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Quotidiano di informazione – Anno 35 n°195

Posts Tagged ‘stati uniti’

Stati Uniti, inflazione sulla via della moderazione

Posted by fidest press agency su domenica, 16 aprile 2023

A cura di Alvaro Sanmartin, Chief Economist, Amchor. Nonostante il recente rimbalzo dei prezzi del greggio in seguito all’ultima decisione di taglio della produzione da parte dell’OPEC, il calo dei prezzi delle materie prime rispetto ai massimi dell’anno scorso permetterà una diminuzione relativamente rapida dell’inflazione nei prossimi mesi. I tassi di interesse mantenuti al livello attuale (o al di sopra di 25pb) per un periodo di tempo sufficientemente lungo saranno probabilmente sufficienti per ottenere una graduale correzione dell’eccesso di domanda che ha caratterizzato l’economia statunitense nell’ultimo periodo. La minore domanda in eccesso, il calo previsto dell’inflazione complessiva e le aspettative di inflazione ben ancorate contribuiranno a far sì che i salari confermino il percorso di moderazione iniziato nei primi mesi del 2022 per il resto dell’anno. Tutti questi fattori dovrebbero portare a una determinazione dei salari ragionevolmente prudente da parte delle imprese nei prossimi trimestri. Alla luce di questo, il percorso di moderazione dell’inflazione di fondo negli Stati Uniti dovrebbe intensificarsi entro la fine dell’anno e l’economia statunitense dovrebbe superare l’attuale periodo di forti pressioni sui prezzi mantenendo una crescita moderatamente positiva.

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Schroders: e se gli Stati Uniti andassero in default?

Posted by fidest press agency su venerdì, 14 aprile 2023

A cura di George Brown, Economist, Schroders. Il 19 gennaio 2023 gli Stati Uniti hanno raggiunto il limite autorizzato del debito pubblico, pari a 31.400 miliardi di dollari. In risposta, il Tesoro ha fatto ricorso a espedienti contabili per garantire il rispetto dei suoi obblighi. Ma se il tetto del debito non verrà né innalzato né sospeso entro una “data x”, ancora sconosciuta nel corso dell’anno, tali espedienti non potranno più essere utilizzati e gli Stati Uniti andranno tecnicamente in default sul proprio debito. Il tetto del debito è stato modificato più di cento volte dalla Seconda guerra mondiale, quindi, perché questa volta dovrebbe essere diverso? Sia i Democratici che i Repubblicani si atterranno senza dubbio al ben collaudato schema di gioco di far scorrere il tempo fino alla data x, nel tentativo di costringere l’altra parte a cedere per prima. I Repubblicani cercano di ottenere profondi tagli alla spesa, mentre il Presidente Biden vuole aumentare le tasse sulle società e sui redditi alti. I due schieramenti saranno impegnati in una guerra di parte, finché non troveranno un compromesso dell’ultimo minuto. Queste tattiche, tuttavia, rischiano di ritorcersi contro chi le ha messe in atto, in quanto potrebbero portare a un default involontario. La probabilità di un tale esito è più elevata rispetto agli anni precedenti. Le concessioni fatte dal Presidente della Camera limitano il numero di soluzioni legislative, mentre la crescente polarizzazione politica complica il compito di creare consenso.Dopo le elezioni di midterm, i Repubblicani hanno ottenuto solo una risicata maggioranza di cinque seggi alla Camera dei Rappresentanti. Lo Speaker della Camera ha dovuto fare delle concessioni per essere nominato, tra queste, il ripristino della precedente procedura di “mozione di revoca”. Ora un singolo membro può forzare il voto per la destituzione dello Speaker della Camera, invertendo le modifiche del 2019 che richiedevano la maggioranza di uno dei due partiti. In questo modo, una minoranza di falchi fiscali potrà mettere alle strette lo Speaker nei negoziati sul tetto del debito.Se si profilasse un default degli Stati Uniti, un piccolo numero di Repubblicani moderati potrebbe essere motivato a schierarsi con i Democratici per votare un aumento “pulito” del tetto del debito. Oltre al fatto che questo non farebbe altro che prendere tempo, si scontrerebbe anche con una serie di ostacoli legislativi. Se ogni tentativo legislativo dovesse fallire, si potrebbero prendere in considerazione opzioni non ortodosse: il Tesoro potrebbe coniare una moneta di platino da 1.000 miliardi di dollari e depositarla presso la Fed in cambio di liquidità; oppure il Presidente potrebbe invocare il 14° Emendamento per aumentare unilateralmente il tetto del debito. Si tratta di una prospettiva remota, poiché minare il ramo legislativo in questo modo probabilmente non farebbe piacere agli investitori.Se la data x passasse senza che il tetto del debito venga innalzato, i pagamenti delle cedole e i rimborsi dei titoli del Tesoro si fermerebbero. L’America entrerebbe in default, un evento senza precedenti con ramificazioni di vasta portata.Abbiamo delineato uno scenario di rischio, che vede i politici statunitensi iniziare a parlare apertamente di un default dopo una rottura delle trattative. Ciò provocherebbe un sell-off dei Treasury che si diffonderebbe ai mercati del debito più vulnerabili, costringendo i governi di tutto il mondo a ridurre le proprie attività. Il brusco inasprimento delle condizioni finanziarie sarebbe particolarmente negativo per i mercati emergenti che dipendono dai flussi di capitale. L’attività economica verrebbe ulteriormente frenata da altri canali. Oltre all’aumento del costo del finanziamento del debito, la volatilità dei mercati intaccherebbe la fiducia dei consumatori e delle imprese, causando un ridimensionamento delle intenzioni di investimento e l’accumulo di risparmi precauzionali da parte delle famiglie. Negli Stati Uniti, in particolare, lo shutdown del governo colpirebbe anche la spesa e l’attività federale. Le banche centrali verrebbero spinte all’azione. La Fed interromperebbe l’inasprimento quantitativo e taglierebbe i tassi, e i suoi omologhi delle economie avanzate ne seguirebbero l’esempio.Anche se si evitasse un default, i mercati potrebbero affrontare delle difficoltà. Nel 2011, gli investitori erano in fibrillazione perché il Congresso aveva passato mesi a litigare sul tetto del debito prima di alzarlo con soli due giorni di anticipo rispetto alla scadenza. Non molto tempo dopo, agli Stati Uniti è stato tolto per la prima volta il rating AAA. Il conseguente risk-off ha visto il dollaro deprezzarsi, l’S&P 500 affondare e gli spread allargarsi. Dato il rischio di una nuova crisi, gli investitori dovrebbero riflettere sul posizionamento del loro portafoglio. Parcheggiare il capitale in T-Bill potrebbe essere allettante visti gli attuali rendimenti, ma questi sono storicamente sotto pressione quando ci si avvicina alle scadenze del tetto del debito. Gli investitori dovrebbero invece considerare un’allocazione sovrappesata ai metalli preziosi, alle valute e alle obbligazioni rifugio non statunitensi. Queste ultime dovrebbero registrare un rialzo quando i timori di un possibile default degli Stati Uniti si dissolveranno, e a quel punto alcuni investitori potrebbero trarne vantaggio. Ad esempio, i T-Bill con scadenza non lontana dalla data x saranno probabilmente poco apprezzati, come è accaduto nel 2011 e nel 2013, presentando una prospettiva interessante per chi è disposto a scommettere che il Congresso riuscirà ad aumentare il tetto del debito in tempo. Tuttavia, qualsiasi compromesso raggiunto tra Repubblicani e Democratici probabilmente includerà tagli alla spesa e forse anche aumenti delle tasse. Entrambe le cose aggraverebbero la recessione che ci aspettiamo si materializzi nel corso dell’anno. Tuttavia, sarebbe un piccolo prezzo da pagare se ciò significasse evitare i danni diffusi e duraturi che un vero e proprio default degli Stati Uniti comporterebbe. (abstract by http://www.verinieassociati.com/

