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Quotidiano di informazione – Anno 36 n° 130

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T. Rowe Price: In che modo le elezioni statunitensi influenzano la performance dei mercati azionari?

Posted by fidest press agency su lunedì, 13 Maggio 2024

A cura di Thomas Poullaouec Head of Multi-Asset Solutions, Asia-Pacific, T. Rowe Price. Il ciclo delle elezioni presidenziali statunitensi si sta intensificando. La sfida tra il democratico Joe Biden e il repubblicano Donald Trump è molto sentita. La domanda che molti si pongono è: esiste una relazione storica tra le elezioni presidenziali e la performance del mercato azionario statunitense? I dati sulle performance dei mercati impiegati in questo studio partono dal 1927. Tuttavia, in questo lasso temporale, si sono tenute solo 24 elezioni presidenziali, per cui è difficile trarre conclusioni statisticamente significative relativamente all’impatto di tali elezioni sui ricavi dei mercati azionari. Inoltre, non ci si dovrebbe concentrare su un’unica variabile che ignora i molti altri fattori che storicamente hanno guidato i rendimenti sui mercati. Alcune delle elezioni nel nostro campione si sono svolte in anni in cui i principali sviluppi economici, e non le elezioni stesse, hanno esercitato un’influenza eccessiva sui mercati azionari. Ne sono un esempio la Grande Depressione (1932), la Seconda Guerra Mondiale (1940 e 1944), lo scoppio della bolla tecnologica (2000), la crisi finanziaria globale (2008) e la pandemia di Covid19 (2020).I rendimenti complessivi, medi e mediani, dell’Indice S&P 500 sono stati leggermente inferiori negli anni delle elezioni presidenziali rispetto agli anni privi di elezioni e alla media di lungo periodo degli ultimi 96 anni. Inoltre, i rendimenti dell’S&P 500 sono stati generalmente più elevati nel periodo che precede le elezioni presidenziali rispetto agli anni non elettorali. Tuttavia, dopo il giorno delle elezioni, i rendimenti dei mercati azionari, nei periodi a 1, 6 e 12 mesi, sono stati significativamente inferiori rispetto ai corrispondenti periodi degli anni senza elezioni presidenziali.Per quanto riguarda la salute dell’economia, i Presidenti hanno avuto poca fortuna durante il loro primo anno di mandato: più della metà (54%) dei periodi di 12 mesi successivi alle 24 elezioni presidenziali che rientrano nel nostro studio si è sovrapposta a una recessione ufficiale negli USA, rilevata dal National Bureau of Economic Research (NBER). Questo tasso di recessioni è stato significativamente più alto rispetto alle medie degli altri anni del mandato presidenziale: 29% per il secondo anno di mandato, 17% nel terzo anno e 25% nell’anno delle elezioni. In altre parole, il mercato azionario potrebbe aver anticipato o reagito all’indebolimento delle condizioni economiche in prossimità della fine dell’anno elettorale presidenziale, considerata la maggiore probabilità di una recessione nei 12 mesi successivi.Il partito in carica ha vinto in 13 delle 24 elezioni presidenziali oggetto del nostro studio. Un’analisi più approfondita di questo campione, seppur piccolo, suggerisce che lo stato di salute dell’economia ha giocato un ruolo fondamentale nella possibilità del partito alla Casa Bianca di vedere riconfermato il proprio mandato: solo una volta il partito in carica ha vinto quando le elezioni si sono svolte in un anno di recessione. È successo nel 1948, un anno in cui la recessione iniziò a novembre. In oltre il 70% delle sconfitte elettorali del partito in carica, l’economia era stata in recessione quell’anno o vi era entrata nei 12 mesi successivi. Se la storia delle sconfitte del partito in carica nelle elezioni presidenziali statunitensi è indicativa, gli elettori sono stati particolarmente attenti alla debolezza economica.Se osserviamo i rendimenti medi dell’S&P 500 in vari periodi di tempo, prima e dopo le passate elezioni presidenziali, emerge un trend. Il mercato azionario è stato tendenzialmente più debole nel periodo prima delle elezioni presidenziali che il partito in carica ha perso, riflettendo potenzialmente la maggiore incidenza delle recessioni nei lassi di tempo in questione. Tuttavia, la performance dei mercati azionari nei periodi successivi alle elezioni è stata eterogenea. Quando il partito in carica non è riuscito a rimanere alla Casa Bianca, l’S&P 500 ha registrato mediamente livelli di volatilità più elevati prima delle elezioni e nei mesi successivi, forse a causa dell’incertezza generata dai probabili cambiamenti politici. In questi casi, il mese prima del voto ha registrato la volatilità più elevata in assoluto. La nostra analisi quantitativa dei dati storici conferma che le relazioni, di fatto, esistono. Ad esempio, i rendimenti medi dell’S&P 500 sono stati leggermente inferiori negli anni delle elezioni presidenziali rispetto agli altri anni. Anche la volatilità sui mercati è stata mediamente più bassa in molti dei periodi in cui si sono svolte le elezioni presidenziali e attorno ad essi. Il mantenimento della presidenza da parte del partito in carica sembra altresì aver influenzato l’andamento della volatilità sui mercati. In termini di economia e di fondamentali aziendali a livello di comparti, la politica governativa avrà una certa importanza, così come la composizione del Congresso dopo le elezioni di novembre. Quando un partito controlla la Casa Bianca e ha la maggioranza al Senato e alla Camera dei Rappresentanti, il potenziale per approvare cambiamenti legislativi significativi è maggiore. Un governo diviso, invece, rende di solito più difficile l’approvazione di cambiamenti radicali. (Abstract by http://www.verinieassociati.com/)

