“Sul vulcano attivo più alto d’Europa vi sono percorsi e paesaggi mozzafiato, bellissimi da percorrere per gli uomini e adatti anche ai cani. Una cartolina della Sicilia pulita lontana dai soliti stereotipi che vanno definitivamente cancellati”. Lo ha dichiarato Gerardo Diana, presidente del Consorzio Arancia Rossa di Sicilia IGP, alla fine del percorso di trekking effettuato dal Rifugio Sapienza 1910 mt s.l.m sino a dislivello positivo di 900 mt dell’Etna.Qui ha portato un carico di Arancia Rossa di Sicilia IGP, rendendo omaggio al vulcano madre del particolare agrume color lava.Un trekking differente dal solito, quello compiuto da Diana e Trilly, la fedele cagnolina di tante passeggiate, in cui la genuinità non ha raggiunto la tavola, bensì la vetta del vulcano i cui minerali e l’armonico microclima nutrono la terra creando un frutto che potrebbe essere definito un piccolo laboratorio chimico. Le tre varietà di rossa, moro, tarocco e sanguinello, la cui commercializzazione è appena iniziata, sono infatti ricche di polifenoli, vitamina C e antocianine, flavonoidi naturali che creano l’AMPK, proteina capace di indurre il silenziamento dei geni che producono molecole infiammatorie.Grazie all’Etna, essendo prodotta alle sue pendici, l’arancia rossa è dunque green, sana e sostenibile e per arrivare ad avere la giusta genuinità ha bisogno del corretto clima e percorso, un po’ come quando si scala una montagna con l’obiettivo di arrivare in cima senza il rischio di franare giù a ogni passo. Sì perché per uno scalatore, il raggiungimento della vetta, non è solo un mettersi alla prova, ma realizzare le proprie capacità, esattamente come per un produttore, riuscire a creare il frutto perfetto. Ambedue, si emozionano, vivono il sensation seeking e sono ricchi di valori e paure, per arrivare a raggiungere, ciò che gli eventi esterni possono si, rallentare, ma mai abbattere, riuscendo a ricaricarsi grazie al frutto più sano.
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Etna, il vulcano magico: Dal trekking, allo sci, al canicross, sino alla produzione agroalimentare
Posted by fidest press agency su giovedì, 22 dicembre 2022
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Flussi piroclastici causati dai depositi eruttivi accumulati sul vulcano
Posted by fidest press agency su domenica, 31 luglio 2022
Attraverso nuove e approfondite indagini sull’eruzione del vulcano guatemalteco Fuego avvenuta il 3 giugno del 2018 si è scoperto che il devastante flusso piroclastico che distrusse il villaggio di San Miguel de Los Lotes e che provocò centinaia di vittime, fu in realtà causato dal crollo di materiale lavico e piroclastico, ovvero dall’insieme dei prodotti emessi durante l’attività del vulcano che si erano accumulati nella parte alta del vulcano stesso nelle settimane e nei mesi precedenti l’eruzione.È questo il risultato presentato nello studio “Deposit-Derived Block-and-Ash Flows: The Hazard Posed by Perched Temporary Tephra Accumulations on Volcanoes; 2018 Fuego Disaster, Guatemala” recentemente pubblicato sulla rivista ‘Journal of Geophysical Research- Solid Earth’ dell’AGU.La ricerca, realizzata da un team internazionale di scienziati dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), dei Dipartimenti di Scienze della Terra delle Università degli Studi di Firenze e di Pisa e della School of Geography, Geology and the Environment dell’Università di Leicester (UK), ha permesso di approfondire la dinamica della fase più distruttiva dell’eruzione del 2018 del Volcán de Fuego in Guatemala, avvenuta a distanza di circa un’ora e mezza dall’attività esplosiva più violenta, quando il rischio vulcanico per gli abitanti della zona sembrava essere diminuito. “I flussi piroclastici sono alcuni tra i fenomeni più pericolosi legati all’attività dei vulcani”, spiega Gilda Risica, Assegnista di Ricerca dell’Università di Firenze e autrice dell’articolo. “Si tratta di vere e proprie correnti composte da gas e da frammenti vulcanici di varie dimensioni, dei ‘fiumi’ che scorrono ad altissime temperature lungo i fianchi dei vulcani e che, a seconda di fattori quali la pendenza dell’edificio vulcanico e la violenza dell’eruzione, possono raggiungere anche altissime velocità distruggendo in breve tempo tutto ciò che trovano sul loro cammino, compresi interi villaggi come è accaduto nel 2018 nel caso di San Miguel de Los Lotes”. “Durante i rilievi di terreno nelle valli riempite dai devastanti flussi del 2018, peraltro, è emersa la presenza di altri depositi più vecchi e del tutto simili a quelli studiati, suggerendo che nel passato il Volcán de Fuego potrebbe aver già avuto un comportamento simile” evidenziano Mauro Rosi e Marco Pistolesi, docenti del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, co-autori e tra gli ideatori dello studio.
