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Quotidiano di informazione – Anno 36 n° 174

Autonomia, dal Rapporto Crea l’analisi della situazione e i trend dei prossimi anni

Posted by fidest press agency su martedì, 25 giugno 2024

A chi fa male l’autonomia delle regioni del Nord in sanità? A nessuno, al solo Sud, al resto d’Italia, a tutta Italia o soprattutto… al Nord? Il 12° rapporto Crea Sanità non risponde a queste domande, ma crea i presupposti per risposte future. Alla presentazione, il presidente del comitato scientifico Federico Spandonaro, docente all’università di Tor Vergata, ribadisce che il suo network non ha preconcetti su un intervento in sanità che di fatto realizza il dettato costituzionale di 23 anni fa. Ma siccome il Rapporto Crea misura quanto nelle singole regioni i residenti (pazienti e altri stakeholder) trovano rispettato il loro diritto alla salute, urge capire da dove partiamo e i trend dei prossimi anni. Da dove partiamo. L’indagine è in due step. Nel primo 20 indicatori raggruppati in 5 categorie appropriatezza, economia, equità, esiti, innovazione e sociale sono sottoposti a 104 opinion leader rappresentativi di cinque panel: industria medicale; istituzioni nazionale, regionali e comunali; management delle Asl; professioni sanitarie (società scientifiche e sindacati); e cittadini/pazienti. Ogni categoria dà il suo punteggio di “sensibilità” in relazione a livelli alti o bassi di indici, in media 4 per categoria. Quali ad esempio: il tasso di accesso ai pronti soccorso nei giorni feriali o l’adesione a screening e vaccini da parte dei residenti (appropriatezza); la spesa privata in rapporto ai consumi delle famiglie o la spesa totale in rapporto alla media europea (economici); la mobilità di pazienti per interventi a bassa complessità (equità); l’adozione di stili di vita corretti e la mortalità per IMA a 30 giorni (esiti); il tasso di attivazione del fascicolo sanitario (innovazione); gli over 75 inseriti in Rsa e gli anziani in assistenza domiciliare (sociale). Viene fuori da una parte che solo 4 regioni (Veneto Piemonte Trentino Alto Adige e Toscana) hanno performance superiori al 53% del livello massimo, e la sufficienza (60/100) l’ha solo il Veneto; poi esiste un altro Nord (che include le Marche) con performance tra 45 e 52; maluccio il Centro con però Sardegna (37-44%) e anche Campania e Puglia che rispetto al resto del Sud sono in recupero; nelle retrovie Sicilia, Calabria, Basilicata, Molise con tassi sotto il 35% per 7,5 milioni di abitanti in tutto.Le tendenze Delle regioni che chiedono l’autonomia Veneto, Emilia Romagna, Lombardia la prima dunque è sufficiente e le altre due sono poco sotto la sufficienza. Le altre presentano performance molto eterogenee. L’analisi sull’impatto della legge sull’autonomia presentata da Spandonaro punta su indicatori nuovi pesati per moltiplicatori specifici quali l’impatto della misura sulle quantità di popolazione (politiche su 10 milioni di lombardi pesano di più che su 1 milione di lucani), o l’intensità-pervasività del cambiamento organizzativo operato. E propone tre confronti su come sono andate fin qui le cose in sanità: il primo, da rivedere, è tra regioni a statuto speciale e a statuto ordinario; il secondo match è tra regioni a statuto ordinario in deficit con piano di rientro ed “altre”; il terzo è tra regioni che hanno chiesto l’autonomia e resto d’Italia. Gli indicatori di primo e secondo match confermano trend che si potevano intuire: dal Covid in poi, le regioni che hanno chiesto l’autonomia quelle dove la pandemia ha picchiato più duro sono andate un po’ peggio. Mentre le regioni del Sud in deficit hanno recuperato gran parte dei gap pregressi, specie Puglia e Campania, pur senza ancora raggiungere i livelli del Nord. «Sono spunti interessanti ma prima che si compia il biennio d’attuazione dell’autonomia vanno aggiunti all’analisi indicatori ulteriori ammette Spandonaro come, ad esempio, il trend ed il peso delle prestazioni extra-Lea non erogate dal servizio sanitario pubblico». Un altro indicatore lo propone Giancarlo Ruscitti DG politiche sociali provincia di Trento, che dalla tavola rotonda invita a pesare l’impatto dei fondi integrativi non più in termini di sovrapposizione al pubblico bensì in termini di spesa “di tasca propria” evitata ai privati cittadini. In Trentino è andata proprio così: la spesa pro capite totale è alta, ma al netto della spesa coperta dai fondi sanitari che oggi sono nei contratti di tutti i dipendenti, è la più bassa d’Italia. (Fonte Sanità33)

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