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LGIM: Prospettive su Usa, Europa, tassi d’interesse e geopolitica

Posted by fidest press agency su venerdì, 10 Maggio 2024

Da inizio anno, i mercati occidentali si sono ritrovati ad avere a che fare con due situazioni molto diverse tra loro. La prima è la straordinaria e imprevista resilienza dell’economia statunitense, la quale, però, mette il paese davanti a uno scenario molto complicato, in cui non sarà semplice riallinearsi mantenendo il punto di equilibrio. Infatti, ad oggi, è difficile capire cosa aspettarsi: i fattori favorevoli potrebbero affievolirsi riducendo il tasso di crescita e dimostrando che la politica monetaria aggressiva della Federal Reserve era efficacie; oppure gli stimoli fiscali e la ripresa del private credit potrebbero far proseguire lo slancio dell’economia. L’unico elemento che sembra più sicuro è il rischio inflazionistico in crescita.La seconda, invece, riguarda l’Europa, dove gli stimoli fiscali sono minori e dove si sono verificati shock di offerta più duri. Tuttavia, dopo un periodo di sostanziale stagnazione, dovremmo tornare a registrare timidi segnali di ripresa. Anche l’inflazione sembra allentare la sua morsa, il che dovrebbe concedere un po’ di sollievo ai redditi reali e alla banche, le quali potranno allentare i loro vincoli sull’accesso al credito. La Banca Centrale Europea ha anche segnalato come un primo taglio dei tassi a giugno sia molto probabile e che non intende farsi condizionare dalla Fed; il che è ragionevole, visto che la crescita nel Vecchio Continente non gode della stessa forza di quella americana. Anche la Bank of England vorrebbe seguire la strada tracciata dall’omologo di Francoforte, ma l’inflazione core ancora molto resiliente e l’inaspettata crescita dei salari nel Regno Unito le impediscono di anticipare un qualsiasi allentamento della politica monetaria. Inoltre, se sarà possibile, il Cancelliere dello Scacchiere Jeremy Hunt vorrebbe approntare un ulteriore taglio delle tasse per il prossimo autunno, probabilmente per cercare di risollevare le chance di vittoria del Partito Conservatore alle prossime elezioni.In ogni caso, qualsiasi prospettiva di ripresa in Europa rimane fragile e vulnerabile agli shock. Un altro aumento dell’inflazione rischia di disancorare le aspettative esistenti e renderà difficile per le banche centrali compensare il contraccolpo sui redditi reali e qualsiasi reazione avversa nei mercati finanziari. Altri shock possono provenire dalla geopolitica, con gli investitori che stanno prestando sempre più attenzioni agli sviluppi della situazione in Medio Oriente e alle ripercussioni che potrebbero avere i risultati delle prossime tornate elettorali; in primis negli Stati Uniti.Per tutti questi motivi, noi di LGIM prediligiamo una posizione difensiva per i nostri portafogli, con una bassa esposizione ad azionario e credito e con una leggera predilezione per la duration. Fonte: ecomunicare.com