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Congo: Goma è stretta fra la minaccia del vulcano e gli attacchi di gruppi armati
Posted by fidest press agency su domenica, 30 Maggio 2021
Nella popolosa città di Goma, situata nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo, sabato notte si è verificata una prima eruzione del vulcano Nyirangongo. Ulteriori, forti sommovimenti hanno indotto la popolazione, circa due milioni di persone, ad abbandonare il centro urbano. «Non sappiamo ancora se dovremo evacuare il seminario». Lo ha riferito Don Arsene Masumbuko, rettore del seminario San Giovanni Paolo II di Buhimba, ad Aiuto alla Chiesa che Soffre, che ha sostenuto la formazione di 29 seminaristi e di sei sacerdoti docenti. «Il rischio grave è che ci possa essere un’esplosione nel lago, dove c’è gas, il che metterebbe tutto in pericolo nel raggio di 20 km.», spiega Don Masumbuko. Il quadro è particolarmente complesso perché nella regione del Nord Kivu, in cui si trova Goma, la popolazione è aumentata rapidamente negli scorsi anni a causa dei rifugiati causati dalla guerra civile e dalla violenza dei gruppi armati attivi nell’area. «Il primo dilemma è evacuare o no, ma se evacuiamo la domanda successiva è dove andare e in particolare come, perché la sicurezza al di fuori di Goma è molto precaria. Ci sono gruppi armati che approfittano di questa situazione per attaccare e assaltare la popolazione», prosegue il rettore. «La situazione è caotica», la missione «MONUSCO è andata via e ci ha lasciati soli. Non ci sono indicazioni precise, la gente è informata tramite i social network e vengono diffusi messaggi contraddittori. È un vero dramma», conclude Don Arsene Masumbuko.
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Capire dove erutterà un vulcano
Posted by fidest press agency su martedì, 6 agosto 2019
Fornire un modello fisico per individuare la posizione delle future bocche eruttive al fine di determinare i percorsi delle colate di lava e la distribuzione delle nubi di cenere: è l’obiettivo dello studio “Stress inversions to forecast magma pathways and eruptive vent location”, pubblicato su Science Advances e condotto dal German Research Center for Geosciences (GFZ) di Potsdam, dall’Università di Roma Tre e dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV).“Nell’immaginario comune, durante un’eruzione, il magma fuoriesce dalla cima del vulcano”, spiega Mauro Di Vito, ricercatore della Sezione “Osservatorio Vesuviano” dell’INGV (INGV-OV). “In realtà, non è raro che l’eruzione avvenga lungo i fianchi dell’edificio vulcanico. Dopo aver lasciato la camera magmatica, infatti, il magma in risalita può farsi strada lateralmente fratturando le rocce, a volte per diversi chilometri. Raggiungendo la superficie, in questi casi, il magma forma una o più bocche eruttive, anche dando luogo ad eruzioni esplosive”.Per i vulcanologi individuare dove si stia dirigendo il magma e dove romperà la superficie è una grande sfida. I fianchi dei vulcani sono punteggiati da decine di bocche, spesso attive durante una sola eruzione, i cui allineamenti evidenziano le vie dove il magma proveniente dal sottosuolo ha raggiunto la superficie.
“Tutti i vulcani possono produrre questo tipo di bocche eruttive, dette monogeniche, ma alcuni lo fanno più di altri”, prosegue l’esperto dell’INGV. “Il modello proposto in questo studio unisce la fisica dei vulcani, che permette di comprendere come il magma fratturi le rocce per muoversi nel sottosuolo, le procedure statistiche e la conoscenza della struttura e della storia del vulcano in esame. Tramite la statistica, i parametri del modello fisico vengono affinati fino a quando il modello non riproduce i processi eruttivi passati”.
