E’ partita a Roma un importante progetto di ricerca clinica e formazione sull’Ossigeno Ozono Terapia all’Ospedale “Fatebenefratelli Isola Tiberina – Gemelli Isola”. L’iniziativa prevede un’attività di ricerca scientifica, formazione interna ed erogazione di protocolli terapeutici al fine di consolidare l’efficacia della terapia dell’Ossigeno-Ozono, con un particolare focus alla prevenzione e cura di patologie neurodegenerative e legate all’invecchiamento. L’ozonoterapia è una terapia che sfrutta le capacità dell’ossigeno (O2) e dell’ozono (O3) sul corpo umano a livello metabolico, immunitario, vascolare e rigenerativo. Infatti, attraverso l’impiego di differenti tecniche, permette di ottenere significativi risultati terapeutici su numerose patologie. grazie ad un’azione antidolorifica, antinfiammatoria, antimicrobica, immunomodulante, rivascolarizzante e rivitalizzante dei tessuti. Promotore di questo progetto è il Dott. Antonio Carlo Galoforo, che da più di 30 anni si occupa delle potenzialità dell’applicazione dell’ozono in medicina e nell’ambiente, sia nella pratica clinica che nella ricerca scientifica, in ambito nazionale e internazionale. All’interno della sezione, si continueranno a sviluppare i progetti già finanziati dal Ministero della Salute, finalizzati all’efficacia della terapia dell’Ossigeno-Ozono per la cura delle principali patologie neurodegenerative / neuropsichiatriche e della fragilità legata all’invecchiamento. Progetti di ricerca conclusi nel 2022 dal Dott. Galoforo e dai ricercatori Dott.ssa Catia Scassellati e Dott. Cristian Bonvicini presso l’Istituto Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli (IRCCS) di Brescia. Un altro protagonista del progetto è “High Quality Italy”, come promotore e partner per gli aspetti strategico-relazionali ed economico-giuridici, svolti dall’avv. Giuliana D’Antuono, che si è occupata anche della donazione dell’apparecchiatura medica “Medical 95 Computerized Photometric System”. Tra gli altri supporter di rilievo annoveriamo la Commissione “Prevenzione, Salute e Benessere” dell’Accademia Europea per le Relazioni Economiche e Culturali (AEREC), rappresentata dal Presidente Ernesto Carpintieri, per il sostegno ricevuto anche a livello istituzionale.
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Ozono Terapia, parte a Roma un importante progetto di ricerca clinica
Posted by fidest press agency su sabato, 13 Maggio 2023
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Terapia antipiastrinica a lungo termine dopo angioplastica coronarica
Posted by fidest press agency su martedì, 25 aprile 2023
Uno studio su JAMA Cardiology che riporta i dati di un’analisi post-hoc dello studio HOST-EXAM suggerisce che la monoterapia con clopidogrel si associa a un tasso inferiore di eventi avversi a seguito di angioplastica coronarica percutanea (PCI) in individui con e senza diabete rispetto all’uso di aspirina. «Da marzo 2014 a maggio 2018 è stato condotto uno studio multicentrico, prospettico, randomizzato in aperto che ha coinvolto 37 centri in Corea denominato HOST-EXAM, acronimo per Harmonizing Optimal Strategy for Treatment of Coronary Artery Stenosis-Extended Antiplatelet Monotherapy, cui hanno partecipato 5.438 pazienti nei quali è stata mantenuta la doppia terapia antipiastrinica per 6-18 mesi dopo PCI con stent a rilascio di farmaco. Questi pazienti sono stati randomizzati in rapporto 1:1 a ricevere una volta al giorno 75 mg di clopidogrel o 100 mg di aspirina» spiega il primo autore Tae-Min Rhee, cardiologo al Seoul National University Hospital in Corea, sottolineando che la selezione dell’agente antipiastrinico ottimale nei pazienti sottoposti a PCI è particolarmente importante nei diabetici a causa dell’elevato rischio di eventi ischemici, e che mancano dati su efficacia e sicurezza di clopidogrel verso aspirina in questi pazienti . Da qui l’analisi post hoc dei dati di HOST-EXAM, mirata proprio a studiare gli aspetti cardiovascolari del trattamento con clopidogrel rispetto all’aspirina nei pazienti con e senza diabete. E a conti fatti i risultati dello studio, nel quale i pazienti sono stati seguiti per 24 mesi, suggeriscono che i diabetici in cura con clopidogrel dopo PCI hanno un rischio inferiore del 31% rispetto all’endpoint primario, un composito di morte per tutte le cause, infarto miocardico non fatale, ictus, riammissione per sindrome coronarica acuta ed emorragie maggiori, rispetto a quelli che usano l’aspirina. «I risultati dell’analisi post-hoc di HOST-EXAM indicano che clopidogrel potrebbe essere considerato al posto dell’aspirina per la terapia antipiastrinica di mantenimento a lungo termine dopo PCI nei pazienti con e senza diabete» conclude Rhee. (fonte Doctor33)
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Pediatria, la terapia del sorriso sostiene le cure mediche
Posted by fidest press agency su martedì, 18 aprile 2023
Aumento delle difese immunitarie, riduzione dei tempi di degenza e innalzamento della soglia del dolore. Sono solo alcuni dei benefici effetti rilevati nei pazienti che negli ospedali pediatrici incontrano i “Nasi Rossi” della Fondazione Dottor Sorriso, che da quasi 30 anni opera, in stretta collaborazione con il personale medico, all’interno delle strutture sanitarie e degli istituti per disabilità per rendere più serena e meno traumatica la degenza dei piccoli pazienti. Uno studio della Mayo Foundation for Medical Education and Research ha rivelato che ridere riduce drasticamente gli ormoni dello stress: il cortisolo del 39%, l’epinefrina del 70% e la dopamina del 38%. Gli effetti positivi della risata si estendono anche i bambini costretti ad affrontare situazioni complesse come la malattia, contesti in cui i benefici della Terapia del Sorriso sono oggi pienamente riconosciuti. Secondo una ricerca del medico e psicoterapeuta dell’Università di Bologna Mario Farnè e il saggio “Is Laugther the best medicine?” con la Terapia del Sorriso si registra un aumento fino al 94% delle difese immunitarie, che determina un miglioramento delle condizioni cliniche e un incremento fino al 90% del livello delle endorfine, con conseguente innalzamento della soglia del dolore nel paziente. Già nel 2001, la Fondazione Dottor Sorriso ha rilevato gli effetti positivi della presenza dei Dottori del Sorriso su 343 bambini ricoverati nei reparti di pediatria di tre ospedali lombardi. Dati confermati da due ricerche più recenti condotte all’ospedale San Camillo di Roma, dalle quali emerge che con la Terapia del Sorriso si assiste ad una riduzione dei tempi di degenza di almeno 1/3 e fino alla metà rispetto ai bambini non coinvolti e una diminuzione fino al 20% nella somministrazione di analgesici; i bambini assistiti dai Dottori del Sorriso migliorano in 3,76 giorni, mentre quelli del gruppo di controllo in 5,36. Con la “terapia del sorriso” gli ospedali diventano, quindi, a misura di bambino e la guarigione è più a portata di mano.
