapie vi è tutta una parte di informazioni sulle modificazioni del corpo e sulle terapie che vengono effettuate che devono essere approfondite da tale professionista, ad esempio cicli ormonali, trasformazione fisica ecc. Tale supporto ha anche una valenza psicologica che in questo tipo di patologie non deve mai essere sottovalutato: le donne si sentono diverse, sole, impaurite, senza più il controllo del proprio corpo, devono affrontare i cambiamenti nella vita sociale, in quella di coppia e di relazione. Encomiabile è il lavoro svolto in questo campo da tutte le associazioni di donne di autoaiuto, presenti nel nostro Paese, che danno supporto e sostegno. Tra le tante difficoltà che incontrano le donne, vi è anche quella di un tempestivo accesso ai servizi – sottolinea il Comitato centrale FNOPO -. Affinché ci sia reale prevenzione, quindi, non basta una lodevole iniziativa che ricorre un mese l’anno, ma serve un sistema che metta le donne in condizioni reali di potersi sottoporre a esami senza le lungaggini delle liste di attesa. Chi gestisce la sanità, a tutti i livelli, ha la responsabilità di tutelare e proteggere la salute dei cittadini, ad esempio potenziando e migliorando le strutture e la presenza dei professionisti sanitari. Infine, determinanti nella cura contro il tumore al seno sono i test genomici, per i quali il ministro della Salute Speranza ha firmato un decreto con i quali vengono previsti 20 milioni di euro di finanziamenti, e che sono rivolti gratuitamente alle donne con tumore al seno in fase precoce e in terapia ormonale. Sono test fondamentali poiché aiutano nella definizione dei trattamenti più appropriati per ciascuna paziente». (By Dott.ssa Elisabetta Cannone)
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Tumore al seno, in Calabria la rete regionale delle Breast Unit
Posted by fidest press agency su lunedì, 28 settembre 2020
Ogni anno circa 1.500 donne calabresi in età produttiva si ammalano di cancro della mammella. E non sempre per loro il percorso di diagnosi e cura è semplice. Due donne calabresi su tre cercano fuori della loro terra risposte alle paure e trattamenti efficaci e sicuri. Adesso, però, qualcosa cambierà: anche le pazienti calabresi avranno finalmente le stesse opportunità delle altre donne italiane in fatto di accesso a cure e assistenza.Un decreto a firma di Saverio Cotticelli, Commissario ad acta per l’attuazione del Piano di rientro del sistema sanitario calabrese, istituisce la rete regionale delle Breast Unit. Le strutture sanitarie identificate sono per l’area nord l’Ospedale SS. Annunziata di Cosenza, per il centro l’Ospedale Pugliese Ciaccio gemellato con il Policlinico Universitario Mater Domini a Catanzaro e per il sud della Calabria, l’Ospedale Bianchi-Melacrino-Morelli di Reggio Calabria. Il decreto era atteso da tempo e giunge con un ritardo di anni rispetto ad altre Regioni italiane, ma è arrivato.Corale il plauso del progetto La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere promosso da Salute Donna onlus e altre 31 Associazioni di pazienti, alcune attive proprio sul territorio calabrese.Tra le tante ragioni di ottimismo, il fatto che la creazione delle Breast Unit, o Centri Multidisciplinari di Senologia, oltre a garantire un percorso diagnostico-terapeutico e di follow up alle donne con tumore al seno, promette di arginare l’annoso fenomeno della migrazione sanitaria e il ricorso a strutture non idonee al trattamento di questo tumore.
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Tumore al seno e dieta
Posted by fidest press agency su venerdì, 10 luglio 2020
Sono circa 370 mila le persone che ogni anno in Italia ricevono una diagnosi di cancro (dati Airtum 2019) e per ciascuno di apre un mondo di dubbi, speranze e ricerca delle opzioni terapeutiche migliori. Disse Ippocrate “fa che il cibo sia la tua medicina” e coerentemente, la nutrizione è uno degli elementi a cui si guarda con maggiore interesse dopo una diagnosi di tumore. È ormai indubbio infatti che i nutrienti abbiano un ruolo di modulatori nei processi patologici, di guarigione, di risposta alle terapie e con effetti importanti sulla prognosi. “Si parla spesso di digiuno e cancro, come strumento per ‘affamare’ le cellule tumorali e migliorare l’efficacia delle terapie. L’argomento è particolarmente delicato e deve essere trattato da specialisti e con la massima attenzione e competenza: sappiamo infatti che il 65% dei pazienti presenta una condizione di malnutrizione – seppur variabile in gravità a seconda del tipo di tumore – già alla prima visita oncologica” spiega il Professor Maurizio Muscaritoli, Presidente SINuC, così come chiaramente evidenziato dallo studio italiano PreMiO (Prevalenza della Malnutrizione in Oncologia).La dieta mima-digiuno (FMD, acronimo di Fasting Mimicking Diet) è un piano alimentare a base di vegetali, e bassi livelli di calorie e proteine. Un recentissimo studio randomizzato olandese appena apparso su Nature Communications, ne ha valutato l’efficacia su un gruppo di 131 donne con carcinoma mammario HER-2 negativo allo stadio 2/3.“Periodi di digiuno di almeno 48 ore sono necessari per indurre significativi cambiamenti nel metabolismo, tra i più importanti la diminuzione di insulina, insulin growth factor-1 (IGF-1) e glucosio. Effetti metabolici simili possono manifestarsi dopo regimi brevi a bassissimo contenuto calorico e basso apporto proteico spiega Muscaritoli. Ma qual è il meccanismo? “Quando l’organismo viene sottoposto a digiuno le cellule sane entrano in uno stato di riparazione mentre quelle tumorali soffrirebbero la mancanza di nutrienti e fattori di crescita necessari alla loro proliferazione rapida e incontrollata” chiarisce il Presidente SINuC. Questo meccanismo viene definito “resistenza differenziale allo stress” o DSR.Nello studio multicentrico DIRECT le 131 pazienti con carcinoma in fase iniziale sono state assegnate a due gruppi: uno che avrebbe seguito il proprio regime alimentare 3 giorni prima e durante i 6 cicli di chemioterapia adiuvante (quella eseguita dopo l’intervento allo scopo di ridurre il rischio di recidiva della malattia) e il secondo che avrebbe seguito il regime mima-digiuno prima e durante la chemio per un totale di 4 giorni. Alle pazienti del secondo gruppo è stata assegnata una dieta di circa 1200 kcal il primo giorno, ridotti poi a 200 kcal nei tre giorni successivi, derivate per l’80% da carboidrati complessi.53 pazienti su 65 (81,5%) hanno completato il primo ciclo di FMD, il 50% ne ha completati due, il 33,8% è arrivato a 3 cicli e il 20% ha completato 6 cicli. Nel gruppo che aveva rispettato la restrizione, la malattia definita ‘stabile’ o ‘progressiva’ era marcatamente inferiore nel gruppo mima-digiuno rispetto a quello del controllo: l’11,3% contro 26,9%. E le pazienti che hanno seguito restrizioni per più cicli hanno mostrato una perdita di cellule tumorali tra il 90 e il 100% tre volte maggiore (secondo la classificazione di Miller e Payne). By http://www.masonandpartners.it/
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Lazio: Tumore del seno
Posted by fidest press agency su giovedì, 20 febbraio 2020