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Usa: ricomincia la danza degli utili tra investitori e aziende

Posted by fidest press agency su giovedì, 9 Maggio 2024

A cura di Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm. Dal momento che le aziende statunitensi, a differenza di quelle europee, possono pubblicare i risultati finanziari con cadenza trimestrale, la stagione degli utili oltreoceano è un appuntamento che ricorre ben quattro volte all’anno. Molti investitori azionari guardano alle trimestrali come a un termometro dell’andamento dei propri investimenti, così la maggior parte delle aziende Usa tende a rendere nota una preview dei risultati che si aspetta di ottenere ogni tre mesi: la sfida consiste nel cercare di superare le attese. Risultati trimestrali superiori alle previsioni portano vantaggi sotto diversi punti di vista: anzitutto, una sorpresa al rialzo nei conti tende a far salire il prezzo delle azioni; inoltre, dal punto di vista reputazionale, un management che mette a segno costantemente risultati superiori alle attese si guadagna la fama di saper gestire un’azienda in modo efficace, con un conseguente aumento delle valutazioni e dei profitti. Purtroppo, però, non sempre previsioni migliori sugli utili si traducono in prezzi più elevati per le azioni (e questo vale sia per i singoli titoli che per il mercato nel suo complesso). La revisione degli utili al rialzo non si traduce necessariamente in un rialzo di mercato, come ci ha insegnato il 2018, così come la revisione degli utili al ribasso non comporta necessariamente mercati ribassisti, come visto nel 2020. Tuttavia, gli utili servono a spiegare, almeno in parte, le performance di mercato: se si confronta il rendimento dell’S&P 500 con il numero di revisioni degli utili al rialzo nell’arco di sei mesi (vedi grafico sotto), si avrà chiaro quanto le revisioni degli utili finiscano con l’influenzare, almeno in parte, gli utili a breve termine. Ad oggi la stagione delle trimestrali Usa non è ancora giunta al termine, anche se i dati raccolti fino ad ora sembrano suggerire una buona performance delle aziende rispetto alle attese: la percentuale di società che hanno riportato risultati migliori del previsto è in linea con la media a lungo termine e anche la redditività aziendale sembra piuttosto solida, superiore allo scorso trimestre e in linea con il Q1 2023. Una nota stonata è data da una crescita effettiva degli utili riportati non particolarmente forte rispetto alle valutazioni iniziali, anche se l’attuale quadro delle quotate Usa appare nel complesso positivo. (Abstract by Moneyfarm ufficio stampa – BC COMMUNICATION)

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Schroders: verso un ‘soft landing’ nonostante le sorprese sull’inflazione Usa