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Dato sull’inflazione Stati Uniti – Amchor IS

Posted by fidest press agency su mercoledì, 15 febbraio 2023

A cura di Alvaro Sanmartin, Chief Economist, Amchor Il dato sull’inflazione negli Stati Uniti è risultato abbastanza in linea con le aspettative: l’inflazione si sta moderando lentamente, ma si sta moderando. In particolare, ho apprezzato che la metà dell’aumento dei prezzi su base mensile provenga dai beni rifugio, una componente che rumors, dicono, rallenterà significativamente già nei prossimi mesi. Alla luce di ciò, e anche se la componente dei beni dovesse registrare una lieve ripresa (le auto usate, ad esempio, lo faranno), è probabile che i prezzi sottostanti continuino a moderarsi in futuro. Ciò premesso, continuo a pensare che la Fed abbia ancora uno o due rialzi e che non cambierà prospettiva fino a quando non sarà sicura che l’inflazione stia convergendo a un ritmo ragionevole verso l’obiettivo del 2%. Pertanto, con la dovuta cautela, ritengo che lo scenario di atterraggio morbido rimanga il più probabile. Buone notizie per gli azionari, soprattutto al di fuori degli Stati Uniti, dove c’è più spazio per un rialzo delle valutazioni.

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Gli Stati Uniti stanno per entrare in recessione?

Posted by fidest press agency su mercoledì, 11 gennaio 2023

Prima di parlare degli Stati Uniti, vale la pena sottolineare le notizie eccezionalmente positive arrivate dall’Europa negli ultimi tempi. L’anno scorso, l’impennata dei prezzi del gas naturale ha provocato un’inflazione elevata, timori di recessione e blackout elettrici in Europa. Tuttavia, un gennaio straordinariamente mite e una forte risposta in termini di riduzione della domanda e aumento dell’offerta hanno trasformato la situazione. I prezzi del gas sono crollati. Insieme a un’inflazione molto più bassa, la scorsa settimana si è registrato il più grande calo dei rendimenti dei bund tedeschi dall’unificazione di oltre 30 anni fa. I problemi dell’Europa non sono ancora finiti, ma le prospettive sono decisamente migliorate. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, i dati sull’occupazione di venerdì hanno mostrato un altro forte aumento dei posti di lavoro e un calo della disoccupazione al livello più basso dei tempi moderni. Perché parliamo di recessione? Il motivo è l’indice Purchasing Managers dei servizi. Quest’ultimo è infatti crollato da un salutare 56,5 a 49,6, al di sotto della soglia di 50 che segnala una contrazione. Abbiamo atteso che questo indice scendesse così in basso perché ha un peso elevato sul settore immobiliare, chiaramente in recessione. Anche se l’economia rallenta, come ci aspettiamo, e la domanda di lavoro si indebolisce, c’è ancora molta strada da fare prima che la Federal Reserve si senta sicura che l’inflazione sia sotto controllo. Questa settimana dovrebbe registrarsi un nuovo calo dell’inflazione sia headline che core, misurata dall’indice dei prezzi al consumo. Il problema è che l’inflazione salariale resta ancora troppo alta. Non lasciatevi trarre in inganno dal calo dei dati sulla retribuzione oraria media pubblicati la scorsa settimana, perché sono distorti da effetti di composizione. L’aumento medio è diminuito perché sono stati impiegati più lavoratori a bassa retribuzione. La lettura del “wage tracker” di Atlanta è decisamente migliore e mostra che l’inflazione salariale rimane troppo elevata per essere coerente con l’obiettivo Fed di inflazione del 2%.Ancora più preoccupante per la Banca Centrale americana è il fatto che gli aumenti salariali di chi cambia lavoro stanno accelerando, per cui le imprese sono costrette ad aumentare le retribuzioni della forza lavoro esistente per evitare di perderla a vantaggio dei concorrenti. La misura preferita dalla Fed per l’inflazione salariale è l’indice del costo del lavoro. Viene pubblicato solo trimestralmente, ma alla fine di gennaio. Questo sarà più importante dei numeri dell’IPC di questa settimana.Si parla molto di una svolta da parte della Federal Reserve e i mercati prevedono solo un ulteriore, modesto aumento del tasso dei Fed funds con tagli nel corso dell’anno. Ci aspettiamo, invece, che la Fed aumenti i tassi più di quanto i mercati si aspettino e che li mantenga a questo livello per un periodo prolungato. Una pausa, non una svolta. (abstract by http://www.bc-communication.it/

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Stati Uniti d’Europa. Orban e le mire “imperiali” dell’Ungheria

Posted by fidest press agency su domenica, 15 Maggio 2022

Prende piede il riferimento storico ottocentesco del proprio Stato. Prima il Regno Unito che, pensando di essere rimasto ai tempi della regina Vittoria, è uscito dalla Ue (Brexit), poi la Russia di Putin che, pensando all’impero zarista e alla sua ricostituzione, invade e accorpa territori altrui e, ora, il premier Viktor Orban che ricorda la Grande Ungheria che si estendeva fino alla costa dalmata e ai suoi porti. Motivo della rimembranza? L’embargo sul petrolio russo. Orban chiede tempo e soldi per aderire all’iniziativa comunitaria, ricordando che il suo Paese non ha i porti di un tempo e quindi non può approvvigionarsi via mare. “Se non ce lo avessero tolto avremmo anche un porto” dichiara Orban, celebrando i fasti antecedenti alla Prima guerra mondiale. Insomma, rievocazioni imperiali. Rammentiamo che Orban non consente il transito delle armi destinate all’Ucraina invasa da Putin e ha stretti rapporti economici con Russia e Cina, che vanno dai vaccini, alla costruzione di università, alle infrastrutture e alle centrali nucleari. Orban non ha presente la storia più recente della occupazione sovietica dell’Ungheria e della insurrezione di Budapest nel 1956, repressa dai carri armati bolscevici. Per avere i soldi comunitari ricorda i fasti della Grande Ungheria che ora non c’è più, come non esiste più l’impero zarista che Putin vorrebbe ricostituire. Primo Mastrantoni, http://www.aduc.it