Calano nella Regione Lazio il numero di nuovi casi l’anno di tumore del seno. Nel 2019 sono stati in totale 4.600, erano 4.850 quelli registrati l’anno precedente. Una riduzione che segna una tendenza diversa, rispetto a quella nazionale, dove la neoplasia risulta in aumento. Ed è anche la più frequente tra la popolazione femminile: 53mila casi a livello nazionale. Il dato viene presentato in occasione del convegno regionale From Texas To Rome– The DayAfter San Antonio organizzato dalla sezione Regione Lazio dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM). L’evento si svolge oggi presso l’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma e vede la partecipazione di specialisti da tutta la Regione per fare il punto sul carcinoma mammario. “In un anno abbiamo avuto 250 casi in meno – afferma la dott.ssa Alessandra Fabi, Segretario Regionale AIOM -. Ciò è dovuto a una maggiore attenzione nelle nostre latitudini ad alcuni stili di vita, come l’interesse all’esercizio fisico o la più accurata scelta di una dieta. Non bisogna poi sottovalutare la maggiore conoscenza del rischio familiare da parte delle donne che induce ad effettuare test diagnostici con eventuale scelta di una profilassi chirurgica in caso di mutazione del BRCA che annulla l’insorgenza del cancro della mammella”. “La neoplasia potrebbe inoltre essere stata sotto diagnosticata a causa della scarsa partecipazione ai programmi di screening – afferma il dott. Domenico Corsi, coordinatore regionale AIOM Lazio -. Si calcola che solo il 36% delle donne si sottoponga regolarmente alla mammografia e infatti la malattia, solo lo scorso anno, ha determinato in Lazio oltre 1.100 decessi. Serve quindi un maggiore sforzo, da parte di noi specialisti e delle istituzioni, per promuovere maggiormente questi esami”. Al convegno di Roma sono presentate anche le ultime novità terapeutiche per il trattamento della patologia oncologica. “La ricerca sta procedendo nella messa a punto di cure meno invasive e più personalizzate – prosegue la dott.ssa Fabi -. I nuovi farmaci sono più efficaci rispetto anche al più recente passato e ci permettono di intervenire chirurgicamente su tumori di dimensioni ridotte. Nei prossimi anni gli sforzi dei ricercatori proseguiranno nell’individuazione di nuovi bersagli terapeutici. L’immunoterapia, per esempio, potrebbe diventare una valida arma anche nel carcinoma della mammella come lo è già per il melanoma o i tumori polmonari. Oltre l’80% delle pazienti oggi è vivo a cinque anni dalla diagnosi. Raggiungiamo anche il 90% se riusciamo ad intervenire precocemente. Sono ottime percentuali che tuttavia possono essere ancora migliorate soprattutto per quanto riguarda i casi più gravi della malattia”.
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Diagnosi di tumore del seno
Posted by fidest press agency su martedì, 19 novembre 2019
Sono 5.300 nel 2019, in Italia, le nuove diagnosi di tumore del seno già in fase metastatica: rappresentano circa il 10% del totale. Alle nuove strategie nella cura della malattia è dedicata la sesta edizione dell’International Meeting on New Drugs and New Insights in Breast Cancer, in corso all’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma con la partecipazione di più di 200 esperti da tutto il mondo. “In Italia vivono circa 815mila donne dopo la diagnosi della malattia – afferma il prof. Francesco Cognetti, Direttore Oncologia Medica del Regina Elena e presidente del Congresso -. Oggi abbiamo molte armi a disposizione, dalla chemioterapia all’ormonoterapia alle terapie target fino all’immunoterapia. Tutte le pazienti devono essere trattate nelle Breast Unit, cioè in Centri di Senologia, dove è più alta l’adesione alle linee guida, migliore l’esperienza degli specialisti ed è garantita l’adozione di un approccio multidisciplinare. A livello europeo, è stabilito che possano definirsi Breast Unit solo le strutture che trattano almeno 150 nuovi casi ogni anno. La multidisciplinarietà ne è l’elemento fondante. La formazione di un team coordinato favorisce il raggiungimento di un alto livello di specializzazione delle cure, dallo screening fino alla riabilitazione, ottimizzando qualità e tempistica delle prestazioni, con l’obiettivo principale di prolungare e migliorare la vita delle pazienti”.
È dimostrato che, nelle strutture ad alto volume, la sopravvivenza a 5 anni raggiunge l’83,9% (rispetto al 78,8% nei centri che trattano fra i 50 e i 99 casi ogni anno e al 74,9% con meno di 50). “Il lavoro efficiente di un gruppo multidisciplinare produce appropriatezza, coerenza e continuità dei percorsi diagnostico-terapeutici – continua il prof. Cognetti -, traducendosi in un miglioramento dell’utilizzo delle risorse umane ed economiche, indispensabile per sostenere i costi crescenti della malattia”. Il “peso” economico del tumore della mammella, in Italia, raggiunge i 540 milioni di euro ogni anno (considerando ospedalizzazioni e assistenza previdenziale). Circa la metà (52%) è rappresentato dai costi ospedalieri, oltre il 41% dalle uscite previdenziali legate alla disabilità parziale al lavoro ed il restante 7% da una disabilità lavorativa completa.
“La chemioterapia resta un’arma fondamentale nella lotta contro la malattia – sottolinea la dott.ssa Alessandra Fabi, Oncologia Medica Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma -. Se la malattia è in stadio iniziale, la strategia terapeutica può prevedere una combinazione di chirurgia, terapia farmacologica (chemioterapia, ormonoterapia, trattamento con anticorpi monoclonali) e radioterapia. In particolare, la chemioterapia ha lo scopo di ridurre il rischio di ripresa della malattia a livello locale e generale. Convenzionalmente si utilizzano regimi di associazione contenenti antracicline e taxani prolungati per circa 6 mesi. È importante che, se somministrata dopo la chirurgia, la chemioterapia venga iniziata non appena la paziente abbia completato il decorso operatorio e, comunque, entro 90 giorni dall’intervento: specialmente nei tumori più aggressivi, definiti triplo negativi, l’intervallo tra chirurgia e avvio della chemioterapia è correlato alla prognosi, con una significativa minore efficacia con un intervallo superiore a tre mesi”.
Vi sono diversi sottotipi della neoplasia, definiti in relazione alle alterazioni molecolari. “Questo ci consente di scegliere in maniera altamente selettiva il trattamento in relazione alle caratteristiche di ogni sottogruppo – afferma il prof. Maurizio Scaltriti, Direttore Associato del Center for Molecular-Based Therapies al Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York -. In alcuni tipi di tumore della mammella (15-20% del totale) una proteina, HER2, è presente in quantità eccessiva, causando così una crescita rapida e incontrollata delle cellule malate. Dal punto di vista biologico, è una delle forme più aggressive e, in passato, non essendoci armi disponibili, queste pazienti presentavano la prognosi peggiore. Oggi invece, grazie a terapie mirate che bloccano il recettore HER2 e che sono utilizzate sia nelle forme iniziali non metastatiche che in quelle metastatiche, è cambiato radicalmente il decorso clinico”. Inoltre, come evidenziato in una recente pubblicazione a firma del prof. Scaltriti, una percentuale rilevante di tumori alla mammella positiva per i recettori ormonali e HER2 negativa (HR+/HER2-), un sottotipo che include circa il 65% di tutti i casi metastatici, presenta due mutazioni distinte del gene PIK3CA. Questa alterazione genetica rende questi tumori spiccatamente sensibili agli inibitori di PI3K, recentemente entrati nello scenario clinico.
Altri passi avanti sono stati fatti proprio per queste pazienti HR+/HER2- in postmenopausa con la patologia metastatica. “È dimostrato che la combinazione di ormonoterapia e delle nuove terapie a bersaglio molecolare (inibitori di CDK4/6) è migliore rispetto alla sola ormonoterapia standard: la sopravvivenza libera da progressione è raddoppiata – continua il prof. Cognetti -. Non solo. Nessun regime di chemioterapia si è dimostrato più efficace rispetto alla combinazione. In queste pazienti, la pratica clinica si sta progressivamente allontanando dall’impiego della chemioterapia per adottare la combinazione, in prima linea, di diverse molecole a bersaglio molecolare con la terapia endocrina”.
