A tre anni dall’inizio della pandemia, le persone si sono abituate, ormai, ai sintomi dell’infezione da virus SARS-CoV-2 e sanno che il Covid-19 resterà in circolazione. Molte persone, nel corso della pandemia, sono andate incontro a reinfezione. Un articolo su Nature, curato da Cassandra Willyard, ha fatto il punto sulle eventuali conseguenze per l’organismo a seguito di due o più infezioni da nuovo coronavirus.Gli esperti stimano che la maggioranza della popolazione mondiale sia stata infetta almeno una volta. Negli USA, alcune stime indicano, inoltre, che il 65% della popolazione è andato incontro a infezioni ripetute da virus SARS-CoV-2 e con gli anni i casi aumenteranno. Gli ultimi dati da diversi Paesi, invece, parlano di tassi dal 5% al 15%. Gli scienziati, dunque, si interrogano su quanto possano essere pericolose le infezioni ripetute, un punto su cui gli esperti sono divisi perché secondo alcuni il virus SARS-CoV-2 non causa niente di più di un comune raffreddore, specialmente per le persone vaccinate, mentre per altri, le infezioni ripetute causano danni duraturi o cambiamenti al sistema immunitario, con ripercussioni negative a livello di salute, nel lungo periodo. Quando si ha una reinfezione, il sistema immunitario sembra rispondere bene, andando ad eliminare il virus più velocemente, in media in cinque giorni, rispetto a una media di sette giorni per la prima infezione. Altri studi, poi, mostrano che le persone che sono state interessate da un’infezione lieve, la prima volta, a un’eventuale seconda infezione torneranno ad avere una malattia lieve e due ampi studi hanno mostrato che le reinfezioni tendono a essere meno rischiose rispetto a quella iniziale. Tuttavia, le reinfezioni non sembrano essere totalmente libere da rischi e coloro che sono più vulnerabili alla malattia grave durante la prima infezione continuano a esserlo nei casi di reinfezione, anche se i rischi di ricovero e decesso diminuiscono. Un altro ampio studio, invece, ha mostrato che infettarsi più volte mette più a rischio, dal momento che le persone con reinfezioni hanno il doppio di probabilità di morire e tre volte la probabilità di andare incontro a ricovero e di avere problemi cardiaci e trombi rispetto alle persone infettate una volta sola. Come indicano studi citati da Nature, gli ultimi dati evidenziano che il rischio di Long Covid si riduce con infezioni successive. Gli adulti, infatti, hanno un rischio del 4% di sviluppare Long Covid dopo una prima infezione, rischio che scende a 2,4% dopo una reinfezione, mentre per bambini e adolescenti il rischio di Long Covid dopo una prima infezione o dopo le successive resta più o meno stabile. Tuttavia, per le persone che hanno già manifestato Long Covid, le reinfezioni sembrano aggravare i sintomi. In uno studio di quasi 600 persone con Long Covid, l’80% ha riferito che le reinfezioni hanno peggiorato almeno qualcuno dei sintomi e solo il 15% ha riferito che le reinfezioni non hanno avuto impatto sulle manifestazioni. Infine, per quel che riguarda il sistema immunitario, alcuni esperti pensano che anche i casi lievi di Covid-19 possano causare danni duraturi, che renderebbero le persone più suscettibili ad altre infezioni. Molti immunologi, tuttavia, pensano che le evidenze attuali non siano sufficienti a trarre conclusioni in questo senso e che i problemi ci sono solo per chi ha un’infezione grave, mentre per la gran parte delle persone che si riprende non ci sono segni che il virus causi un deficit immunitario duraturo. By Sabina Mastrangelo fonte: Doctor33
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Covid-19, quali rischi si corrono con una nuova infezione
Posted by fidest press agency su giovedì, 25 Maggio 2023
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“COVID-19, tre anni dopo: impatti sulle cure e il ruolo della vaccinazione”
Posted by fidest press agency su domenica, 14 Maggio 2023
Roma martedì 23 maggio 2023 alle ore 10.00, al Senato della Repubblica (sala “Caduti di Nassiryia”), in Piazza Madama. Su iniziativa della Senatrice Tilde Minasi, un evento istituzionale che vuole fare il punto sugli impatti della pandemia sull’erogazione delle prestazioni, analizzare il contributo delle vaccinazioni non solo agli outcome di salute ma anche alla ripresa economica del Paese e discutere dell’organizzazione del sistema e delle cure alla luce della “nuova normalità” dopo lo shock pandemico.
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Covid-19, stop mascherina in ospedale dal 30 aprile
Posted by fidest press agency su lunedì, 24 aprile 2023
Il 30 aprile, cadrà l’obbligo di indossare la mascherina in tutte le strutture sanitarie, ospedali, ambulatori e studi medici. Sulla possibilità di prolungamento della misura non ci sono ancora certezze da parte del Governo che sembrerebbe però più orientato per un rinnovo meno rigido, lasciando ad esempio l’obbligo solo in alcune aree. Fra le ipotesi sul tavolo c’è anche quella di lasciare la scelta ai direttori generali ma al momento non c’è una decisione definitiva e nei prossimi giorni si valuterà quanto accade anche dal punto di vista epidemiologico. In proposito il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato aveva invitato di recente a non avere un approccio “ideologico” e gli esperti anche se sembrano divisi sull’opportunità di mantenere l’obbligo, sono concordi sull’importanza di lasciare la protezione nelle zone dove ci sono i pazienti più fragili. Gli esperti sono divisi sulle misure da adottare, se per Matteo Bassetti, direttore della Clinica Malattie Infettive Ospedale Policlinico San Martino di Genova e presidente della Società Italiana di Terapia Antinfettiva, bisogna eliminare l’obbligo; per Nino Cartabellotta, presidente di Fondazione Gimbe, è importante mantenere la mascherina in tutti gli ambienti sanitari. «Obbligo o no, resta comunque fermo il principio che in un ambiente sanitario si deve tutelare il paziente, soprattutto se fragile. Quindi spero che rimanga buona norma indossare una mascherina in presenza di sintomi respiratori o in prossimità di un paziente particolarmente fragile», sostiene. Però, in ospedale, ci sono pazienti fragili, ci sono altre malattie. Per questo serve fare una valutazione anche per il futuro, nell’interesse dei pazienti più vulnerabili. Ci deve essere quindi una riflessione che prescinde dalla ‘questione Covid’, per la quale non c’è più emergenza. Bisogna valutare i normali comportamenti all’interno di una struttura ospedaliera dove ci sono persone fragili e girano malattie che si trasmettono per via aerea». (fonte Doctor33)
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Covid-19, come pianificare le vaccinazioni future
Posted by fidest press agency su venerdì, 7 aprile 2023