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Sale la tensione tra Russia e Stati Uniti intorno alla questione Ucraina

Posted by fidest press agency su domenica, 19 dicembre 2021

A cura di Richard Flax, Chief Investment Officer Moneyfarm. Washington ritiene che la Russia possa prendere in considerazione un’azione in Ucraina nei prossimi mesi e sta lavorando per convincere gli alleati europei del pericolo. Ciò potrebbe rappresentare un rischio per i mercati finanziari. Riavvolgiamo un attimo il nastro: torniamo al 2014, quando la prima crisi in Ucraina portò all’annessione della Crimea da parte della Russia. Abbiamo dato una rapida occhiata alla reazione del mercato in quel periodo. Il grafico seguente mostra i movimenti del mercato azionario: l’ovale indica il periodo della crisi immediata (da febbraio a marzo 2014). Vediamo un calo delle azioni russe, mentre le azioni britanniche, europee e statunitensi non mostrano una risposta significativa. Guardando al tasso di cambio, possiamo vedere un po’ di debolezza del rublo durante la crisi (febbraio – marzo 2014), ma l’impatto reale sulla valuta è stato determinato dal calo del prezzo del petrolio verso la fine dell’anno. Interessante notare che il prezzo del greggio ha reagito solo marginalmente durante la crisi. Infine, guardiamo al rendimento dei buoni del Tesoro a 10 anni degli Stati Uniti, come potenziale beneficiario di qualsiasi sentimento di avversione al rischio che sarebbe potuto scaturire dalla crisi. Anche qui vediamo pochissime reazioni. Nel complesso, a parte le azioni russe, l’impatto complessivo sui mercati finanziari sembra essere stato piuttosto contenuto. Questo vuol dire che un eventuale recrudescenza della crisi non debba preoccupare? Negli ultimi anni i rischi geopolitici non hanno condizionato più di tanto i mercati finanziari globali. I mercati azionari sono generalmente cresciuti nonostante una lunga lista di potenziali preoccupazioni, o titoli: “Russia”, “Siria”, “Iran/Medio Oriente”, “Cina/Taiwan”, “Nuova Guerra Fredda”, “Corea del Nord” ecc. Nessuna di queste questioni può considerarsi risolta, ma i mercati finanziari sembrano credere che uno scenario molto negativo in questi teatri sia improbabile o, forse, che la molta liquidità in circolo prevalga su tutte le altre considerazioni.Naturalmente, lo scenario del 2014 potrebbe non ripetersi per filo e per segno oggi. Si potrebbe sostenere che gli Stati Uniti stiano assumendo una posizione più attiva, già minacciando sanzioni contro la Russia e forse alzando la posta in gioco. Si potrebbe anche guardare ai prezzi del gas naturale in Europa e ipotizzare una correlazione. Prezzi del gas notevolmente più elevati potrebbero avere conseguenze economiche ampie, specialmente in un periodo dove l’Europa sta già facendo i conti con una crisi dei costi energetica.Dove ci porta tutto questo? La Storia recente suggerisce che i mercati finanziari globali probabilmente non saranno eccessivamente influenzati da ciò che accadrà in Ucraina, anche in caso di una escalation tra Stati Uniti e Russia. La probabilità di un esito più negativo non è zero, ma non è il nostro caso base al momento.

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L’UE deve collaborare con gli Stati Uniti, pur perseguendo i propri interessi

Posted by fidest press agency su martedì, 12 ottobre 2021

In una risoluzione sulle future relazioni tra l’Unione europea e gli Stati Uniti, i deputati sostengono che l’UE dovrebbe impegnarsi a favore di una leadership condivisa con gli Stati Uniti, pur potenziando la sua autonomia strategica sul piano della difesa e delle relazioni economiche quale mezzo per portare avanti i propri legittimi interessi diplomatici, economici e di sicurezza.In merito alla Cina, è necessario esplorare aree di convergenza, una possibile cooperazione e migliore coordinamento tra Stati Uniti e UE, al fine di evitare tensioni transatlantiche come quelle che hanno fatto seguito all’adozione, senza consultazione degli alleati UE, del cosiddetto accordo AUKUS (accordo trilaterale sulla sicurezza tra USA, Regno Unito e Australia).Il Parlamento accoglie favorevolmente i recenti progressi sulla strategia indo-pacifica dell’Unione, e afferma che il coordinamento con gli Stati Uniti sulla Cina dovrebbe concentrarsi sulla tutela dei diritti umani e delle minoranze e sull’allentamento delle tensioni nei mari della Cina meridionale e orientale, a Hong Kong e nello stretto di Taiwan.Secondo i deputati, è positivo che la riunione inaugurale del Consiglio commerciale e tecnologico UE-USA si sia svolta il 29 settembre a Pittsburgh come previsto, nonostante le tensioni che dovranno essere discusse in modo aperto e franco.Lezioni dall’Afghanistan e maggiore impegno nel partenariato orientale e nei Balcani occidentali. Condannando la violenta appropriazione dell’Afghanistan da parte dei talebani a seguito del ritiro delle forze statunitensi ed europee, il Parlamento chiede una profonda riflessione a livello transatlantico sugli insegnamenti della missione in Afghanistan, al fine di trarre le necessarie conclusioni per gli sforzi futuri volti a promuovere la stabilità, la sicurezza e il buon governo nel mondo. Inoltre, esorta i partner transatlantici ad avviare un dialogo con tutti i paesi vicini dell’Afghanistan, tenendo presente la difficile situazione dei cittadini afghani che vi si sono rifugiati e della necessità di aiutarli. L’UE dovrebbe intensificare la cooperazione con gli Stati Uniti anche nelle relazioni con i paesi del partenariato orientale e i Balcani occidentali. In questo senso, i deputati chiedono un coordinamento periodico tra il Consiglio “Affari esteri” e il segretario di Stato americano e suggeriscono di creare un Consiglio Politico Transatlantico (CPT) guidato dal Vicepresidente/Alto rappresentante e dal Segretario di Stato USA e sostenuto da regolari contatti con i leader politici.