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Terapia dell’obesità
Posted by fidest press agency su venerdì, 21 ottobre 2022
L’obesità e le malattie correlate (in particolare il diabete di tipo 2), sono al centro di una vera e propria pandemia, che ha risvolti umani, clinici e socio-economici enormi. È dunque imperativo trovare soluzioni terapeutiche. E i primi importanti risultati concreti di questo sforzo di ricerca planetario si stanno cominciando a vedere, con le terapie già approdate alla pratica clinica e quelle di prossimo arrivo.La carica dei nuovi farmaci contro l’obesità: ecco i farmaci di oggi e di domani che potrebbero relegare la chirurgia ai soli casi gravi. La farmacoterapia è un pilastro nella lotta all’obesità e alle sue complicanze. Quello che stiamo vivendo è un momento magico e molto particolare nella storia del trattamento dell’obesità perché finalmente sono a disposizione farmaci molto efficaci, con un profilo di sicurezza ottimo e in grado di proteggere contro gli eventi cardiovascolari, dalla steatosi epatica, dall’infertilità, e altri ancora.“ Si tratta insomma di risultati che cominciano a rosicchiare il campo della chirurgia bariatrica. “Su un altro fronte – prosegue il professor Sbraccia – il trial SURMOUNT-1 sulla tirzepatide (un doppio analogo GLP-1/GIP o dual agonist) a somministrazione settimanale ha mostrato dati di estremo interesse, con una metà dei pazienti trattati che superano il 25% di calo ponderale”. Insomma, abbiamo di fronte prospettive notevoli nel campo della terapia dell’obesità. Questi farmaci sono tutti ‘costruiti’ intorno all’azione di una serie di ormoni gastrointestinali che agiscono sia sull’apparato gastro-intestinale, che a livello centrale, nella regolazione del bilancio energetico. “Più in là – anticipa il professor Sbraccia – avremo anche i poli-agonisti e i tripli-agonisti (attivi sui recettori di GLP-1, GIP e glucagone). E comunque già oggi la terapia dell’obesità ha rotto il muro del suono, consentendo di superare soglie ritenute impensabili un tempo”. E quindi per i pazienti con obesità il futuro sarà migliore. Ma non mancano i problemi. Questi farmaci hanno un costo non indifferente e attualmente sono a carico del paziente. “Questo – sostiene il professor Sbraccia – nel nostro sistema universalistico, introduce un problema di equità. Se poi i trial di outcome cardiovascolare, dimostrassero un’efficacia di queste terapie nelle popolazioni a rischio (chi ha già avuto un infarto o un ictus, ad esempio) certamente questo sarebbe un’altra freccia all’arco del trattamento con questi farmaci. Certo la rimborsabilità, in un sistema che deve essere sostenibile, potrebbe non essere semplice da ottenere, ma magari a fronte di questi risultati una fetta di popolazione potrebbe ottenerla”.In pipeline inoltre è in sviluppo per l’obesità la semaglutide orale, attualmente disponibile per i soggetti con diabete. “Ritengo però che queste terapie orali – prosegue Sbraccia – andrebbero riservate ad una nicchia di pazienti, gli adolescenti quelli con il terrore dell’ago (anche se questi che si usano sono sottili come capelli). Fare una piccola iniezione a settimana, certi della biodisponibilità del farmaco somministrato per questa via, sembra ancora la via migliore”.L’obesità parte (anche) dalla testa: dal ‘bernoccolo del goloso’, ai circuiti della ‘dipendenza da cibo’, cosa ci sta insegnando la fisiologia. E l’Italia primeggia in queste ricerche. La ‘radice’ cerebrale del sovrappeso non è la stessa in tutte le persone e la comprensione della sua diversità e complessità rappresenta l’obiettivo fondamentale della ricerca futura verso la personalizzazione della prevenzione e cura dell’obesità. Nell’ultimo periodo, invece, si stanno cominciando a prendere in esame sottogruppi di pazienti con obesità e si sta cominciando a capire che i meccanismi, le cause, ma anche quello che sollecita l’appetito, variano molto da un individuo all’altro. “Un filone di ricerca – rivela la dottoressa Iozzo – sta prendendo in esame l’associazione tra struttura e funzioni del cervello delle persone con obesità e l’influenza della genetica. Questi studi per ora sono fisiologia pura, ma in quello che sta emergendo c’è già in embrione la possibilità di un trattamento basato su queste scoperte. “Già oggi – afferma la dottoressa Iozzo – possiamo proporre alcuni interventi, in grado di migliorare la funzione del cervello e in parte anche la sua struttura, e questi sono: la perdita di peso, il tipo di dieta e l’esercizio fisico. La somministrazione di insulina direttamente nel cervello è un’altra terapia al vaglio, essendo l’insulina un ormone che inibisce l’appetito. Ma l’approccio più promettente, anche perché più ‘naturale’ è lo studio del microbiota intestinale, che differisce da una persona all’altra.”. Ancona – i tessuti adiposi (sia il cosiddetto grasso ‘bianco’, che quello ‘bruno’) formano un vero e proprio organo: il cosiddetto ‘organo adiposo endocrino’. E quest’organo negli obesi è patologico perché l’ipertrofia (aumento di volume) delle cellule adipose, che cercano in questo modo di immagazzinare quanta più energia possibile, induce la comparsa di un’infiammazione cronica di basso grado. Questa infiammazione è causata dalla morte di questi adipociti ipertrofici, che in questo modo lasciano tanti ‘detriti’ che devono essere riassorbiti dall’organismo. Deputati a questa sorta di ‘waste management’ sono i macrofagi, cellule infiammatorie specializzate nella ‘rimozione dei detriti’, che però nello svolgimento del loro lavoro, producono anche sostanze che vanno ad interferire con il recettore dell’insulina. E questo porta ad una ridotta funzionalità dell’insulina stessa (‘resistenza’ insulinica). In un primo tempo il pancreas cerca di compensare producendo più insulina, ma poi esaurisce la sua funzione; e il crollo dei livelli di insulina conseguente è alla base della comparsa del diabete di tipo 2”. Ma c’è dell’altro. “Le cellule del grasso viscerale (quella della ‘pancia’) – afferma il professor Cinti – muoiono prima di quelle del sottocutaneo; ecco perché l’accumulo di grasso a livello viscerale, più tipico dei maschi (le donne tendono ad accumulare grasso soprattutto a livello sottocutaneo) risulta più pericoloso da un punto di vista metabolico e può facilitare la comparsa di diabete di tipo 2”. Il tessuto adiposo bianco (WAT) e quello bruno (BAT) hanno compiti molto diversi; il primo, immagazzina energia (sotto forma di trigliceridi) da ridistribuire poi all’organismo (come acidi grassi liberi) negli intervalli tra i pasti; il grasso bruno invece immagazzina i trigliceridi in un modo particolare, così da poterli rilasciare in maniera rapida e massiva per una particolare funzione dei mitocondri, che è quella di utilizzare l’energia per generare calore (termogenesi). Le due tipologie di tessuto adiposo hanno una buona capacità di adattamento e, a seconda delle esigenze, possono ‘trasformarsi’ uno nell’altro; così ad esempio, in seguito all’esposizione cronica al freddo, il tessuto adiposo bianco si converte in bruno (‘browning’), mentre in risposta ad un apporto eccessivo e cronico di energia (obesità), il tessuto bruno si trasforma in bianco (‘whitening’). “Diversi studi su modello animale (il topo) – conclude il professor Cinti – hanno dimostrato che la dispersione dell’energia, operata dal tessuto adiposo bruno, può essere sfruttata per trattare obesità e diabete 2 nel topo. Cominciano ad accumularsi evidenze che l’imbrunimento del tessuto adiposo bianco potrebbe avere effetti favorevoli anche nell’uomo e dunque rappresentare un futuro target terapeutico per il trattamento dell’obesità”. Un recente lavoro del gruppo del professor Cinti ha evidenziato come l’importanza dell’infiammazione del grasso viscerale negli obesi possa giocare un ruolo patogenetico nel COVID-19. (abstract. fonte Web http://www.simi.it, Web http://www.aristea.com)
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Al Congresso ESMO presentati i dati aggiornati sulla terapia agnostica
Posted by fidest press agency su sabato, 17 settembre 2022