“Sebbene finora non sia emerso un chiaro schema stagionale della circolazione del virus Sars-CoV-2, i dati mostrano che l’impatto della malattia è stato molto più elevato durante il periodo autunno-inverno, corrispondente alla tradizionale stagione influenzale. In questo contesto, i modelli matematici indicano che un programma di vaccinazione in autunno 2023, rivolto a persone di età pari o superiore a 60 anni, dovrebbe prevenire fino al 32% dei ricoveri correlati a Covid nell’Ue/Spazio economico europeo, supponendo un’adesione molto elevata”. E alle stesse condizioni, “la combinazione” del vaccino autunnale agli over 60 “con una campagna di vaccinazione per la primavera 2023 destinata a persone dagli 80 anni in su dovrebbe prevenire fino al 44% dei ricoveri”. È la previsione dell’Ecdc, Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, contenuta nell’ultimo rapporto in cui si propongono delle considerazioni provvisorie di salute pubblica per la vaccinazione Covid nel 2023.Per realizzare i modelli matematici, gli esperti dell’Ecdc hanno preso in considerazione le conoscenze raccolte su una serie di fattori, tra cui la diminuzione dell’efficacia del vaccino, i gruppi di età interessati dalla più recente campagna di richiami in autunno-inverno 2022-2023 e la situazione epidemiologica del 2022. In definitiva, conclude l’Ecdc, “le decisioni nazionali sulle migliori strategie adatte al contesto epidemiologico locale dovrebbero essere prese dai Paesi, tenendo conto del loro contesto specifico, soprattutto considerando la probabile diffusione in una determinata fascia d’età per massimizzare l’impatto”. In questo momento, comunque, “permangono notevoli incertezze sui futuri sviluppi epidemiologici e ciò potrebbe influenzare le decisioni future. Per campagne di successo, le autorità sanitarie pubbliche possono prendere in considerazione lo sviluppo di attività di comunicazione mirate, incentrate sul raggiungimento di gruppi ad alta priorità attraverso canali affidabili, e fornire informazioni chiare su quali gruppi sono raccomandati per la vaccinazione, il tipo di vaccini disponibili e i tempi”. (abstract fonte Doctor33)
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Vitamina D per prevenire e trattare Covid-19
Posted by fidest press agency su venerdì, 24 marzo 2023
Recentemente, sei Società Scientifiche internazionali che si occupano prevalentemente di Osteoporosi e di Metabolismo minerale hanno congiuntamente prodotto un documento (Joint Guidance on Vitamin D in the Era of COVID-19, from the ASBMR, AACE, Endocrine Society, ECTS, NOF, IOF https://www.asbmr.org/about/statement-detail/joint-guidance-on-vitamin-d-in-the-era-of-covid-19) nel quale, relativamente al possibile rapporto fra Vitamina D e COVID-19, si afferma che, sebbene numerosi studi epidemiologici osservazionali abbiano suggerito la presenza di un’associazione fra bassi livelli di vitamina D e alta incidenza di infezioni e di letalità da COVID-19, non è possibile ad oggi stabilire con certezza e con sufficiente evidenza scientifica che la supplementazione di vitamina D possa aiutare a prevenire o a trattare l’infezione da COVID-19. Tuttavia, a parere degli estensori del documento, è giustificato organizzare studi controllati sui potenziali effetti positivi della vitamina D sul COVID-19, in quanto è ben noto che la vitamina D aumenta la risposta immunitaria, innata e adattativa, e di conseguenza l’ipotesi, teoricamente del tutto plausibile, merita ulteriori approfondimenti.Il prof. Giancarlo Isaia, Presidente dell’Accademia di Medicina di Torino e della Fondazione Osteoporosi, esprimendo il suo compiacimento alla lettura del documento, segnala che “già nel marzo 2020 l’Accademia di Medicina si era espressa sulla questione, pubblicando un documento (allegato) che fu ampiamente diffuso e commentato in tutto il mondo, anche a seguito della pubblicazione su Aging Clinical and Experimental Research (Isaia G; Medico E. Associations between hypovitaminosis D and COVID-19: a narrative review https://link.springer.com/article/10.1007/s40520-020-01650-9) e nel quale si ipotizzava un possibile ruolo protettivo della vitamina D sul COVID-19. Successivamente, con un secondo documento (allegato) redatto nel gennaio 2021 e condiviso da 153 Clinici e Ricercatori italiani, poi pubblicato su Pharmadvances (D’Avolio A, Isaia GC. on behalf of COVID-Vitamin D Study Group, Accademia di Medicina di Torino. Vitamin D in the COVID-19 prevention and treatment: emerging evidence. http://www.pharmadvances.com/vitamin-d-in-the-covid-19-prevention-and-treatment-emergingevidence/), l’Accademia di Medicina, prendendo atto dei numerosi contributi scientifici che nel frattempo erano stati pubblicati su questo specifico argomento, manifestò una posizione del tutto coerente con quanto ora autorevolmente espresso a livello internazionale”. Si rammarica inoltre perchè “il nostro invito, inviato formalmente alle Istituzioni competenti, ad approfondire la questione con specifici studi controllati, non venne preso nella dovuta considerazione”.
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Indagini sul contrasto alla diffusione del Covid-19 in Italia
Posted by fidest press agency su lunedì, 6 marzo 2023
“Non sono condivisibili e sono al limite dell’inconcepibile le dichiarazioni del presidente della Fadoi, la società scientifica della Medicina Interna, Francesco Dentali, e del Presidente della Fondazione Fadoi, Dario Manfellotto, in merito all’inchiesta giudiziaria della Procura di Bergamo sul contrasto alla diffusione del Covid nel febbraio 2020 nella Provincia di Bergamo. Intanto perché la Procura ha assunto proprie determinazioni sulla base dell’attività peritale svolta da un Consulente Tecnico di professione Medico e docente in materie specifiche e attinenti al caso, ma anche per motivazioni che vanno certamente verificate partendo, sia chiaro, dalla presunzione di innocenza per tutti gli indagati. Per me, medico igienista, era assurdo vedere una nazione inginocchiata per carenza di DPI, di FFP2 nel mentre molti operatori sanitari cadevano come birilli accanto alle persone che a loro si rivolgevano in cerca di salute ed invece trovavano contagio e morte. Uno dei cardini dei Piani Pandemici è la quantificazione e messa a deposito dei DPI, dei disinfettanti e di ogni sussidio occorrente per far fronte ad una pandemia. DPI che avremmo dovuto avere precauzionalmente in deposito, a disposizione ed invece eravamo allo sbando per finire ad affidarci ad un triste mercato fondato sullo sciacallaggio. Oggi siamo di fronte alle determinazioni dell’accusa verso persone che, ripeto, fino a sentenza definitiva, devono essere considerate innocenti. Le accuse si confronteranno con le difese ed è in questo il vantaggio che ne deriverà per capire se sono stati commessi degli errori da non ripetere in evenienze future sempre dietro l’angolo. Certo, avremmo voluto che ad indagare fossero solo le Commissioni parlamentari o anche nei Consigli regionali, ma l’aver osteggiato l’istituzione a livello politico di tali Commissioni non è stato di aiuto ad evitare che altre Autorità se ne facessero carico. Io stesso in Puglia, con il Gruppo di Fratelli d’Italia in Consiglio Regionale, avevo proposto l’istituzione di una Commissione di indagine su come era stata gestita l’epidemia COVID. Si voleva capire perché in una Regione perennemente in zona rossa e in DAD si rilevava un tasso di mortalità specifica tra i più alti d’Italia a fronte di uno spreco di 25 milioni di euro per l’ospedale in Fiera, di 8 milioni di euro per una fabbrica delle mascherine, di circa 45 milioni di euro per dispositivi di DPI arrivati dalla Cina, di 2 milioni di euro per tamponi antigenici a lettura a chemioluminescenza. Anche quella proposta di legge fu bocciata dalla maggioranza di Emiliano: oggi è in atto in Puglia un’indagine giudiziaria”. Lo dichiara il senatore di Fratelli d’Italia Ignazio Zullo.