“È importante stimolare interazioni tra gli scienziati provenienti da diversi Paesi e fornire loro i mezzi necessari per svolgere attività di ricerca – conclude il prof. William J. Gradishar, Direttore del Dipartimento di Ematologia e Oncologia del Medicine Robert Lurie Comprehensive Cancer Center della Northwestern University di Chicago -. Oggi abbiamo a disposizione molte armi per combattere questo big killer: prevenzione, diagnosi precoce, chirurgia conservativa, chemioterapie combinate, terapie ormonali e farmaci biologici che permettono di assicurare la guarigione alla maggioranza delle donne colpite. I risultati presentati al convegno confermano come la strategia vincente sia quella di tarare la terapia sulle caratteristiche specifiche delle pazienti”.
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16a Conferenza Internazionale sul cancro al seno di St. Gallen
Posted by fidest press agency su venerdì, 29 marzo 2019
I Nuovi dati recentemente presentati sul cancro al seno di St. Gallen ribadiscono ulteriormente l’utilità del test Oncotype DX Breast Recurrence Score® al fine di ottimizzare le raccomandazioni alla chemioterapia in pazienti con tumore al seno in stadio precoce con o senza interessamento linfonodale.Un’analisi aggiornata del Registro dei Servizi Sanitari di Clalit, la più grande struttura sanitaria in Israele, ha esaminato le cartelle cliniche di oltre 1.300 pazienti affette da cancro al seno senza interessamento linfonodale, applicando il valore soglia del Recurrence Score® determinato dallo studio TAILORx. La ricerca ha dimostrato che l’utilizzo della chemioterapia era allineato rispetto al valore del Recurrence Score e che le pazienti con un punteggio fino a 25, la maggior parte delle quali trattate solo con l’ormonoterapia, hanno avuto esiti eccellenti a 10 anni, con bassi tassi di recidive a distanza.Inoltre i risultati di uno studio real life su più di 80.000 pazienti, basato sull’analisi del database Surveillance, Epidemiology and End Results (SEER) dell’Istituto Nazionale Tumori (NCI) statunitense, hanno confermato che l’esito del test Oncotype DX Breast Recurrence Score consente di prevedere i benefici da chemioterapia: le pazienti con un risultato fino a 25 non ricevono alcun beneficio dalla chemioterapia.
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Tumore al seno, nuovo marcatore per diagnosi prima della mammografia
Posted by fidest press agency su mercoledì, 10 gennaio 2018
Uno studio appena pubblicato su Genome Medicine descrive un nuovo marcatore che potrebbe essere usato per diagnosticare una neoplasia mammaria potenzialmente mortale fino a un anno prima dei metodi attuali. Un gruppo di ricercatori coordinato da Martin Widschwendter, direttore del Dipartimento di ginecologia oncologica all’University College London (UCL), ha scoperto che una regione del DNA contrassegnata come EFC#93 mostra anomalie di metilazione in campioni di cancro al seno prima che il cancro diventi rilevabile. «Il marcatore di metilazione del DNA EFC#93 è un indicatore altamente specifico il cui riscontro nel siero potrebbe consentire un trattamento individualizzato, da iniziare anche in assenza di riscontro radiologico» scrivono gli autori, spiegando che la metilazione del DNA consiste nell’aggiunta di un gruppo metilico che spesso influenza l’espressione genica, evento che nello sviluppo del cancro al seno si verifica precocemente. Gli autori dello studio hanno analizzato la metilazione di EFC#93 nei campioni di sangue prelevati da 419 donne con carcinoma mammario in due tempi: il primo dopo l’intervento chirurgico e l’altro dopo la chemioterapia. E i risultati ottenuti dimostrano che la metilazione aberrante del DNA nei campioni prelevati prima della chemioterapia è un indicatore di prognosi infausta. Spiega l’autore: «La presenza nel siero del marker EFC#93 ha identificato in modo corretto sei mesi prima della diagnosi mammografica il 43% delle donne successivamente decedute per cancro al seno». Secondo gli autori servono ora studi clinici mirati a verificare se le donne positive per il marcatore di metilazione del DNA EFC#93, ma che non hanno un tumore al seno evidente alla mammografia, possano beneficiare della terapia ormonale prima che il cancro diventi rilevabile. Il gruppo di Widschwendter sta attualmente preparando un programma di ricerca sul DNA non cellulare su larga scala basato sulla popolazione, che dovrebbe, tra l’altro, dare una risposta a questa domanda. (fonte: doctor33) (foto: marcatore)
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Tumore del seno in Italia
Posted by fidest press agency su sabato, 30 settembre 2017
Roma 4 ottobre 2017, ore 11 Ministero della Salute (Auditorium), Lungotevere Ripa 1 I risultati del questionario e la campagna saranno presentati in un convegno nazionale nell’Auditorium del Ministero della Salute. Interverranno Carmine Pinto (Presidente Nazionale AIOM), Stefania Gori (Presidente eletto AIOM), Lucia Mangone (Presidente AIRTUM, Associazione Italiana Registri Tumori), Elisabetta Iannelli, Segretario Generale FAVO (Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia), Claudio Cricelli (Presidente SIMG, Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie) e Luigi Boano (General Manager Novartis Oncology Italia).
In 25 anni (1989-2014) i decessi per tumore del seno sono diminuiti di circa il 30% nel nostro Paese. Campagne di prevenzione e terapie sempre più efficaci hanno consentito di raggiungere risultati significativi nella lotta contro la neoplasia più frequente fra le donne. Ma sono ancora troppo poche le italiane che si sottopongono allo screening mammografico, solo il 55% di coloro che hanno ricevuto l’invito nel 2015. Grazie a questo test il 25% dei tumori diagnosticati ha dimensioni inferiori ai 2 centimetri. Ben il 70-80% delle neoplasie scoperte durante lo screening ha, infatti, buone possibilità di essere trattato con successo. Per migliorare il livello di consapevolezza delle donne sulle regole della prevenzione l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) promuove un progetto nazionale che include un’indagine su più di 1.650 cittadine.