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Europa e Stati Uniti: La Ue dovrebbe contribuire a proteggere gli Usa dalla Cina

Posted by fidest press agency su domenica, 26 settembre 2021

La storia della vendita di sottomarini francesi all’Australia, annullata perché il governo di Canberra ha optato per i sommergibili americani, non è un problema tecnologico (i sommergibili americani sono a propulsione nucleare, quelli francesi a diesel), ma perché l’Australia è nell’area del Pacifico dove gli Usa devono contrastare l’influenza e l’aggressività cinese. Nè la Francia, che pur ha una presenza nell’Indo-Pacifico, nè la Ue sono in grado di fornire l’alleanza strategica necessaria agli Usa. La Ue non è una potenza militare, ma potrebbe esserlo. Purtroppo i 27 Paesi comunitari non riescono ad avere una politica estera comune, il che li rende deboli alleati degli Usa nei confronti della Cina, così il presidente americano Joe Biden cerca altri alleati per la propria politica di contenimento del gigante cinese. L’Ue dovrebbe iniziare ad elaborare una propria autonomia strategica, cioè pensare non più come 27 Paesi ma come un unico Stato. Ci vorrà tempo. Primo Mastrantoni, Aduc

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Stati Uniti d’Europa. Esercito. Dalle parole ai fatti

Posted by fidest press agency su sabato, 28 agosto 2021

Dopo lo smacco Nato/Usa in Afghanistan e la ripresa del terrorismo con gli attentati a Kabul, si è avviata la corsa a prendere in considerazione l’Unione europea come entità politica e non solo economica: si è chiusa una partita iniziata dopo la seconda guerra mondiale, gli Usa non mostrano di essere in grado di garantire la nostra sicurezza continentale e mondiale. Tutti, compresi alcuni “strani” personaggi istituzionali che fino a ieri urlavano “no euro” e “Italexit” e per questo probabilmente sono stati anche eletti, si prodigano nel perorare un esercito europeo. Le cui funzioni – per i novelli europeisti, e anche alcuni “maitre à penser” dell’editoria nazionale – non sono ancora chiare, facendo sottendere una sorta di scambio: prima erano gli Usa ora l’Europa, almeno per il nostro territorio continentale. Gli Usa hanno sempre fatto i loro interessi di nazione curando le ricadute della loro azione sulla politica e sicurezza interna al proprio Paese. A livello europeo il concetto di nazione non ha senso, la nazione Europa non esiste. Possiamo giocarci solo la carta federalista e, al momento, con un grosso problema, l’assenza del Regno Unito che, per quanto riguarda gli eserciti, ha molto da insegnare a tutti. Inoltre, i Paesi dell’Unione, sconfitti o salvati nella seconda guerra mondiale, a parte l’anomalia francese, hanno limitata e recente esperienza. Questo per dire che un esercito europeo non potrà al momento avere una forza politica come quella messa in moto dagli Alleati contro il nazi-fascismo nel secolo scorso. Che è quanto si auspicherebbe oggi contro il terrorismo (incluso quello mascherato da guerre convenzionali, tipo Yemen). Dovremmo agire consapevoli dei nostri limiti.Per agire si dovrebbe passare dal dire al fare. E siamo in alto mare. E’ in corso la Conferenza sul futuro dell’Europa. Che non è all’altezza di questa urgenza: per tempi, modalità e tematiche. Poi ci sono i vari problemi all’interno dell’Ue, soprattutto con Ungheria e Polonia. E poi c’è l’Ue, che è Unione Europea e non Stati Uniti d’Europa o qualcos’altro con mandato politico in materia. Insomma: un esercito europeo oggi è solo accademia, pur rifacendosi ai nostri padri fondatori di Ventotene.La domanda è questa: di fronte a Talebani che in alcune settimane hanno conquistato un Paese dettando condizioni a Nato/Usa, di fronte alla scontata ripresa del terrorismo, gli Stati dell’Ue cosa pensano di fare? Diplomazia ad ampio raggio, certo, bene. Ma visto che il nemico (sì, proprio il nemico) sostiene che gli infedeli vanno convertiti o eliminati, forse è il caso non solo di allertare le ambulanze per morti e feriti, ma di forzare istituzioni e politica per “qualcosa” che ci difenda. Non sarà un Esercito europeo come i crismi istituzionali comandano, chiamatelo come volete, ma un facente funzioni in materia urge. Da poi perfezionare e armonizzare con le nostre istituzioni, non coi tempi jurassici della tradizionale eurocrazia. Ce la facciamo ad essere più veloci dei Talebani? Vincenzo Donvito, Aduc

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Stati Uniti d’Europa. Se gli Usa si ritirassero dall’Europa…

Posted by fidest press agency su martedì, 17 agosto 2021

I fatti in Afghanistan, col ritiro degli Alleati Usa in testa, ci aiutano a riflettere su più o meno simili situazioni in altre parti del mondo. Soprattutto dopo che il segretario di Stato dell’amministrazione Biden, Antony Blinken, ha fatto sapere che gli Usa lasciano l’Afghanistan perché la loro missione è compiuta: hanno fermato gli attacchi a Washington.E se gli Usa decidessero di ritirarsi dalla cosiddetta Europa?Al momento, grazie anche al passaggio da Trump a Biden, non sembra essere al loro ordine del giorno. Ma in Unione Europa, nonostante la recente defezione del Regno Unito, è all’ordine del giorno il passaggio ad una fase costituente degli Stati Uniti d’Europa.La situazione è questa. Gli Usa sono in Europa perché hanno vinto la seconda guerra mondiale coi britannici e perché l’Europa è un territorio che gli consente di arginare minacce provenienti da Mediterraneo ed Urali. Il passaggio dell’Europa (post muro di Berlino, ovviamente) ad altre alleanze darebbe fastidio ai loro alleati britannici e ai loro rapporti economici con l’antico continente. Continente in cui non vogliono che nessuno Stato diventi egemone, visto quanto è accaduto nel secolo scorso con l’imperialismo tedesco. Sembrerebbe quindi che agli Usa andrebbe proprio bene l’Europa com’è oggi: unità economica per meglio trattare con le merci, disunità politica per far sì che le decisioni continuino a prenderle loro.Quindi, molto semplificando, se l’Unione Europea dovesse diventare anche politica (Stati Uniti d’Europa), gli Usa storcerebbero il naso. E sono giustificate le politiche militari in corso (per esempio le limitazioni agli eserciti tedesco e italiano) che impediscono un venir meno della loro egemonia. Quindi, sempre molto semplificando, noi federalisti europei dovremmo combattere gli Usa che ci impedirebbero il sogno e la necessità del manifesto di Ventotene? Oppure… rinunciarvi?Per fortuna la politica non è così semplice e neanche così ottusa.L’Europa non è l’Afghanistan, con un’economia basata sull’illegalità (coltivazione e produzione di oppio), ma la seconda potenza economica mondiale. Che anche se “occupata” dagli Usa ha un suo peso e, volendo, una volontà di governo politico di se stessa (e non degli Stati sovrani com’è oggi). Per cui, Usa o non Usa, sono comunque gli europei che devono decidere se continuare ad essere solo forziere economico e delle idee o anche politico. E far sì che il proprio assetto non sia ancora deciso da come il mondo è venuto fuori dopo la seconda guerra mondiale.Vincenzo Donvito, Aduc

