L’obesità è una patologia cronica, che si associa ad aumento del rischio di complicanze cardio-metaboliche (diabete, ipertensione, malattie cardiovascolari [CV]). Lo stile di vita e i farmaci sono efficaci nell’indurre calo ponderale, ma è frequente il recupero di peso dopo l’interruzione del trattamento (Sjostrom L, et al. Lancet 1998; Smith SR, et al. N Engl J Med 2010). A tale proposito, «il recente studio STEP 5 (1) aveva come obiettivo quello di valutare l’efficacia e la sicurezza di semaglutide per via sotto-cutanea 2.4 mg/settimana (OW) rispetto al placebo (entrambi in aggiunta a stile di vita) nel trattamento a lungo termine (due anni) di adulti con obesità o sovrappeso, ma senza diabete e con almeno una comorbilità correlata al peso» spiegano Alessandra Fusco e Marcello Sciaraffia della Commissione Obesità AME (Associazione Medici Endocrinologi), coordinata da Marco Chianelli. «Allo studio randomizzato in doppio cieco controllato vs placebo, hanno partecipato 304 individui (152 trattati con semaglutide 2.4 mg e 152 con placebo), di cui 77.6% donne, 93.1% caucasici». L’età, il BMI e il peso (valori medi) erano rispettivamente di 47.3 anni, 38.5 kg/m2 e 106 kg.Questi i risultati (relativi a semaglutide vs placebo dal basale alla settimana 104). «Il 92.8% ha completato lo studio» riferiscono Fusco e Sciaraffia, che descrivono l’esito degli end-point co-primari: a) variazione media del peso corporeo: -15.2% vs -2.6% (differenza di trattamento stimata – ETD – -12.6%; p < 0.0001); b) perdita di peso ≥ 5%: 77.1% vs 34.4% (p < 0.0001); c) riduzione della pressione arteriosa (PA) sistolica: -5.7 mmHg vs -1.6 mmHg (p = 0.01); d) miglioramento di PA diastolica, HbA1c, glicemia a digiuno, insulinemia a digiuno, proteina C-reattiva, colesterolo totale, LDL, VLDL e trigliceridi. Riguardo agli end-point esplorativi proseguono gli specialisti: a) partecipanti con pre-diabete al basale: ritorno a normoglicemia in 80% vs 37%; b) partecipanti con normoglicemia al basale: normoglicemia mantenuta nel 99% vs 86%. Circa la sicurezza e la tollerabilità del farmaco: a) eventi avversi che hanno portato all'interruzione dello studio: 5.9% vs 4.6%; b) eventi avversi più frequenti (nausea, diarrea, vomito e stipsi): 82% vs 54%. La maggior parte degli eventi avversi gastro-intestinali sono stati lievi/moderati e transitori, con interruzione permanente del trattamento nel 3.9% vs 0.7%.È stata da poco pubblicata l'estensione dello studio STEP 1 (2). Quest'ultimo (Wilding JPH, et al. N Engl J Med 2021), premettono Fusco e Sciaraffia, «aveva arruolato 1961 adulti con obesità (BMI ≥ 30 kg/m2 ) o sovrappeso (BMI ≥ 27 kg/m2 ) e comorbilità legate al peso, randomizzati a ricevere semaglutide 2.4 mg OW o placebo per un periodo di 68 settimane. Nel gruppo semaglutide rispetto al placebo si era osservata una riduzione significativa del peso corporeo (media -17.3% vs -2%) e di alcuni parametri cardio-metabolici (PA, proteina C reattiva), nonché un miglioramento del metabolismo glucidico (HbA1c, riduzione dei casi di pre-diabete). A questa fase di trattamento attivo dello studio STEP 1» proseguono gli specialisti «è seguita una fase di estensione, che ha coinvolto 327 dei 1961 pazienti inizialmente arruolati, sottoposti a un ulteriore follow-up di 52 settimane, durante il quale effettuavano visite mediche periodiche ma non ricevevano più né terapia farmacologica né indicazioni sullo stile di vita. L'obiettivo era quello di valutare gli effetti dell'interruzione della terapia con semaglutide + modifiche dello stile di vita sul peso e su alcuni parametri cardio-metabolici. Le caratteristiche dei pazienti erano: prevalenza del sesso femminile (67%) e dell'etnia caucasica (76%), l'età media di 49 anni, il BMI medio di 37.6 kg/m2 , la presenza di pre-diabete nel 59.6% dei casi». «L'obesità è una patologia cronica e il dimagramento non ha effetto sui meccanismi patogenetici che determinano l'eccesso ponderale. Al contrario, la perdita di peso ottenuta con la dieta induce un peggioramento dell'assetto ormonale che conduce all'obesità, meccanismo conosciuto come adattamento ormonale, che determina il recupero ponderale nella quasi totalità dei pazienti. La terapia farmacologica in parte compensa questi deficit, ma non li cura definitivamente: alla sospensione del farmaco si perde l'effetto sul peso e non solo» osservano Fusco, Sciaraffia e la Commissione Obesità AME. «Oggi la semaglutide garantisce un dimagramento medio del 15- 17%, in grado di migliorare significativamente tutte le comorbilità legate al peso. L'uso è efficace e sicuro anche a lungo termine e il suo impiego va incoraggiato precocemente, prima dello sviluppo delle complicanze. La difficoltà maggiore rimane il costo, al momento a totale carico del paziente. Qualcosa però si muove» aggiungono. «Per la prima volta un fondo privato di assistenza sanitaria (il FAST) ha previsto tra le sue prestazioni, il rimborso, anche se parziale, dei farmaci per obesità. È stata richiesta la rimborsabilità SSN delle terapie farmacologiche per l'obesità per i pazienti con obesità grave o complicata. È auspicabile che la recente pubblicazione sul sito dell'ISS della Linea Guida AME sulla terapia del sovrappeso e dell'obesità complicata da comorbilità metaboliche (Sito ISS. Sistema Nazionale delle Linee Guida. Linea guida 193, gennaio 2023) possa essere un importante tassello per la disponibilità in futuro in regime di rimborso SSN di queste terapie, che promettono di rivoluzionare il mondo dell'obesità» concludono Fusco e Sciaraffia. (abstract fonte Doctor33)
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Obesità, studi su efficacia a lungo termine di semaglutide ed effetti della sospensione del trattamento
Posted by fidest press agency su giovedì, 25 Maggio 2023
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Arti inferiori, dalla diagnosi al trattamento. In tanti al Centro San Luca di Battipaglia per il secondo evento accreditato ECM
Posted by fidest press agency su lunedì, 22 Maggio 2023
Si è tenuto nella giornata di sabato, al Centro San Luca Medicina & Riabilitazione di Battipaglia, il secondo evento accreditato ECM per la formazione, rivolto agli operatori sanitari che si occupano di medicina fisica e riabilitativa. Nel corso del convegno si è parlato delle patologie degli arti inferiori, dalla diagnosi al trattamento. I relatori hanno discusso dell’importanza degli interventi specifici nella fase diagnostica e in quella riabilitativa, pre e post chirurgica. Cercare di conoscere bene le tappe d’evoluzione dell’acquisizione dei movimenti è fondamentale in maniera tale da poter tranquillizzare il paziente ed approfondire quelle situazioni che possono essere significative per eventuali diagnosi. La valutazione post chirurgica per un recupero migliore è importante soprattutto per far si che il paziente possa tornare alle sue attività di vita quotidiana il più presto possibile. I protocolli di terapia fisica con l’utilizzo delle terapie strumentali sono fondamentali perchè possono essere d’aiuto al fisioterapista. “Siamo soddisfatti del numero delle presenze registrate anche per questo secondo evento formativo da noi organizzato – ha dichiarato Elisa Vitolo, responsabile del Centro Medico San Luca – che ricordo essere un centro di medicina e riabilitazione. La nostra missione è quella di offrire qualità ed innovazione, con uno sguardo sempre rivolto al futuro e alle nuove tecnologie, alla robotica e all’importanza del trattamento riabilitativo attraverso strumenti all’avanguardia. Non a caso siamo già partiti all’inizio del 2023 con un modello di riabilitazione, che la nostra equipe mette in atto per ogni paziente. Una riabilitazione che non è solo manuale, quindi rapporto individuale tra il terapista e il paziente ma accompagnata anche con dei macchinari tecnologici che prevedono una riabilitazione 4.0”