Posted by fidest press agency su mercoledì, 1 Maggio 2024

A cura di Julien Houdain, Head of Global Unconstrained Fixed Income, Schroders. Con la crescita globale su basi più solide, ci chiediamo se la recente raffica di sorprese che hanno riguardato l’inflazione statunitense si rivelerà un punto di svolta o solo un incidente di percorso. Al momento, il nostro scenario di base prevede un atterraggio morbido. Tuttavia, riconosciamo l’aumento del rischio di uno scenario di “non atterraggio” a causa dell’andamento dell’inflazione statunitense e di una potenziale ripresa del ciclo produttivo globale, che potrebbe sostenere i prezzi delle materie prime. Questa situazione potrebbe costringere le banche centrali a mantenere tassi di interesse più elevati per un periodo prolungato per combattere l’inflazione persistente. Sale la probabilità di un “no landing”, con una crescita robusta che fa aumentare i rischi di inflazione. Se si considera la misura dell’inflazione preferita dal presidente della Fed Jerome Powell, ovvero i servizi core, esclusi gli alloggi, l’andamento degli ultimi due mesi è stato un po’ preoccupante. Dopo un aumento dello 0,7% su base mensile nell’ultima pubblicazione, questa misura dell’inflazione “super core” è ora al di sopra dell’8% su base annualizzata a tre mesi. Considerando un’ampia gamma di misure, la realtà è che l’inflazione è attualmente troppo elevata perché la Fed possa sentirsi a proprio agio nell’allentare le condizioni della politica monetaria nel breve termine.Ma non ci sono solo cattive notizie sul fronte dell’inflazione negli Stati Uniti. Ci sono più motivi di ottimismo se si guarda al mercato del lavoro. Da diversi punti di vista, sembra stia tornando al punto di equilibrio: la crescita dei salari è in calo, i posti vacanti diminuiscono gradualmente e, soprattutto, il tasso di abbandono del posto di lavoro continua a diminuire. I tassi di abbandono sono un indicatore importante per la crescita dei salari: un tasso in calo limita la velocità di aumento dei salari, in quanto le aziende sono meno obbligate a mantenere e attrarre i lavoratori.Nel corso di aprile abbiamo assistito a un continuo miglioramento del settore manifatturiero globale. Le notizie provenienti dalla Cina sono state particolarmente positive ultimamente, cosa che probabilmente favorirà in modo sproporzionato la crescita dell’eurozona nei mesi a venire. Sebbene tutto ciò sia incoraggiante per un “atterraggio morbido”, rimaniamo vigili sulla possibilità che l’aumento dei prezzi delle materie prime alimenti le pressioni inflazionistiche in futuro, in quanto ciò metterebbe ulteriormente in discussione la tesi del taglio dei tassi quest’anno. Sebbene le valutazioni siano diventate più interessanti, la narrativa macroeconomica giustifica un rialzo dei rendimenti e una Fed più cauta. In quest’ottica, siamo neutrali sulla duration – o rischio di tasso d’interesse, ma continuiamo ad aspettarci un irripidimento positivo sulla curva, posizionandoci in modo che la parte più corta della curva dei rendimenti superi quella lunga. In termini di cross-market, privilegiamo il Regno Unito, dove vediamo la possibilità che l’inflazione “recuperi” rispetto agli altri paesi, e gli Stati Uniti rispetto a Germania e Canada.Nel corso del mese siamo diventati più positivi sull’inflazione breakeven, utilizzata per cogliere la sovraperformance dei rendimenti reali – che sono corretti per l’inflazione – rispetto ai rendimenti nominali. Riteniamo che il rischio di rialzo dei prezzi delle commodity e un certo grado di allentamento da parte delle banche centrali rappresentino un vento favorevole per l’aumento dei tassi d’inflazione breakeven. Nell’ambito del credito, abbiamo moderato la nostra view costruttiva sui titoli Investment Grade (IG) europei, sulla base delle valutazioni elevate e di un margine limitato per un’ulteriore sovraperformance. Manteniamo una preferenza per le scadenze più brevi, dove continuiamo a vedere del valore. Con gli spread IG statunitensi vicini ai livelli più bassi di sempre, che rendono meno remunerativo il rischio di investire in obbligazioni societarie rispetto ai più sicuri titoli di Stato, manteniamo una view nel complesso negativa.(Abstract by http://www.verinieassociati.com/)

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Da Payden & Rygel – Chart of the week – Nessun allarme per la crescita Usa

Posted by fidest press agency su mercoledì, 1 Maggio 2024

Nel 1° trimestre 2024 l’economia statunitense è cresciuta a un tasso annualizzato dell’1,6%, al di sotto delle aspettative, mentre l’indice dei prezzi delle spese per i consumi personali (PCE) ha raggiunto il 3,7% su base annua: due dati che inducono i mercati a ipotizzare una fase di “stagflazione”. Allo stesso tempo, l’economia Usa continua a dare prova della sua (forse eccezionale) resilienza: la spesa per i servizi personali ha contribuito al PIL in modo sostanziale, con livelli che non si registravano dal 2021, mentre gli investimenti immobiliari sono aumentati del 14%, un risultato migliore di qualsiasi altro trimestre dal 2013 al 2019. La riduzione di 86 punti base registrata dal PIL è stata determinata da un’impennata delle importazioni che ha superato il mercato dell’export, un dato che evidenzia comunque la forza dei consumatori statunitensi. Inoltre, gli investimenti nelle scorte, generalmente molto volatili, hanno ridotto ulteriormente la crescita del PIL di 35 punti base. L’indicatore delle vendite finali reali agli acquirenti privati nazionali (che esclude il commercio, le scorte e la spesa pubblica) ha registrato un tasso di crescita del 3,1% su base annua. Alla luce di questi dati, le preoccupazioni degli investitori per l’andamento della crescita risultano forse esagerate, mentre i timori legati all’inflazione sembrano per ora giustificati.