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Tumore del seno
Posted by fidest press agency su mercoledì, 13 settembre 2017
Madrid. Nel 2015 circa 3 milioni e 162 mila italiane sono state invitate a eseguire la mammografia, fondamentale per individuare il tumore del seno in fase precoce, ma solo il 55% ha aderito (1 milione e 728mila). Preoccupa in particolare la differenza fra Nord (63%), Centro (56%) e Sud (36%). “Lo screening nelle donne dai 50 ai 69 anni ha contribuito in maniera determinante a ridurre la mortalità per cancro del seno nell’ultimo ventennio, con una diminuzione costante e statisticamente significativa (-1,9% anno) – spiega la dott.ssa Stefania Gori, presidente eletto AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) -. E il test, attualmente raccomandato con cadenza biennale alle donne fra i 50 e i 69 anni, dovrebbe essere esteso fino a 74 anni. Oggi solo alcune Regioni tra cui Emilia-Romagna e Piemonte hanno ampliato in maniera strutturata la fascia d’età da coinvolgere nei programmi di screening”. L’appello degli oncologi italiani viene dal Congresso della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO, European Society for Medical Oncology) in corso a Madrid. Nel 2015 il numero di donne invitate a eseguire l’esame è aumentato di quali il 14% rispetto all’anno precedente. E i risultati evidenziano che grazie a questo test nel 2012-13 sono stati identificati più di 13.000 carcinomi. “Nel 2016 sono stati stimati in Italia circa 50.200 nuovi casi di tumore del seno e 692.955 donne vivono dopo la diagnosi – continua la dott.ssa Gori -. L’innovazione prodotta dalla ricerca ha permesso di raggiungere risultati importanti. Oggi l’87%per cento delle persone colpite da questa malattia nel nostro Paese guarisce, una percentuale superiore non solo alla media europea (81,8%) ma anche al Nord Europa (84,7%). Si tratta di un risultato eccezionale, da ricondurre alle campagne di prevenzione e a trattamenti innovativi sempre più efficaci”. E, se si interviene ai primissimi stadi, le guarigioni superano il 90%. “Le evidenze scientifiche – sottolinea la dott.ssa Gori – dimostrano che nelle donne ad alto rischio per importante storia familiare o perché portatrici della mutazione di un particolare gene, BRCA1 o BRCA-2, i controlli dovrebbero iniziare a 25 anni d’età seguendo protocolli diagnostici ben precisi. Fortunatamente questi sono casi particolari, perché la maggior parte delle diagnosi di tumore del seno sotto i 50 anni non è legata a fattori ereditari”. Si è registrato negli ultimi vent’anni un aumento costante e progressivo dell’incidenza, ma la mortalità, dopo il picco negli anni Ottanta, è diminuita. È migliorata anche la durata della sopravvivenza nelle pazienti con patologia in stadio avanzato. “Il futuro sarà sempre più rivolto alla personalizzazione delle terapie per colpire la singola neoplasia del singolo paziente – conclude la dott.ssa Gori -. È ormai improprio parlare di tumore del seno: si deve utilizzare il plurale, perché le differenze biologiche sono tali da configurare vere e proprie patologie diverse. Il carcinoma della mammella è fra quelli che più hanno beneficiato delle terapie a bersaglio molecolare. Si stanno aprendo prospettive importanti anche grazie all’immuno-oncologia che ha già dimostrato di essere efficace nel melanoma, nel tumore del polmone e del rene stimolando il sistema immunitario contro le cellule malate”.
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Tumore al seno
Posted by fidest press agency su domenica, 5 marzo 2017
Roche, insieme al Breast International Group (BIG), al Breast European Adjuvant Study Team (BrEAST) e alla fondazione Frontier Science (FS) annunciano i risultati positivi dello studio di Fase III, APHINITY. Lo studio ha soddisfatto il suo endpoint primario e ha mostrato che il trattamento adiuvante (dopo l’intervento chirurgico) con l’associazione di pertuzumab, trastuzumab e chemioterapia ha ottenuto una riduzione statisticamente significativa del rischio di ricomparsa della malattia invasiva o di decesso (sopravvivenza libera da malattia invasiva; iDFS) nelle donne con carcinoma mammario in stadio iniziale (eBC) HER2 positivo, rispetto a trastuzumab più chemioterapia.Il profilo di sicurezza del regime con pertuzumab è risultato compatibile con quello osservato in studi precedenti1 e non sono stati identificati nuovi eventi avversi. I risultati completi dello studio APHINITY saranno presentati in occasione di un prossimo convegno medico nel 2017.
I dati dello studio saranno presto sottoposti alle autorità regolatorie, comprese la Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti e l’Agenzia europea dei medicinali (EMA).
Il carcinoma mammario HER2 positivo è una forma aggressiva della malattia; colpisce circa una persona su cinque tra quelle affette da carcinoma della mammella2 e, se non trattato, è associato a una prognosi sfavorevole.3 Nonostante i progressi ottenuti nel trattamento dell’eBC HER2 positivo, ancora oggi una donna su tre trattate con trastuzumab e chemioterapia potrebbe andare incontro ad una recidiva.4,5. Il trattamento precoce del carcinoma mammario, quindi prima della sua diffusione, potrebbe migliorare le chance di prevenire la ricomparsa della malattia e la sua potenziale evoluzione allo stadio metastatico.6 La terapia adiuvante viene somministrata dopo l’intervento chirurgico e ha l’obiettivo di eliminare eventuali cellule tumorali residue per ridurre il rischio di ricomparsa del tumore.
L’associazione di pertuzumab, trastuzumab e chemioterapia è approvata come trattamento neoadiuvante (prima dell’intervento chirurgico) per le donne affette da eBC HER2 positivo in oltre 75 Paesi in tutto il mondo, dopo le approvazioni dell’Agenzia europea dei medicinali (EMA) e della Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti.1,7 Negli Stati Uniti, il regime con pertuzumab è attualmente disponibile grazie al programma di approvazione accelerata dell’FDA. Roche si augura che i dati dell’APHINITY possano convertire l’attuale programma statunitense di approvazione accelerata in un’approvazione completa.
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Aumento del seno, le 5 cose da sapere
Posted by fidest press agency su venerdì, 13 Maggio 2016
«Dottore, vorrei il seno come quell’attrice o showgirl». Capitano spesso pazienti che entrano nello studio del chirurgo plastico con la foto del personaggio famoso a cui vorrebbero assomigliare, soprattutto quando si tratta di rimodellare il seno: «Il décolleté è una parte del corpo che sembra forse più semplice emulare, anche se non è così: ognuno ha delle caratteristiche uniche che devono essere considerate e rispettate». È quanto è emerso al congresso internazionale “Cosmetology, Trichology & Aesthetic Practices” che si è svolto a Dubai dal 25 al 27 aprile, a cui ha partecipato anche Pierfrancesco Bove, chirurgo plastico fondatore del surgery network ChirurgiadellaBellezza insieme con il collega Raffaele Rauso.In un anno, nel mondo, le donne si sono sottoposte a 17 milioni di procedure di medicina e chirurgia estetica: tra quelle chirurgiche, la più praticata è stata quella dell’aumento di seno. «Anche in Italia l’aumento del seno è l’intervento più richiesto dalle donne tra i 20 e i 40 anni. Ci sono però alcuni punti da mettere in chiaro per far sì che quello che spesso è il sogno di una vita, diventi realtà senza sorprese» afferma Bove.
Il primo punto è spiegare ai pazienti che voler assomigliare a questo o a quel personaggio famoso, non è l’approccio corretto: «Bisogna sempre rispettare l’armonia e la proporzione del corpo o del viso, senza strafare. È giusto rispettare l’unicità di ciascuno e assecondare le caratteristiche fisiche del paziente, non cercare di riprodurre quelle di qualcun altro o le esigenze di moda del mondo» dicono gli specialisti di ChirurgiadellaBellezza, che ha studi a Milano, Roma, Napoli, Salerno e Firenze.
Secondo: per la scelta della protesi bisogna considerare sia i desideri della paziente, sia le sue misure corporee, per evitare effetti innaturali: «Un corpo molto magro con un seno molto prorompente molto difficilmente è un dono di madre natura e quasi sicuramente è un “fake”. Tra l’altro bisogna considerare che a lungo andare un peso eccessivo potrebbe causare problemi alla spina dorsale» spiegano i due chirurghi plastici. Anche per questo, prima dell’intervento i chirurghi simulano una “preview” del risultato definitivo facendo indossare delle apposite coppe mammarie alla paziente, al di sotto di uno specifico reggiseno: non sempre quello che sulla carta piace, fa lo stesso effetto se provato di persona: «La paziente indossa degli appositi reggiseni o delle canottiere in cui si inseriscono dei simulatori mammari così da dare l’effetto dopo l’operazione. Ascoltare la paziente, le sue esigenze e aspettative è importante, ma non bisogna mai dimenticare l’equilibrio e l’armonia. Un bravo chirurgo deve anche sapere dire di no a richieste eccessive» aggiungono.