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Covid-19, tra commissione d’inchiesta e audizioni l’operato del Governo nel mirino
Posted by fidest press agency su domenica, 5 marzo 2023
“In un mese circa (marzo 2020 ndr) nella Bergamasca sono decedute più di 6mila persone in più rispetto ai 5 anni precedenti”. Le parole di Consuelo Locati, avvocato dell’associazione ‘Sereni e sempre uniti’ che in audizione alla Camera rappresenta i familiari delle vittime di Covid, riassumono il clima in cui il Parlamento ha deciso di avviare una commissione di inchiesta e delle audizioni per avviarla al meglio. Le Camere intervengono dopo l’invio degli avvisi di garanzia da parte della Procura di Bergamo a ex premier Giuseppe Conte, ex ministro della Salute Roberto Speranza, governatore lombardo Attilio Fontana ed altri 16 nomi eccellenti della gestione della pandemia, tra cui il presidente dell’Istituto Superiore della Sanità, Silvio Brusaferro, l’allora capo della Protezione Civile, Angelo Borrelli, il presidente del Consiglio Superiore della Sanità, Franco Locatelli ed Agostino Miozzo, coordinatore del Comitato tecnico scientifico nella prima fase dell’emergenza. Nell’atto con cui la Procura di Bergamo ha chiuso l’inchiesta per epidemia colposa si indaga in particolare sull’assenza di unpiano pandemico aggiornato, sulla repentina chiusura e riapertura dell’ospedale di Alzano, sulla mancata”zona rossa” in Val Seriana. Ma le audizioni sono agli inizi. E nel mirino finisce il piano pandemico, mentre i lock-down vengono riabilitati. Partiamo dalla commissione: Lega FdI ed Azione con tre bozze simili propongono un collegio di 20 senatori e 20 deputati, incaricato di valutare tempestività e adeguatezza delle indicazioni del Governo alle regioni, l’attività del Cts, eventuali sprechi negli acquisti del commissario Covid. Le prime due proposte esaminerebbero solo l’operato del Governo, la proposta di Azione anche l’opera di Regioni ed Aziende sanitarie. Nelle audizioni alla Camera, hanno parlato Nino Cartabellotta presidente della Fondazione Gimbe che continua a monitorare la pandemia, il virologo Massimo Galli, gli infettivologi Donato Greco e Matteo Bassetti, Francesco Zambon referente piano aziendale Ulss 2 Veneto, il generale Pier Paolo Lunelli, i Familiari delle Vittime del Covid-19 e Cittadinanzattiva. La relazione di Cartabellotta identifica quattro impennate della pandemia nelle quali si conferma la sostanziale efficacia delle chiusure. Avremo alla fine una base conoscitiva utile anche al fine di contrastare eventuali nuove pandemie?” (fonte Doctor33 -abstract)
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Covid-19, quanto dura l’immunità naturale
Posted by fidest press agency su lunedì, 20 febbraio 2023
La protezione naturale dal Covid dopo una prima infezione è elevata e duratura: infatti una vasta indagine basata sulla revisione sistematica di un numero elevato di ricerche sulla rivista The Lancet, indica che il rischio di ospedalizzazione o di morte per una persona precedentemente infettata dal SARS-CoV-2 resta inferiore dell’88% per almeno 10 mesi rispetto al rischio di un individuo mai precedentemente infettato. Tuttavia, sottolineano gli esperti della University of Washington’s School of Medicine che hanno condotto lo studio, la vaccinazione resta il modo più sicuro di proteggersi dal Covid. Diretti da Stephen Lim, i ricercatori hanno condotto una revisione e una meta-analisi di tutti gli studi che hanno confrontato il rischio di una reinfezione da SARS-CoV-2 tra gli individui non vaccinati fino al settembre 2022.La ricerca ha incluso 65 studi provenienti da 19 Paesi. L’analisi dei dati di 21 studi ha stimato che la protezione contro la reinfezione da una variante pre-Omicron era di circa l’85% a un mese e scendeva a circa il 79% a 10 mesi. La protezione da un’infezione da variante pre-Omicron contro la reinfezione da Omicron BA.1 era più bassa (74% a un mese) e diminuiva più rapidamente fino al 36% a circa 10 mesi. Tuttavia, l’analisi di cinque studi che riportavano malattie gravi (ospedalizzazione e morte) ha rilevato che la protezione rimaneva universalmente elevata per 10 mesi: 90% per la variante originaria, per Alfa e Delta, e 88% per Omicron BA.1. Sei studi che hanno valutato la protezione contro le sotto-linee di Omicron in particolare (BA.2 e BA.4/BA.5) hanno suggerito una protezione significativamente ridotta quando l’infezione precedente era una variante pre-Omicron. Ma quando l’infezione precedente era causata dalla variante Omicron, la protezione si è mantenuta a un livello più alto. “L’immunità incrociata più debole con la variante Omicron e le sue sotto-linee riflette le mutazioni che le fanno sfuggire all’immunità costruita più facilmente rispetto alle altre varianti”, afferma il co-autore Hasan Nassereldine. Sono necessarie ulteriori ricerche per valutare l’immunità naturale delle varianti emergenti e per esaminare la protezione fornita da combinazioni di vaccinazione e infezione naturale, concludono i ricercatori. (fonte Doctor33)
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Influenza e Covid ma non solo. Il punto sui virus respiratori in circolazione
Posted by fidest press agency su martedì, 27 dicembre 2022
La Mers (Middle East Respiratory Syndrome o Sindrome Respiratoria Mediorientale) è una patologia infettiva causata dal coronavirus Mers-CoV, appartenente alla famiglia coronaviridea, identificato per la prima volta nel 2012, a Gedda, in Arabia Saudita. È spesso trasmessa dai dromedari e il timore di una diffusione del virus si era diffuso in relazione agli spostamenti per i mondiali di calcio in Qatar. Ma questo virus, precisa l’Iss, non è tra quelli attualmente circolanti nel nostro Paese. La stagione invernale è però caratterizzata dalla circolazione di diversi virus respiratori, che vengono monitorati sia dal punto di vista epidemiologico che virologico dalle sorveglianze Iss.Tra i principali figurano l’ili (influenza like illness, o sindrome simil influenzale), una manifestazione acuta con sintomi generali e respiratori, e i virus influenzali suddivisi in quattro tipi differenti (il virus tipo A e il virus tipo B, responsabili della sintomatologia influenzale