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Mercato del lavoro US

Posted by fidest press agency su domenica, 8 agosto 2021

A cura di Antonio Cesarano, Chief Global Strategist, Intermonte. I segnali di miglioramento che la Fed ha dichiarato di attendersi dal mercato del lavoro stanno iniziando ad emergere. Questo consente alla Fed di portare avanti il conto alla rovescia del tapering, senza accelerare però troppo il conteggio. Questo consente alla banca centrale di riservarsi di intervenire tramite tapering per cercare di moderare l’inflazione in maniera non frettolosa, per tenere conto anche dell’impatto dei vari colli di bottiglia e della evoluzione della pandemia e attendere quindi ulteriori miglioramenti, soprattutto dal fronte del tasso di partecipazione che nel mese di luglio è salito marginalmente al 61,7%, ancora distante dal circa 63% della fase pre-pandemica. Lo scenario per i prossimi 3-6 mesi rimane al momento improntato a tassi mediamente più bassi con curva in flattening, in vista dei rallentamenti prospettici che potrebbero derivare dall’effetto congiunto colli di bottiglia/convivenza con la variante in autunno, con particolare focus sul fatto che buona parte della catena di fornitura utilizza anche i lockdown per controllare il virus.Il mese di agosto presenta la possibilità di un rimbalzo dei tassi (primo obiettivo area 1,40% del tasso decennale US) e conseguente steepening della curva, soprattutto se la prossima settimana i dati sull’inflazione confermeranno ancora un posizionamento su livelli elevati. Lo scenario descritto si presenta mediamente supportivo per il comparto azionario in vista di tassi complessivamente contenuti e Fed che si avvicina al tapering senza fretta + BCE accomodante a lungo. Nelle fasi di temporaneo rimbalzo dei tassi ritorna in auge il comparto value e quindi maggiormente l’area Euro. Su un orizzonte più lungo, o scenario delineato, è complessivamente più favorevole agli Usa, data la maggiore presenza di settori più sensibili al calo dei tassi. Sul fronte cambio, confermato lo scenario di un’estate mediamente a favore del dollaro (obiettivo area 1,16, senza la pretesa di centrare con precisione il target) in vista di un diverso atteggiamento di Fed vs BCE, il che è anche benvenuto da un paese come gli USA con forte disavanzo commerciale, per contenere almeno l’inflazione importata

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Stati Uniti: Difendere Colombo e italianità

Posted by fidest press agency su sabato, 19 giugno 2021

“A una parte della sinistra abbiamo dovuto ricordare che non ci si astiene mai dall’essere italiani, non ci si astiene in America, in tutto il mondo, in Europa e soprattutto qui a Montecitorio. Non ci si astiene mai dall’essere italianI e difendere l’identità italiana – così il deputato Federico Mollicone, componente dell’Unione InterParlamentare Italia-USA, nel corso della dichiarazione di voto sulla mozione concernente iniziative di carattere diplomatico volte a salvaguardare l’eredità culturale italiana negli Stati Uniti, con particolare riferimento alla figura di Cristoforo Colombo – I monumenti sono le tracce della memoria di ciò che gli uomini hanno fatto, una traccia che va oltre il tempo; le opere di un uomo sono ciò che rimane della grandezza di un personaggio, di una generazione, di una cultura, di una civiltà, anche della sua tragicità. La mozione che abbiamo presentato, unitaria in Parlamento, impegna il Governo ad attivarsi sul piano politico e diplomatico affinché sia salvaguardata l’eredità culturale italiana negli Stati Uniti e la figura simbolo di tale eredità è incarnata da Cristoforo Colombo. Già nel 2017 con We the Italians e Umberto Mucci lanciammo una petizione in cui chiedevamo al Governo italiano di intervenire per via diplomatica, per chiedere ufficialmente al Governo degli Stati Uniti la tutela dei monumenti dedicati a Cristoforo Colombo e il rispetto del Columbus Day, inteso come giorno di affermazione dell’orgoglio italiano negli Stati Uniti e di amicizia tra i due popoli. Sono stati milioni gli abitanti dell’Italia che hanno voluto attraversare l’Oceano per stabilirsi nella nascente Nazione americana, impiegando il loro lavoro, la loro inventiva, la loro cultura per crescere in quella società e assumere ruoli importanti nella vita sociale, industriale, politica. È tempo che l’Italia si muova per difendere uno dei più grandi pionieri della storia dell’umanità, un nostro figlio oltraggiato e deriso, e i 17 milioni di nostri connazionali che lo hanno eletto a simbolo.”

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Gli Stati Uniti guidano la ripresa mondiale

Posted by fidest press agency su mercoledì, 5 Maggio 2021

Da inizio 2021, si osservano alcune sorprese positive, malgrado le molteplici incertezze sanitarie. Il divario di crescita atteso tra area euro e Stati Uniti è un fenomeno normale, soprattutto in fase di ripresa. La spiegazione risiede in parte nell’indebolimento degli stabilizzatori automatici negli Stati Uniti che accelerano gli aggiustamenti in materia di occupazione e reddito. In questa circostanza, le ragioni della disparità in favore degli Stati Uniti sono diverse: le restrizioni alla mobilità meno restrittive rispetto all’area euro, sia nel 2020 che a inizio 2021, così come la somministrazione più rapida dei vaccini alla popolazione.Anche le differenze in materia di politica economica spiegano la performance americana. La Fed ha ulteriormente aumentato la dimensione del proprio bilancio- il programma di acquisto di asset è aumentato all’incirca di 13 punti del PIL nel 2020, contro i 9 punti della BCE. Infine, i cospicui aiuti fiscali consentiranno all’economia americana di tornare al livello del PIL pre-crisi.Approvato a marzo 2021, il nuovo piano di sostegno americano da 1900 miliardi di dollari (USD), porterà il totale della risposta fiscale alla crisi a un equivalente del 27% del PIL americano, più di tutte le altre economie avanzate. Coface stima che il piano di rilancio potrebbe portare a un ulteriore deficit pari a 56 miliardi.Questa strategia ha l’obiettivo di mettere l’economia americana in modalità di “pressione elevata”, ossia attuare politiche economiche monetarie e fiscali fortemente espansive per favorire il ritorno all’occupazione di alcune categorie (disoccupati di lunga durata o inattivi a causa della sfiducia, persone scarsamente qualificate e categorie di popolazione che subiscono discriminazioni nell’assunzione).Nel contesto attuale, l’area euro ritroverà il livello del PIL pre-crisi non prima del 2022. Se le principali misure di limitazione alla mobilità e alle attività venissero revocate entro la fine dell’estate, ciò andrà di pari passo con una graduale interruzione delle misure di sostegno alle imprese, portando a un potenziale aumento della disoccupazione. Inoltre, l’incremento del debito delle imprese, reso possibile a condizioni favorevoli attraverso prestiti garantiti dagli Stati, dovrebbe limitare in modo permanente la loro capacità di investimento.Finora, i principali aiuti messi in atto da parte dei governi nel 2020 non sono stati ancora soppressi. Malgrado l’effetto stabilizzatore degli aiuti pubblici, lo stato di salute finanziaria delle imprese si è sensibilmente deteriorato nel 2020 – con il rischio normalmente di un aumento delle insolvenze. Secondo Coface, nel 2020 le insolvenze sarebbero dovute aumentare del 19% in Spagna, del 6% in Francia, del 6% in Germania e del 7% in Italia. Coface stima il numero delle insolvenze nascoste intorno al 44% delle insolvenze registrate nel 2019 per la Francia, al 39% per l’Italia, al 34% per la Spagna e al 21% per la Germania.