Terzo, va ricordato che non si avranno vent’anni per sempre: «Alle pazienti più giovani, diciamo di pensare tra 40 anni come sarà cambiato il proprio corpo. Un seno da pin up oggi, potrebbe dare più di un problema domani. Le più sensibili a questo argomento sono le mamme che, a due o tre anni dalla nascita di un bambino, decidono di intervenire sul décolleté. Per questo, in linea generale, evitiamo protesi troppo grande che alla lunga potrebbero dare problemi» affermano Rauso e Bove.
Quarto punto, la scelta del tipo di protesi è determinante: «Oggi in commercio ne esistono molte marche, tra cui è difficile orientarsi. Quello che la paziente può fare è chiedere se la marca della protesi che il chirurgo propone garantisce a vita oppure in caso di contrattura capsulare, uno degli inconvenienti più frequenti, l’impianto mammario: questi sono sinonimo di serietà dell’azienda, che è talmente sicura della qualità dei propri prodotti da farsene carico a tempo indeterminato».
Quinto, per una buona riuscita bisogna sapere che dopo l’intervento sarà necessario avere alcune accortezze per ridurre i rischi post intervento. Proprio per venire incontro a questa esigenza, il team di ChirurgiadellaBellezza ha messo a punto la Smart mastoplastica, una particolare combinazione di procedure consolidate e sicure che consente di ottimizzare i tempi dell’intervento (mezz’ora circa contro le due ore di una mastoplastica tradizionale), riducendo l’edema e il gonfiore. «Il minore tempo di intervento comporta anche tempi di recupero accorciati: avendo assunto basse dose di farmaci anestesiologici, la paziente li smaltisce in poco tempo, risvegliandosi pressoché senza dolore grazie all’anestetico locale infiltrato dal chirurgo prima di operare» concludono Rauso e Bove.
ChirurgiadellaBellezza (www.chirurgiadellabellezza.it) è un surgery network che si occupa di medicina e chirurgia estetica in Lombardia, Toscana, Lazio e Campania. L’équipe, guidata dai chirurghi plastici Raffaele Rauso e Pierfrancesco Bove, è composta da anestesisti, infermieri e personal assistant. Gli standard che garantisce sono elevatissimi in tutte le città in cui opera. La filosofia di ChirurgiadellaBellezza si basa non solo sulla ricerca di risultati armonici e naturali, ma anche sull’assistenza costante al paziente prima, dopo e durante l’intervento. (foto: congresso)
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Chirurgia seno e vulva in adolescenti: le indicazioni Usa
Posted by fidest press agency su martedì, 3 Maggio 2016
In risposta all’aumento di richieste delle adolescenti sulla chirurgia del seno e sulla labioplastica vaginale, l’American College of Obstetricians and Gynecologists (Acog) ha pubblicato su Obstetrics & Gynecology un documento d’indirizzo a cura di un gruppo di esperti coordinato da Julie Strickland, ginecologa di Kansas City e presidente dell’Adolescent Health Care Committee dell’Acog. «Sempre più spesso i ginecologi ricevono, da giovani donne ansiose di conformarsi alle attuali concezioni sociali del corpo ideale, richieste di consigli sulla chirurgia del seno o della vulva al fine di migliorarne l’aspetto e la funzione» esordisce l’esperta, sottolineando che in qualità di fornitori di assistenza sanitaria femminile, i ginecologi sono in una posizione unica per svolgere attività di consiglio e supporto alle adolescenti con queste preoccupazioni. Da qui il documento Acog, dal titolo “Breast and Labial Surgery in Adolescents” che ha lo scopo di fare il punto sulla questione, aiutando gli specialisti a consigliare le loro pazienti. «Quando le adolescenti cercano cure mediche, il primo passo è spesso di informarle e rassicurarle sulle normali variazioni della loro anatomia, strettamente collegate alla crescita e allo sviluppo del corpo» riprende Strickland, ricordando che esiste una vasta gamma di ciò che viene considerato normale in termini di sviluppo sessuale e variabilità di seni e genitali, e che i ginecologi dovrebbero spiegarlo alle loro giovani pazienti. «La valutazione della maturità fisica ed emotiva dell’adolescente è un altro aspetto importante dell’attività di consulenza al paziente, e la capacità della ragazza di prendere decisioni autonome senza pressioni esterne da parte dei coetanei o della famiglia è parte essenziale dell’attività di screening che il ginecologo dovrebbe svolgere» scrivono gli autori, sottolineando l’importanza del disturbo dismorfico del corpo, una condizione patologica che può portare l’adolescente a sottoporsi a ripetute correzioni chirurgiche senza trarne alcun sollievo. «Se un ginecologo ne sospetta la presenza, indirizzare la ragazza e i familiari a un professionista della salute mentale è la cosa più giusta da fare, senza sottovalutare la questione» aggiunge Strickland, precisando tra l’altro che la varietà nella forma, le dimensioni e la simmetria delle piccole e grandi labbra può avere effetti psicologici particolarmente angoscianti sulle giovani donne. E conclude: «L’aspetto della vulva può rendere insicure le giovani donne, e il lavoro del ginecologo è anche di rassicurarle su quest’aspetto». (fonte: doctor33 Obstetrics & Gynecology 2016. doi: 10.1097/AOG.0000000000001441)
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Aumento del seno, le 4 cose che possono andare storte dopo l’intervento di chirurgia plastica
Posted by fidest press agency su mercoledì, 25 novembre 2015
Può essere colpa di uno di quei fattori imprevedibili che in medicina non si possono mai escludere del tutto, di un chirurgo poco esperto, di qualche richiesta avventatamente accontentata o di qualche indicazione post operatoria non rispettata dalla paziente. «La mastoplastica additiva, ossia l’aumento del seno, è uno degli interventi più eseguiti in Italia e nel mondo: le complicazioni sono molto rare e sempre risolvibili, ma è bene che le pazienti siano informate di quello che potrebbe andare storto». Parola di Chiara Botti, chirurgo plastico di Clinica Villa Bella a Salò (Brescia), che recentemente è stata invitata al Congresso della Società tedesca di chirurgia plastica che si è svolto a Berlino, a cui hanno partecipato oltre mille specialisti, e a quello organizzato a Teheran dalla Società di chirurgia estetica, proprio per rioperare pazienti che avevano avuto dei problemi con le protesi al seno e per parlare delle problematiche più frequenti.«Le complicazioni di un intervento sono difficili da gestire sia per il medico, sia per il paziente – spiega Botti -. La seconda operazione è sempre più complessa della prima, in quanto si tratta di intervenire per risolvere una soluzione problematica, non sempre è facile riuscirci». Il consiglio è scegliere con cura il medico a cui ci si rivolge già dalla prima volta, senza lasciarsi lusingare da prezzi bassi o offerte low cost, ma basandosi sull’esperienza dello specialista: «Se ci si rivolge a un medico poco esperto non solo aumenta la possibilità di incorrere in una complicazione, ma si rischia anche che non sia in grado di risolverla. E non tutti i medici accettano di rioperare una paziente altrui» afferma.
In Italia le operazioni di chirurgia estetica secondarie, ossia eseguite dopo che il primo intervento non è andato a buon fine, sono state il 13,6% del totale (dati Aicpe): solo nel 36,5% dei casi il paziente ritorna dallo stesso dottore, la maggioranza preferisce rivolgersi a un altro.