classica; il tipo C, di scarsa rilevanza clinica; il tipo D, la cui possibilità di infettare l’uomo non è ancora chiara. Finora in questa stagione in Italia circolano soprattutto virus di tipo A, con una piccola quota di B). Vi è inoltre il Sars-CoV-2, il virus responsabile del Covid-19, che fa parte della famiglia dei coronavirus.Circolano anche il virus respiratorio sinciziale o Rsv (agente infettivo virale molto contagioso, che colpisce in particolare anziani e di bambini piccoli), il Rhinovirus (causa del 30-35% delle ili degli adulti). Sono presenti poi altri coronavirus ma solo tre o quattro degli oltre trenta ceppi conosciuti infettano gli esseri umani. Il coronavirus Mers, che talvolta viene definito ‘influenza del cammello’, afferma l’Iss, “è stato segnalato in altri paesi come causa di sindrome influenzale (recentemente in soggetti provenienti dal Qatar), tuttavia al momento non risulta circolante in Italia”. Un altro 10-15% delle ili è infine dovuto ad altri virus che sono responsabili anche di malattie più severe, come adenovirus, coxsackievirus, echovirus, paramyxovirus, enterovirus. (fonte Doctor33)
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Il ruolo del farmacista durante il Covid-19
Posted by fidest press agency su sabato, 10 dicembre 2022
“Il Farmacista come punto di riferimento della società nella pandemia da Covid-19” è il tema del convegno organizzato dalla Scuola di Scienze del Farmaco e dei Prodotti della Salute dell’Università di Camerino, in programma giorni fa presso l’Auditorium Benedetto XIII. La pandemia da Covid-19 ha, infatti, messo in luce in maniera inequivocabile il ruolo che il farmacista ha svolto e svolge nella società odierna, diventando ormai punto di riferimento per il cittadino. La farmacia oggi è concepita come farmacia dei servizi, dove oltre alla possibilità di acquistare farmaci e prodotti della salute, il cittadino può effettuare una serie di indagini diagnostiche per la verifica e il controllo del proprio stato di salute. “Alla luce della nuova riforma della classe di laurea LM-13 – sottolineano gli organizzatori – che di fatto trasforma la laurea in Farmacia in laurea abilitante, gli Atenei italiani sono chiamati a trasferire competenze e conoscenze sempre più in linea con le attuali esigenze della società, di concerto con gli ordini professionali che rappresentano il punto di riferimento dei giovani laureati nel mercato del lavoro. È di questo che discuteremo nel corso del convegno”. Il convegno si aprirà con i saluti, tra gli altri, Prorettore Vicario Unicam del prof. Graziano Leoni, del Presidente della Federazione Ordine dei Farmacisti Italiani (FOFI) on. Andrea Mandelli, del Direttore della Scuola di Scienze del Farmaco e dei Prodotti della Salute Unicam prof. Gianni Sagratini, del Direttore della Scuola di Specializzazione in Farmacia Ospedaliera Unicam prof. Carlo Cifani e del Presidente dell’Ordine dei Farmacisti della Provincia di Macerata dott. Luciano Diomedi, Seguiranno poi le relazioni di rappresentanti dell’Ordine dei Farmacisti, della Società Italiana di Farmacia Ospedaliera e della Regione Marche.
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L’asma allergico riduce il rischio di polmonite grave Covid-19
Posted by fidest press agency su giovedì, 1 dicembre 2022
E’ quanto emerso da studi multicentrici europei ed extra europei condotti su popolazioni più vaste. La spiegazione risiede nella patogenesi della polmonite Covid-19. Nella polmonite da virus SARS-CoV-2, infatti, sono state identificate varie fasi: una iniziale, che corrisponde alla replicazione virale, e una fase successiva che compare dopo 7-10 giorni dall’esordio dei sintomi, in cui si possono sviluppare le complicanze più gravi: la polmonite e l’insufficienza respiratoria. Questa seconda fase è caratterizzata dalla produzione di citochine TH1, in particolare vengono prodotti alti livelli di interleuchina 6 e interleuchina 1. Questa risposta infiammatoria violenta porta al danno polmonare, all’insufficienza respiratoria e, nei casi più gravi, alla necessità di intubazione. Dal punto di vista della terapia l’infezione da Covid-19 non ha avuto un grosso impatto. Si è visto che le terapie seguite dai pazienti asmatici allergici, come broncodilatatori, steroidi e farmaci biologici non rappresentano un fattore di rischio per lo sviluppo delle complicanze più gravi. Tuttavia, è stato dimostrato che i pazienti asmatici o affetti da malattie autoimmuni sistemiche, che assumevano dosi elevate di cortisonici per bocca erano più a rischio della popolazione generale di sviluppare una polmonite grave. “Questo perché la terapia cortisonica sistemica prima dell’infezione potrebbe facilitare la replicazione virale nella prima fase della malattia” chiarisce il dott. Tedeschi “Mentre nella seconda fase della polmonite Covid-19 (dopo 7-10 giorni dalla comparsa dei sintomi) il cortisone è utile per spegnere quella risposta immunitaria violenta che porta al danno polmonare”. La rinite allergica e l’allergia ad alimenti non presentano un rischio aumentato di sviluppare la polmonite da SARS-CoV-2 né complicanze più gravi, così come le terapie assunte pe queste patologie (cortisone locale, antistaminici, immunoterapia…) non aumentano i rischi. L’infezione da SARS-CoV-2 provoca frequentemente delle manifestazioni cutanee di vario tipo, tra cui l’orticaria. In circa 1/3 dei pazienti con orticaria cronica è stata segnalata una riacutizzazione della stessa a seguito dell’infezione da SARS-CoV-2, ma queste persone non sono più a rischio della popolazione generale di sviluppare le conseguenze più gravi dell’infezione. Inoltre, le terapie utilizzate per il trattamento dell’orticaria non hanno aumentato in alcun modo il rischio di polmonite Covid-19. Per quanto riguarda la dermatite atopica, non ci sono state segnalazioni di esacerbazione della stessa dovute al Covid-19 e le terapie utilizzate come, ad esempio, il cortisone per via locale o i farmaci biologici, non influiscono sul rischio di sviluppo della polmonite. Qualche rischio in più, invece, è stato evidenziato in pazienti con dermatite atopica trattati con immunosoppressori per via sistemica o con dosi elevate di cortisone per bocca.