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Il rallentamento del Pil Usa potrebbe portare al cambio di rotta della Fed

Posted by fidest press agency su domenica, 28 aprile 2024

A cura di Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm. Nel primo trimestre del 2024 il prodotto interno lordo reale degli Stati Uniti è cresciuto dell’1,6% su base annua, al di sotto delle attese del mercato (+2,5%) e dell’ultima lettura del 2023 (+3,4%). A trainare il Pil Usa è stata soprattutto la crescita dei consumi e degli investimenti immobiliari, parzialmente compensata da un calo delle scorte e da un aumento delle importazioni, che nel calcolo del Pil vengono conteggiate con il segno meno. Il dato del GDP potrebbe pesare sulla decisione della Fed in calendario per la prossima settimana: finora la resilienza dell’economia Usa ha contribuito ad allontanare l’ipotesi di un taglio dei tassi, ma questo inaspettato rallentamento potrebbe essere il segnale che i policymaker stavano aspettando per procedere con un’inversione di rotta.

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Lavoro e politiche fiscali al centro delle elezioni Usa

Posted by fidest press agency su giovedì, 25 aprile 2024

A cura di Andrea Delitala, Head of Investment Advisory, e Marco Piersimoni, Senior Investment Manager di Pictet Asset Management Infine, l’avvicinarsi delle elezioni americane di novembre 2024 potrebbe incidere anche sulle dinamiche macroeconomiche. Tra i temi da considerare elettoralmente sensibili, c’è il mercato del lavoro. In effetti, il forte afflusso di manodopera straniera ha contribuito a colmare il gap tra domanda e offerta di lavoro, alleviando le tensioni sui salari e supportando l’economia. Il fatto è che, seppur il numero di occupati sia aumentato rispetto a prima della pandemia, la forza lavoro di cittadini immigrati aumenta più rapidamente di quella del lavoro residente. Secondo alcune rilevazioni di Goldman Sachs, infatti, sta aumentando il numero di visti negati per porre un freno agli ingressi. Lo stesso Presidente Joe Biden, del resto, si rende conto di quanto questo tema possa pesare nell’ambito della sfida elettorale con Donald Trump. In generale, chiunque vinca dovrà tenere in considerazione la sostenibilità dei conti americani. Il Congressional Budget Office, infatti, ha di recente pubblicato il suo report annuale sulle dinamiche delle grandezze fiscali americane a lungo termine, redatto alla luce della legislazione attuale ma che potrebbe non concretizzarsi qualora venga eletto un Presidente diverso da Biden. Nonostante ciò, si prevede che il debito americano arrivi al 166% del Pil entro il 2054. Se, infatti, il tasso di interesse reale dovesse aumentare come indicato dalle previsioni a lungo termine, anche la spesa per interessi aumenterebbe di molto e gli attuali livelli di deficit non sarebbero sostenibili.

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Per il mercato USA sempre più probabile il no-landing