Nel caso di mastoplastica additiva le cause delle complicazioni sono diverse: «Spesso i problemi derivano dal fatto che si impianta una protesi troppo grande per il torace, di solito accontentando il desiderio della paziente: soprattutto nei soggetti molto magri può succedere che la protesi debordi e che, essendoci poco grasso di copertura, sia visibile il contorno. Meglio preferire una protesi piccola per far sì che il risultato non sia troppo “plastificato”. Un altro fattore che può incidere è il livello in cui si mette la protesi: il punto migliore è dietro il muscolo pettorale, dove la copertura è maggiore, anche se spesso il chirurgo preferisce l’innesto davanti al muscolo in quanto, oltre a essere tecnicamente più difficile, può causare un po’ più di dolore nei primi giorni successivi. Tuttavia, considerando che può servire a evitare complicazioni e ad ottenere un risultato migliore, ne vale la pena» aggiunge la dottoressa.
Le complicazioni più frequenti con la mastoplastica additiva sono contrattura capsulare, spostamento della protesi, rotazione e rottura. «Un elenco che, pur non essendo del tutto esaustivo, riassume le problematiche più frequenti» dice Botti. La prima è la contrattura capsulare, ossia l’indurimento del seno. «È quella più diffusa, con un’incidenza tra l’1 e il 2%. Può capitare durante tutto l’arco di vita della protesi e le cause sono diverse: dalle infezioni subcliniche (dovute a batteri presenti nella mammella e nei dotti o a bronchiti o tonsilliti non curate con antibiotici), alla contaminazione delle capsule con materiale estraneo. Si manifesta appunto con l’indurimento del seno e si risolve rimuovendo la protesi e reinserendone una nuova» dice il chirurgo plastico di Villa Bella.
Altra complicazione possibile è lo spostamento della protesi. «La dislocazione della protesi può capitare nei primi due mesi dopo l’impianto. Si verifica se la paziente esegue un movimento troppo energico con le braccia oppure se fa molto esercizio nelle settimane immediatamente successive all’intervento. Trascorsi due mesi il tessuto intorno alla protesi si cicatrizza e la paziente può riprendere con regolarità la propria attività. Anche in questo caso la soluzione è tornare in sala operatoria per riposizionare la protesi nella giusta posizione» spiega la dottoressa Botti.La terza cosa che può andare storta è la rotazione. «Capita con le per protesi anatomiche che sono a forma di goccia e se si girano cambiano anche la forma del seno. Può succedere quando si realizza una “tasca” troppo larga per inserire la protesi; quando si passa da una protesi più grande a una più piccola senza ridimensionare la tasca e nel caso in cui la paziente esegue dei movimenti eccessivi con le braccia. La soluzione è rimettere la protesi nella posizione originaria: a volte si può risolvere con un’apposita manovra per girare la protesi, altrimenti si deve rioperare. Succede più frequentemente nei primi due mesi dopo l’intervento ma può capitare anche successivamente».
Infine, può succedere che la protesi si rompa. «La rottura della protesi di solito è successiva a un trauma, ad esempio un incidente d’auto. L’incidenza è bassissima, tanto che le aziende forniscono gratuitamente una coppia di protesi per la sostituzione e, in alcuni casi, rimborsano anche il costo dell’intervento per il reimpianto» afferma Botti.
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Tumore al seno: incidenza
Posted by fidest press agency su venerdì, 13 novembre 2015
Roma. Aumentano i casi di tumore del seno nelle under 50. In 15 anni nel nostro Paese si è registrato un incremento del 27%: erano 7.921 nel 2000, quest’anno le nuove diagnosi in questa fascia d’età saranno 10.105. Per questo diventa essenziale rivedere i criteri di accesso alla mammografia ed estendere il test a tutte le italiane a partire dai 45 anni. A lanciare l’appello gli oncologi riuniti nell’International Meeting on New Drugs in Breast Cancer, che si apre domani al Regina Elena di Roma con la partecipazione di più di 200 esperti da tutto il mondo. “Lo screening nelle donne dai 50 ai 69 anni ha contribuito in maniera determinante a ridurre di quasi il 40% la mortalità per cancro del seno nell’ultimo ventennio – spiega il prof. Francesco Cognetti, direttore dell’Oncologia Medica del Regina Elena di Roma e presidente del Convegno giunto alla quarta edizione -. L’età del primo esame va abbassata per tutte le donne a 45 anni e i controlli devono proseguire fino ai 74. Oggi solo due Regioni, Emilia-Romagna e Piemonte, hanno ampliato in maniera strutturata la fascia d’età da coinvolgere nei programmi di screening, come suggerito dal ‘Piano nazionale prevenzione’”. Nel 2015 sono stimati in Italia circa 48.000 nuovi casi di tumore del seno, 692.955 donne vivono con una diagnosi per questa patologia. “L’innovazione prodotta dalla ricerca ha permesso di raggiungere risultati importanti – afferma il prof. Cognetti -. In quindici anni le percentuali di guarigione sono cresciute di circa il 10%, passando dal 78 all’87 per cento. Si tratta di un risultato eccezionale, da ricondurre alle campagne di prevenzione e a trattamenti innovativi sempre più efficaci”. E, se si interviene ai primissimi stadi, la sopravvivenza raggiunge il 98%”. “Ma il tumore del seno – continua il prof. Cognetti – resta la più frequente causa di morte per cancro nel sesso femminile anche fra i 40 e i 50 anni. Vanno quindi sensibilizzate le donne ad aderire alla mammografia ed è necessario che le Istituzioni siano pronte a recepire le indicazioni che provengono dalla comunità medico-scientifica”. Nel biennio 2011-2012 quasi 5.300.000 donne di età compresa fra 50 e 69 anni sono state invitate a sottoporsi alla mammografia, circa 3.000.000 sono state esaminate. L’estensione teorica è risultata pari al 94,4%, mentre quella effettiva è stata del 73,3%. Il confronto tra le Regioni del Nord e del Centro con quelle del Sud Italia rivela ancora uno squilibrio nell’estensione di questo esame: mentre al Nord e al Centro è rispettivamente del 94% e dell’86%, al Sud il valore registrato è inferiore al 40%. “Le evidenze scientifiche – conclude il prof. Cognetti – dimostrano che nelle donne ad alto rischio per importante storia familiare o perché portatrici della mutazione di un particolare gene, BRCA1 o BRCA-2, i controlli mammografici dovrebbero iniziare a 25 anni o 10 anni prima dell’età di insorgenza del tumore nel familiare più giovane. Questi sono casi particolari, perché la maggior parte delle diagnosi di tumore del seno sotto i 50 anni non è legata a fattori ereditari. Ma l’incidenza della malattia nelle quarantenni è in costante crescita. Ecco perché è indispensabile abbassare la soglia dello screening a 45 anni. Solo così potremo salvare più vite”. Come dimostrano gli studi scientifici la riduzione della mortalità per carcinoma mammario grazie allo screening è diversa nelle varie fasce d’età. È pari al 14% per le donne fra 50 e 59 anni e al 32% per quelle fra 60 e 69. La sensibilità della mammografia infatti aumenta in relazione all’età per la riduzione della densità mammaria. Da qui l’opportunità di includere nei controlli anche le over 70.