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Covid-19, quanto persistono i sintomi? Un’indagine di Jama fa il punto
Posted by fidest press agency su martedì, 29 novembre 2022
I sintomi post-covid persistono per due anni dall’infezione in oltre metà dei pazienti ospedalizzati e non, durante la malattia, precisamente nel 59,7% degli ospedalizzati e nel 67,5% dei non ospedalizzati. Lo rivela una indagine pubblicata sulla rivista Jama Network Open e condotta da Cesar Fernandez-de-las-Penas, della Universidad Rey Juan Carlos a Madrid.Lo studio ha coinvolto 308 pazienti Covid della prima ondata pandemica, non ricoverati per l’infezione e 360 pazienti sempre della prima ondata ma che hanno avuto bisogno del ricovero. Nell’indagine sono state identificate piccole differenze nei sintomi all’esordio del Covid tra i pazienti ospedalizzati e quelli che, invece, non hanno avuto necessità del ricovero in corso di infezione. Mentre i sintomi post-Covid-19 sono risultati simili tra i due gruppi di pazienti. I sintomi post-covid più comuni sono risultati essere difficoltà di respiro (dispnea), con una diffusione simile nei due gruppi di pazienti e deficit olfattivi, più frequenti nei non ospedalizzati.Per quel che riguarda i numeri aggiornati, nell’ultimo mese è stato registrato circa 1 milione di nuovi casi Covid in Italia, con un andamento dei contagi stabile rispetto al mese precedente e con una maggiore uniformità nella distribuzione dei nuovi casi nelle diverse aree territoriali del paese (Nord-Est 339 nuovi casi ogni 100.000 abitanti, Nord-Ovest 273 nuovi casi ogni 100.000 abitanti, Centro 280 nuovi casi ogni 100.000 abitanti, Sud e Isole 185 nuovi casi ogni 100.000 abitanti). Lo rende noto il report mensile dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi sanitari dell’Università Cattolica, Facoltà di Economia, campus di Roma, giunto alla sua 99/ima edizione.Analizzando la variazione dei tassi di saturazione dei posti letto di Terapia Intensiva (TI) e di Area Non Critica (ANC), si vede però come in una regione su 2 c’è stato un aumento di occupazione dei posti letto per Covid.”Stiamo vivendo una stagione autunnale differente da quelle vissute negli ultimi due anni, afferma Americo Cicchetti, direttore dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi sanitari dell’Università Cattolica (ALTEMS), segnate dall’impatto della pandemia sulla nostra quotidianità e sul rallentamento delle cure erogate da parte del Servizio Sanitario Nazionale.”In questo Instant Report #99 di ALTEMS” continua Cicchetti “registriamo un andamento stabile della pandemia su tutto il territorio nazionale ma un aumento di occupazione dei posti letto in una regione/PA su 2. Analizzando le coperture vaccinali relative alla quarta dose del vaccino anti-Covid, conclude Cicchetti, notiamo che un italiano su 10 si è sottoposto alla vaccinazione di quarta dose, con una copertura maggiore della fascia di popolazione degli over-80 (34,85%); se in questi due anni abbiamo imparato qualcosa, certamente l’uso di mascherine negli ambienti più vulnerabili come gli ospedali e la vaccinazione della popolazione sono gli unici elementi per tenere sotto controllo la pandemia sia in termini di nuovi contagi sia in termini di mortalità”. (fonte: Doctor33)
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Covid-19, due anni dopo più della metà dei pazienti presenta sintomi
Posted by fidest press agency su martedì, 29 novembre 2022
A due anni dall’infezione da SARS-CoV-2, permane almeno un sintomo a essa ricollegabile nel 59,7% dei pazienti ricoverati al momento della fase acuta, e nel 67,5% dei pazienti che non avevano avuto necessità di assistenza ospedaliera, secondo uno studio pubblicato su JAMA Network Open. «Abbiamo cercato di identificare i sintomi post-COVID-19 a lungo termine tra i pazienti ricoverati in ospedale e non, per cui abbiamo confrontato la presenza di sintomi post-COVID-19 due anni dopo l’infezione acuta in queste popolazioni» spiega César Fernández-de-las-Peñas, della Universidad Rey Juan Carlos di Madrid, Spagna, autore principale del lavoro. I ricercatori hanno condotto uno studio trasversale presso ospedali urbani e centri di medicina generale dal 20 marzo al 30 aprile 2020, includendo 360 pazienti ospedalizzati e 308 pazienti non ricoverati con infezione acuta da SARS-CoV-2. I dati relativi all’infezione e all’eventuale ricovero sono stati raccolti dalle cartelle cliniche, mentre il follow-up è stato condotto due anni dopo tramite un’intervista telefonica. Gli esperti hanno osservato che la dispnea era più diffusa all’inizio della malattia tra i pazienti ricoverati rispetto a quelli non ricoverati (112 rispetto a 36), mentre per l’anosmia era vero il contrario (66 pazienti rispetto a 36). Il numero di individui che hanno mostrato almeno un sintomo post-COVID-19 due anni dopo l’infezione è stato di 215 (59,7%) tra i pazienti ricoverati in ospedale e 208 (67,5%) tra i pazienti non ricoverati. Tra i pazienti ricoverati e non, affaticamento (161 rispetto a 147), dolore (129 rispetto a 92) e perdita di memoria (72 rispetto a 49) erano i sintomi più diffusi due anni dopo l’infezione da SARS-CoV-2. Non sono state quindi osservate differenze significative nei sintomi post-COVID-19 tra pazienti dei due gruppi. Il numero di comorbilità preesistenti era associato all’affaticamento post-COVID-19 e alla dispnea tra i pazienti che erano stati ricoverati, mentre il numero di comorbilità e il numero di sintomi all’inizio della malattia erano correlati all’affaticamento post-COVID-19 tra i pazienti non ricoverati. «I sintomi post-COVID-19 erano simili tra pazienti ricoverati e non; tuttavia, la mancanza di inclusione di controlli non infetti limita la capacità di valutare l’associazione dell’infezione da SARS-CoV-2 con i sintomi generali e specifici post-COVID-19. Per questo motivo, gli studi futuri dovranno includere popolazioni di controllo non infette» concludono gli autori. (fonte: Doctor33)
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Covid-19 identificato un bersaglio e un potenziale farmaco per bloccare la diffusione del virus
Posted by fidest press agency su domenica, 27 novembre 2022