Larotrectinib, terapia mirata antitumorale con indicazione agnostica, cioè indipendente dall’organo colpito dal cancro, offre un beneficio clinico rilevante, rapido e duraturo nel tempo. In particolare, nel carcinoma del polmone la sopravvivenza globale mediana ha raggiunto 40,7 mesi, nell’analisi dei tumori dell’adulto e pediatrici, esclusi i primitivi del sistema nervoso centrale, la durata della risposta (DoR) mediana è stata di 34,5 mesi e nel cancro delle ghiandole salivari il tasso di risposta obiettiva (ORR) è stato dell’84% con un tasso di sopravvivenza globale dell’82% a 3 anni. Sono questi i risultati principali derivanti da un’analisi ampliata della terapia oncologica di precisione larotrectinib, che mostrano il beneficio clinico duraturo nei pazienti con tumori solidi con fusione dei geni NTRK (Neurotrophic Tyrosine Receptor Kinase) in diversi tipi di tumori, compreso quello del polmone. I risultati, coerenti con profili di efficacia e sicurezza di larotrectinib osservati in precedenza, sono stati presentati alla World Conference on Lung Cancer (WCLC), che si è svolta dal 6 al 9 agosto, e al Congresso della Società europea di Oncologia Medica (European Society for Medical Oncology , ESMO), in corso a Parigi dal 9 al 13 settembre.A settembre 2021, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha approvato la rimborsabilità di larotrectinib per il trattamento delle neoplasie caratterizzate da fusione dei geni NTRK. Larotrectinib è stato investigato in studi clinici che hanno arruolato diversi istotipi di tumori solidi, inclusi quelli del polmone, della tiroide, melanoma, tumori gastrointestinali stromali, tumore del colon, sarcomi dei tessuti molli, tumori delle ghiandole salivari e fibrosarcoma infantile. Ha mostrato efficacia nei tumori primitivi del sistema nervoso centrale, così come in pazienti con metastasi cerebrali, in età e istologie tumorali diverse. I tumori con fusione TRK si manifestano quando un gene NTRK si fonde con un altro gene non correlato, producendo una proteina TRK chimerica. Questa proteina alterata, o proteina di fusione TRK, diviene costitutivamente attiva o sovraespressa innescando una cascata di segnale. Le proteine di fusione TRK agiscono come driver oncogenici che promuovono la crescita e la sopravvivenza cellulare, portando al tumore con fusione TRK. Il tumore con fusione TRK non è ristretto a certi tipi di tessuto e può manifestarsi in ogni parte del corpo umano. Il tumore con fusione TRK si manifesta, con frequenza variabile, in diversi tumori solidi in età adulta e pediatrica, che includono tumori del polmone, tiroide, tratto gastrointestinale (colon, retto, colangiocarcinoma, pancreas e appendice), sarcoma, tumori del SNC (glioma e glioblastoma), ghiandole salivari (carcinoma secretorio della ghiandola salivare) e tumori pediatrici (fibrosarcoma infantile e sarcoma dei tessuti molli).
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Il nuovo libro sulla Terapia Forestale
Posted by fidest press agency su martedì, 9 agosto 2022
Il nuovo volume sulla Terapia Forestale, pubblicato da Cnr Edizioni, è frutto della campagna di ricerca condotta dal Cnr attraverso l’Istituto per la BioEconomia (Cnr-Ibe) insieme al Club alpino italiano, attraverso i relativi Comitato scientifico centrale (Cai-Csc) e Commissione centrale medica (Cai-Ccm), e con la collaborazione scientifica del Cerfit (Aou Careggi, Firenze). “Terapia Forestale 2” esce come opera completamente nuova rispetto al precedente volume offre un quadro completo, aggiornato e originale, che ambisce a diventare il riferimento nazionale per questa disciplina in rapida espansione.Il volume presenta in anteprima importanti risultati della grande campagna 2021, che ha coinvolto quasi mille persone presso oltre 30 siti tra Appennini, Alpi e parchi urbani. «A livello ambientale, in media le foreste montane registrano un livello di inquinamento tre volte inferiore e una concentrazione di olii essenziali, benefici per la salute, tre volte superiori rispetto ai parchi urbani, presentando tuttavia una marcata variabilità», sottolinea l’altro curatore dell’opera, Francesco Meneguzzo del Cnr-Ibe, referente scientifico nazionale del Cai-Csc. «Per esempio, alcuni siti alpini risentono fortemente della prossimità della Pianura Padana, dalla quale i venti e le brezze di valle trasportano considerevoli quantità di inquinanti. La situazione appare migliore sull’Appennino settentrionale, i cui siti generalmente godono anche, a parità di condizioni meteorologiche, di concentrazioni di oli essenziali superiori: tra questi spiccano l’alto Casentino, l’Appennino Pratese e quello Reggiano dove, presso il Rifugio Cai Cesare Battisti, abbiamo osservato un’ottima visibilità del cielo notturno stellato, che può rappresentare un ideale complemento alle esperienze di Terapia Forestale condotte durante il giorno». Al livello della funzionalità diretta sulle persone, le analisi prodotte dall’Istituto Superiore di Sanità hanno confermato la potenzialità terapeutica delle immersioni guidate in foresta, sia remota che urbana: «Per esempio, le donne e i partecipanti più giovani partono con un livello di ansia più elevato, che si normalizza dopo l’esperienza. Risultati che si ottengono anche laddove la conduzione da parte dello psicologo è stata sostituita da cartelli, a conferma dell’effetto terapeutico della foresta».
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Riunione scientifica su “La sordità: possibilità diagnostiche e terapeutiche”
Posted by fidest press agency su martedì, 14 giugno 2022
Torino Martedì 21 giugno alle ore 21, l’Accademia di Medicina di Torino terrà una riunione scientifica, sia in presenza, sia in modalità webinar, dal titolo “La sordità: possibilità diagnostiche e terapeutiche”. L’incontro verrà introdotto da Roberto Albera, Professore Ordinario in Otorinolaringoiatria e socio dell’Accademia di Medicina. I relatori saranno Claudia Cassandro e Andrea Canale, entrambi del Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università degli Studi di Torino.Il primo obiettivo consiste nello sfatare miti e percezioni errate. Uno di questi è che la perdita dell’udito sia un problema delle persone anziane ed un segno di senilità e declino. La perdita dell’udito colpisce persone di tutte le età (globalmente 360 milioni di persone, circa il 5% della popolazione mondiale, vive con una perdita uditiva disabilitante; di questi 32 milioni sono bambini). In aggiunta, più di un miliardo di giovani tra i 12 ed I 35 anni hanno un maggiore rischio di sviluppare precocemente una perdita d’udito per l’ascolto di musica ad alto volume specie se attraverso cuffie. Il secondo mito è che la perdita dell’udito sia inevitabile. Oggi abbiamo una diagnostica avanzata, anche neonatale ed infantile con lo screening uditivo neonatale inserito nei LEA, che ci permette un’accurata diagnosi precoce di tutti i tipi di sordità e la possibilità di curare efficacemente infezioni, malformazioni e patologie dell’orecchio sia con terapie mediche che con tecniche chirurgiche microscopiche ed endoscopiche sofisticate.Anche sul piano della terapia riabilitativa si sono fatti passi da gigante con gli apparecchi acustici di ultima generazione e con gli impianti cocleari (orecchio bionico) con risultati inimmaginabili sul piano del recupero dell’udito solo 20 anni addietro. La sordità costa in termini personali (gli adulti più anziani sperimentano un disabilitante isolamento sociale con associate ansia, depressione, declino cognitivo e demenza) ed in termini sociali: gli ipoacusici hanno una maggiore frequenza di disoccupazione e le mansioni degli occupati il più delle volte non sono adeguate; inoltre, la collettività affronta costi riabilitativi sicuramente maggiori di un efficace intervento di prevenzione. Il World Report on Hearing dell’OMS ha calcolato che investire nella prevenzione dei danni uditivi può, in dieci anni, avvantaggiare oltre 1,4 miliardi di persone e portare ad un ritorno di quasi 16 volte per ogni euro investito. Si potrà seguire l’incontro sia accedendo all’Aula Magna dell’Accademia di Medicina di Torino (via Po 18, Torino), sia collegandosi da remoto al sito http://www.accademiadimedicina.unito.it.