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Metodi per ottenere avanzamenti nel trattamento del tumore endometriale
Posted by fidest press agency su lunedì, 2 gennaio 2023
Ottimizzare l’iter diagnostico-terapeutico del paziente con patologie onco-ginecologiche e, più specificatamente, con tumore dell’endometrio. Questo l’obiettivo di una “Masterclass in Onco-ginecologia” – realizzata da Edra e Imagine, con il contributo non condizionante di GSK – che si è svolta in tre moduli residenziali Ecm a Milano nel periodo luglio-ottobre 2022. Responsabili scientifici del corso: la prof.ssa Nicoletta Colombo – Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Università Milano-Bicocca, Direttore Programma Ginecologia Oncologica, Istituto Europeo Oncologia, Milano – e il dott. Gennaro Daniele – Direttore UOC Fase 1, Direttore Medico “Programma Fase 1”, Direttore Scientifico Clinical Trial Center SpA, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, Università Cattolica del Sacro Cuore – Roma. Il format ha previsto, per ogni modulo, tre ore di lezioni frontali alla mattina e tre ore di interattività al pomeriggio. Questo, in sintesi, il razionale scientifico: 1) Il tumore dell’endometrio rappresenta la principale neoplasia dell’utero e il più frequente tumore ginecologico nei paesi maggiormente industrializzati, occupando il quarto posto tra le cause di cancro nel sesso femminile, dopo il tumore della mammella, del colon e del polmone; è tipico della post menopausa e il picco di incidenza si ha tra i 50-70 anni; 2) l’oncologia sta vivendo trasformazioni importanti, l’innovazione delle soluzioni terapeutiche apre prospettive sempre più efficaci tanto che si osserva una tendenziale “cronicizzazione” dei pazienti; la recente creazione di protocolli di immunoterapie cellulari o diretti contro bersagli molecolari precisi ha migliorato la storia clinica e le prospettive terapeutiche di molte neoplasie che, sino a pochi anni fa, erano considerate incurabili, specialmente con metastasi a distanza; la figura professionale dello specialista in oncologia ginecologica assume un ruolo sempre più importante all’interno della struttura sanitaria ed oggi è chiamato a coniugare la necessità di migliorare l’assistenza multidisciplinare della paziente e la qualità della gestione e aderenza alla terapia; 3) il percorso formativo ha l’obiettivo di formare giovani medici su skills cliniche legate all’ambito terapeutico del tumore all’endometrio, nello specifico: a) inquadramento della patologia; b) diagnostica; c) soluzioni terapeutiche; d) immunologia; e) studi clinici e analisi dei dati. Proprio su quest’ultimo punto si è soffermato il dott. Daniele nel primo modulo, dedicato alla metodologia degli studi clinici. Infatti, lo stesso avanzamento delle conoscenze di base che ha portato allo sviluppo di farmaci e metodi diagnostici innovativi (in questo ambito oncologico così come in altri della medicina) ha determinato una maggiore precisazione dei metodi della sperimentazione clinica e una maggiore complessità nella realizzazione della stessa. Ecco, i concetti più rilevanti sottolineati dal dott. Daniele. (Fonte Doctor33)
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Prima terapia di precisione con radioligando per il trattamento del carcinoma prostatico
Posted by fidest press agency su domenica, 18 dicembre 2022
Novartis ha annunciato che la Commissione europea ha approvato Pluvicto®, Lutezio (177Lu) vipivotide tetraxetan, una terapia di precisione con radioligando. Lutezio (177Lu) vipivotide tetraxetan è approvato in associazione a terapia di deprivazione androgenica (ADT, Androgen deprivation therapy), con o senza inibizione della via del recettore degli androgeni (AR), per il trattamento di pazienti adulti con carcinoma prostatico metastatico resistente alla castrazione (mCRPC, metastatic castration-resistant prostate cancer) progressivo e positivo all’antigene di membrana specifico della prostata (PSMA, prostate-specific membrane antigen)3. Questi pazienti erano già stati trattati con inibitore della via dell’AR e chemioterapia a base di taxani 3. L’approvazione fa seguito a un parere positivo emesso a ottobre dal Comitato per i medicinali per uso umano dell’EMA (European Medicines Agency) ed è applicabile a tutti i 27 Stati membri dell’Unione europea, oltre a Islanda, Norvegia, Irlanda del Nord e Liechtenstein. L’approvazione CE è stata concessa sulla base dei risultati dello studio registrativo di fase III VISION, nel corso del quale i partecipanti, precedentemente trattati con inibizione della via AR e chemioterapia a base di taxani, che avevano ricevuto Lutezio (177Lu) vipivotide tetraxetan più il miglior standard di cura (BSoC, Best Standard of Care) hanno avuto una riduzione del 38% del rischio di morte e una riduzione statisticamente significativa (60%) del rischio di progressione radiografica della malattia o di morte (rPFS) rispetto al solo BSoC1. Circa un terzo (30%) dei pazienti con malattia valutabile al basale ha dimostrato una risposta obiettiva (secondo RECIST 1.1) con lutezio (177Lu) vipivotide tetraxetan più BSoC, rispetto al 2% nel braccio con il solo BSoC1.“Il trattamento con radioligandi apre nuove prospettive in termini di cura per un tumore, quello alla prostata, tra i più diffusi in tutto il mondo4. È rilevante sottolineare che si tratta di un meccanismo d’azione completamente nuovo, che combina un radioisotopo ad una molecola in grado di riconoscere e legarsi ad un recettore espresso sulle cellule tumorali e in grado di superare resistenze sia innate che indotte dai trattamenti precedentemente effettuati, dimostrando al contempo un vantaggio significativo in termini di sopravvivenza”, afferma il Dottor Sergio Bracarda, Presidente SIUrO. Con oltre 1,4 milioni di nuovi casi e 375.000 decessi nel solo 2020, il tumore della prostata è il tipo di carcinoma più frequentemente diagnosticato negli uomini di 112 paesi – più della metà del mondo. VISION è uno studio internazionale, prospettico, randomizzato, in aperto, multicentrico, di fase III che ha valutato l’efficacia e la sicurezza di Lutezio (177Lu) vipivotide tetraxetan (7,4 GBq somministrati per infusione endovenosa ogni 6 settimane, per un massimo di 6 cicli) più il miglior standard di cura scelto dallo sperimentatore (BSoC) nel braccio sperimentale, rispetto al BSoC in monoterapia nel braccio di controllo1. I pazienti con mCRPC e PSMA-positivi alla scansione PET che avevano ricevuto inibizione della via del recettore degli androgeni (AR) e chemioterapia a base di taxani sono stati randomizzati in un rapporto 2:1 a favore del braccio sperimentale1. Gli endpoint primari alternativi erano la rPFS e la OS1. Lo studio ha arruolato 831 pazienti. Nonostante i progressi nella cura del carcinoma prostatico, esiste un elevato bisogno insoddisfatto di nuove opzioni terapeutiche mirate, atte a migliorare gli esiti di malattia per i pazienti con mCRPC. Più dell’80% dei pazienti con carcinoma prostatico esprimono in quantità elevate un biomarcatore fenotipico13 chiamato antigene di membrana specifico della prostata (PSMA, prostate-specific membrane antigen)13,17, rendendolo un promettente target diagnostico (tramite tomografia a emissione di positroni [PET]) e un target terapeutico per la terapia con radioligandi18. Questo approccio si differenzia dalla medicina di precisione “genotipica”, che si occupa di specifiche alterazioni genetiche nelle cellule tumorali.