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Chirurgia plastica, in Italia la nuova generazione di protesi al seno
Posted by fidest press agency su giovedì, 1 ottobre 2015
Più tecnologiche, più sicure e più performanti. Sono una novità per l’Italia le protesi al seno con carta d’identità incorporata Motiva presentate durante il corso “World Symposium on Ergonomic Implants” che si è tenuto venerdì 25 e sabato 26 settembre alla clinica Villa Bella di Salò (Brescia), a cui hanno partecipato specialisti di tutto il mondo.«Queste protesi di nuova generazione sono le prime a contenere un microchip che racchiude una carta d’identità che il medico potrà “leggere” grazie a un apposito scanner. Si evita così il cartellino di riconoscimento cartaceo che, in precedenza, si consegnava alla paziente perché lo conservasse, con tutti i limiti che questo sistema presentava. Ma le novità non finiscono qui: il materiale utilizzato è innovativo e, oltre a offrire un risultato esteticamente migliore, ha anche più garanzie di sicurezza per la paziente, che può vedere come sarà il risultato finale in anteprima grazie a una simulazione in 3D» dicono Antonio Cella e Chiara Botti, chirurghi plastici a Villa Bella.Villa Bella è stata la prima clinica in Italia a utilizzare le protesi hi tech: «Da due anni utilizziamo le protesi Motiva: ne abbiamo impiantate circa un centinaio con ottimi risultati e soddisfazione da parte delle pazienti. Oggi realizziamo la maggior parte delle mastoplastiche additive con queste protesi» affermano i chirurghi plastici.Utilizzate all’estero già da qualche anno, le protesi Motiva hanno ottenuto tutte le approvazioni per il mercato europeo e sono state oggetto di diversi studi scientifici che ne assicurano la sicurezza.La nuova generazione di protesi al seno presenta sostanziali novità rispetto a quelle già in commercio: «La prima è che a sono le prime e uniche al mondo ad avere internamente un microchip che contiene una sorta di carta d’identità delle protesi – spiegano Cella e Botti -. Grazie a uno scanner sarà possibile in qualsiasi momento il riconoscimento della protesi dall’esterno e si potranno avere subito tutte le informazioni necessarie, come numero di serie, marca, volume e modello evitando cosi il cartellino di riconoscimento». Fino a oggi, infatti, quando una paziente si operava di mastoplastica additiva, riceveva dal medico un tagliando identificativo, con tutte le caratteristiche delle protesi impiantate, che doveva conservare. «Capita spesso però che, con il passare degli anni, la paziente perda il tagliando – dicono i medici -. Avere subito tutte le informazioni necessarie è invece molto utile sia per i controlli successivi, sia nel caso in cui insorgano eventuali problemi: quando scoppiò lo scandalo delle protesi francesi Pip, riempite in modo fraudolento con silicone industriale, molte donne avevano perso la documentazione ed era stato difficile sapere a distanza di anni che marca di protesi la paziente avesse dentro il corpo. Grazie al microchip questo problema è superato».Un’altra novità riguarda il materiale: le protesi sono riempite con un particolare gel di silicone che ha la caratteristica di dare una forma molto naturale e che, nell’ipotesi di rottura della protesi, resta localizzato senza il rischio di dispersione dei tessuti.
Terza innovazione, il fatto di essere ergonomiche pur essendo protesi rotonde: «Le protesi Motiva condensano in un unico modello le caratteristiche positive dei due tipi di protesi di solito utilizzati, quelle rotonde e quelle anatomiche – affermano i chirurghi di Villa Bella -. Pur appartenendo alla categoria di quelle rotonde sono ergonomiche, una caratteristica che di solito contraddistingue le protesi anatomiche. Questo significa che, una volta inserite dietro al muscolo, grazie al particolare gel che contengono, assumono una forma naturale. Allo stesso tempo non presentano alcuni “difetti” tipici delle protesi anatomiche, come la rotazione».Un altro elemento di novità è costituito dal fatto che le nuove protesi hanno un rivestimento che è più delicato e morbido al tatto rispetto alle tradizionali. Una caratteristica che ha come effetto quello di essere meno irritante per il corpo.Inoltre è possibile fare per la prima volta in Italia, una simulazione 3D con queste protesi e vedere il risultato immediatamente. «Grazie a un software e a una fotocamera per la simulazione 3D del risultato disponibili a Villa Bella, è possibile calcolare esattamente le misure e l’ammontare dell’eventuale asimmetria. In questo modo il chirurgo lavora più accuratamente e la paziente può subito avere un’idea concreta del risultato».Insomma, si tratta di un prodotto sicuro, che rappresenta il futuro delle protesi al seno. A conferma di questo, la ditta produttrice ha attuato forme assicurative e di garanzia più estese rispetto alle altre case di produzione. E il prezzo è allineato a quello delle protesi tradizionali.
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Chirurgia estetica, con la Smart mastoplastica ci vogliono solo 30 minuti per un seno nuovo
Posted by fidest press agency su mercoledì, 2 settembre 2015
Solo 30 minuti per aumentare il volume del seno, con un recupero rapido e dal dolore limitato. Sono questi i vantaggi di una nuova tecnica per la mastoplastica additiva messa a punto da Pierfrancesco Bove e Raffaele Rauso, chirurghi plastici attivi in varie regioni d’Italia con l’équipe di ChirurgiadellaBellezza. «L’abbiamo chiamata Smart mastoplastica perché è una tecnica intelligente, che combinando delle procedure consolidate e sicure consente di ottimizzare i tempi dell’intervento, mezz’ora circa contro le due ore di una mastoplastica tradizionale –affermano Bove e Rauso–. Inoltre, la scelta dell’anestesia locale con leggera sedazione fa sì che si evitino i postumi pesanti dell’anestesia generale con intubazione». La Smart mastoplastica è indicata per tutte le pazienti che desiderano un aumento volumetrico del seno, senza modificarne la forma. Per la Smart mastoplastica i chirurghi di ChirurgiadellaBellezza hanno standardizzato una tecnica di inserimento per la protesi sottomuscolare dual plane, con un metodo che successivamente riduce le problematiche legate alle contrazioni dinamiche del muscolo pettorale e gli inconvenienti connessi. «Il risultato di questo approccio sono tempi di intervento estremamente brevi per un inserimento sottomuscolare, di 30 minuti circa per entrambe le mammelle, il che riduce anche l’edema e il gonfiore successivi» spiega Raffaele Rauso
L’équipe di Chirurgia della bellezza è caratterizzata dallo stesso team fisso di anestesisti e infermieri, sempre guidata da Pierfrancesco Bove e Raffaele Rauso, costituendo così un team affiatato e affidabile che opera con rapidità garantendo il miglior risultato. Il minore tempo di intervento comporta anche tempi di recupero accorciati: avendo assunto basse dose di farmaci anestesiologici, la paziente li smaltisce in poco tempo, risvegliandosi pressoché senza dolore grazie all’anestetico locale infiltrato dal chirurgo prima di operare.«Il fatto di non sentire male, però, non deve far dimenticare che la fase post-operatoria di un intervento del genere dura un mese –spiega Pierfrancesco Bove– Questo è un aspetto che lo staff di ChirurgiadellaBellezza segue con particolare attenzione, assegnando a ciascuna paziente una personal assistant che si assicura vengano seguite tutte le indicazioni terapeutiche, per esempio l’uso di guaina e reggiseno contenitivo e gli accorgimenti da adottare per tutti i movimenti che coinvolgono gli arti superiori, come anche un “banale” movimento che si fa, senza pensarci, per alzarsi dal letto, e che va sostituito».Se, infatti, dal giorno dopo l’intervento la paziente può riprendere la normale vita quotidiana e attività lavorative che non comportino carichi eccessivi per braccia e pettorali, occorre attendere 30 giorni prima di eliminare le fasciature contenitive e 60 per riprendere al 100% l’attività sportiva.