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Terapia antidolore: Un impegno socio sanitario
Posted by fidest press agency su martedì, 14 giugno 2022
Oltre 12milioni di italiani attendono quotidianamente una risposta al loro bisogno di “sconfiggere” il dolore (oncologico, acuto, severo o cronico). Durante il dibattito dei giorni scorsi sulla terapia del dolore e sul cammino che deve ancora fare la Legge 38/2010, Tiziana Nicoletti (Cittadinanzattiva) ha dichiarato che occorre “prima di tutto assicurare un’attenzione continua e senza tregua verso quella legge innovativa, che purtroppo attualmente rimane una norma poco conosciuta dai cittadini”, e non applicata in modo omogeneo sul territorio nazionale. “È il momento di utilizzare parole chiare”, ha sottolineato Nicola Pazienza (XII Commissione Affari Sociali, Camera dei Deputati), “Come politici ed istituzioni dobbiamo essere protagonisti nell’attuazione della 38/2010, sfruttando proprio l’attuale periodo in cui c’è una rinnovata attenzione di tutti verso le problematiche della salute pubblica”. Si tratta di operare congiuntamente affinché affinché le Reti di terapia del Dolore siano assicurate su tutto il territorio, evitando differenziazioni, assicurando competenze specifiche e garantendo la presa in carico di tutti i pazienti. Un messaggio che da Firenze è stato lanciato con convinzione da tutti i partecipanti al Congresso SIAARTI. Nell’evento è stato nuovamente rilanciato il Manifesto Sociale contro la Sofferenza prodotto da SIAARTI, documento che identifica le “dieci azioni necessarie per affermare il diritto alla terapia del dolore cronico”. Il Manifesto, presentato e diffuso a partire dallo scorso dicembre in tutti i luoghi di cura italiani è già stato condiviso, firmato e sostenuto da un vasto team di sottoscrittori composto da Associazioni dei cittadini ed altre Società scientifiche: AIFI-Associazione Italiana di Fisioterapia; AISD-Associazione Italiana Studio Dolore, AOGOI-Ostetrici Ginecologi Ospedalieri, Cittadinanzattiva, Fondazione Onda, Italia Longeva, Senior Italia-Federanziani, Federdolore, SID, SIGE, SIGO, SIGOT, SIMFER, SIMG, SIN, SIN-RENI, SIOT.
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Il ruolo della chemioterapia nei protocolli di terapia genica
Posted by fidest press agency su mercoledì, 1 giugno 2022
La terapia genica mira a correggere nelle cellule “malate” la funzione di un gene difettoso, mediante il trasferimento di una versione corretta e funzionale dello stesso gene. Nel contesto delle malattie ematologiche, un tipico protocollo di terapia genica prevede tre fasi, intervallate anche da parecchi giorni: la raccolta delle cellule staminali del sangue dal paziente, la loro correzione genetica in laboratorio e, infine, la loro re-infusione (o trapianto) nel paziente. Nella prima fase, il paziente viene sottoposto a un regime farmacologico che spinge una parte delle cellule staminali ad abbandonare la nicchia nella quale risiedono all’interno del midollo osseo per raggiungere la circolazione sanguigna. Questo trattamento è anche noto come mobilizzazione ed è in genere molto ben tollerato. Una volta raggiunto il sangue, le cellule staminali possono essere prelevate, purificate e trasferite in laboratorio, dove vengono corrette geneticamente con vettori lentivirali per il trasferimento genico o con le procedure di editing con CRISPR. Prima di poter ritrapiantare le cellule corrette è però necessario “fare loro spazio” nel midollo osseo del paziente, dove possano attecchire e ripopolare con la loro progenie corretta tutte le linee cellulari sanguigne. Bisogna eliminare le cellule staminali portatrici della mutazione patologica che sono rimaste nel paziente e nel frattempo hanno rioccupato tutta la nicchia. Per farlo si deve ricorrere a dei protocolli, chiamati di “condizionamento”, a base di chemioterapia o di radioterapia, che come tutti i trattamenti di questo tipo sono associati a un’elevata tossicità sia acuta (danni alle mucose, alto rischio di infezioni talvolta anche letali) sia a lungo termine (danni agli organi, secondi tumori, sterilità) e vengono quindi applicati solo in pazienti in condizioni di riceverli e per il trattamento di gravi malattie. Quest’ultimo passaggio rappresenta quindi la barriera principale a un utilizzo più ampio e sicuro delle cellule staminali in terapia: il suo eventuale superamento rappresenta quindi da molti anni il miraggio di molte ricerche sperimentali.
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Vaiolo scimmie, come intercettare i casi e come gestirli
Posted by fidest press agency su mercoledì, 25 Maggio 2022
Il vaiolo delle scimmie ha colpito fin qui quattro italiani, di cui 3 a Roma, e 105 persone nel mondo, solo in un caso una donna. Fin qui era nota come malattia endemica africana, ma molto di ciò che sapevamo rischia di essere azzerato, complice forse una variante. Né governo né regioni hanno dettato linee guida per i medici. Fimmg Roma ha inviato degli alert ai medici di famiglia laziali, personalizzati. Tra questi, c’è una scheda che spiega modalità di contagio, sintomi e prevenzione e contiene foto di tipiche eruzioni cutanee: bene distinguerle dalla varicella perché quest’ultima in Italia richiede 5 giorni di isolamento, mentre per il “monkey pox” – più lungo ed impegnativo – le autorità britanniche già ora suggeriscono ben 21 giorni di isolamento. Il medico di famiglia ha l’obiettivo di intercettare i casi e isolarli mettendo in quarantena i contatti stretti. Il virus è affine al vaiolo e dovrebbe esserne protetto chi è stato vaccinato contro quest’ultima malattia; l’antivaiolo è stato obbligatorio fino al 1981, perciò sono da “attenzionare” soprattutto gli adulti dai 40 anni in giù. I sintomi – L’ incubazione può variare da 5 a 21 giorni. Insorgono febbre alta, mal di testa, dolori muscolari, mal di schiena, linfoadenomegalia, brividi, stanchezza. La malattia decorre in una ventina di giorni. L’eruzione cutanea di solito compare da 1 a 5 giorni dopo i primi sintomi prima sul viso, poi altrove, arti e mani inclusi. I punti in rilievo si trasformano in vesciche piene di liquido e alla fine formano croste che poi cadono. L’infezione si auto-limita, ma in Africa sono riportati tassi di mortalità fino al 3% per complicanze (broncopolmonite, encefalite, oculari). L’Istituto Superiore di Sanità ha raccomandato di evitare il contatto con persone con febbre e con “manifestazioni cutanee inusuali”, e in caso di sintomi della varicella restare a casa e rivolgersi al medico di fiducia.Il virus sarebbe trasmissibile non solo da animale a persona ma da una persona all’altra per contatto con lesioni, fluidi corporei, goccioline respiratorie. Sono documentati casi di diffusione attraverso indumenti, lenzuola o asciugamani