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Saper gestire il trattamento dell’obesità
Posted by fidest press agency su domenica, 18 dicembre 2022
Tra i trattamenti per l’obesità, quello definito “di prima linea” è il modello cognitivo-comportamentale (dieta personalizzata, monitoraggio del comportamento alimentare e prescrizione di attività fisica), ma con il grande limite di non avere successo nel lungo periodo a causa dell’adattamento metabolico e soprattutto delle difficoltà nel mantenere il cambiamento dello stile di vita. La tecnologia ora può fornire un supporto determinante a chi è affetto da obesità attraverso un dispositivo medico “virtuale”, (DTxO – Digital Therapeutics per l’ Obesità) che offre un’assistenza personalizzata attraverso il proprio smartphone. Il periodo di osservazione dello studio (“Demetra”) durerà 12 mesi e coinvolgerà circa 200 soggetti, di cui oltre 130 sono già stati arruolati nei 2 centri italiani (l’Istituto Auxologico Italiano Centro Ambulatoriale Obesità e il Policlinico di Bari Ospedale Giovanni XXIII). Lo studio, approvato dal Ministero della Salute, ha come obiettivo quello di valutare la perdita di peso di quanti utilizzano DTxO, attraverso un miglioramento nel controllo e mantenimento ponderale, unito a quello della salute generale del paziente stesso. In Italia si stima che ci siano oltre 10 milioni di persone affette (il 10,5% della popolazione adulta) e rappresenta uno dei maggiori problemi di salute pubblica a livello mondiale. L’obesità è un disordine multifattoriale che porta a un incremento significativo dei fattori di rischio per diverse malattie croniche nonché ad alterazioni significative della qualità di vita, incidendo anche in maniera significativa sulla durata della vita. Esistono però alcuni trattamenti che seguono diversi approcci, tra cui quello farmaco-terapico, quello bariatrico (la riduzione del tratto digestivo attraverso procedure chirurgiche) ed infine quello cognitivo-comportamentale. Quest’ultimo, ossia l’intervento sullo stile di vita, rappresenta il “trattamento di prima linea” per molti pazienti e consiste in una dieta personalizzata associata ad un monitoraggio del comportamento alimentare e alla prescrizione di attività fisica. Tale approccio rischia però di non avere successo nel lungo periodo a causa dell’adattamento metabolico e soprattutto delle difficoltà comportamentali nel mantenere il cambiamento dello stile di vita da parte dei pazienti. Per la gestione dell’obesità, la tecnologia può fornire un supporto determinante attraverso un dispositivo medico “virtuale”, che il paziente semplicemente porta nella sua quotidianità. DTxO è infatti un dispositivo medico in formato app che permette ad ogni persona affetta da obesità di ottenere un’assistenza personalizzata attraverso il proprio smartphone. Grazie ad un particolare algoritmo che elabora le prescrizioni del team di cura del paziente, il sistema affianca la persona, motivandola e incoraggiandola nel suo percorso fornendole raccomandazioni utili al raggiungimento del suo obiettivo. Fonte: https://www.theras-group.com/
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Nuovo trattamento per enfisema polmonare
Posted by fidest press agency su giovedì, 10 novembre 2022
Sono stati presentati al XXIII Congresso della Società Italiana di Pneumologia SIP i dati più recenti sull’impiego delle valvole endobronchiali in pazienti affetti da enfisema grave e molto grave. Le valvole endobronchiali sono delle protesi posizionate per via endoscopica nei bronchi con lo scopo di ridurre il volume del lobo polmonare maggiormente affetto da enfisema permettendo al tessuto sano di espandersi in maniera corrispondente. L’enfisema è una malattia respiratoria progressiva che colpisce gli alveoli polmonari riducendo la quantità di ossigeno che si può assorbire con ogni respiro. Nel corso degli anni e nei casi più gravi, l’enfisema rende sempre più difficile la corretta respirazione e lo svolgimento delle attività quotidiane senza fermarsi per respirare, fare una pausa o chiedere aiuto. L’enfisema in Italia ha una prevalenza di 2,6 milioni con un’incidenza di 300.000 nuovi casi all’anno con alto tasso degenza ospedaliera e di mortalità. Secondo i dati Istat, in Italia, la bronco-pneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), di cui l’enfisema è una manifestazione, colpisce il 5,6% degli adulti (circa 3,5 milioni di persone) ed è responsabile del 55% dei decessi per malattie respiratorie. A partire dalla loro introduzione nel 2003 con l’ottenimento del marchio CE, le valvole endobronchiali si sono diffuse in maniera crescente come alternativa più sicura e meno invasiva rispetto all’intervento chirurgico di rimozione del lobo e possono essere impiegate anche nei casi per i quali la chirurgia non è un’opzione percorribile. È fondamentale che i pazienti con enfisema siano accuratamente studiati soprattutto attraverso la TAC polmonare e con la spirometria globale per valutare se possono essere trattati con le valvole. Il funzionamento delle valvole è il seguente: durante l’inspirazione, impediscono l’ingresso di aria nel lobo trattato e, durante l’espirazione, permettono la fuoriuscita dell’aria intrappolata, portando ad una diminuzione del volume del lobo. In questo modo la respirazione diventa meno difficoltosa ed inoltre l’aria viene indirizzata nelle aree del polmone che sono meno compromesse dalla malattia e possono ancora assorbire ossigeno in maniera efficace. La novità rappresentata dalle valvole endobronchiali è che, oltre ad alleviare i sintomi dell’enfisema grave, e dell’affanno in particolare, hanno dimostrato di produrre miglioramenti misurabili nelle condizioni cliniche dei pazienti. La sicurezza e l’efficacia della terapia con valvole Endobronchiali (EBV) è stata valutata in diversi studi clinici controllati randomizzati: tra i principali ci sono STELVIO, IMPACT, TRANSFORM e LIBERATE. Gli studi hanno dimostrato che la riduzione unilaterale del volume lobare mediante EBV è sicura e clinicamente superiore alla terapia medica ottimale. Una revisione sistematica di recente pubblicazione, condotta con metanalisi dei principali trial randomizzati controllati che confrontavano l’efficacia e sicurezza di questo tipo di valvole, come le Zephyr®, con quella della terapia medica ottimale, ha dimostrato un chiaro vantaggio nell’utilizzo di queste protesi.
