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Non scholae discimus, sed vitae

Posted by fidest press agency su giovedì, 27 agosto 2009

Non ci prepariamo per la scuola ma per la vita. Se andiamo a “visitare” i programmi delle scuole di ogni ordine e grado in Italia e, in una certa misura, quelli degli altri Paesi ci accorgiamo che siamo alquanto lontani da questa massima latina. E’ il tourbillon che riguarda un po’ tutte le generazioni e che poteva avere un interesse marginale allorché l’uomo di lettere si distingueva da tutti gli altri ed aveva un mecenate-protettore o la scuola era d’elite. Oggi la scuola vuole essere l’anticamera della migliore performance del lavoratore sul terreno degli impieghi che procedono di preferenza su percorsi meno umanistici e più tecnologici. E se oggi ci vogliono 13 anni di studi per raggiungere la soglia dell’università ci chiediamo perplessi cosa questi anni hanno saputo dare ai giovani in tema di professionalità lavorativa. In pratica nulla e, culturalmente, uno sterile nozionismo. Proprio per questo motivo ai giovani, che frequentano l’ultima trance dei cinque anni dopo i precedenti otto, sono state offerte, in taluni Paesi, soluzioni integrative che potremmo chiamare stage dove si va a sperimentare il lavoro da chi lo pratica per conoscerlo  più da vicino e comprenderne la portata. Ma a nostro avviso non basta, a prescindere dal fatto che tali metodiche “osservative” sono state violate trasformando gli stagisti in lavoratori in nero, per capire quante dosi d’insegnamento scolastico vanno iniettate per pareggiare i conti con la realtà lavorativa e in che misura possono interagire e completarsi in un quadro unitario. Noi abbiamo dimenticato, ad esempio, la possibilità, a livello di studi universitari di poter accedere in part-time ad un vero e proprio lavoro e farlo collimare con le prime conoscenza acquisite con lo apprendimento ad hoc. Pensiamo al corso di laurea per medicina. Dopo il primo triennio, ad esempio, di esami sostenuti, perché i discenti non possono conseguire il diploma di infermiere professionale? Perché, volendolo, non possono entrare nel lavoro part-time delle cliniche e degli ospedali e degli ambulatori? Lo stesso dovremmo dire per molti altri indirizzi universitari e persino estenderlo alle scuole superiori dove si conseguono titoli professionali (geometri, ragionieri, periti industriali ed altri similari). Non dobbiamo, tuttavia, sottacere la necessità che per rendere più efficace questa interazione tra studio e lavoro, sia pure in part-time, occorre rivedere i programmi scolastici per adeguarli a queste opportunità “combinatorie” e fare della  scholae maestra di vita oltre che maestra di istruzione e, in una certa dimensione, di cultura.

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