usati, nonché attraverso la tosse o gli starnuti. Per evitare di contrarre l’infezione, l’alert Fimmg ricorda che bisogna lavarsi regolarmente le mani con acqua e sapone o utilizzare un disinfettante per le mani a base di alcol. E ancora, mangiare solo carne ben cotta, non avvicinarsi ad animali selvatici o randagi, o ad animali che sembrano malati (sullo stesso suolo europeo non si possono escludere contagi “di ritorno”, tra uomo ed animale), e non mangiare né toccare carne di selvaggina. Le agenzie sanitarie europee raccomandano di non avere contatti ravvicinati né condividere lenzuola o asciugamani con persone che non stanno bene e potrebbero avere la malattia. «Fimmg Lazio -conclude Pirro -darà ogni giorno ai colleghi variazioni e informazioni che non sono per il grande pubblico, ma restano in un ambito medico nelle nostre liste wapp e-mail in quanto destinate a continuo scambio e revisione. Analogamente, ci scambieremo informazioni su situazioni specifiche e dubbi diagnostici utili, tra l’altro, a mappare il fenomeno». (fonte: doctor33)
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Boom di calo dell’aderenza alla terapia negli anziani
Posted by fidest press agency su domenica, 20 giugno 2021
Il 43,7% degli over 65 non assume regolarmente i farmaci che gli vengono prescritti dal medico, spesso per dimenticanza, per scarsa conoscenza dei benefici collegati alla terapia e dei rischi conseguenti la sua interruzione, oltre che per mancanza di un aiuto pratico: nell’86,8% dei casi, infatti, il paziente cronico ultrasessantacinquenne non ha nessuno che lo assista nell’assunzione dei farmaci, ma un paziente su due ritiene che sarebbe utile poter contare su una persona o uno strumento tecnologico che lo aiuti nel miglioramento dell’aderenza terapeutica.È quanto emerge dalla survey condotta dal Centro Studi di Senior Italia FederAnziani su un campione di 1.230 over 65 per analizzare l’aderenza alla terapia e la presa in carico del paziente cardio-metabolico.La patologia cronica più ricorrente nel campione intervistato è l’ipertensione (55,3%), seguita dalle patologie croniche dell’apparato osteo articolare (29,1% artrosi e 28,5% mal di schiena) e dalle patologie croniche del metabolismo (diabete 21,8% del campione, dislipidemia-ipercolesterolemia per il 18,2%). Il 51,9% degli intervistati fuma o ha fumato in passato, e agli stili di vita non sempre corretti si aggiunge una scarsa aderenza alla terapia: il 43,7% degli over 65 non assume regolarmente i farmaci che gli vengono prescritti dal medico; al 39,5% degli intervistati capita frequentemente di dimenticare di assumere il farmaco prescritto dal medico, al 26,7% capita raramente e solo il 33,8% del campione riesce a non dimenticare mai i farmaci. Ciò si deve anche alla complessità delle terapie: il 91% del campione assume infatti almeno una terapia, e se il 39,5% (che calcolato su 13,8 milioni di anziani corrisponde a 5 milioni 451mila) se la cava con uno o due farmaci al giorno, il 38,5% del campione (pari a 5 milioni 313mila) ne assume tra tre e cinque, il 9,6% (pari a 1 milione 324mila) tra sei e sette e il 3,3% (pari a 455mila) addirittura quotidianamente più di sette. Non sempre efficiente, poi, risulta essere la comunicazione con il medico che, secondo il campione, nel 13,2% dei casi non spiega in modo adeguato l’importanza dell’assunzione del farmaco, mentre per il 17,7% degli intervistati lo fa solo di tanto in tanto. Nella stragrande maggioranza dei casi il paziente ultrasessantacinquenne si rapporta con l’assunzione dei farmaci senza alcun tipo di aiuto, mentre solo il 13% viene assistito da un familiare e lo 0,2% da una badante. E’ assai diffusa l’idea che sarebbe utile uno strumento atto a ricordare l’assunzione dei farmaci: la metà degli intervistati (49,8%) sceglierebbe una persona o un oggetto/device che possa supportarlo in questo, mentre il 21% preferirebbe avere uno schema semplice e poche assunzioni giornaliere. L’11,2% degli intervistati giudica utile anche una migliore comunicazione medico paziente, con una spiegazione più precisa dei benefici della cura, percentuale che sale al 18% quando si parla dell’utilità di conoscere i rischi legati all’interruzione della terapia. Per quanto riguarda la frequenza dei controlli medici, il 47,3% degli over 65 effettua annualmente un controllo dal cardiologo, il 27,5% si sottopone a una visita meno di una volta l’anno anno, il 12% più di una volta l’anno, mentre un 13,2% dei pazienti non si sottopone mai a visite cardiologiche. La pressione alta interessa il 55,3% del campione, i trigliceridi sono un problema per il 24,9% e il colesterolo per il 39,7%. Tra le figure sanitarie consultate per problemi di salute, l’88% delle volte viene indicato il medico di medicina generale, il 49,8% lo specialista e nel 9,1% dei casi il farmacista. L’incontro con il medico di famiglia avviene ogni 15 giorni per il 12% del campione, mensilmente per il 38,7% e qualche volta all’anno per il 48,1%. Il 18,7%, infine, non verifica insieme al medico di medicina generale le terapie assegnate dallo specialista, mentre solo nel 6,3% dei casi avviene un cambio della prescrizione terapeutica dello specialista su indicazione del medico di famiglia.
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“La terapia personalizzata dell’asma”
Posted by fidest press agency su sabato, 19 giugno 2021
Torino Martedì 29 giugno alle ore 17.30, l’Accademia di Medicina di Torino organizza una riunione scientifica in presenza ed in condizioni di massima sicurezza, pur continuandone la trasmissione via web, dal titolo “La terapia personalizzata dell’asma”. Introduce l’incontro Caterina Bucca, professore di Malattie dell’Apparato respiratorio dell’Università di Torino nonché socio dell’Accademia di Medicina. Il relatore sarà Walter Canonica, professore ordinario di Malattie Respiratorie, Università Humanitas di Milano.Il nuovo scenario del trattamento dell’asma bronchiale, e specialmente dell’asma grave, si è radicalmente modificato passando dall’approccio “una terapia va bene per tutti” ad una scelta personalizzata, già a partire dalla corretta scelta dell’inalatore, che possa permettere una più corretta/efficace terapia farmacologica.La recente disponibilità in pratica clinica di “pallottole magiche” che colpiscono specifici meccanismi (IgE, IL-5, recettori IL-4/IL-13 e IL-5) dell’infiammazione coinvolti nell’asma, ha comportato un rimarchevole salto con notevole miglioramento della qualità della vita dei pazienti. Si potrà seguire l’incontro sia accedendo all’Aula Magna dell’Accademia di Medicina (via Po 18, Torino), previa prenotazione da effettuare via mail all’indirizzo accademia.medicina@unito.it, sia collegandosi da remoto al sito http://www.accademiadimedicina.unito.it.