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Paracetamolo: il ruolo nel trattamento dei primi sintomi da COVID-19
Posted by fidest press agency su venerdì, 4 novembre 2022
L’Organizzazione Mondiale di Sanità (OMS), le agenzie regolatorie e le società scientifiche più autorevoli raccomandano l’uso di paracetamolo e farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) per la gestione di febbre e dolore muscolo-scheletrico da COVID-19. Per chiarire il ruolo di paracetamolo nella cura domiciliare del COVID-19, la Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie (SIMG), in collaborazione con il Dipartimento di Biotecnologie Biomediche e Medicina Traslazionale di Milano, ha condotto uno studio di coorte che ha avuto l’obiettivo non solo di valutare l’andamento prescrittivo di paracetamolo per COVID-19 rispetto ad altre sindromi respiratorie, ma anche di evidenziare l’eventuale correlazione tra uso di paracetamolo e presunto rischio di ospedalizzazione o decesso per COVID-19. Gli Autori sono ricorsi a un database Health Search, che ha selezionato 747 medici di base, per un totale di quasi 1,2 milioni di pazienti, distribuiti in modo omogeneo sul territorio nazionale. Complessivamente, sono stati identificati 46.522 possibili casi di COVID-19 e 32.797 pazienti con sindromi respiratorie nel 2020 e nel 2019, rispettivamente. I risultati non hanno mostrato alcun aumento delle prescrizioni di paracetamolo per la cura dei sintomi da COVID-19 che, invece, sono risultate inferiori rispetto a quelle effettuate in epoca pre-pandemica per il trattamento di altre sindromi respiratorie simili (33,4 ogni 1000 e 78,3 ogni 1000, rispettivamente).Successivamente, in un’analisi caso-controllo, gli Autori hanno osservato gli effetti dell’uso di paracetamolo in una coorte di pazienti con COVID-19, fino al momento di una eventuale ospedalizzazione o decesso, ed escludendo i soggetti con una osservazione inferiore al tempo necessario per un effetto biologico di paracetamolo (15 giorni). L’uso di paracetamolo nelle fasi precoce o intermedia di COVID-19, rispettivamente entro 3 o 7 giorni dalla diagnosi, non ha aumentato il rischio di ospedalizzazione o decesso legato alla malattia rispetto ai soggetti che non hanno assunto paracetamolo. I pazienti con COVID-19 che hanno assunto paracetamolo in fase tardiva di malattia (oltre 7 giorni dalla diagnosi), al contrario, hanno mostrato un rischio significativamente alto di ospedalizzazione. Tuttavia, ad una percentuale significativa di questi pazienti la prescrizione di paracetamolo per il peggioramento dei sintomi era stata fatta poco prima del ricovero ospedaliero associando, quindi, erroneamente l’esito negativo all’azione del farmaco. (Fonte Doctor33)
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Medicina estetica, boom di millennials che richiedono trattamenti per il viso
Posted by fidest press agency su mercoledì, 28 settembre 2022
“L’utilizzo della tossina botulinica in questi dieci anni è aumentato enormemente ed ha coinvolto fasce di pazienti che non ci saremmo mai aspettati. Di recente è comparso il fenomeno di giovanissimi che intendono eseguire il trattamento con botox. Sono millennials che lo scelgono anche per le rughe mimiche e prevenire quindi l’invecchiamento. Si tratta di una fascia ampia che va dai 20 ai 42 anni: persone molto diverse, ma tra loro ci sono anche molto ragazzi. Un fenomeno crescente tra loro soprattutto negli ultimi 5 anni, studiato anche dalla letteratura scientifica. Anche da un punto di vista etico”. Lo spiega Monica Renga, medico estetico in occasione dell’evento per i primi 10 anni di Aiteb, l’Associazione Italiana Terapia Estetica Botulino. Un’iniziativa, ieri e oggi con il V congresso nazionale presso il Palacongressi di Rimini, intitolata “Il futuro della Tossina Botulinica”. Decine di medici riuniti per un appuntamento dedicato ad approfondire le tendenze del settore, strumenti e innovazioni. “I giovani sono molto concentrati sulla salute e su ciò che risulta un appagamento personale. Sono digitali nativi – aggiunge Renga – e raggiungono in modo rapido le informazioni. Si fanno un’idea dei canoni di bellezza attraverso i social e capiscono immediatamente se sul loro viso c’è qualcosa che ritengono non funzionare e che possa essere migliorato. Secondo alcune statistiche americane, i trattamenti più richiesti sono con tossina botulinica, poi fillers (volumizzanti) e a seguire quelli di qualità cutanea. Vengono scelti in particolari trattamenti per le rughe, il terzo superiore, tra le sopracciglia, zampe di gallina e la parte più bassa del viso”. “Il nostro compito è di educare questi giovani pazienti anche verso la naturalezza e a una bellezza – conclude la dottoressa – che lasci spazio alla mimica dei muscoli, faccia vedere le emozioni, la gioia e il sorriso vero. Educhiamo i millennials a eseguire il trattamento se lo desiderano ma sempre consigliando, personalizzando in funzione dell’età e delle caratteristiche anatomiche”.
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Piastrinopenia e trattamento anticoagulante e antiaggregante, escono le prime linee guida
Posted by fidest press agency su sabato, 10 settembre 2022
Bergamo. L’Associazione Europea di Ematologia (EHA), in collaborazione con la Società Europea di Cardiologia (ESC), ha prodotto un documento scientifico che per la prima volta fornisce indicazioni pratiche ai medici per la gestione corretta delle terapie antitrombotiche (anticoagulanti e antiaggreganti) nei pazienti con piastrinopenia, cioè con carenza di piastrine, cellule fondamentali per la corretta funzione della coagulazione del sangue. Quando il numero delle piastrine nel sangue scende al di sotto di 100.000 per microlitro, il loro ruolo nella coagulazione è compromesso. Inoltre, il rischio di emorragie gravi aumenta se scendono al di sotto di 50.000 e ancor più se al di sotto di 20.000 per microlitro, con conseguenze anche letali. Ecco perché il problema per il medico sorge quando si rende necessario prescrivere o proseguire in questi pazienti una terapia per la prevenzione o il trattamento delle trombosi. I farmaci anticoagulanti, antipiastrinici e agenti fibrinolitici interferiscono infatti con la coagulazione, ed il loro effetto si somma alla carenza di piastrine, aumentando il rischio di emorragie. Le terapie anticoagulanti e antiaggreganti sono salvavita e vengono assunte a lungo termine da milioni di persone nel mondo, per varie condizioni (trombosi venose, embolie polmonari, fibrillazione atriale e altre patologie cardiovascolari). La popolazione oncologica, sempre più anziana, con elevato rischio di trombosi, sia venose che arteriose, e con necessità di trattamenti anticoagulanti o antiaggreganti, rappresenta un esempio emblematico, in cui è frequente l’associazione con una piastrinopenia transitoria, spesso effetto collaterale dei trattamenti chemioterapici, che danneggiano le cellule del midollo osseo responsabili di produrre le piastrine. In assenza di studi sufficientemente solidi, il compito di offrire un utile orientamento per medici di medicina generale e specialisti di tutto il mondo è stato affidato dall’EHA e dall’ESC ad alcuni esperti internazionali. Il gruppo di lavoro, formato da specialisti in emostasi e trombosi, ematologi, cardiologi, farmacisti clinici, specialisti di medicina vascolare, è stato coordinato da Anna Falanga, professore di Ematologia dell’Università di Milano Bicocca e Direttore del SIMT Servizio Immunoematologia e Medicina Trasfusionale dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Il parere degli esperti è stato ora pubblicato sulla autorevole rivista scientifica HemaSphere.