Il nuovo approccio è stato applicato alla caldera dei Campi Flegrei, vicino alla città di Napoli. Le caldere sono vulcani caratterizzati dal collasso del tetto della camera magmatica a seguito di una grande eruzione: non hanno, quindi, una parte sommitale nella quale si concentrano le eruzioni, generando una maggiore incertezza nella definizione dell’ubicazione di future bocche eruttive. In questo caso, i ricercatori hanno verificato il funzionamento del modello anche nelle prove retrospettive, verificando cioè se il modello riuscisse a individuare la posizione di bocche di eruzioni passate, non utilizzate per la sua messa a punto.“La parte più difficile è stata realizzare un metodo valido per tutti i vulcani. Il prossimo passo sarà quello di applicare il metodo a specifici vulcani per costruire carte di pericolosità che ci aiutino ad individuare la posizione delle bocche di eruzioni future con un’affidabilità più elevata di quanto finora possibile. Se l’approccio funzionerà, infatti, potrà essere determinante nella pianificazione dell’uso del territorio in aree vulcaniche”, conclude il ricercatore.
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L’emissione di radon dalle faglie dell’Etna: un nuovo pericolo da monitorare
Posted by fidest press agency su venerdì, 17 Maggio 2019
Le faglie dell’Etna rappresentano un triplice pericolo per le popolazioni: generano terremoti, fratturano il suolo ed emanano radon, un gas cancerogeno che può accumularsi nelle case rendendole insalubri. Lo studio, a firma INGV, è stato pubblicato sulla rivista internazionale “Frontiers in Public Health”L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) da molti anni analizza su tutto il territorio nazionale il radon, un gas cancerogeno che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) colloca nel “gruppo 1”, ovvero tra i più pericolosi per la salute umana.Un territorio particolare è quello dell’Etna, sui cui fianchi affiorano numerose faglie che presentano una peculiarità: fratturano intensamente le rocce esse circostanti aumentando significativamente la loro permeabilità. Ciò consente ai fluidi e ai gas presenti nel sottosuolo di muoversi più liberamente in quelle zone fratturate, raggiungendo la superficie con più facilità. Tra questi gas, emerge in superficie anche il radon.L’INGV monitora il radon sull’Etna h24 attraverso una rete di sensori dislocati nel terreno in aree chiave per interpretare l’attività vulcanica e sismica, raffrontando questo dato con i numerosi altri segnali provenienti dalle fitte reti di monitoraggio dell’Osservatorio Etneo (INGV-OE).Dal 2015, però, le analisi del radon sono state eseguite anche in aria e, in particolare, “indoor”, cioè all’interno delle abitazioni per verificare se il gas, non percepibile dai nostri sensi giacché inodore, incolore e insapore, assume concentrazioni pericolose per la salute umana.I primi risultati delle misure radon indoor sono stati appena pubblicati sulla rivista internazionale Frontiers in Public Health – Environmental Health, in un articolo scientifico intitolato “Preliminary Indoor Radon Measurements Near Faults Crossing Urban Areas of Mt. Etna Volcano (Italy)”, firmato da Marco Neri, Salvatore Giammanco e Anna Leonardi.Per tre anni sono state registrate misure continue da dodici sensori collocati in sette edifici ubicati sulle pendici meridionali e orientali del vulcano, nei territori di Giarre, Zafferana Etnea, Aci Catena, Aci Castello e Paternò.Il monitoraggio continuo su lungo periodo del radon indoor ha consentito ai ricercatori di “depurare” i segnali di concentrazione del radon dalle variazioni indotte dalle condizioni ambientali, a loro volta legate all’alternarsi delle stagioni.I sensori hanno rilevato concentrazioni medie annue spesso superiori a 100 Bq/m3 (Bequerel per metro cubo), che corrisponde al valore di primo livello di attenzione per esposizione media annuale raccomandato dall’OMS. In alcuni casi, tale concentrazione media è risultata maggiore di 300 Bq/m3, con punte superiori a 1000 Bq/m3 registrate per molti mesi consecutivamente. Questi dati completano i rilevamenti delle concentrazioni di radon misurate nei terreni dell’Etna negli anni passati, che hanno mostrato valori variabili da poche migliaia a oltre 70.000 Bq/m3.Lo studio documenta, inoltre, che le abitazioni con maggiore presenza di radon al loro interno sono ubicate in prossimità di faglie attive. In altre parole, più le case monitorate erano ubicate in prossimità delle faglie, più è risultata alta la concentrazione di radon al loro interno.Questo dato conferma, una volta di