Posted by fidest press agency su giovedì, 25 aprile 2024

A cura di Andrea Delitala, Head of Investment Advisory, e Marco Piersimoni, Senior Investment Manager di Pictet Asset Management. Questo primo trimestre dell’anno ha visto un’inflazione più alta delle previsioni, ma anche una crescita economica più robusta negli Stati Uniti. Questo ha portato la Federal Reserve a modificare le sue stime di crescita per l’anno in corso dal +1,4% che stimava a dicembre 2023 al +2,1% (con un’aspettativa del consensus che arriva fino al 2,2%). La novità in questo scenario è che ad oggi più che un soft-landing, potrebbe configurarsi un no-landing: vale a dire un’inflazione che scende più lenta del previsto accompagnata da una crescita economica resiliente, e che si attesta al di sopra del potenziale (ca 1,8% per gli USA). Dai dati si evince come il processo disinflattivo in America abbia perso la sua linearità, con un “ultimo miglio” (in realtà punto %: dal 3% al 2%) che si sta rivelando più tortuoso del previsto. La teoria più accreditata è che la fiammata inflattiva post-pandemica del 2022-23 sia legata alle dinamiche d’offerta, ovvero alla “supply side”. Del resto, anche il presidente della Fed, Jerome Powell, ha convalidato questa lettura: la sua politica monetaria ha agito per frenare la domanda, in modo da dare all’offerta il tempo di normalizzarsi, grazie al ripristinarsi delle normali condizioni sulle catene di fornitura. Un approccio diverso da quello di una banca centrale intenzionata a frenare un’inflazione da domanda, caratteristica dei cicli tradizionali. Da inizio anno, tuttavia, l’inflazione ha smesso di avere un chiaro percorso di discesa. In America, al momento, si osserva principalmente un’inflazione da servizi. Ed è un dato che si origina dalla dinamicità del mercato del lavoro e dalla relazione tra domanda e offerta di lavoratori. Negli Usa, infatti, si è arrivati fino a un picco di due posti di lavoro disponibili per ogni disoccupato (Vacancies/Unemployment), mentre oggi questo rapporto è sceso a 1,35 grazie anche ad un maggiore afflusso di forza lavoro in parte dovuta a nuovi immigrati (pari l’anno scorso a 3,3 milioni di persone in più). Un dato (il V/U), tuttavia, non ancora abbastanza basso, poiché in condizioni ideali dovrebbe scendere a circa uno. Nonostante il percorso di riequilibrio del “job market” ancora incompleto, al momento, l’aggiustamento al rialzo dei salari è compatibile con le altre grandezze economiche. Infatti, mettendo in relazione la crescita dei salari (ultimo dato tendenziale 4,1%, da 6 mesi gira attorno al 4%), al netto dell’inflazione che sui beni è intorno al 3%, si nota una crescita dei salari reali intorno all’1%. Questo sarebbe un problema per le aziende se la produttività del lavoro crescesse a un ritmo inferiore, ma questa sta aumentando al 2,6%, ritmo ben superiore rispetto all’aumento dei salari reali. Un aspetto, quest’ultimo, in chiara divergenza con la situazione europea dove i salari reali crescono circa al 2% e la produttività attorno all’1%. Questo significa che, per restituire potere d’acquisto ai lavoratori dipendenti svantaggiati durante il Covid, senza alimentare la spirale prezzi-salari, sia necessario un sacrificio dei margini di profitto – cosa alla quale peraltro la BCE si affida apertamente. Ciò giustifica almeno in parte il differenziale valutativo tra azioni americane ed europee. Alla luce di quanto sopra, abbiamo elaborato una serie di possibili scenari sulla base delle stime del consensus. I più probabili risultano essere al 50% quello di un no-landing, con previsioni macro che puntano a una crescita del 2,4% e a un’inflazione CPI al 3%, e al 30% quello di soft-landing, con una crescita del Pil all’1,5% e un’inflazione CPI 2,5%. Gli analisti del nostro centro di ricerca convergono su uno scenario intermedio che vede una crescita dell’1,8% e un’inflazione che dovrebbe rimanere più elevata al 3,2%, soprattutto a causa dei prezzi sui servizi che si comprimono a un ritmo inferiore alle aspettative.

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Comunicato-25 aprile: ci cacceranno perché portiamo la Bandiera USA e NATO?

Posted by fidest press agency su mercoledì, 24 aprile 2024

Al corteo del 25 aprile a Milano, se non saranno cacciate, ci saranno anche le bandiere NATO e USA grazie ai militanti di Associazione Atlantica Gianni Rubagotti e Alessio Alberti e al consigliere del Municipio 1 Giampaolo Berni. “Saremo soprattutto la mattina del 25 aprile al cimitero cimitero di guerra del Commonwealth per salutare e ringraziare chi ha dato la sua vita per regalarci la Libertà.” ha precisato Berni. “Ringrazio Azione per la ospitalità nel loro spezzone di corteo ma anche per essere accorsi quando mi hanno aggredito al Pride” ha dichiarato Gianni Rubagotti, segretario di Alleanza Atlantica “Sarà il corteo più difficile degli ultimi anni, temo seriamente che a Milano, come altrove è già successo, sarà proibita la nostra bandiera. Che è poi la bandiera della alleanza che ha difeso anche il nostro paese da attenzioni di tipo “putiniano” da parte dell’Europa dell’est allora nella sfera dell’Unione Sovietica. Noi ci proviamo a differenza di Ponte Atlantico che tace.Porterò la maglietta dedicata alla Força Expedicionária Brasileira, unica forza militare che venne dal Sudamerica a combattere il nazifascismo in Europa, quasi completamente dimenticata in Italia.Speriamo il prossimo anno di essere di più per portare altre bandiere alleate dimenticate come quella del Canada e dell’Australia.” “Porto orgogliosamente la bandiera USA al corteo” ha dichiarato Alessio Alberti “Non solo perché sono il paese che ci ha salvato dal fascismo nel secolo scorso ma anche perché da poco i fondi sbloccati per Ucraina, Israele e Taiwan hanno salvato l’Europa da una vittoria di Putin e dei nemici delle democrazie occidentali.” By Giampaolo Berni Ferretti