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Trattamento dell’Aneurisma dell’Aorta Addominale
Posted by fidest press agency su venerdì, 24 giugno 2022
Parte Here for You, l’unità mobile di Medtronic per sensibilizzare medici e cittadini sui nuovi trattamenti per il trattamento dell’Aneurisma dell’Aorta Addominale. Fino al primo luglio 2022 il truck raggiungerà 9 ospedali di 6 città italiane: Roma, Napoli, Bari, Bologna, Padova e Milano. I cittadini potranno così ricevere materiale informativo su questa patologia che in Italia colpisce 84mila persone con circa 25mila nuovi casi diagnosticati e 6mila decessi ogni anno. L’inaugurazione si è tenuta a Roma, martedì 21 giugno presso l’Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini. L’iniziativa europea, partita lo scorso 19 aprile in Olanda, è arrivata in Italia dopo essere stata in Belgio, UK, Spagna e Portogallo per proseguire poi in Svizzera, Germania. Medtronic, azienda leader di HealthCare Technology, metterà a disposizione il suo team di specialisti della patologia aortica, che aiuterà a comprendere, attraverso un percorso educazionale, i segnali di rischio e le diverse opzioni di trattamento disponibili per prevenire l’aneurisma dell’aorta addominale, una condizione patologica grave la cui incidenza cresce con l‘aumentare dell’età media. Lo screening e la prevenzione assumono un ruolo fondamentale nell’identificazione di questa patologia. In alcuni ospedali previsti nel tour italiano dell’unità mobile Medtronic, quali l’Azienda Ospedaliera Università di Padova e il Policlinico Sant’Orsola, sarà inoltre possibile per i cittadini sottoporsi ad uno screening gratuito oltre che ricevere il materiale informativo presente in tutte le tappe.
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Miotenofasciotomia: il trattamento chirurgico mini-invasivo che libera i muscoli
Posted by fidest press agency su giovedì, 16 giugno 2022
“La tecnica che ho presentato è progettata per migliorare la qualità della vita dei pazienti affetti da paralisi cerebrale. Il trattamento è più efficace se effettuato precocemente, soprattutto nel caso di bambini a partire dai tre anni di età. L’obiettivo è liberare i muscoli dalle fibre miofasciali accorciate, migliorando la loro traiettoria di crescita in modo che vivano al massimo delle loro possibilità”. Così, il professor Igor Nazarov, accolto ieri a Milazzo (ME) per una conferenza organizzata da Movilife Progetto Salute. Il chirurgo, specializzato in miotenofasciotomia, ha spiegato ai presenti il trattamento chirurgico mini-invasivo che permette ai muscoli di essere liberati dalle retrazioni miofasciali dissezionando con elevata precisione le fibre accorciate. “Invito i professionisti del settore a tenere conto dell’esistenza di queste retrazioni miofasciali nei pazienti e, soprattutto, a risolverle attraverso la miotenofasciotomia. – ha aggiunto Nazarov – Io e il mio team siamo pronti per questo. L’obiettivo è migliorare la mobilità, la biomeccanica, la crescita e lo sviluppo del paziente, ottimizzando e inducendo la neuroplasticità di ciascuno di essi. Operiamo a Barcellona in Spagna e collaboriamo direttamente con i migliori team di riabilitazione in tutto il mondo”. L’evento, organizzato da Movilife Progetto Salute, si è svolto a “Gigliopoli, la Città dei bambini spensierati” che nasce e si sviluppa sui fondi della Fondazione Barone G. Lucifero in Capo Milazzo (ME). A voler fortemente questo incontro sono stati Rosario Pizzurro e Lydia Oliva, fondatori di Movilife, al fine di diffondere le informazioni a riguardo e fare chiarezza sul punto. La particolarità della procedura è il modo in cui viene eseguita: tramite un bisturi sottile, con un piccolo accesso percutaneo, si interviene sulle parti interessate e si evitano successive suture ed eventuali cicatrici, nel pieno rispetto dei tessuti sani e dei loro strati e senza necessità di immobilizzazione. “Abbiamo scelto di sposare la causa del professor Nazarov, perché è opportuno informare che esiste la miotenofasciotomia, una tecnica innovativa che riduce i tempi di degenza e facilita i processi di riabilitazione successiva e il recupero dei gesti motori e delle abilità della persona. – hanno affermato Rosario Pizzurro e Lydia Oliva – In base alla valutazione effettuata dal nostro team e dai professionisti del campo, abbiamo capito che c’era una carenza importante, non esisteva ancora una rete che potesse unificare e rendere semplice il percorso di riabilitazione per questo tipo di pazienti. Così, ci siamo attivati e siamo a disposizione per coloro che ne hanno la necessità. L’obiettivo è riuscire a facilitare le famiglie, così che rivolgendosi ad un’unica realtà possano trovare risposta a tutte le esigenze di cui hanno bisogno. Il nostro progetto vuole tenere in considerazione che il corpo è fatto di più ‘sistemi’ che devono interagire ed essere in equilibrio per poter funzionare. Noi e il nostro team cerchiamo solo di rispondere ad esigenze evidenti, cercando di rintracciare i punti di salute della persona. Il paziente non è la sua malattia e questo è un modo in più per ribadire che il fattore più importante è la persona che deve stare al centro”.