più, che la pericolosità delle faglie etnee è data non solo dalla loro sismogeneticità ma anche dalla loro permeabilità ai gas, consentendo la risalita del radon.In definitiva, l’articolo pubblicato su Frontiers in Public Health documenta un primo campionamento continuo e pluriennale del radon indoor, anche se riguarda un numero limitato di abitazioni. Tuttavia, i dati raccolti evidenziano un potenziale problema per la salute della popolazione etnea, che ammonta quasi a un milione di persone, e pertanto appare opportuno e utile approfondire ed estendere questo monitoraggio a un campione di edifici maggiormente corposo.Nell’insieme, quindi, un quadro generale che merita l’attenzione dei ricercatori che si occupano di valutare la salubrità degli ambienti abitati, anche considerando che il recente sisma del 26 dicembre 2018, colpendo pesantemente il versante sud-orientale dell’Etna, ha evidenziato ancora una volta la vulnerabilità del territorio etneo e la sua esposizione a fenomeni naturali di vario tipo.Link all’articolo: https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fpubh.2019.00105/full fonte: Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) dalla rivista internazionale Frontiers in Public Health – Environmental Health
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Stromboli: realizzata la prima radiografia muonica del vulcano
Posted by fidest press agency su giovedì, 2 Maggio 2019
Per la prima volta è stata realizzata una muografia del vulcano Stromboli, frutto della collaborazione di un gruppo di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) in collaborazione con Istituti di ricerca giapponesi. La muografia, o radiografia muonica, è una tecnica che utilizza i muoni, particelle che vengono prodotte quando i raggi cosmici provenienti dallo spazio interagiscono con l’atmosfera terrestre, per ricostruire un’immagine della struttura interna di un oggetto. I risultati della radiografia muonica del vulcano Stromboli, pubblicati oggi sulla rivista internazionale Scientific Reports di Nature, hanno rivelato la presenza di una zona a bassa densità nell’area sommitale del vulcano. Questa zona corrisponde a una struttura di collasso formatasi nell’area dei crateri durante l’eruzione effusiva del 2007 e successivamente riempita da materiale piroclastico incoerente prodotto dall’attività esplosiva stromboliana. Questa struttura, che ha condizionato lo stile eruttivo del vulcano dopo l’eruzione del 2007, presenta una densità di oltre il 30% inferiore rispetto al resto del substrato roccioso.La tecnica della radiografia muonica si basa su un principio simile a quello delle radiografie che utilizzano i raggi X, ma rispetto a questa presenta il vantaggio di poter essere impiegata per investigare oggetti molto più grandi, come i vulcani, appunto, perché i muoni hanno capacità di penetrazione nella materia molto maggiore rispetto ai raggi X.
“Il rivelatore di muoni che abbiamo progettato si basa sulle tecnologie sviluppate per l’esperimento OPERA, che ha studiato ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN le proprietà del fascio di neutrini proveniente dal CERN”, spiega Giovanni De Lellis della Sezione INFN di Napoli e dell’Università Federico II, a capo dell’esperimento OPERA e tra gli ideatori del progetto. “La prima sfida che abbiamo dovuto affrontare è stata la necessità di ideare un rivelatore compatto con alta risoluzione angolare, che non richiedesse alimentazione elettrica, che si potesse trasportare sulle pendici di un vulcano e resistesse alle intemperie”.Il rivelatore utilizzato è costituito da 320 film di emulsioni nucleari, speciali lastre fotografiche che consentono di “fotografare” con grande precisione il passaggio delle particelle che le attraversano. La superficie del rivelatore utilizzata è di circa un metro quadrato. Il rivelatore è stato posizionato nel sito Le Roccette, a 640 metri di quota, e ha raccolto per circa 5 mesi le tracce dei muoni che hanno attraversato il vulcano.
“I muoni prodotti nell’interazione dei raggi cosmici con l’atmosfera penetrano nella roccia vulcanica e possono attraversarla da parte a parte. Tuttavia, a seconda della densità e dello spessore della roccia, una parte di questi viene assorbita”, spiega Valeri Tioukov dell’INFN di Napoli, che ha coordinato il progetto. “Dal numero di muoni che arriva sul nostro rivelatore dalle diverse direzioni possiamo quindi capire la densità del materiale che hanno attraversato.” Radiografie periodiche della sommità del vulcano potranno essere usate per monitorare l’evoluzione della sua struttura interna.