Uno studio pubblicato su Nature Communications indica che una proteina “chaperone” nota come GRP78, svolge un ruolo essenziale nella diffusione di SARS-CoV-2. I ricercatori avevano già dimostrato che quando avviene l’infezione da SARS-CoV-2, GRP78, che normalmente aiuta a regolare il ripiegamento di altre proteine cellulari, viene dirottata in modo da lavorare con altri recettori cellulari per portare il virus all’interno delle cellule, dove può quindi riprodursi e diffondersi. «Rimanevano tuttavia dubbi sul fatto che GRP78 fosse necessario ed essenziale per la replicazione di SARS-CoV-2 all’interno delle cellule polmonari umane» spiega Amy Lee, della Keck School of Medicine della University of Southern California, Los Angeles, autrice senior dello studio. Esaminando le cellule epiteliali polmonari umane infettate da SARS-CoV-2, il gruppo di ricerca ha osservato che, man mano l’infezione virale si intensifica, le cellule infette producono livelli più elevati di GRP78. Quindi gli esperti hanno utilizzato RNA messaggero per sopprimere la produzione della proteina GRP78 nelle cellule epiteliali polmonari umane in coltura cellulare, senza interrompere altri processi cellulari. Le cellule sono state successivamente infettate con SARS-CoV-2, e hanno prodotto una quantità inferiore della proteina spike virale e rilasciato molto meno materiale in grado di infettare altre cellule, dimostrando che GRP78 è necessaria ed essenziale per la replicazione e la produzione virale. Per capire meglio se GRP78 potesse essere un buon target per trattare COVID-19, i ricercatori hanno testato sulle cellule polmonari infette il farmaco a piccola molecola recentemente identificato HA15, che lega in modo specifico GRP78 e ne inibisce l’attività, e che è stato sviluppato per l’uso contro le cellule tumorali. Ebbene, il medicinale è stato molto efficace nel ridurre il numero e le dimensioni di SARS-CoV-2 prodotto nelle cellule infette, e non ha avuto effetti dannosi sulle cellule normali. I ricercatori hanno quindi testato HA15 in topi geneticamente modificati per esprimere un recettore SARS-CoV-2 umano e infettati con il virus, scoprendo che il farmaco ha ridotto notevolmente la carica virale nei polmoni. «Questi e altri inibitori di GRP78 verranno testati come trattamenti per COVID-19, e potranno anche rivelarsi utili per il trattamento di futuri coronavirus che dipendono da GRP78 per l’ingresso e la replicazione» concludono gli autori. (fonte doctor33)
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Paracetamolo: il ruolo nel trattamento dei primi sintomi da COVID-19
Posted by fidest press agency su venerdì, 4 novembre 2022
L’Organizzazione Mondiale di Sanità (OMS), le agenzie regolatorie e le società scientifiche più autorevoli raccomandano l’uso di paracetamolo e farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) per la gestione di febbre e dolore muscolo-scheletrico da COVID-19. Per chiarire il ruolo di paracetamolo nella cura domiciliare del COVID-19, la Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie (SIMG), in collaborazione con il Dipartimento di Biotecnologie Biomediche e Medicina Traslazionale di Milano, ha condotto uno studio di coorte che ha avuto l’obiettivo non solo di valutare l’andamento prescrittivo di paracetamolo per COVID-19 rispetto ad altre sindromi respiratorie, ma anche di evidenziare l’eventuale correlazione tra uso di paracetamolo e presunto rischio di ospedalizzazione o decesso per COVID-19. Gli Autori sono ricorsi a un database Health Search, che ha selezionato 747 medici di base, per un totale di quasi 1,2 milioni di pazienti, distribuiti in modo omogeneo sul territorio nazionale. Complessivamente, sono stati identificati 46.522 possibili casi di COVID-19 e 32.797 pazienti con sindromi respiratorie nel 2020 e nel 2019, rispettivamente. I risultati non hanno mostrato alcun aumento delle prescrizioni di paracetamolo per la cura dei sintomi da COVID-19 che, invece, sono risultate inferiori rispetto a quelle effettuate in epoca pre-pandemica per il trattamento di altre sindromi respiratorie simili (33,4 ogni 1000 e 78,3 ogni 1000, rispettivamente).Successivamente, in un’analisi caso-controllo, gli Autori hanno osservato gli effetti dell’uso di paracetamolo in una coorte di pazienti con COVID-19, fino al momento di una eventuale ospedalizzazione o decesso, ed escludendo i soggetti con una osservazione inferiore al tempo necessario per un effetto biologico di paracetamolo (15 giorni). L’uso di paracetamolo nelle fasi precoce o intermedia di COVID-19, rispettivamente entro 3 o 7 giorni dalla diagnosi, non ha aumentato il rischio di ospedalizzazione o decesso legato alla malattia rispetto ai soggetti che non hanno assunto paracetamolo. I pazienti con COVID-19 che hanno assunto paracetamolo in fase tardiva di malattia (oltre 7 giorni dalla diagnosi), al contrario, hanno mostrato un rischio significativamente alto di ospedalizzazione. Tuttavia, ad una percentuale significativa di questi pazienti la prescrizione di paracetamolo per il peggioramento dei sintomi era stata fatta poco prima del ricovero ospedaliero associando, quindi, erroneamente l’esito negativo all’azione del farmaco. (Fonte Doctor33)
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Covid-19, la risposta immunitaria associata influenza l’apparato riproduttivo femminile
Posted by fidest press agency su mercoledì, 2 novembre 2022
In una revisione della letteratura pubblicata di recente su Biology of Reproduction, un gruppo di ricercatori ha analizzato gli effetti delle risposte immunitarie associate al COVID-19 sull’apparato riproduttivo femminile. «Come era prevedibile, una delle maggiori preoccupazioni per le donne in tutto il mondo è se il COVID-19 abbia effetti a lungo termine su ciclo mestruale, fertilità o gravidanza» spiegano i ricercatori.La revisione, che ha incluso un totale di 83 studi, inizia descrivendo le caratteristiche note del virus SARS-CoV-2 e la risposta immunitaria che si scatena contro di esso nell’organismo. L’articolo continua concentrandosi sull’interazione tra il ciclo mestruale e il sistema immunitario, parlando dell’effetto di estrogeni e progesterone sulle cellule immunitarie, sottolineando la possibilità che gli estrogeni possano avere un ruolo protettivo contro le infezioni e quindi anche su quella da SARS-CoV-2 e possano essere responsabili di una risposta immunitaria più significativa tra le donne che tra gli uomini. Gli autori passano poi al ruolo delle cellule immunitarie nell’endometrio e a come studi recenti abbiano suggerito che una disregolazione del sistema immunitario dell’endometrio a causa del COVID-19 porti sanguinamento uterino anomalo. Si analizza l’effetto del virus sul ciclo mestruale, un argomento che è stato poco studiato finora, parlando in particolare dei disordini relativi al ciclo riscontrati in una percentuale di donne e dell’interazione tra gli assi ipotalamo-ipofisi-surrene e ipotalamo-ipofisi-gonadi. Si discute anche dell’effetto dell’infezione sulla placenta, a oggi poco chiaro, e sulla gravidanza, in cui si è osservata un’associazione con diversi esiti avversi. Viene inoltre affrontato l’effetto della vaccinazione contro il COVID-19 sul ciclo mestruale, ricordando che le perturbazioni riscontrate sono temporanee e si risolvono in breve tempo, e sulla gravidanza, in cui benché sono associati a pochi ma non gravi sintomi (dolore uterino, contrazioni, etc), sono sicuri ed efficaci e non si associano a eventi avversi neonatali. Gli autori ricordano che il Center of Disease Control e l’American College of Obstetricians and Gynecologists raccomandano di vaccinare le donne in gravidanza e in allattamento. Infine, si discute dell’effetto dell’infezione sulla fertilità e di come la risposta immune contro l’infezione sembra ridurre quella maschile, mentre non influisce su quella femminile. Per gli autori sono necessari ulteriori studi.(fonte doctor33)