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Primo trattamento di chemioelettroporazione eseguito al Santo Stefano
Posted by fidest press agency su giovedì, 10 febbraio 2022
By Vania Vannucchi. Prato – Applicata per la prima volta al Santo Stefano di Prato la tecnica di chemioelettroporazione, una nuova metodica per il trattamento di un tumore in un paziente ultraottantenne.La procedura è stata eseguita dall’equipe di Radiologia interventistica diretta dal dottor Massimo Falchini, in collaborazione con la Chirurgia generale: dottor Stefano Cantafio e dottoressa Vita Maria Mirasolo e l’Oncologia: dottoresse Laura Biganzoli e Samantha Di Donato.Il caso è stato valutato dal GOM, il gruppo oncologico multidisciplinare. Al paziente, sottoposto a prelievo bioptico, è stato riscontrato un carcinoma epatocellulare di grado 2-3 (tumore primitivo del fegato). Considerata la presenza di altre comorbilità e la sede della lesione, l’équipe ha deciso di procedere con un trattamento locoregionale di chemioelettroporazione.La metodica apre nuove frontiere per i tumori non rimuovibili attraverso l’intervento chirurgico o che non possono essere trattati con chemioterapie sistemiche per le comorbilità dei pazienti. L’elettrochemioterapia si aggiunge come trattamento locoregionale nelle patologie tumorali e può essere applicata in diversi campi: tumori primitivi cutanei, metastasi cutanee e sottocutanee non trattabili chirurgicamente; metastasi cutanee da tumore mammario e tiroideo; tumori del distretto cervico-facciale; tumori dei genitali esterni; metastasi ossee; tumori localmente avanzati del pancreas; metastasi epatiche da tumore del colon retto, adenocarcinoma del canale anale. Il principio su cui si basa la nuova procedura è l’elettroporazione, un fenomeno fisico che, attraverso l’applicazione di impulsi elettrici su un tessuto vitale, produce una modificazione delle membrane cellulari e consente l’aumento della loro permeabilità cellulare.Durante la procedura viene iniettato per via endovenosa un farmaco chemioterapico; gli impulsi elettrici prodotti da un generatore dedicato agiscono direttamente sul tessuto tumorale attraverso elettrodi ad ago che permettono di trattare la lesione in sedi diverse sia superficiali che profonde. Il farmaco entra all’interno della cellula tumorale causandone la morte per apoptosi, morte controllata e selettiva che colpisce solo le cellule tumorali.Questa tecnica non produce innalzamento della temperatura del tessuto trattato e quindi il tessuto sano, adiacente alla lesione tumorale, viene completamente preservato. Ciò permette di sottoporre a questa tipologia di trattamento lesioni che si trovano in prossimità di strutture “nobili” sensibili ad un eventuale danno termico come i grossi vasi, o i rami biliari e, essendo eseguito per via percutanea, evita eventuali rischi di infezione da ferita chirurgica. “La procedura é mininvasiva, ha spiegato il dottor Falchini, il paziente è stato ricoverato due giorni, senza comparsa di complicanze maggiori, ed ha eseguito ambulatorialmente i controlli successivi con esito di ablazione completa della neoplasia. Il paziente, asintomatico, è attualmente in follow-up ed in caso di recidiva di malattia può essere candidabile anche a ripetizione del trattamento locoregionale”
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CAR-T Destinazione futuro: da AIL una campagna itinerante e online sul trattamento tumori
Posted by fidest press agency su mercoledì, 20 ottobre 2021
Offrire percorsi informativi a pazienti ematologici e famigliari e favorire il confronto tra pazienti, specialisti e Istituzioni: sono gli obiettivi di CAR-T – Destinazione futuro, campagna itinerante e online promossa da AIL – Associazione Italiana contro Leucemie, linfomi e mieloma con il supporto non condizionante di Celgene (ora parte di Bristol Myers Squibb), Gilead, Janssen e Novartis. Un vero e proprio “viaggio nel futuro” della lotta ai tumori, che fa leva su una landing page dedicata sul sito AIL, con la mappa aggiornata dei Centri autorizzati alla somministrazione delle CAR-T, eventi organizzati nei capoluoghi di Regioni che ospitano i Centri abilitati e un video-racconto orale, che narra il percorso di scoperta delle CAR-T, dalle prime intuizioni alla pratica clinica. Una campagna “in progress” che proseguirà nel 2022 e sarà aggiornata in relazione alle continue novità che arrivano dal fronte della ricerca, delle autorizzazioni dell’AIFA e delle esperienze cliniche.
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Interrogazione parlamentare sul trattamento del personale militare di rientro dai teatri operativi
Posted by fidest press agency su lunedì, 30 agosto 2021
Qualche settimana fa il SIAM era intervenuto per denunciare il pessimo ed indecoroso trattamento riservato al personale militare dell’Aeronautica di rientro dai teatri operativi, in particolare dal teatro Afghano. Ora, anche il Parlamento è intervenuto sulla tematica con una interrogazione al Ministro della Difesa da parte della Deputata Emanuela Corda del Gruppo Misto – L’alternativa c’è. Ai nostri militari, al loro rientro, era stato riservato un trattamento vergognoso con obbligo di quarantena (non previsto dalle circolari di igesan) in licenza straordinaria e a centinaia di kilometri di distanza dall’aeroporto di arrivo, procurando loro enormi disagi dovuti al trasporto in bus dall’altro capo dell’Italia e senza la minima attenzione al benessere psicofisico, specie dopo un lungo e scomodo viaggio con aerei militari. Ci auguriamo che il Ministro Guerini risponda in tempi brevi per chiarire cosa non abbia funzionato nella catena di comando e nell’organizzazione logistica laddove, nell’ultimo periodo, l’Aeronautica ha dimostrato molto presappochismo specie quando si è trattato di gestione del personale militare. Non è accettabile che la Forza Armata enfatizzi mediaticamente la propria efficienza ed efficacia nel suo porsi a servizio del paese, quando poi nella realtà tocca constatare il protrarsi di una scarsa (e, talvolta, inesistente) attenzione per la componente umana impiegata nei teatri operativi esteri. Riteniamo urgente un serio esame di coscienza da parte del Vertice dell’Arma Azzurra e un repentino cambio di rotta nella gestione delle diverse fasi organizzative del personale impiegato in OFCN, per il cui rispetto è necessario che la discrezionalità nelle decisioni, affinché non scada in arbitrio e approssimazione, sia sempre più collegata al principio di legalità.
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Covid-19, molti farmaci già approvati potrebbero essere usati nel trattamento
Posted by fidest press agency su martedì, 22 giugno 2021
Un gruppo di ricercatori ha affermato su Nature Communications di aver identificato 90 farmaci con attività antivirale contro Sars-CoV-2, 13 dei quali hanno un forte potenziale per essere riproposti come farmaci orali per Covid-19. Inoltre, 19 dei farmaci che hanno impedito al coronavirus di replicarsi nelle cellule umane sembrano supportare l’attività di remdesivir. «Anche se ora disponiamo di vaccini contro il Covid-19, ci mancano ancora farmaci antivirali efficaci nel prevenire le infezioni da Covid-19 o nell’impedirne il peggioramento. I nostri risultati mostrano la possibilità di riutilizzare alcuni farmaci somministrabili per via orale esistenti contro Sars-CoV-2» spiega Peter Schultz, di Calibr, una divisione dello Scripps Research Institute, a La Jolla (Stati Uniti), co-autore del lavoro.I ricercatori hanno testato più di 12.000 farmaci, provenienti dalla libreria di riutilizzo dei medicinali ReFRAME, nata per affrontare aree di urgente bisogno medico insoddisfatto. La libreria contiene farmaci approvati dalla Food and Drug Administration (Fda) e altri composti sperimentali che sono stati testati per la sicurezza nell’uomo. Gli esperti hanno trattato due diversi tipi di cellule umane infettate da Sars-CoV-2 coltivate in laboratorio con ciascuno dei 12.000 composti contenuti in ReFRAME e, dopo 24 o 48 ore, hanno misurato il livello di infezione virale nelle cellule per determinare se i farmaci fossero in grado di impedire la replicazione del virus. In alcuni casi, hanno applicato due farmaci insieme per vedere se i composti avessero la possibilità di funzionare meglio in combinazione contro il virus. Sulla base dei risultati degli screening di coltura cellulare, i farmaci con le migliori prestazioni sono poi stati testati in cellule di tessuti umani e in un modello animale per determinare quali avessero maggiori probabilità di funzionare nei pazienti umani. E tra tutti i farmaci esaminati, i ricercatori hanno identificato un totale di 90 composti che hanno impedito a Sars-CoV-2 di replicarsi in almeno una delle linee cellulari umane. Di questi, 13 hanno mostrato un più alto potenziale per essere riproposti come terapie contro Covid-19, in base alla loro potenza, all’attività indipendente sulla linea cellulare o a un probabile meccanismo d’azione, alle proprietà farmacocinetiche e ai profili di sicurezza umana.Quattro dei farmaci – alofantrina, nelfinavir, simeprevir e manidipina – sono già stati approvati dalla Fda, e altri nove sono in varie fasi del processo di sviluppo. Gli autori sottolineano che, quando hanno provato a combinare i vari medicinali, hanno osservato che 19 di essi avevano un effetto additivo quando somministrati con remdesivir, approvato dalla Fda per l’uso in pazienti con diagnosi di Covid-19. Due farmaci, un composto che è stato testato per prevenire la nausea e le infezioni chirurgiche (riboprina) e un derivato dell’acido folico (10-deazaamminopterina), addirittura sono andati oltre, e hanno mostrato un effetto sinergico con remdesivir, aumentandone la capacità di sopprimere il virus. (fonte: doctor33)