Dove: rivista Scientific Reports di Nature Link all’articolo: https://www.nature.com/articles/s41598-019-43131-8
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Guatemala/vulcano Fuego: più di 650.000 bambini vivono in aree colpite dall’eruzione del vulcano
Posted by fidest press agency su lunedì, 11 giugno 2018
L’UNICEF sta lavorando in Guatemala con i partner per fornire aiuto agli oltre 650.000 bambini e adolescenti che vivono nelle aree colpite dall’eruzione del vulcano Fuego. Finora sono state evacuate oltre 12.000 persone, mentre circa 3.700 persone – tra cui centinaia di bambini – sono ora ospitate in rifugi di emergenza.
“In situazioni di emergenza come questa, i bambini potrebbero perdere l’accesso a cibo e nutrimento adeguati, assistenza sanitaria, protezione, acqua potabile e servizi igienico-sanitari”, ha dichiarato Carlos Carrera, rappresentante dell’UNICEF in Guatemala. “È imperativo garantire che i bambini colpiti, compresi quelli che ora vivono in centri di accoglienza, rimangano protetti da malattie e violenze e siano al sicuro”.Team dell’UNICEF in Guatemala hanno effettuato una valutazione della situazione con il governo e i suoi partner per determinare le necessità urgenti dei bambini e delle loro famiglie e coordinare le azioni di risposta, tra queste:Fornire sostegno psicosociale ai bambini colpiti e alle loro famiglie;
Sostenere il ricongiungimento familiare per i figli separati;
Garantire la protezione dei bambini nei centri di accoglienza;
Garantire acqua, igiene e servizi igienici adeguati;
Aprire spazi adatti ai bambini;
Sostenere un’alimentazione adeguata per i bambini, sottolineando i benefici dell’allattamento al seno per i bambini;
Garantire la continuità dell’istruzione e il ritorno a scuola il più presto possibile.
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Riapre “Mari del Sud resort”
Posted by fidest press agency su mercoledì, 18 Maggio 2016
Vulcano (Eolie) Riapre a Vulcano venerdì 20 maggio la struttura alberghiera all’interno del giardino più grande delle isole Eolie.
Novanta camere, un ristorante capace di servire 150 coperti, il giardino più grande delle Eolie e soprattutto più di trenta eventi musicali e di intrattenimento che accompagneranno tutta la stagione estiva.Sono questi numeri reali a dare forza alla riapertura del Mari del Sud Resort, la struttura alberghiera di Baia di Ponente a Vulcano, nelle isole Eolie, che apre la sua stagione turistica venerdì 20 maggio, con un dettagliato calendario di eventi musicali, culinari e sportivi. Un piccolo paradiso terrestre, da anni è sotto la gestione della Compagnia Pietro Barbaro Spa, all’interno del circuito Eden viaggi. Il complesso è perfettamente integrato con la natura del territorio e con il paesaggio circostante, rispettandone i colori e l’atmosfera autentica. Numerosi i servizi a disposizione. Tra questi: il ristorante aperto anche a chi non è cliente dell’hotel.A fare da perno di attrazione del nuovo Mari del Sud Resort saranno gli eventi serali. Così, tutti i weekend sarà “Vulcano live”, ovvero un calendario di concerti con protagonisti artisti siciliani, che accompagneranno il dopocena della grande terrazza. Si comincia il 21 maggio con i B23. Paola Consagra e Simone Di Rando, chitarre in mano e armonica in bocca, porteranno il pubblico in un viaggio nella musica dal pop al country, schiacciando un occhio particolare a Lucio Battisti e al genere folk di Bob Dylan. Il 27 maggio tocca ai Four guys one carbonara, recenti vincitori del concorso Rock 10 e lode. Il 3 giugno sarà il turno dei Trio’clock della Cast agency. Mentre venerdì 10 giugno saranno protagonisti, provenienti da Musicultura, Giulia Catuogno con Vittorio Di Matteo. Il sabato al resort sarà il giorno del benessere, con numerose iniziative dedicate al relax e alla cura del corpo. Il 21 maggio i clienti potranno avere una consulenza con la nutrizionista Maria Givone Toro, con momenti dedicati allo yoga e ai massaggi. Il 4 giugno, invece, Caterina Forte terrà una lezione di feldenkrais, ovvero come tenere flessibile e sana la schiena.