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Covid-19, casi in calo ma spunta una nuova variante
Posted by fidest press agency su mercoledì, 26 ottobre 2022
Mentre icontagi e morti Covid sono in calo nel mondo, l’Oms punta i riflettori su una nuova variante di Sars-Cov-2, ribattezzata Gryphon. «Al 17 ottobre Xbb, un ricombinante di Ba.2.10.1 e Ba.2.75 con 14 mutazioni aggiuntive nella proteina Spike di Ba.2, è stata segnalata da 26 Paesi, compresa l’Italia. Prove preliminari di laboratorio suggeriscono che Xbb sia la variante più immunoevasiva identificata fino ad oggi», evidenzia l’Organizzazione mondiale della sanità nell’aggiornamento epidemiologico settimanale. Al 17 ottobre, continua l’agenzia Onu per la salute, 233 sequenze di Grifone e 609 sequenze dell’ulteriore sottovariante Xbb.1 sono registrate nella banca dati Gisaid. Due le sequenze di Xbb.1 in Italia, in Abruzzo e in Friuli Venezia Giulia, secondo l’ultima flash survey dell’Istituto superiore di sanità. «Mentre il ricombinante Xbb mostra segni di un maggiore vantaggio di crescita rispetto ad altre varianti di Omicron, non ci sono ancora prove di alcun cambiamento nella gravità della malattia che può causare», conclude l’Oms.Per quel che riguarda l’andamento pandemico, durante la settimana dal 10 al 16 ottobre, i nuovi casi – oltre 2,9 milioni – sono scesi del 6%, mentre i decessi sono diminuiti del 17% rispetto alla settimana precedente, e sono stati circa 8.300 in 7 giorni. Da inizio pandemia al 16 ottobre 2022, il contatore mondiale di Covid segna 621 milioni di casi confermati e 6,5 milioni di morti. Il numero di nuovi casi settimanali segnalati è diminuito o è rimasto stabile in 5 delle 6 Regioni Oms: -11% nella Regione europea, -17% nel Mediterraneo orientale, -15% nella Regione africana, -12% nelle Americhe, -3% nel Sudest asiatico. Si rileva invece un aumento dei contagi settimanali nel Pacifico occidentale (+11%).Diminuiscono o restano stabili anche i morti Covid registrati in 5 regioni su 6: Mediterraneo orientale -35%, Americhe -20%, Europa -18%, Pacifico occidentale -14%, mentre nel Sudest asiatico il dato è simile alla settimana scorsa. I morti aumentano invece nella Regione africana: +144% (61 contro i precedenti 18). I Paesi con più casi settimanali sono Germania (583.232, dato stabile). Francia (337.253; -12%), Cina (328.910; -1%), Italia (288.452; +3%) e Stati Uniti (251.280; -10%). L’Italia, con 478 morti in 7 giorni, in crescita del 37%, compare anche fra i Paesi con il numero più alto di decessi settimanali, ma alle spalle di Stati Uniti (2.274 morti; -11%) e Russia (702; -4%) e seguita da Cina (431; +5%) e Giappone (409; -28%). In totale, nella Regione europea questa settimana i casi sono stati oltre 1,7 milioni. Tre Paesi hanno riportato aumenti del 20% o più, e nella regione sono stati segnalati poi oltre 3.300 nuovi decessi settimanali. (fonte Doctor33)
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Covid-19: Omicron è in calo e circolano nuove varianti
Posted by fidest press agency su giovedì, 13 ottobre 2022
Le nuove varianti del coronavirus si succedono a ritmo spedito. Dopo Centaurus, si sono aggiunte all’elenco Gryphon, Minotaur, Chiron, Aeterna, Typhon e Cerberus, la più temibile. Anche se Omicron 5 resta la più diffusa con l’80%-90% di contagi nel mondo. “Con sempre più dati disponibili sta diventando abbastanza chiaro che Bq.1.1 guiderà un’ondata di varianti in Europa e Nord America prima della fine di novembre” ha sottolineato su Twitter il ricercatore del Biozentrum dell’Università di Basilea, Cornelius Roemer, analizzando i dati delle nuove varianti Covid-19. A richiamare l’attenzione dell’esperto è l’evoluzione della Variante Cerberus. “Le mutazioni di questa variante sono più che raddoppiate ogni settimana, ci sono voluti solo 19 giorni per crescere di 8 volte da 5 sequenze a 200 sequenze”, precisa Roemer che ricorda come Bq.1.1 “discende da Ba.5 con 3 mutazioni nel dominio del recettore della proteina ‘spike'”, per questo secondo lo scienziato “il booster per Ba.5 è nella posizione migliore per proteggerci”.L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) in un recente report ha evidenziato il trend: l’attuale circolazione di Sars-CoV-2, spiegava l’Oms, è “caratterizzata da sottolignaggi di Omicron e da un’ampia diversificazione genetica. Sono emersi più di 230 discendenti” del mutante che ha dominato lo scenario Covid nel 2022 “e più di 30 ricombinanti”. Queste varianti “sono sotto monitoraggio e valutate dall’Oms – si leggeva nel report – sulla base di criteri di costellazioni genetiche di mutazioni, di aumento della prevalenza in un’area geografica, nonché di qualsiasi evidenza di cambiamenti fenotipici”.In Italia il monitoraggio dell’Istituto Superiore di Sanità osserva una settantina di versioni diverse di Sars-Cov2. Molte hanno numeri minimi, ma negli Stati Uniti i ceppi diversi da Omicron 5 crescono da agosto, e rappresentano oggi il 20%. «Il coronavirus oggi ha un problema» spiega Baldanti. «Incontra una popolazione quasi interamente vaccinata o guarita. Proprio per la sua contagiosità straordinaria, Omicron ha immunizzato molte persone e si ritrova in un collo di bottiglia strettissimo. I suoi spazi di caccia sono ridotti. Ha bisogno di trovare una strada per aggirare la nostra immunità» ha sottolineato intervistato da Repubblica Fausto Baldanti, virologo dell’università e del San Matteo di Pavia. «Ma quel che conta è soprattutto il monitoraggio delle terapie intensive» nota Baldanti. «Se lì vediamo molto rappresentate delle varianti che non sono diffuse fra la popolazione, allora dobbiamo preoccuparci. Ma non è questo il caso, al momento. La malattia grave è spesso dovuta alla fragilità della persona che si è infettata». (fonte Doctor33)
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Covid-19: l’importanza del livello di antigene virale nel sangue
Posted by fidest press agency su sabato, 24 settembre 2022