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Trattamento “chemio-free” per la leucemia acuta linfoblastica più comune degli adulti
Posted by fidest press agency su mercoledì, 4 novembre 2020
Un gruppo di ricerca tutto italiano ha dimostrato che una combinazione di terapia mirata a bersaglio molecolare e immunoterapia può fronteggiare con successo il tipo più frequente di leucemia acuta linfoblastica degli adulti, evitando la chemioterapia e i suoi pesanti effetti collaterali. I risultati dello studio, promosso dalla Fondazione GIMEMA, sostenuto dal 5 per mille di Fondazione AIRC e con il contributo di Amgen, sono stati pubblicati sulla rivista New England Journal of Medicine il 22 ottobre scorso. L’importanza del lavoro è stata sottolineata anche dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo intervento durante la cerimonia dedicata a “I Giorni della Ricerca” di Fondazione AIRC al Quirinale il 26 ottobre. L’idea del progetto ha avuto inizio circa 15 anni orsono e oggi diventa realtà. I risultati della terapia “chemio-free” sperimentata in un campione di pazienti adulti affetti da leucemia acuta linfoblastica (LAL) con una alterazione del cromosoma Philadelphia (Ph+), confermano il successo del protocollo clinico messo a punto da un gruppo di ricerca tutto italiano. Il 98% dei pazienti raggiunge la remissione ematologica completa, ovvero non presenta più tracce di malattia e il 60% mostra quella che gli esperti chiamano risposta molecolare. Inoltre, dopo un anno e mezzo dall’inizio del trattamento la sopravvivenza generale è pari al 95% e quella senza la malattia arriva all’88%. A tali risultati si è giunti senza ricorrere alla chemioterapia sistemica che porta con sé effetti collaterali molto pesanti, ma puntando su una combinazione di terapia mirata a bersaglio molecolare e immunoterapia. Nello studio, condotto dai Centri di Ematologia che afferiscono al Gruppo Italiano Malattie Ematologiche dell’Adulto (GIMEMA) con il coordinamento di Robin Foà, sono stati coinvolti 63 pazienti con LAL Ph+ di età superiore a 18 anni e senza limite inclusivo di età (il più anziano aveva 82 anni), sottoposti a una prima fase di trattamento (induzione) con l’inibitore tirosin chinasico dasatinib, seguito da una seconda fase (consolidamento) con l’anticorpo monoclonale bispecifico blinatumomab, quindi una terapia di induzione e consolidamento senza chemioterapia. Ebbene, già dopo la prima fase di induzione, 3 pazienti su 10 mostravano una risposta molecolare e i numeri sono raddoppiati (6 pazienti su 10) dopo i due cicli di blinatumomab previsti nello studio, fino ad arrivare a 8 su 10 se i cicli di anticorpo aumentavano. Tutti gli studi biologici sono stati condotti centralmente per garantire l’uniformità delle analisi in laboratori certificati. Questi risultati potrebbero cambiare profondamente la pratica clinica nel trattamento di quello che rappresenta il sottogruppo più frequente di LAL dell’adulto, la cui incidenza incrementa progressivamente con l’avanzare dell’età, e che prima dell’avvento degli inibitori delle tirosin chinasi aveva una prognosi decisamente nefasta.
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Trattamento dell’HIV-1
Posted by fidest press agency su venerdì, 23 ottobre 2020
Beerse (Belgio) Janssen, l’azienda farmaceutica del Gruppo Johnson & Johnson, ha annunciato che il Comitato per i Medicinali per uso umano (CHMP) dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha espresso parere positivo, raccomandando l’Autorizzazione all’immissione in commercio per rilpivirina iniettiva in combinazione con cabotegravir iniettivo di ViiV Healthcare, per il trattamento del virus da immunodeficienza umana di tipo 1 (HIV-1) negli adulti. Se approvato, si tratterà del primo regime completo a lunga durata d’azione una volta al mese o ogni due mesi per le persone in soppressione virologica affetti da l’HIV-1 in tutta l’Area Economica Europea.Il parere positivo del CHMP riguarda la co-somministrazione di rilpivirina e cabotegravir tramite iniezione per la terapia dell’infezione da HIV-1 in pazienti adulti in soppressione virologica (HIV-1 RNA inferiore a 50 copie/mL) e che seguono un regime antiretrovirale stabile senza evidenze presenti o passate di resistenza virale e precedente fallimento virologico, con agenti della classe degli inibitori non nucleosidici della trascrittasi inversa (NNRTI) e degli inibitori dell’integrasi (INI). Il parere del CHMP comprende anche rilpivirina compresse di Janssen assieme a compresse orali di cabotegravir, come terapia di lead-in per un mese prima dell’inizio del regime iniettabile a lunga durata d’azione.La domanda di autorizzazione all’immissione in commercio (MAA) nell’Unione Europea per le iniezioni di rilpivirina a lunga durata d’azione si fonda sugli studi registrativi di Fase III ATLAS (Antiretroviral Therapy as Long-Acting Suppression) e FLAIR (First Long-Acting Injectable Regimen), che hanno incluso più di 1.100 partecipanti in 16 paesi. Questi studi hanno dimostrato che rilpivirina e cabotegravir, se iniettati per via intramuscolare una volta al mese, sono altrettanto efficaci quanto i regimi antiretrovirali giornalieri per via orale nel mantenere la soppressione per tutte le 48 settimane di durata dello studio.
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Trattamento con immunoglobuline anti-Coronavirus
Posted by fidest press agency su mercoledì, 14 ottobre 2020
Osaka (Japan) e King of Prussia (Pa, USA). La CoVIg-19 Plasma Alliance, una collaborazione senza precedenti di aziende leader nel settore del plasma, supportate da organizzazioni globali esterne all’industria del plasma, ha confermato che sono stati arruolati i primi pazienti nello studio clinico di fase 3 del trattamento con immunoglobuline anti-Coronavirus (ITAC) in ambito ospedaliero. Lo studio, sponsorizzato dal National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID), parte del National Institutes of Health (NIH), valuterà la sicurezza, la tollerabilità e l’efficacia di un farmaco sperimentale con immunoglobuline iperimmuni anti-coronavirus (H-Ig) per il trattamento per via endovenosa di soggetti adulti ospedalizzati a rischio di gravi complicanze da COVID-19. In caso di successo, l’H-Ig dell’Alleanza potrebbe diventare una delle prime opzioni di trattamento per questi pazienti. Questo studio multicentrico globale, in doppio cieco, randomizzato e controllato con placebo, arruolerà 500 pazienti adulti in 58 centri negli Stati Uniti, in Messico e in altri 16 paesi nei cinque continenti (utilizzando la rete globale INSIGHT dell’NIH). La selezione prevede l’arruolamento di soggetti che sono stati ricoverati in ospedale per COVID-19 con sintomi per 12 giorni o meno senza disfunzioni d’organo potenzialmente letali o insufficienza d’organo. I pazienti riceveranno remdesivir come trattamento standard, allo scopo di valutare la sicurezza e l’efficacia di H-Ig in associazione alla terapia di prima linea. Le H-Ig per la sperimentazione saranno fornite da CSL Behring e Takeda per conto della CoVIg-19 Plasma Alliance, nonché da altre due società. La CoVIg-19 Plasma Allianceriunisce aziende leader a livello mondiale nel settore del plasma per collaborare allo sviluppo di un farmaco non commerciale a base di immunoglobuline iperimmuni policlonali anti-SARS-CoV-2 per trattare pazienti che sono a rischio di gravi complicanze da COVID-19. Il preparato di immunoglobuline iperimmuni è un prodotto farmaceutico di alta qualità che contiene livelli consistenti, e concentrati di anticorpi “convalescenti”, purificati.