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Cure domiciliari Covid-19. Dal ministero scale di gravità per diagnosi e terapia
Posted by fidest press agency su martedì, 4 Maggio 2021
Coronavirus. In Veneto parte sperimentazione con farmaci a domicilio dei pazienti. Ecco come funziona No a vitamine, idrossiclorochina, eparina in soggetti che comunque riescono a staccarsi dal letto. Anticorpi monoclonali, cortisonici ed antibiotici vanno dati solo in casi particolari. Fondamentale monitorare la saturazione di ossigeno: sotto il 92% vanno valutati il ricovero o l’ossigenoterapia a casa. Così la nuova circolare “Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da SarsCov2” firmata dalle Direzioni generali Prevenzione e Programmazione del ministero della Salute che aggiorna la precedente del 30 novembre 2020 e in parte la nota Aifa del 9 dicembre scorso. Posto che “sull’efficacia di alcuni approcci terapeutici permangono tuttora larghi margini d’incertezza” e che le cure ai malati ricoverati vanno monitorate in trial clinici specifici, per medici di famiglia e pediatri la circolare inquadra le condizioni in cui serve “cambiare marcia”. L’infezione può riassumersi in tre fasi: una iniziale in cui il virus nel replicarsi provoca malessere generale, febbre e tosse secca. Se il sistema immunitario dell’ospite riesce a bloccare l’infezione il decorso è benigno e va trattato con paracetamolo o Fans, a meno di chiara controindicazione all’uso; in altri casi la malattia può evolvere in polmonite interstiziale bilaterale, con sintomi respiratori che possono o auto-limitarsi o in un 15% di casi (soprattutto maschi >65 anni con malattie croniche od obesi con Bmi>30) sfociare nell’insufficienza respiratoria con “ipossiemia silente”, caratterizzata da bassi valori di ossigenazione ematica in assenza di sensazione di dispnea soggettiva, e alto rischio di stato infiammatorio in grado di produrre a livello polmonare quadri quali l’Acute Respiratory Distress Syndrome-Ards. La circolare riepiloga innanzi tutto i compiti dei medici di primo livello: segnalare alle Asl i casi sospetti dove serve il tampone; talora eseguire di persona i test indicando esiti, dati di contatto dell’assistito e condizioni di applicabilità dell’isolamento a casa; gestire a casa chi non richiede ricovero; identificare pazienti ad alto rischio, specifici parametri di peggioramento e potenziali beneficiari della terapia con anticorpi monoclonali; fare educazione sanitaria ed istruzione su uso dei presidi di monitoraggio; collaborare con infermieri sui pazienti complessi. Saturimetro e terapie. Si ricorderanno i medici che hanno portato al Tar Lazio la nota Aifa del 9 dicembre 2020 secondo la quale nei primi giorni di malattia è bene la sola “vigile attesa” con uso di Fans e paracetamolo e di eparina per i soli malati cronici allettati. Il Tar aveva sospeso la nota, di fatto evitando fosse pregiudicata la possibilità di usare a domicilio antibiotici, cortisonici, idrossiclorochina; ora il Consiglio di Stato ha rigettato la sospensiva Tar dando ragione all’Agenzia del farmaco. Oggi, la nuova circolare ministeriale ribadisce che la “vigile attesa” implica sorveglianza clinica attiva e costante monitoraggio dei parametri vitali del paziente; e suggerisce di usare la scala MEWS (Modified Early Warning Score, MEOWS per le donne in gravidanza) per misurare su 5 gradi la gravità del quadro clinico in base all’instabilità di parametri quali pressione, frequenza cardiaca e respiratoria, temperatura corporea, livello di coscienza, saturazione. Inoltre, conferma l’importanza del test cammino per la saturazione e della comunicazione di quei dati da parte del paziente. “In base alla letteratura scientifica e alle caratteristiche dei saturimetri in commercio, si ritiene di considerare come valore soglia di sicurezza per un paziente domiciliato il 92% in aria ambiente (e non il 94%). Valori di saturazione superiori, infatti, hanno assai bassa probabilità di associarsi a un quadro di polmonite interstiziale grave”. Tra i casi moderati e gravi, l’eparina va somministrata a pazienti realmente immobilizzati; a chi ha un rischio aumentato di sarcopenia va garantito appropriato apporto proteico e compatibilmente con le condizioni gli va detto di muoversi dal letto anche per evitare il ricorso eccessivo all’anticoagulante. Va raccomandata la posizione prona a riposo; e vanno proseguiti i trattamenti immunosoppressivi di patologie gravi a meno di diverso parere dello specialista curante. I corticosteroidi si danno solo a soggetti con malattia grave o a rischio di progressione verso forme severe, in presenza di un peggioramento della saturazione che richieda o ricovero in ospedale o, nell’impossibilità, ossigeno a casa. Gli antibiotici sono ammessi solo se l’infezione batterica è dimostrata da un esame microbiologico o se c’è fondato sospetto clinico. No all’idrossiclorochina la cui efficacia non è stata confermata dai trial condotti. E no ai farmaci in aerosol se ci sono conviventi in casa. Vanno evitate le benzodiazepine, specie ad alto dosaggio, per i possibili rischi di depressione respiratoria. Per vitamine ed integratori alimentari mancano prove derivanti da trial di efficacia. Gli anticorpi monoclonali, che potrebbero non essere efficaci contro le varianti inglese e sudafricana, andrebbero somministrati in ospedale per gestire eventuali reazioni avverse gravi, non oltre i 10 giorni dall’inizio dei sintomi. Bambini e telemedicina. In età pediatrica, nei bambini con febbre >38,5°C, mal di gola, cefalea, dolori articolari vanno bene paracetamolo (10-15 mg/kg/dose ogni 5-6 ore) od ibuprofene (20-30 mg/kg di peso al giorno, in tre dosi). Vanno considerati fattori di rischio di aggravamento e necessitanti ricovero l’età sotto l’anno (specie i primi 6 mesi), cardiopatie, malattie polmonari croniche, malformazioni, diabete, tumori, epilessia, patologie neurologiche, disordini metabolici, nefropatie, immunodeficienze. La telemedicina è sconsigliata nei disabili, nei malati cronici o acuti, e nei pazienti “nuovi” che al primo contatto mostrino stato di coscienza alterato, o dispnea a riposo, o PA sistolica <100. In questi casi o si visita in presenza o si avvia al ricovero ospedaliero. By Mauro Miserendino Fonte Doctor33
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“Il Dolore Cronico: diagnosi e terapia”
Posted by fidest press agency su venerdì, 16 aprile 2021
Torino Giovedì 22 aprile dalle ore 18 alle 20, l’Associazione Amiche e Amici dell’Accademia di Medicina di Torino organizza una conferenza on line dal titolo “Il Dolore Cronico: diagnosi e terapia”. L’ “Association for the study of pain” (IASP), definisce il dolore come il prodotto di due componenti, la componente percettiva (o noicezione) che consente la ricezione e il trasporto al Sistema Nervoso Centrale di stimoli potenzialmente lesivi per l’organismo e quella esperienziale che è lo stato psichico collegato alla percezione di una sensazione dolorosa.Dopo i saluti da parte del Presidente dell’Accademia di Medicina, prof. Giancarlo Isaia, e della Presidente dell’Associazione, dr.ssa Gabriella Tanturri, interverrà il dott. Gianluca Isoardo, medico neurologo, Città della Salute di Torino sul tema “Classificazione IASP del Dolore Cronico”. Il dott. Alessandro Bombaci, medico neurologo, Università degli Studi di Torino, nonché Segretario dell’Associazione, affronterà l’argomento de “Il Dolore Neuropatico Cronico”. Il Dolore Neuropatico è causato da un danno o da una disfunzione del sistema nervoso periferico o centrale, piuttosto che dalla stimolazione di recettori per il dolore. Seguirà la relazione della dott.ssa Federica Laino, medico anestesista e rianimatore, Struttura Complessa Terapia del Dolore e Cure Palliative: “Il Dolore Cronico: approccio terapeutico avanzato e terapia complementare”. La dott.ssa Maria Chiara Ditto, medico reumatologo, Città della Salute di Torino approfondirà la questione de “Il Dolore Cronico nelle malattie reumatiche”. Le malattie reumatiche sono un insieme di patologie che interessano in genere le articolazioni o le strutture anatomiche adiacenti o con esse funzionalmente correlate, quali ossa, muscoli, tendini, borse, fasce, legamenti e il cui sintomo principale è rappresentato dal dolore. Il dott. Enrico Fusaro, medico reumatologo, Città della Salute di Torino, curerà le conclusioni dell’incontro.In ottemperanza alle disposizioni del DPCM relative alle misure di contenimento della pandemia, si potrà seguire l’incontro collegandosi alla pagina Facebook dell’Associazione Amiche e Amici dell’Accademia di Medicina di Torino (https://www.facebook.com/AAAMedicinaTorino).