Per il weekend del 2 giugno, il resort ha organizzato “Aeolian bridge”, ovvero tre giorni di relax e alla scoperta dell’isola, con sfilate di moda, discoteca, concerti e party a bordo piscina. (foto: vulcano, isole eolie)
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Il vulcano più misterioso al mondo
Posted by fidest press agency su domenica, 8 Maggio 2016
(Fidest) Quando si arriva ai Campi Flegrei l’idea d’imbattersi in un vulcano come il Vesuvio o l’Etna probabilmente c’impedisce di valutare pienamente le caratteristiche e le ricchezze geologiche di questo vulcano che ci permette di esserci “dentro” come se si entrasse in un’arena e le protuberanze che la contornano non ci sembrano a prima vista i bordi di una bocca che ha eruttato ma gli spalti di un campo anche se al posto di una folla plaudente vi alberga una fitta vegetazione. E l’idea di pestare i piedi su un terreno che non si percepisce ostile non ci rende consapevoli del tutto che solo a dieci centimetri di profondità la temperatura può raggiungere i 70-80 grandi centigradi e che 500 anni prima la sua eruzione è stata devastante. A qualcuno di noi può anche venire in mente le reminiscenze scolastiche rispolverando l’Eneide di Virgilio o in tempi più recenti il film di cui era protagonista Totò che fece la sua parte tra le fumarole dei campi Flegrei. Ma se questo cratere non ci fa paura, perché silente, a ricordarci la sua pericolosità e i suoi potenziali georischi vulcanici ci pensano i geologi reduci dal Congresso Nazionale
tenutosi a Napoli che in questa circostanza ci accompagnano come Lorenzo Benedetto, Giuseppe Doronzo, Gianluca Galletti, Francesco Peduto Presidente Consiglio Nazionale Geologi e altri.
Di là dello spettacolo suggestivo che in prima istanza appare alla nostra vista le nostre esperte guide ci permettono d’avere una visuale panoramica dei Campi Flegrei un po’ diversa e più inquietante. Vediamo da vicino la Bocca Grande, al cui interno si condensano alcuni sali contenuti nel vapore tra cui il realgar, il cinabro e l’orpimento che danno una colorazione giallo rossiccia alle rocce circostanti e che il geologo Vincenzo Morra del Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e delle Risorse dell’Università Federico II di Napoli ci tiene a precisare che “I Campi Flegrei sono un campo vulcanico che occupa principalmente un’area situata ad Ovest del centro urbano della città di Napoli, quest’ultimo incluso”. “L’attività vulcanica flegrea – rileva – è stata caratterizzata da un gran numero di eruzioni a carattere principalmente esplosivo, che hanno dato origine a numerosi edifici
vulcanici prevalentemente monogenici, responsabili della messa in posto di abbondanti volumi di depositi piroclastici, cui si aggiunge un numero molto più esiguo di eventi effusivi, rappresentati da sporadiche colate e duomi di lava di dimensioni ben più limitate. Sono generalmente considerati parte integrante del vulcanismo flegreo anche i prodotti delle vicine isole di Ischia e Procida, accomunati ai prodotti flegrei dell’area “continentale”. Ma ciò che oggi resta non ci rende del tutto consapevoli che ad esempio nell’alto Medio Evo erano attive ben 40 stazioni termali. C’è un pozzo, che, a sua volta, è stato costruito nell’800 per estrarre allume dall’acqua emunta dalla sottostante falda a circa 10 metri di profondità. E ancora due antiche grotte che furono poi scavate, sempre nell’800, ai piedi della montagna che sovrasta la Solfatara per i trattamenti termali.
In ogni modo di là di quanto vediamo e possiamo immaginare, in un passato recente o remoto che sia, dobbiamo renderci conto che il vulcanismo flegreo continentale è un qualcosa che ha creato fenomeni eruttivi di particolare intensità e rovinosi in un’area molto vasta. Essi sono comunemente suddivisi sulla base del riconoscimento di due eventi eruttivi principali, i cui depositi da sempre hanno
rappresentato degli ottimi marker stratigrafici per la ricostruzione dell’evoluzione geologica del luogo. Il primo di questi eventi è rappresentato dall’eruzione dell’Ignimbrite Campana (IC), il più catastrofico degli eventi esplosivi documentati nell’area Mediterranea negli ultimi 200 mila anni”. Non dimentichiamo che 39.000 anni fa il materiale eruttato raggiunse la Russia e fu accompagnata da un esteso collasso calderico che diede origine alla caldera dei Campi Flegrei. “Tale eruzione fu caratterizzata dalla messa in posto di abbondanti – precisa Morra – depositi piroclastici da caduta e da flusso dalla composizione essenzialmente trachitica (più raramente fonolitica), che andarono a ricoprire un’area che dai Campi Flegrei si estende fino al Mediterraneo orientale e, nelle sue propag-gini più periferiche, fino alla Russia”. “Il secondo evento – soggiunge Morra – è l’eruzione del Tufo Giallo napoletano risalente a 15.000 anni fa.” Seguirono in epoche successive almeno 37 eventi esplosivi, il più energetico dei quali sarebbe rappresentato dall’eruzione delle Pomici Principali (vulcano di Astroni). Degna di attenzione anche l’eruzione di Agnano-Monte Spina (4100 anni). E il tutto si compendia, se vogliamo, con l’ultima eruzione ai Campi Flegrei che risale al 1538 con il Monte Nuovo.