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I nutraceutici sono sempre più utilizzati nel trattamento dell’emicrania
Posted by fidest press agency su mercoledì, 30 settembre 2020
Lo sono anche per quella con aura dove il consueto mal di testa è accompagnato da sintomi neurologici reversibili come disturbi della visione, del linguaggio e difficoltà motorie. E’ quanto emerso oggi durante un Teaching Course che si svolge nella seconda giornata del 34° congresso nazionale della Società Italiana per lo Studio delle Cefalee (SISC). “Ben il 12% degli italiani ha sofferto almeno una volta nella vita di emicrania – afferma il dott. Giorgio Dalla Volta, del Consiglio Direttivo Nazionale della SISC, Direttore del Centro Cefalee dell’Istituto Clinico Città di Brescia (Gruppo San Donato) -. E’ quindi una malattia molto diffusa ma che risulta ancora sottovalutata. Negli ultimi anni diversi studi scientifici hanno dimostrato come i nutraceutici siano una valida opzione terapeutica. Oltre ad essere efficaci sono solitamente ben accettati perché i pazienti li considerano trattamenti meno invasivi rispetto ai farmaci antiepilettici, beta bloccanti o antidepressivi. Inoltre non presentano effetti collaterali e questo favorisce l’aderenza terapeutica che è uno dei maggiori problemi che noi specialisti dobbiamo affrontare. Si calcola che solo il 13% dei malati prende effettivamente la cura preventiva contro l’emicrania indicata dal neurologo”. Per il trattamento dell’emicrania con aura la ricerca italiana ha messo a punto il nutraceutico Aurastop. Si tratta di un prodotto naturale basato su sostanze estratte da due piante più l’aggiunta del magnesio. “Da tre anni è l’unica cura specifica contro l’aura emicranica che abbiamo a nostra disposizione – aggiunge il dott. Dalla Volta -. Se assunta regolarmente può bloccare il fenomeno elettrico celebrale che è alla base dei sintomi. Può così far regredire i disturbi visivi o sensitivi in soli pochi minuti e viene utilizzato non solo per contrastare gli episodi acuti ma anche come terapia preventiva della malattia”. Il congresso nazionale SICS si svolge in forma virtuale e affronta a 360° il tema delle cefalee in ogni fascia d’età: dai casi pediatrici alle forme e nella terza età. “La patologia può colpire tutti anche se è più frequente tra le donne tra i 25 e i 55 anni – conclude il dott. Dalla Volta -. Dopo i 65 anni gli attacchi di emicrania proseguono anche se è molto raro che l’emicrania cronica insorga per la prima volta in età così avanzata. Nei pazienti non più giovanissimi il quadro è complicato solitamente dalla presenza di altre patologie, come per esempio il diabete o l’ipertensione, che richiedono la somministrazione di farmaci. Quindi può essere auspicabile l’aggiunta di un nutraceutico nella terapia contro il mal di testa”.
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Tumore al seno: Un test può evitare il trattamento chemioterapico
Posted by fidest press agency su sabato, 1 agosto 2020
Analizza l’espressione di 21 geni specifici del tumore e definisce la probabilità di risposta alla chemioterapia. Si chiama Oncotype DX, il test molecolare (eseguito su tessuto tumorale) che permette di evitare la chemioterapia nell’80% delle donne con carcinoma mammario in fase iniziale, di tipo ormone-sensibile, negativo alla proteina HER2 e linfonodo negativo, che, dopo la chirurgia, possono essere trattate solo con l’ormonoterapia. Il test è validato con studi clinici randomizzati (evidenza di livello 1A) per predire i benefici della chemioterapia ed è disponibile presso il Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma, grazie a un accordo siglato con l’azienda produttrice, Exact Sciences.
“I test genomici, detti anche multigenici, forniscono il profilo molecolare personalizzato di un tumore, un’informazione che aiuta a comprenderne meglio la biologia, riuscendo a definire con maggiore precisione, ad esempio, quanto la neoplasia è aggressiva (valore prognostico) e, nel caso del test Oncotype DX, anche la risposta alla chemioterapia (valore predittivo) – spiega il prof. Giuseppe Perrone, Responsabile dell’Unità di Diagnostica Molecolare Predittiva del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma -. Questi dati, insieme agli altri fattori, aiutano l’oncologo a scegliere il percorso terapeutico più appropriato”. Il test Oncotype DX, che è eseguito su campione tumorale proveniente da tessuto chirurgico, è un test multigenico scientificamente validato ed estesamente utilizzato nella pratica clinica. La definizione del rischio di recidiva di malattia, secondo il punteggio definito dall’analisi di espressione dei 21 geni, fornisce informazioni di predizione di sensibilità alle cure e di prognosi. Il test, pertanto, è in grado di identificare le pazienti che hanno migliore o peggiore prognosi e maggiore o minore probabilità di trarre beneficio dalla chemioterapia adiuvante o dalla sola terapia endocrina.
Il test è stato reso disponibile per la prima volta nel 2004 e, da allora, più di un milione di donne nel mondo ne ha beneficiato. È stato incluso in tutte le più importanti Linee Guida sul tumore al seno, incluse quelle dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), della St. Gallen International Breast Cancer Conference, della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO) e, negli Stati Uniti, anche nelle Linee Guida della Società Americana di Oncologia Clinica (ASCO) e del National Comprehensive Cancer Network (NCCN). Inoltre, prestigiosi organismi di valutazione delle tecnologie sanitarie quali il National Institute for Health and Care Excellence (NICE) nel Regno Unito, il German Institute for Quality and Efficiency in Health Care (IQWiG) in Germania e l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (AGENAS) in Italia hanno riconosciuto il valore clinico del test. In Italia, i test genomici sono meno utilizzati rispetto ad altri Paesi europei, soprattutto perché non sono ancora inseriti nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza). Ad oggi, solo la Lombardia e la Provincia Autonoma di Bolzano ne hanno approvato la rimborsabilità per le pazienti con tumore della mammella, pur trattandosi di una tematica attualmente dibattuta a livello regionale, come dimostrano recenti mozioni presentate in Toscana, Sardegna ed Emilia-Romagna. Nella regione Lazio la mozione per la rimborsabilità dei test genomici è stata recentemente approvata all’unanimità.
“Nel 2018, i risultati del più ampio studio mai realizzato sul carcinoma mammario in ambito adiuvante, TAILORx, sono stati presentati al congresso ASCO e successivamente pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica The New England Journal of Medicine – conclude il prof. Tonini -. Lo studio, che ha coinvolto più di 10.200 donne, ha dimostrato che la maggior parte delle pazienti con tumore al seno in stadio precoce può evitare la chemioterapia”. In particolare, il test è in grado di identificare la quota di donne (20%) che possono trarre un reale beneficio dalla chemioterapia e che non sarebbero state selezionate con i sistemi tradizionali e la percentuale maggioritaria (80%) che, nel complesso, non trarrebbe beneficio dalla chemioterapia. Sono evidenti i vantaggi in termini di minori tossicità per le pazienti e di risparmi per il sistema sanitario, grazie all’ uso appropriato delle terapie oncologiche.
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