Secondo quanto emerge da un nuovo studio, l’antigene nucleocapside (N) di SARS-CoV-2 nel sangue è un biomarcatore pratico e clinicamente significativo. I dati mostrano che può essere quantificato precocemente nei campioni prelevati da pazienti ricoverati e che un livello elevato si associa alla gravità di malattia polmonare e ad altri importanti esiti. «È probabile che il livello dell’antigene plasmatico rifletta la vera replicazione virale, poiché è stato associato allo stato anticorpale, al tempo trascorso in ospedale e all’esposizione alla terapia antivirale. Questi risultati suggeriscono che è necessario un approccio di medicina di precisione agli studi clinici sul COVID-19 a livello ospedaliero, con una parte sostanziale di pazienti ricoverati con infezione acuta da SARS-CoV-2 potenzialmente più propensa a beneficiare della terapia antivirale» si legge su Annals of Internal Medicine. Lo studio ha incluso 2.540 pazienti in 114 siti in 10 paesi del mondo che nell’ambito del trial TICO erano stati ricoverati entro 12 giorni dall’esordio dei sintomi e randomizzati a una terapia con uno di 5 antivirali o a un placebo. L’antigene N plasmatico è stato rilevato al momento dell’inclusione nello studio nel 95% dei partecipanti e il suo livello è stato associato alla gravità di malattia polmonare. Rispetto ai pazienti che respiravano autonomamente, il livello di antigene era più alto di oltre 3 volte in quelli che necessitavano di ventilazione non invasiva o ossigenoterapia con nasocannula ad alti flussi, e di 2,8 e 1,7 volte circa in quelli che avevano bisogno, rispettivamente, di almeno 4 litri e di un quantitativo inferiore a 4 litri di ossigeno convenzionale. Un livello di antigene al basale pari o superiore a 1.000 ng/L si associava a una probabilità maggiore di peggioramento polmonare entro il giorno 5 e a un periodo più lungo per la dimissione, a tutti i livelli di gravità della malattia. Nei pazienti con anticorpi neutralizzanti endogeni sono stati riscontrati livelli di antigene più bassi di 5 volte, anche se gli autori sottolineano che l’importanza dell’antigene plasmatico prescinde dallo stato di tali anticorpi. Inoltre, il livello di antigene era più alto negli uomini che nelle donne in tutti i livelli di gravità di malattia e più basso nei pazienti che avevano trascorso più giorni in ospedale e con una maggiore esposizione al remdesivir. «Nel complesso, questi dati supportano la conclusione che il livello di antigene plasmatico non è semplicemente un marker di danno cellulare e conseguente rilascio di antigene, ma suggerisce un processo patogeno con replicazione virale sistemica in corso» scrivono gli autori. (fonte doctor33)
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Covid-19, milioni di morti si potevano prevenire
Posted by fidest press agency su sabato, 24 settembre 2022
Proteggere e promuovere la cooperazione tra paesi nella “preparedness” e nell’offerta di presidi di diagnosi e cura, combattere le diseguaglianze e porre più attenzione alla sicurezza quando si fa ricerca biologica: sono le richieste principali che la Lancet Covid 19 Commission porge ai paesi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), per prevenire altre morti evitabili da Covid-19. Per i 28 redattori del documento presentato ieri al DG OMS Tedros Ghebreyesus, la gestione della pandemia è stata un fallimento. Governi lenti, e passivi nel contrasto della disinformazione sui media, hanno prestato poca attenzione ai più vulnerabili. Si sarebbero potuti evitare milioni di morti. Tra l’altro, le morti per Covid non sono state fin qui i 6,9 milioni del conteggio ufficiale ma 17,9 milioni. Presidente della commissione della rivista e del Sustainable Development Solutions Network, Jeffrey Sachs (Columbia University) evoca «un’azione collettiva che promuova la salute pubblica e lo sviluppo sostenibile, affrontando le disuguaglianze sanitarie globali e proteggendo il mondo dalle future malattie». Le nazioni del mondo devono iniziare a collaborare tra loro. I cinque pilastri – L’OMS detta cinque “pilastri” delle future politiche anti-pandemie. Primo, imparare dagli errori di governi che non si sono coordinati sui protocolli di viaggio, sul testing, sull’approvvigionamento di mascherine etc) e dai successi di alcuni paesi: l’Est Asia, che nel 2002 era stato scottato dall’epidemia di Sars, ha adottato strategie di contenimento più efficaci, con un’incidenza di morti inferiore. Secondo, agire sul contenimento dei contagi evitando il contatto tra individui infetti e non infetti. Terzo, ridurre le disuguaglianze sanitarie dentro ogni stato membro Oms. Quarto, mettere in protezione le fasce più vulnerabili. Quinto, produrre nuovi vaccini e nuove terapie. Questo innanzi tutto a livello di ogni nazione. Ma non tutti gli stati membri Oms sono in grado di fare da soli. Nei Paesi ad alto reddito, tre persone su quattro sono state vaccinate, in quelli più poveri solo una su sette. I paesi ricchi ora devono dare di più.Misure nazionali ed internazionali – Il “board” raccomanda di fare sempre riferimento all’OMS, che sulle malattie emergenti ha importanti poteri ispettivi e decisionali da utilizzare nei siti colpiti, nell’interesse del mondo intero. Chiede poi di stabilire sistemi coordinati di sorveglianza tra nazioni per predire il rischio di nuove ondate. «Cina, Stati Uniti, Unione Europea, India, Federazione Russa ed alter potenze regionali devono mettere da parte le rivalità geopolitiche per lavorare insieme». Altri target: arrivare ad un accordo pandemico globale e potenziare le International Health Regulations creando un sistema internazionale di sorveglianza e monitoraggio degli esiti e della trasmissione delle malattie infettive. Nel contempo, urge istituire nell’OMS un Global Health Board composto da elementi dei governi nazionali in rappresentanza di ciascuna delle regioni del globo, per supportare l’organizzazione nelle decisioni.Il Fondo Globale per la Salute -Tra le nazioni del mondo, quelle del G20 (tra cui l’Italia) dovrebbero infine collaborare ad un piano decennale per assicurare che in tutte le regioni del mondo si producano e si distribuiscano mezzi per il controllo della pandemia. Ciò richiede uno sforzo economico: il “board” a tal proposito evoca il varo di un Global Health Fund che finanzi la produzione di dispositivi per il controllo delle malattie da virus, l’organizzazione di sistemi di risposta alle pandemie ed il rinforzo dei presìdi di medicina territoriale in paesi a reddito medio-basso. Per il Fondo, servirebbero, si calcola, 60 miliardi di dollari annui (1% del Pil dei paesi ad alto reddito). L’obiettivo è aiutare i sistemi sanitari nazionali in difficoltà non solo in relazione alle pandemie ma a tutti i temi di sanità ad esse correlati. E serve governare la ripresa post-pandemica, per un mondo più sostenibile, che non può prescindere dal rafforzamento della cooperazione multilaterale, da finanziamenti, da investimenti in biosicurezza «e dalla solidarietà internazionale con i Paesi e le persone più vulnerabili». (fonte doctor33)
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