ChirurgiadellaBellezza (www.chirurgiadellabellezza.it) è un surgery network che si occupa di Medicina e Chirurgia Estetica in Lombardia, Toscana, Lazio e Campania. L’équipe, guidata dai chirurghi plastici Raffaele Rauso e Pierfrancesco Bove, è composta da anestesisti, infermieri e personal assistant. Gli standard che garantisce sono elevatissimi in tutte le città in cui opera. La filosofia di ChirurgiadellaBellezza si basa non solo sulla ricerca di risultati armonici e naturali, ma anche sull’assistenza costante al paziente prima, dopo e durante l’intervento. (foto: chirurghi)
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Tumore al seno: individuato un nuovo fattore genetico di rischio
Posted by fidest press agency su sabato, 8 agosto 2015
Un nuovo tassello si aggiunge alle conoscenze che consentono alla medicina predittiva di quantificare il rischio di sviluppare patologie determinate anche da fattori genetici. Uno studio coordinato dal dottor Paolo Peterlongo di IFOM (Istituto FIRC di Oncologia Molecolare) e dal dottor Paolo Radice dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, pubblicato sulla rivista Human Molecular Genetics, ha individuato un fattore di rischio per il carcinoma mammario fin ad oggi sconosciuto, FANCM. Una mutazione di questo gene, già noto per il suo ruolo nell’Anemia di Fanconi, consente di identificare un nuovo gruppo di donne a rischio di carcinoma mammario. La scoperta contribuisce a chiarire che esistono altri geni che, oltre a BRCA1 e BRCA2, se mutati aumentano le probabilità di cancro al seno. Così la medicina predittiva segna un nuovo passo avanti nel campo delle neoplasie mammarie: attualmente, i fattori genetici individuati “spiegano” circa la metà di tutti i casi di familiarità e i ricercatori proseguono in questa direzione per identificare le cause del restante 50% dei casi con familiarità per la malattia. L’elemento di maggior rilievo di queste scoperte consiste nella loro caratteristica di essere complementari, poiché le donne negative a uno dei test genetici possono invece risultare positive all’altro, con un’effettiva estensione della capacità e delle chance predittive da parte dei clinici. Lo studio, finanziato da AIRC, dimostra che una particolare mutazione di FANCM (denominata c.5791C>T) causa la sintesi di una proteina non funzionale. Inoltre, i dati di frequenza, ottenuti confrontando più di 8.600 donne affette da carcinoma mammario e 6.600 donne sane (provenienti da Italia, Francia, Spagna, Germania, Australia, Stati Uniti, Svezia e Paesi Bassi) suggeriscono che le donne portatrici della mutazione presentano un rischio di sviluppare il carcinoma mammario superiore a quello della popolazione generale.L’esempio più eclatante finora confermato è quello dei geni BRCA1 e BRCA2 (dall’inglese BReast CAncer) che, se alterati da mutazioni deleterie, determinano una probabilità di sviluppare un carcinoma mammario nel corso della vita di circa il 60-80%. Le mutazioni di questi geni sono relativamente frequenti e vengono identificate nel 10-20% di tutte le donne affette da carcinoma mammario che si sottopongono al test genetico. Scoprire una mutazione BRCA in una donna consente di identificare i parenti a rischio (coloro che hanno la mutazione) e chi ha un rischio equivalente a quello della popolazione generale (coloro che non hanno la mutazione).Durante lo studio è stato rilevato che proprio le donne negative al test BRCA possono essere portatrici del gene mutato FANCM.”Questa ricerca – precisa Paolo Radice – è un risultato significativo della collaborazione tra INT e IFOM, impegnati insieme sul fronte della suscettibilità genetica al cancro. I dati emersi incrementano le nostre conoscenze sui diversi geni che contribuiscono a innalzare il rischio di sviluppare un carcinoma mammario. Senz’altro i geni BRCA1 e BRCA2 conferiscono la quota maggiore di rischio. È però già possibile, grazie ai più recenti avanzamenti tecnologici, eseguire test che analizzano simultaneamente interi ‘pannelli’ di geni di predisposizione al carcinoma della mammella, tra i quali in futuro potrebbe essere incluso FANCM.È importante sottolineare che, dal momento che il rischio conferito dipende dal gene alterato e dalla mutazione identificata, è fondamentale che le persone che si sottopongono al test, lo facciano esclusivamente previa consulenza genetica con lo specialista”.
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Allattamento al seno per fronteggiare malattie e malnutrizione
Posted by fidest press agency su mercoledì, 5 agosto 2015
Far crescere il numero dei bambini allattati al seno è una delle strade migliori per far progredire il mondo nella lotta alla malnutrizione. Nella settimana mondiale dedicata all’allattamento esclusivo al seno (1-7 agosto), Amref – la più grande organizzazione no profit sanitaria in Africa – promuove l’allattamento al seno esclusivo per i primi sei mesi di vita del neonato. Come avviene in tutti i suoi progetti sul campo, in particolare, nei suoi programmi di formazione per ostetriche, infermieri e volontari sanitari a livello comunitario. Un impegno che non ha risvolti solo in termini di salute, ma anche in termini di progresso sociale ed economico.
A livello mondiale solo il 38% dei bambini tra 0 e 6 mesi viene nutrito tramite allattamento esclusivo. Secondo una recente analisi – rileva l’Organizzazione Mondiale della Sanità – pratiche di allattamento al seno non ottimali, come l’allattamento non esclusivo, contribuiscono per l’11,6% alla alla mortalità dei bambini al di sotto dei 5 anni. Questo equivarrebbe a circa 800 mila morti in un anno. Il mondo si è dato un obiettivo per il 2025: aumentare il tasso di allattamento esclusivo nei primi sei mesi di vita del bambino: arrivare al 50%.
Salute del bambino e salute della madre. Il latte materno rappresenta il miglior alimento per i neonati, perché fornisce tutte le sostanze nutrienti di cui hanno bisogno nella prima fase della loro vita. Protegge il nuovo nato da malattie infettive e croniche (come le infezioni respiratorie, aiuta a diminuire la mortalità infantile causata da diarrea e polmonite, e accelera il processo di riabilitazione dalle stesse). L’’allattamento al seno ha delle ricadute positive anche sulla salute della madre. In linea generale aiuta a diminuire il rischio di cancro alla mammella prima della menopausa, accelera la ripresa dal parto e l’involuzione dell’utero e riduce il rischio di emorragia e di mortalità, prolunga il periodo di infertilità post parto, assicurando così che il periodo tra una gravidanza e l’altra sia più lungo. Non solo questione di latte. Importante intervenire a livello di sistemi sanitari, far arrivare alle comunità la bontà di questa pratica e a livello politico-legislativo ribadire il ruolo della donna. Migliorare, negli ospedali e nelle strutture sanitarie, il supporto all’allattamento esclusivo, rendendolo più facile e più comprensibile, lì dove ancora ci fossero delle remore. Arrivare nelle comunità e nei villaggi attraverso operatori che possano spiegare l’importanza di allattare. Investire nella formazione. Ma anche battersi contro pubblicità aggressive e non appropriate che presentano prodotti sostituitivi al latte materno. Fondamentale promuovere politiche in grado di conciliare l’allattamento al seno e il rientro all’attività lavorativa. Amref sostiene l’allattamento al seno insegnando le buone pratiche attraverso un manuale, elaborato appositamente nel 1992 e rivisto nel 2002, intitolato “Allattamento al seno: come aiutare le madri” di Felicity Savage King (pediatra e docente presso il Centro per la Salute Internazionale del Bambino all’Istituto per l’Infanzia di Londra). Il manuale, tradotto in più lingue, si è rivelato essere uno strumento essenziale per combattere la mortalità materna in Africa.
Amref Health Africa promuove la salute materna anche attraverso Stand Up for African Mothers, una campagna che vuole formare 15.000 ostetriche dell’Africa sub-Sahariana e contribuire ad una riduzione del 25% della mortalità materna nel continente. La sezione italiana di Amref Health Africa promuove la campagna in Mozambico, dove nell’arco di 6 anni saranno formati 1,100 ostetriche (825 attraverso corsi di aggiornamento, 275 attraverso corsi di formazione di durata biennale) e 30 formatori di ostetriche.
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