Sono 500 anni che ci separano da quell’evento che i geologi, senza giri di parole, definiscono impressionante per i suoi effetti distruttivi su un’area dove oggi vi sono diversi insediamenti abitativi. E qui la preoccupazione di quanti temono una ripresa alla grande dell’attività vulcanica. Per questo motivo si vuole che la memoria non dimentichi il passato, che vi sia maggiore attenzione popolare su ciò che è stato e che potrebbe diventare quest’area se si trovasse nuovamente scossa dall’esplosione vulcanica. Per parte loro le strumentazioni utilizzate sul terreno sono sempre attive e sensibili per rivelare anche il più piccolo segnale per un qualcosa che potrebbe mettere in allarme i geologi e i vulcanologi. Ce lo dice, senza mezzi termini Galletti quando afferma: “Senza sicurezza del territorio non ci può essere crescita, non possono esserci investimenti. In questa misura i geologi sono chiamati ad es-sere tra i protagonisti del rilancio del sistema Paese”. E il discorso, ovviamente, va oltre i Campi Flegrei e il suo entroterra e si estende su tutto il territorio nazionale. E l’appello di Peduto non lascia spazio a malintesi: “Oggi da Napoli lanciamo la Carta per l’Italia. Vogliamo contribuire alla costruzione del futuro. Chiediamo anche una Legge Nazionale che individui il Patrimonio Geologico italiano e lo protegga alla pari di quello culturale”. Questa sorta di appello sembra sia stato recepito dal ministro dell’ambiente Gianluca Galletti che in un’intervista rilasciata alla Rivista del Consiglio Nazionale dei Geologi ha tra l’altro dichiarato: “Serve lavorare su ciò che è mancato drammaticamente per decenni dove è stata carente una vera cultura della prevenzione e della cura verso il territorio. Di quel disinteresse ora ne stiamo pagando gli effetti più gravi, visti gli eventi estremi che si abbattono ininterrottamente sul suolo nazionale mettendone a nudo le fragilità strutturali”. E rivolgendosi ai Geologi si è così espresso: “Ci sarà sempre più bisogno di uno studio scientifico della terra e delle sue complessità. Il lavoro del geologo può essere la professione del futuro – ha proseguito il Ministro – nell’ambito di quella filiera virtuosa della ‘green economy’ che
già rappresenta una realtà occupazionale per tanti giovani ma sarà sempre di più lo sbocco lavorativo di molti ragazzi. L’economia del futuro sarà tutta ambientale e verde, per cui le opportunità – se saremo coerenti con gli impegni di Parigi e dei consessi europei – andranno moltiplicandosi”.
E il passaggio del ministro riguardo i giovani e la scuola, dove si matura la formazione, non è sfuggito ai geologi che per Galletti “E’ certamente bella l’idea di un geologo che spieghi ai ragazzi con parole semplici ed esempi concreti, i problemi del nostro territorio e cosa fare per prendersene cura. L’educazione ambientale è la grande sfida culturale di questo governo e del ministero che presiedo: sono nate le linee guida con il contributo del Formez e con la Buona Scuola abbiamo ribadito la centralità e la trasversalità delle materie ambientali tra i banchi di scuola, che sempre più dovranno essere rese strutturali nei programmi scolastici e non lasciate alla sensibilità dei singoli insegnanti. E’ giusto e direi anche necessario che all’insegnamento didattico si affianchi la “pratica” sul campo: gli studenti visitino gli impianti del riciclo e i parchi nazionali, ma li si porti anche su quel territorio complesso dove i geologi lavorano ogni giorno. Dobbiamo spiegare loro che molto, da cittadini di oggi e soprattutto di domani, possono fare per ridurre i rischi”.