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Terapia domiciliare del COVID-19
Posted by fidest press agency su giovedì, 1 aprile 2021
La recente disponibilità, anche in Italia, di combinazioni di anticorpi monoclonali anti proteina Spike di SARS-CoV-2, genera nuove opportunità terapeutiche per i pazienti che si trovino nelle fasi iniziali di malattia per evitare l’evolversi verso condizioni di maggiore gravità. Questo significativo progresso terapeutico favorisce il confronto scientifico inerente al trattamento iniziale della malattia da COVID-19, precipuamente nella fase di gestione domiciliare. Nel recente passato sono state perseguite molte ipotesi terapeutiche da utilizzarsi a domicilio, poi non suffragate dalle evidenze degli studi prospettici, quali la somministrazione di idrossi-clorochina, di antibiotici e di farmaci antiretrovirali. Altre opzioni farmacologiche devono ancora superare il vaglio degli studi comparativi prima di poter essere considerate nell’utilizzo routinario; si fa riferimento in tal senso a colchicina, le cui proprietà anti infiammatorie potrebbero essere di giovamento ai pazienti, ad ivermectina, farmaco antiparassitario molto attivo in vitro su SARS-CoV-2 ma ancora in fase 2 di sperimentazione clinica per tale indicazione e ad eparina a basso peso molecolare, opzione di grande interesse e potenziale valore per la quale però mancano ancora dati comparativi in grado di definirne con precisione posologia, efficacia e sicurezza. Una citazione a parte merita l’utilizzo degli steroidi. Tali farmaci si sono dimostrati molto utili nelle fasi evolutive di malattia, quando la eccessiva risposta infiammatoria prevale sull’azione del virus e porta una quota di pazienti verso le condizioni di maggiore gravità. Di fatto desametasone alla dose di 6 mg/die rappresenta oggi l’unica terapia ad avere raggiunto un’evidenza di efficacia indiscutibile, in uno studio prospettico randomizzato di amplissime dimensioni. Ma lo stesso studio dimostra inconfutabilmente che il farmaco è efficace solo nei pazienti che presentino insufficienza respiratoria e necessità di supporto di ossigeno, mediamente con una storia di malattia superiore a 7 giorni; di contro, nei soggetti senza necessità di supporto di ossigeno vi è evidenza di un trend negativo sulla sopravvivenza. Questo dato non è un paradosso ma ben si correla con la patogenesi della malattia da COVID-19, che consta di due fasi successive che si embricano tra loro, una fase iniziale dominata dall’effetto della replicazione virale ed una successiva, che coinvolge fortunatamente solo una parte di pazienti, dominata da una risposta infiammatoria eccessiva e non controllata. È noto, infatti, che l’infiammazione è utile per il controllo della replicazione virale, per cui spegnerla troppo presto potrebbe facilitare la replicazione virale, inducendo un viral load elevato e di conseguenza innescare, in un tempo successivo e potenzialmente ritardato, la risposta infiammatoria sregolata. È evidente che, dimostrata l’inutilità della terapia antibiotica e della clorochina, tutte le cautele prima menzionate sugli steroidi e stante la attuale indisponibilità di antivirali somministrabili per os ed essendo ancora in via di definizione il ruolo di eparina basso peso molecolare, l’armamentario terapeutico per la gestione domiciliare dei pazienti è minimo. In questo contesto diventa fondamentale l’istituzione di collaborazioni clinico-gestionali tra centri ospedalieri e medicina territoriale per un approccio ragionato e coordinato al paziente con malattia da COVID-19. Quanto affermato nulla toglie al ruolo imprescindibile e centrale della medicina di comunità nella difficile partita contro SARS-CoV-2: individuare i casi, gestire al meglio i contatti, monitorizzare i pazienti, cogliere il momento in cui sia necessario un approfondimento diagnostico, una richiesta di collaborazione alle strutture ospedaliere e/o un ricovero sono attività fondamentali e preziosissime nell’approccio multidisciplinare e multistep alla malattia. Già oggi con l’arrivo degli anticorpi monoclonali la corretta selezione dei pazienti meritevoli di tale terapia rappresenta un momento gestionale centrale di collegamento tra ospedale e territorio per far sì che si arrivi più agevolmente a somministrare il giusto farmaco al giusto paziente. In tal senso si ribadisce la disponibilità di tale società scientifica a supportare studi clinici prospettici in collaborazione con la medicina di comunità, per incrementare la conoscenza sul trattamento domiciliare del COVID-19: a partire dall’utilizzo dei monoclonali fino a proposte di studi spontanei su nuovi e vecchi farmaci.
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Terapia ormonale sostitutiva in menopausa
Posted by fidest press agency su sabato, 20 marzo 2021
Come noto, l’uso protratto della terapia ormonale sostitutiva (Tos) in post-menopausa è correlato con un aumentato rischio di cancro mammario (Kmamm), dovuto principalmente alla componente progestinica, in particolare medrossiprogesterone, noretisterone, levonorgestrel. «Dopo la sospensione il rischio va declinando, ma rimane comunque più elevato per alcuni anni rispetto ai controlli che non hanno mai usato la Tos» precisa Vincenzo Toscano, Università Sapienza di Roma. «Una recente metanalisi (Collaborative Group on Hormonal Factors in Breast Cancer. Lancet 2019) ha riportato un aumento del rischio di Kmamm maggiore rispetto all’atteso» aggiunge. «In questo contesto si inserisce un lavoro pubblicato su BMJ lo scorso settembre 2020, che si è proposto come obiettivo di valutare il rischio di Kmamm associato ai differenti preparati di Tos e alla loro durata di assunzione».Il disegno dello studio – riporta Toscano – prevedeva uno schema caso-controllo nell’ambito di coorti di pazienti provenienti dai due più rilevanti database dei medici di Medicina generale (mmg) del Regno Unito, QResearch e Clinical Practice Research Datalink GOLD, correlati con Hospital Episode Statistics, Office for National Statistics, dati di mortalità e (solo per QResearch) dati del registro oncologico. «Lo studio» riporta lo specialista «ha visto la selezione di 98611 donne di 50-79 anni, cui era stato diagnosticato un tumore della mammella fra il 1998 e il 2018. I casi sono stati selezionati dai 2 database in accordo con i seguenti criteri: 1) diagnosi di Kmamm da parte del Mmg; 2) mortalità; 3) ricovero ospedaliero; 4) inserimento nel registro oncologico. Il gruppo di controllo era costituito da 457498 donne di pari età e condizioni cliniche». I risultati ottenuti dai due database sono stati valutati insieme ed è stato calcolato l’odds ratio (OR) per il tipo di Tos aggiustato per le caratteristiche personali, quali fumo di sigarette, consumo di alcolici, comorbilità, anamnesi familiare e farmaci assunti. «I risultati» riporta Toscano «hanno mostrato che 33703 donne con diagnosi di Kmamm (34%) e 134391 controlli (31%) avevano utilizzato la Tos in passato (considerato almeno un anno prima della data di inserimento nello studio). Rispetto alle donne che non avevano mai utilizzato la Tos: a) l’utilizzo in tempi recenti (< 5 anni prima di essere selezionate per lo studio), con durata di assunzione > 5 anni, si associa a incremento del rischio di Kmamm: OR 1.15 (IC95% 1.09-1.21) per la terapia con solo estrogeno e 1.79 (IC95% 1.73-1.85) per quella con estrogeni + progestinici. Se si considera il tipo di progestinico utilizzato nell’associazione; il rischio più alto veniva osservato per noretisterone (OR 1.88, IC95% 1.79-1.99) e il più basso per diidrogesterone o tibolone (OR 1.24,IC95% 1.03-1.48); b) per le utilizzatrici pregresse: b1) se avevano sospeso la TOS da più di 5 anni: b1-1) l’uso del solo estrogeno per oltre 5 anni o della combinazione estrogeno + progestinico per meno di 5 anni non era legato ad alcun incremento di rischio; b1-2) l’utilizzo dell’associazione estro-progestinica per oltre 5 anni era associata a rischio aumentato (OR 1.16, IC95% 1.11-1.21), con incremento annuo dei casi attesi, che oscillava fra 2 (se < 60 anni) e 8 (se > 60 anni) donne/10000 casi; b2) se avevano sospeso la Tos da meno di 5 anni: b2-1) l’uso del solo estrogeno si accompagnava a un incremento annuo dei casi attesi, che oscillava fra 3 (se < 60 anni) e 8 (se > 60 anni) donne/10000 casi; b2-2) l’utilizzo dell’associazione estro-progestinica si accompagnava a un incremento annuo dei casi attesi, che oscillava fra 9 (se < 60 anni) e 36 (se > 60 anni) donne/10000 casi.