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Stati Uniti: 50 o 51 Stati?

Posted by fidest press agency su sabato, 3 aprile 2021

“Washington D.C. non merita divenire uno Stato perché non possiede una concessionaria di automobili”. Ecco come Jody Hice, parlamentare repubblicano della Georgia (decimo distretto), ha obiettato alla recente proposta della creazione del 51esimo Stato. Una volta informato che si sbagliava, Hice ha chiesto scusa, ma continua ad opporsi alla proposta (H.R. 51). Si tratta di una nuova legge approvata dalla Camera con voti di solo democratici (232 sì, 180 no) l’anno scorso ma recentemente discussa dalla Commissione di Supervisione e Riforme.I 705mila abitanti della capitale americana sono ovviamente cittadini ma non possiedono tutti i diritti poiché non vivono in un luogo con un governo statale, essendo Washington D.C. (District of Columbia) considerato un territorio. Questa problematica situazione è emersa nell’insurrezione del 6 gennaio quando la sindaca della capitale Muriel Bowser ha dovuto chiedere permesso alle autorità federali di chiamare la Guardia Nazionale. Le autorità federali hanno ritardato e con ogni probabilità sono responsabili per almeno una parte dei danni fatti dagli assaltatori al Campidoglio. Il governatore di uno Stato avrebbe avuto pieni poteri di chiamare la Guardia Nazionale tempestivamente. Inoltre, a causa della classificazione di “territorio”, i cittadini della capitale hanno perso 750 milioni di dollari dopo l’approvazione del CARES Act dell’anno scorso.La mancanza di vivere in uno Stato rappresenta una contraddizione al concetto basico costituzionale americano con richiami alla fondazione del Paese: “No taxation without representation” (Nessuna tassazione senza rappresentanza). Questo fu uno slogan politico agli inizi della Rivoluzione americana. I coloni credevano che le tasse imposte dalla monarchia britannica fossero illegali perché loro non erano rappresentati nel lontano parlamento britannico. I cittadini di Washington D.C. si trovano in una simile situazione anche se non completamente: non solo pagano le loro tasse ma nella graduatoria di chi ne paga di più si trovano infatti al primo posto in tutta l’America. Tutto sommato, i cittadini della capitale non hanno i pieni diritti di tutti gli americani. Va ricordato che nessun Paese al mondo nega ai cittadini della loro capitale i pieni diritti.Nel corso della storia alcuni cambiamenti sono stati fatti per offrire ai cittadini di Washington D.C. i dovuti diritti ma difatti sono tuttora in una situazione sfavorevole. La città è governata da un sindaco ma il bilancio municipale può essere controllato dal Congresso, composto da rappresentanti eletti da cittadini di altri Stati. I cittadini della capitale possono votare nell’elezione presidenziale e ricevono tre voti per il collegio elettorale, stesso numero di altri sette Stati con basse popolazioni. Non hanno rappresentazione al Senato ma alla Camera ne hanno uno che però non ha diritto al voto. H.R. 51 offrirebbe pieni diritti ai residenti di Washington D.C. con la creazione del 51esimo Stato. Secondo la Costituzione, il Congresso ha il potere di ammettere nuovi Stati, il che significa una situazione politica. I democratici sono ovviamente a favore perché un nuovo Stato si tradurrebbe in due nuovi senatori e un nuovo parlamentare. Questi tre legislatori si aggiungerebbero quasi certamente alle file del loro partito considerando la stragrande maggioranza dei residenti di Washington D.C. che tipicamente vota per i democratici. Per esempio, nell’ultima elezione presidenziale il 92% degli elettori della capitale ha votato per Joe Biden. La composizione demografica, con la stragrande maggioranza di afro-americani, ci suggerisce che il nuovo Stato aumenterebbe la diversità anche se minimamente in ambedue le Camere.Le argomentazioni dei repubblicani sono scontate e sono emerse non solo da legislatori a Washington ma anche dalle legislature Statali dominate dai repubblicani. Il South Dakota si è già dichiarato contrario sostenendo che un nuovo Stato eroderebbe i diritti dei suoi cittadini. Paradossalmente, i due Dakota, North e South, creati nel 1889 dal Dakota Territory, dovevano essere uno Stato, ma i repubblicani ne fecero due onde avere 4 senatori nelle loro file e consolidare la loro maggioranza. Altri Stati dominati da legislature democratiche hanno però dissentito e appoggiano l’ampliamento da 50 a 51 Stati.La decisione verrà fatta però al livello federale. Se la Camera, dominata dai democratici, ha già approvato la formazione del nuovo Stato, si dovrà affrontare lo scoglio del Senato dove le regole attuali richiedono 60 dei cento consensi per procedere al voto a causa del filibuster. I democratici si trovano nella situazione favorevole di avere la maggioranza in ambedue le Camere fino all’elezione di midterm del 2022. Potrebbero dunque approfittare per fare approvare H.R. 51 ma prima dovrebbero eliminare il filibuster. Al momento ciò sembra improbabile anche se non impossibile. Almeno due degli attuali senatori democratici, Joe Manchin (West Virginia) e Kyrsten Sinema (Arizona), sono contrari anche se le loro ultime dichiarazioni suggeriscono posizioni ammorbidite al riguardo. Il presidente Biden ha anche lui dichiarato apertamente che favorisce l’abolizione del filibuster. Mitch McConnell, senatore del Kentucky e leader della minoranza repubblicana al Senato, ha minacciato i democratici sulla possibile eliminazione del filibuster. McConnell ha annunciato che una volta eliminato il filibuster lui metterà in atto una politica di terra bruciata abrogando tutti i programmi estremisti dei democratici la prossima volta che il suo partito otterrà la maggioranza. Una minaccia poco credibile come ci dimostra la storia con i programmi del Social Security, Medicare, e il più recente di Obamacare. I repubblicani hanno controllato le due Camere e la Casa Bianca nei primi due anni dell’amministrazione di Donald Trump ma non sono riusciti nemmeno a revocare la tanto odiata Obamacare. Eliminare programmi popolari approvati dai democratici anche senza voti repubblicani diverrebbe impossibile. Si vedrà se i democratici oseranno eliminare il filibuster per mettere in atto gli ambiziosi programmi di Biden che ci ricordano il New Deal di Franklin D. Roosevelt.Al di là delle questioni politiche rimane però il senso della giustizia e dell’uguaglianza di tutti i cittadini. I residenti di Washington D.C. meritano pieni diritti. I democratici, lottando per questi diritti, non si trovano in una situazione completamente altruistica, poiché ci guadagnerebbero politicamente. Allo stesso tempo, considerando l’estremismo del Partito Repubblicano sempre più nelle mani di Donald Trump con le sue arcinote tendenze autoritarie, i democratici devono lottare per la giustizia ma anche per la difesa della democrazia. Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California.