Questo scenario che vede in prima linea la vicina città di Pozzuoli ci richiama l’importante fenomeno del bradisismo e che proprio in quell’area registra vistosi segni della sua presenza e qui dovremmo aprire un altro importante discorso ma che ci riproponiamo di fare in seguito.
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Il vulcano islandese si fa ancora sentire
Posted by fidest press agency su lunedì, 10 Maggio 2010
La nube vulcanica sembra ancora interessare i cieli europei dopo la settimana di passione. Anche negli scali italiani tra sabato e domenica scorsa sono stati centinaia i voli cancellati. Ora sembra che il peggio sia passato. Nel primo pomeriggio di oggi il ministro Matteoli ha assicurato che si torna alla normalità. Ha, tuttavia, tenuto a precisare che “la situazione continuerà a rimanere sotto controllo e ci auguriamo che il traffico aereo possa ritornare regolare nel giro di poche ore”. I disagi per i passeggeri, ovviamente, non sono mancati. All’aeroporto di Caselle a Torino il blackout è stato totale. Decine di altri voli sono stati cancellati a Pisa, Firenze, Palermo, Bari, Genova. E, come era inevitabile, le stazioni ferroviarie sono state prese d’assalto in specie a Milano e a Roma per un posto. Precedenti: qui
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Scienza e arti all’ombra del vulcano
Posted by fidest press agency su giovedì, 5 novembre 2009
Catania fino al 16/12/2009 Via Biblioteca, 13, Monastero dei Benedettini, Biblioteche Riunite Civica e A. Ursino Recupero, Sala Vaccarini Il monastero benedettino di San Nicolo’ l’Arena, insieme a quello di Mafra in Portogallo il piu’ grande d’Europa, torna oggi prepotentemente all’attenzione del pubblico con una mostra – Scienza e arti all’ombra del vulcano. Il monastero di San Nicolo’, a partire dagli anni Quaranta del Settecento e sino alla sua soppressione, e’ stato crogiolo di una intensa attività culturale aggiornata sui progressi della scienza e del sapere internazionale. Accolta dunque in quello che puo’ essere ritenuto il tempio del sapere del monastero di San Nicolo’ la mostra si propone di mettere in scena l’interdisciplinarità che diede origine parallelamente ad approfonditi studi nel campo dell’antiquaria, della vulcanologia, della geografia, della botanica, della agronomia, della mineralogia e della astronomia, che mirano a restituire la peculiare fisionomia storica e naturalistica della città -all’ombra del vulcano-. Emblematica in questo senso e’ la figura di Vito Maria Amico, teorizzatore, alla metà del Settecento, dell’indissolubilità del binomio storia-geografia. Nella rassegna sono stati quindi nuovamente riuniti alcuni di quei -tesori- appartenuti al Museo dei benedettini, rappresentati sia da opere di manifattura siciliana che da reperti acquistati sul mercato romano. Ad evocare le arti del titolo della mostra contribuiscono inoltre l’imponente Meridiana nel pavimento della navata centrale della chiesa di San Nicolo’, il cui progetto nel 1841 venne affidato dall’abate Corvaja a due scienziati d’oltralpe il tedesco Wolfgang Sartorius von Waltershausen e il danese Christian Frederick Peters, mentre le tarsie in marmo delle costellazioni furono eseguite dal lapicida Carlo Cali’ su disegno di Thorvaldsen, e il monumentale organo costruito da Donato del Piano, ammirato da tutti i viaggiatori in Sicilia della seconda metà del Settecento e dell’Ottocento, da cui risulta evidente la passione dei monaci per le questioni relative all’acustica e la musica. Nella fattispecie, a testimonianza di quanto la presenza delle muse Erato e Euterpe nel monastero dei benedettini fossero preminenti, e’ esposto un ritratto di Vincenzo Bellini, il Cigno catanese che, giovanissimo, diede prova della sua arte nella stessa chiesa di San Nicolo’. La mostra e’ arricchita dall’edizione di un catalogo edito da Giuseppe Maimone Editore. Progetto di Enrico Iachello e Giovanni Salmeri Mostra e allestimento a cura di Caterina Napoleone con la collaborazione di Diana Rastelli Organizzazione e catalogo Giuseppe Maimone Editore. (interno)
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