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U.S.A.: Disordine globale

Posted by fidest press agency su domenica, 21 aprile 2024

Il numero di aprile di Domino – rivista sui cambiamenti della politica internazionale diretta da Dario Fabbri – dipinge gli USA a tinte fosche, un

“Gotico americano” che rischia di sprofondare in una depressione ancora più nera, con le elezioni in vista: dalla crisi del Fentanyl (un oppioide sintetico 50 volte più forte dell’eroina, al centro del mercato della droga illegale) al mondo sottomarino di Qanon (la rete dei complottisti e suprematisti pro Trump made in USA) (Domino).Una delle domande poste da Fabbri è determinante: perché la crisi degli Stati Uniti è causa del caos cui assistiamo nel pianeta? Se la democrazia degli Stati Uniti si indebolisce, intanto il mondo è cambiato e la voce della Cina si fa sempre più interessante anche per gli alleati europei, come la Germania (Politico). Richard Grenell, considerato l’ambasciatore non ufficiale di Donald Trump, è un fervente sostenitore della politica estera “America First” e potrebbe diventare segretario di stato se Trump vincerà le elezioni. Grenell è visto come una figura chiave nella costruzione di una rete autoritaria globale. Le sue azioni e dichiarazioni hanno sollevato preoccupazioni sulla direzione della politica estera americana e sulla stabilità delle alleanze democratiche tradizionali (Guardian). (Fonte: Fondazione Giangiacomo Feltrinelli )

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Presidenziali USA: Il teorico della cospirazione che abbraccia gli alberi in corsa per la presidenza

Posted by fidest press agency su martedì, 16 aprile 2024

La prima cosa che noti, entrando nell’ufficio di Robert F. Kennedy junior nella sua casa di Los Angeles, è una tigre di pezza. A spararlo fu Sukarno, il primo presidente dell’Indonesia, che la CIA avrebbe tentato di assassinare. Come racconta Kennedy, suo zio, il presidente John F. Kennedy, quando apprese che Sukarno era antiamericano, disse: “Sarei antiamericano anch’io, se la CIA tentasse di uccidermi”. Sentendo ciò, Sukarno si “innamorò” di JFK e lo invitò a visitare l’Indonesia. Il padre di Kennedy, Robert F. Kennedy senior, che all’inizio degli anni ’60 era procuratore generale nell’amministrazione di suo fratello, andò invece a riportare indietro il dono della tigre. Poco dopo Sukarno inviò due draghi di Komodo vivi che Bobby junior aveva richiesto (finirono in uno zoo). Oggi Kennedy tiene l’animale nel suo ufficio esterno perché sua moglie, Cheryl Hines, un’attrice nota per la sua interpretazione in “Curb Your Enthusiasm”, “non gli permette di entrare in casa”. Il trofeo fa compagnia a un pipistrello di pezza donato a Kennedy da Glenn Close, che è madrina di una delle sue due figlie, e a un falco dalla coda rossa che, da falconiere alle prime armi, catturò in Virginia quando aveva 15 anni. falconeria dopo aver letto del suo ruolo nella Camelot di Re Artù (che è anche il soprannome applicato alla corte affascinante e apparentemente idealistica di JFK). Questo serraglio dice molto sulla vita di Kennedy, con il suo mix di tragedia e privilegio, celebrità ed eccentricità. C’è la sovrapposizione tra politica, mondo dello spettacolo e denaro che caratterizza i Kennedy da diverse generazioni. C’è una riverenza, al limite del culto degli antenati, per il padre e lo zio di Kennedy, i cui omicidi traumatizzarono sia l’America che lui. E c’è l’ambientalismo che risale all’infanzia travagliata di Kennedy, diventando un’ancora di salvezza nella sua ancora più travagliata prima età adulta. (Abstract by The Economist)