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Gli Stati Uniti e il conflitto in Yemen. La posizione dell’Italia

Posted by fidest press agency su lunedì, 8 febbraio 2021

L’amministrazione Biden ha annunciato che intraprenderà misure concrete per porre fine alla partecipazione degli Stati Uniti al conflitto in Yemen, che si trascina da quasi sei anni, facendo precipitare il Paese nella peggiore crisi umanitaria del mondo e richiedendo il tributo delle vite di innumerevoli civili, che sono stati presi di mira da tutte le parti in conflitto. Migliaia di bambini sono stati uccisi o feriti e le armi di fabbricazione americana hanno contribuito alla violenza. L’annuncio è stato accolto con grande plauso da Save the Children – l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro. Una decisione che si aggiunge a quella presa qualche giorno fa dal Governo italiano di fermare l’export di bombe d’aereo e missili verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, che sarebbero state poi utilizzate nel conflitto in Yemen. Anche in Italia con un atto di portata storica – dopo 30 anni dall’entrata in vigore della Legge 185 del 1990 sull’export di armi – uno degli ultimi provvedimenti del Governo Conte è stato proprio quello di revocare le autorizzazioni in corso per l’esportazione di missili e bombe d’aereo verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti e rinnovare la sospensione della concessione di nuove licenze per i medesimi materiali e Paesi. Questo risultato è stato accolto con grande soddisfazione da Save the Children Italia, che insieme alla Rete Italiana Pace e Disarmo e numerose altre organizzazioni, è da anni impegnata in una campagna per questo stop alle esportazioni di armi. Una decisione – sottolinea l’Organizzazione – che ha posto fine alla possibilità che migliaia di ordigni fabbricati in Italia possano colpire strutture civili, causare vittime tra la popolazione o possano contribuire a peggiorare la già grave situazione umanitaria nel Paese.

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Stati Uniti d’Europa. Coronavirus e risposte globali

Posted by fidest press agency su mercoledì, 23 dicembre 2020

Ora abbiamo una variante del Coronavirus (SARS-Cov-2). E’ stata scoperta nel Regno Unito. Probabilmente ci saranno altre varianti perchè il virus è a RNA, quindi mutabile. Sono scattate le misure preventive con il blocco delle comunicazioni tra il Regno Unito e il resto dell’Europa. Purtroppo, le decisioni sono state prese in ordine sparso, prima un Paese poi l’altro e, purtroppo, non c’è un ministero della Salute europeo che avrebbe potuto lanciare l’allarme collettivo e predisporre adeguate misure comunitarie. Mentre in Italia c’è qualche sovranista, trasformatosi in regionalista, che propone la vaccinazione in primis ai lombardi, perché valgono di più, in tutto il Mondo, scienziati, ricercatori, medici e biologi hanno collaborato per trovare soluzioni alla pandemia.Il vaccino, approvato dalla Fda statunitense e dall’Ema europea, messo a punto grazie a una collaborazione tra la Pfizer americana e la Biontech tedesca, ha potuto essere varato grazie ai finanziamenti del governo della cancelliera Angela Merkel (guarda un po’!) e dalla Unione europea (guarda un po’!). Aggiungiamo che i fondatori della Biontech sono immigrati turchi e che l’amministratore delegato della Pfizer è un greco ebreo.Tutto ciò è la dimostrazione che ai problemi comuni occorre dare risposte comuni e che il sovranismo, ovvero il nazionalismo mascherato di certi partiti nostrani, non porta da nessuna parte, se non a rivendicazioni minuscole, come l’esempio citato.L’Europa lo ha capito e, grazie a una iniziativa franco-tedesca, ha avviato il progetto del Next Generation EU: fondi comunitari per affrontare e risolvere problemi comuni.Qualcuno non lo ha ancora capito, come il popolo britannico che ha voluto la Brexit, sognando un passato che non tornerà mai più e come esponenti politici, nostrani ed europei, che rivendicano identità sepolte dalla Storia. Primo Mastrantoni, segretario Aduc

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Gli Stati Uniti inaugurano una nuova era per l’energia pulita

Posted by fidest press agency su domenica, 13 dicembre 2020

L’elezione di Joe Biden come nuovo Presidente degli Stati Uniti riporta la più grande economia al mondo al centro degli sforzi internazionali per limitare il riscaldamento globale. L’agenda ambientale dei Democratici è assolutamente audace. L’impegno a rientrare nell’accordo sul clima di Parigi un giorno dopo l’insediamento e i 2000 miliardi di dollari promessi in nuovi investimenti verdi sono i pilastri di una grandiosa strategia che mira a rendere gli Stati Uniti “carbon neutral” entro il 2050.Alimentato dal know-how statunitense e dal suo peso finanziario, il settore sembra pronto ad entrare in una nuova era. Si prevede l’afflusso di miliardi di dollari di nuovi investimenti pubblici e privati in infrastrutture verdi e tecnologia ambientale. In poche parole, l’energia pulita potrebbe diventare il pilastro centrale dell’economia del XXI secolo. Il contrasto tra l’approccio di Biden all’ambiente e quello dell’attuale amministrazione statunitense non potrebbe essere più stridente.Sotto il presidente Donald Trump, il governo ha smantellato quasi 100 leggi ambientali, in aree come l’aria pulita, la qualità e l’uso dell’acqua, e ha allentato la regolamentazione del settore dei combustibili fossili. Ha anche tagliato i finanziamenti per la ricerca sul clima. I progetti di Biden intendono ristabilire le caratteristiche ambientali degli Stati Uniti su diversi fronti. Si è impegnato a decarbonizzare la produzione di energia elettrica entro il 2035, passando alle energie rinnovabili.Il suo piano contiene anche misure per eliminare gradualmente le auto a combustibile fossile in favore dei veicoli elettrici (EV).La Casa Bianca a guida Biden dovrebbe anche consentire ad alcuni degli Stati più progressisti, come la California, di perseguire il loro serio programma ambientale, ponendo fine a quattro anni di battaglie legali tra il Governo federale e gran parte degli Stati a guida democratica su questioni come l’inquinamento delle auto.Nonostante l’entusiasmo, trasformare la visione verde di Biden in realtà non sarà facile. L’amministrazione democratica dovrà fare i conti con la forte ostilità del Senato.Riteniamo che questi strumenti avranno un ruolo fondamentale nel suo programma di lotta al cambiamento climatico. Gli investitori dovrebbero quindi aspettarsi un gran numero di ordini esecutivi nei primi 100 giorni della nuova presidenza. Con una semplice firma, Biden riporterà il Paese nell’Accordo di Parigi e aggiungerà le disposizioni sull’energia pulita al pacchetto di stimoli economici per contrastare la pandemia. Ma c’è motivo di credere che Biden possa ottenere ancora di più. Prima di tutto, gli americani non sono così ostili all’azione climatica come alcuni potrebbero pensare. In un recente sondaggio, l’85% dei votanti Repubblicani di età compresa tra i 18 e i 54 anni ha affermato di essere più propenso a sostenere un candidato Repubblicano che adotta un approccio al clima basato sull’innovazione.Poi c’è la promessa dei posti di lavoro. Il settore dell’energia pulita è già un importante datore di lavoro: circa 3 milioni di americani lavorano in tale ambito e i piani di Biden prevedono di aggiungere altri 10 milioni di persone. Si tratta di un impegno audace, ma che dovrebbe riscuotere successo in un’economia colpita dalla pandemia.