(fonte Doctor33)
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Diesse e AchilleS Vaccines insieme per le nuove terapie basate su anticorpi monoclonali
Posted by fidest press agency su domenica, 21 febbraio 2021
Diesse Diagnostica Senese S.p.A. e AchilleS Vaccines S.r.l. annunciano oggi la firma di un accordo strategico che porterà allo sviluppo congiunto da parte di Diesse, di test quantitativi rapidi di nuova generazione per i terapeutici basati su anticorpi monoclonali che verranno sviluppati da AchilleS Vaccines “Siamo orgogliosi di mettere a disposizione di AchilleS Vaccines la nostra lunga esperienza nello sviluppo e progettazione di test diagnostici per la quantificazione della risposta immunitaria contro agenti patogeni. I test rapidi semi-quantitativi di nuova generazione, che verranno sviluppati in associazione con il terapeutico dedicato, permetteranno di valutare l’opportunità o meno di somministrazione del farmaco in maniera semplice e accurata” – dichiara Massimiliano Boggetti CEO di Diesse. Questo accordo tra un’azienda biofarmaceutica ed una diagnostica, del territorio senese, dimostra l’importanza di mettere a sistema conoscenze complementari nel mondo della salute per accelerare l’innovazione e garantire cure più moderne ed efficaci con l’ottica di raggiungere un reale impatto globale.
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Prima terapia genica al mondo per una rara e gravissima malattia neurodegenerativa di origine genetica
Posted by fidest press agency su mercoledì, 23 dicembre 2020
Si tratta della leucodistrofia metacromatica: ad annunciarlo sono Fondazione Telethon, Ospedale San Raffaele e l’azienda produttrice, Orchard Therapeutics, dopo la comunicazione ufficiale della Commissione europea che ha concesso un’approvazione senza restrizioni (full approval). Un risultato che è frutto di un percorso iniziato oltre 15 anni fa all’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget) di Milano – dove si è dimostrato il razionale a livello prima scientifico e poi clinico a supporto di questo trattamento all’avanguardia – e portato a termine dall’azienda anglo-americana, che nel 2018 ne ha acquisito la licenza esclusiva.La leucodistrofia è una grave malattia metabolica di origine genetica, che si stima colpisca 1 bambino ogni 100 mila. È causata da mutazioni in un gene, arilsulfatasi-A (ARSA), che portano all’accumulo di particolari sostanze chiamate solfatidi nel cervello e in altre parti dell’organismo, tra cui fegato, cistifellea, reni, milza. Nelle sue forme più gravi, che sono anche le più comuni, questi bambini perdono rapidamente la capacità di camminare, parlare e interagire con il mondo circostante: la maggior parte di loro muore in età infantile e ha a disposizione soltanto cure palliative.Libmeldy, questo il nome del farmaco, è una terapia genica che viene somministrata tramite un’unica infusione. La leucodistrofia metacromatica può avere diverse forme, che si classificano in base all’età di insorgenza: Libmeldy è indicata per i bambini con le forme tardo-infantile o giovanile-precoce che ancora non abbiano manifestato i segni clinici della malattia e per quelli con la forma giovanile precoce che, pur presentando le prime manifestazioni cliniche della malattia, siano ancora in grado di camminare in modo indipendente e non abbiano ancora presentato un declino delle capacità cognitive.
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“Terapie ormonali in menopausa: storia e attualità”
Posted by fidest press agency su lunedì, 26 ottobre 2020
L’Accademia di Medicina di Torino organizza il 3 novembre alle ore 21 una seduta scientifica dal titolo “Terapie ormonali in menopausa: storia e attualità”. Dopo un’introduzione curata dal presidente dell’Accademia, Giancarlo Isaia, professore di Medicina interna e Geriatria, intervengono sul tema, Carlo Campagnoli e Mario Gallo. Carlo Campagnoli è stato Primario di Ginecologia Endocrinologica all’Ospedale Sant’Anna di Torino, Mario Gallo è direttore della struttura complessa di Ostetricia e Ginecologia presso il Presidio Ospedaliero di Cirié-Lanzo. In ottemperanza alle disposizioni dell’ultimo DPCM relative alle misure di contenimento della pandemia, si potrà seguire l’incontro solo collegandosi al sito http://www.accademiadimedicina.unito.it.
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Testata la sicurezza e l’efficacia della terapia con cellule CARCIK per pazienti affetti da leucemia linfoblastica acuta
Posted by fidest press agency su sabato, 24 ottobre 2020
Uno studio clinico multicentrico tutto italiano, sviluppato nei laboratori di ricerca della Fondazione Tettamanti, coordinato dal Centro di emato-oncologia pediatrica della Fondazione Monza e Brianza per il Bambino e la sua Mamma (MBBM) con la collaborazione dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, dimostra che particolari cellule CAR-T ottenute a partire dalle cellule T di donatori sani e chiamate cellule CARCIK, somministrate a pazienti pediatrici e adulti affetti da leucemia linfoblastica acuta che hanno avuto una recidiva dopo il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche, sono in grado di espandersi e persistere a lungo nell’organismo, e sono dotate di un attività antitumorale molto promettente, associata a un buon profilo di sicurezza. Infatti, fra i pazienti trattati con la dose più alta di queste cellule CAR-T, quasi l’86% ha risposto al trattamento con una scomparsa completa del tumore. La leucemia linfoblastica acuta è un tumore del sangue relativamente raro, la cui incidenza è massima in età pediatrica, con un picco nella fascia 2-5 anni; tuttavia, oltre ai bambini, può colpire anche gli adolescenti e gli adulti. In Italia rappresenta circa il 10% di tutte le leucemie e colpisce ogni anno circa 600 persone, di cui anno 450 bambini e adolescenti fino a 14 anni. Con gli attuali protocolli di chemioterapia intensiva, dopo la terapia di prima linea la maggior parte dei pazienti raggiunge una remissione completa della malattia. Tuttavia, circa il 40-45% degli adulti e il 15-20% dei bambini andrà incontro a una recidiva. In questi pazienti, con le terapie convenzionali solo il 10-30% è ancora vivo a 5 anni dalla diagnosi.
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