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Stati Uniti d’Europa. Bilancio europeo e Recovery Plan

Posted by fidest press agency su martedì, 1 dicembre 2020

Il premier ungherese Viktor Orban, si oppone alla approvazione del bilancio europeo e del collegato Recovery Plan (Next Generation EU), perché legato al rispetto della condizionalità dello Stato di diritto. Nuova è, invece, l’ultima dichiarazione di Orban: l’Ungheria non avrà perdite finanziarie se non ci sarà Recovery Plan. Questo riguarda gli stati membri con un debito pubblico sopra il 100 per cento. Chi ha, tra i vari stati membri europei, un debito pubblico superiore al 100%? L’Italia. Dunque ad Orban non interessa che l’Italia perda i 209 miliardi del Recovery Plan, dei quali 81 senza obbligo di restituzione. Questi fondi servono al nostro Paese come la manna per uscire dalla crisi economica nella quale è precipitato. Dunque, Orban l’antitaliano. Chi sostiene le posizioni di Orban? Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia. Dunque, facciano pensiero quegli italiani che vedono nelle posizioni espresse dalla Meloni, l’idea che essa difenda gli interessi dei connazionali. Insomma, Meloni pro Orban è una Meloni antitaliana. Primo Mastrantoni, segretario Aduc

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Lavoro, una sentenza riapre gli Stati Uniti a lavoratori e Au Pair italiani: “Sono i benvenuti”

Posted by fidest press agency su sabato, 10 ottobre 2020

La sospensione dei visti J, H e L, che ha bloccato centinaia di migliaia di lavoratori internazionali nel corso della pandemia, non era tra le competenze del Presidente Trump e della sua amministrazione ed è quindi stata revocata.É questa la sentenza del giudice federale Jeffrey S. White di San Francisco sulla causa impugnata dalla NAM (National Association of Manufacturers – Associazione Nazionale dei Produttori) e da svariati enti fortemente impattati dal proclama del 22 giugno contro il DHS (Department of Homeland Security – Dipartimento della Sicurezza Interna degli Stati Uniti). A partire dai prossimi giorni i Consolati Americani riprenderanno l’emissione di visti J-1 per i partecipanti ai programmi di scambio culturale Au Pair, Internship e Training, e il via libera è dato anche agli studenti universitari che, in estate, lavorano nel settore turistico con il programma Summer Work and Travel. Non solo, i lavoratori altamente qualificati potranno richiedere i visti H-1B o i visti L per trasferimenti interaziendali.Tra le aziende rappresentate meritano una menzione speciale i principali datori di lavoro della Silicon Valley – Microsoft in primis – che richiedono costantemente lavoratori dall’estero per uno scambio di idee, di creatività e di skills fondamentale nelle aziende di alto livello.Importante vittoria anche per ASSE International e EurAupair Intercultural Child Care Programs, due delle associazioni americane di scambi interculturali studenteschi e di ragazze alla pari più importanti e rinomate nel settore, designate dal Dipartimento di Stato Americano come Sponsor di visti J-1.“Le restrizioni hanno avuto un forte impatto sugli studenti e sui giovani lavoratori, questa è la prima buona notizia che arriva dopo mesi di speranze”, spiega Livio Ceppi, Presidente di Mondo Insieme (www.mondoinsieme.it), agenzia partner italiana di ASSE International e EurAupair, che ogni anno assiste centinaia di ragazzi nella realizzazione del proprio American Dream, con programmi di studio e lavoro.“Per i giovani italiani e internazionali potersi confrontare con la cultura americana e formarsi all’interno delle aziende statunitensi è fondamentale. Il Coronavirus non ha bloccato le ambizioni dei giovani d’oggi e gli Stati Uniti continuano ad essere la meta di riferimento per la loro crescita professionale e personale.A giugno centinaia di studenti Work and Travel hanno dovuto rinunciare alla propria offerta lavorativa tra la California, il Maryland e il Parco Nazionale di Yellowstone, proprio a causa della chiusura dei Consolati. Sono però pronti a partire la prossima estate, e noi non potremmo essere più felici di accompagnarli in questo percorso, soprattutto in questa fase storica senza precedenti”, conclude il Presidente di Mondo Insieme. Il mondo è cambiato ma non si ferma, e questa sentenza è un inno alla gioia per i tanti giovani che desiderano un’esperienza di lavoro neglia USA.È possibile avere maggiori informazioni su queste nuove possibilità di lavoro Au Pair negli Usa visitando il sito internet http://www.mondoinsieme.it.

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“Negli Stati Uniti è in corso un incomprensibile processo di rimozione storica della figura di Cristoforo Colombo”

Posted by fidest press agency su mercoledì, 30 settembre 2020

“Si verifica in varie forme, tra cui quella della distruzione di alcune statue erette in suo onore e che rappresentano un simbolo dell’identità culturale italiana in Usa. Tale opera di rimozione delle statue è in corso anche con due città gemellate con Genova e cioè Baltimora e Columbus. Per tale ragione abbiamo scritto una lettera al Sindaco di Genova, Bucci, e al Presidente della Regione Liguria, Toti, chiedendo di adoperarsi con le autorità locali americane per salvaguardare le statue di Colombo in queste due città.Al Sindaco Bucci ed al Presidente Toti abbiamo chiesto di esprimere la loro condanna “degli atti violenti che hanno portato ad una così umiliante rimozione della statua ed una richiesta di impegno da parte delle amministrazioni locali di giungere ad un accordo che possa portare ad una pacifica conclusione di una situazione molto imbarazzante ed offensiva, non solo per la Comunità Italiana in America ma per la nazione italiana e la città di Genova ed i Genovesi”. Lo hanno dichiarato i deputati di Forza Italia, Fucsia Fitzgerald Nissoli (eletta in Nord e Centro America), Roberto Bagnasco e Roberto Cassinelli (eletti in Liguria).

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