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Usa: l’inflazione accelera al +3,5% in marzo

Posted by fidest press agency su sabato, 13 aprile 2024

A cura di Jack Amy, Portfolio Analyst di Moneyfarm. L’inflazione complessiva negli Stati Uniti è passata dal +3,2% su base annua di febbraio al +3,5% di marzo, trainata dall’accelerazione dei prezzi di gas e servizi abitativi, mentre l’inflazione core, che esclude dal paniere i prezzi delle componenti più volatili come generi alimentari ed energia, ha messo a segno un aumento del +3,8% su base annua. Entrambe le letture sono risultate superiori rispetto alle attese degli analisti e delineano un quadro piuttosto hawkish, che mette in dubbio l’ipotesi di un taglio dei tassi da parte della Fed già in giugno.

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Inflazione Usa: sorprese al rialzo e dubbi sulla disinflazione

Posted by fidest press agency su sabato, 13 aprile 2024

A cura di Martina Daga, Macro Economist, AcomeA SGR. Anche il dato sull’inflazione di marzo negli Stati Uniti stupisce il consenso del mercato al rialzo e mette in discussione il processo di disinflazione, qualunque aggregato del paniere si guardi. Infatti, tra le componenti più volatili del paniere dei beni al consumo, la componente energetica negli ultimi mesi ha riaccelerato. Tra le componenti meno volatili, i prezzi al consumo dei servizi continuano a rimanere abbastanza forti, in particolare a marzo quelli relativi ai servizi di trasporto e ai servizi medici.Il dato di inflazione di marzo era atteso con particolare attenzione dal mercato, la Fed rimane infatti strettamente dipendente dai dati nel guidare le proprie scelte di politica monetaria e già i dati di inflazione di gennaio e febbraio avevano stupito il consenso al rialzo. Finora la Fed non si è mostrata preoccupata dell’accelerazione della crescita dei prezzi al consumo di inizio anno, sostenendo piuttosto che un paio di dati non cambiano il quadro generale. Tuttavia, il fatto che anche a marzo, e per tre mesi consecutivi, i prezzi al consumo si mostrino più forti delle attese, può legittimamente mettere in dubbio il fatto che il processo di disinflazione che abbiamo visto in tutta la seconda metà dello scorso anno sia entrato in una fase di stallo. La domanda rimane dunque quanto tempo durerà questa fase di stallo e se questa situazione permetterà ugualmente alla Fed di tagliare i tassi di riferimento di 75bp entro fine anno, come mostrato dalle proiezioni della Fed stessa di marzo.Guardando alle componenti dell’inflazione, oltre alla componente energetica, che rimane tra le più volatili, e che in un contesto di tagli all’offerta e tensioni geopolitiche potrebbe fare fatica a scendere, la componente che rimane più persistente è quella relativa ai servizi, particolarmente correlata ai salari. Per ora ci sono stati solo miti segnali di un ribilanciamento tra domanda e offerta di lavoro, ma ancora non accompagnati da un rallentamento della crescita dei salari. Certo, se il recente rafforzamento dei dati di produttività dovesse continuare, questo potrebbe giustificare la crescita salariale senza renderla inflazionistica. Inoltre, la Fed si trova in questo momento non solo di fronte a uno stallo del processo di disinflazione, ma anche di fronte a una crescita economica che rimane molto resiliente e un mercato del lavoro forte che, come dimostrato anche dal report pubblicato la scorsa settimana dal Bureau of Labor Statistics, anche a marzo ha creato più di 300mila nuovi posti di lavoro, e con un tasso di disoccupazione sceso a 3.8%. A questo quadro si aggiunge l’incertezza relativa all’esito delle imminenti elezioni politiche e le prospettive di un aumento della spesa fiscale che andrà a pesare ulteriormente sul deficit degli Stati Uniti.

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Somec: la controllata Fabbrica si aggiudica una nuova commessa negli Stati Uniti per oltre 18 milioni di dollari

Posted by fidest press agency su sabato, 6 aprile 2024

San Vendemiano (Treviso) Somec S.p.A. (Euronext Milan: SOM), specializzata nella progettazione, produzione e installazione di opere complesse chiavi in mano in ambito civile e navale, comunica che la propria controllata statunitense Fabbrica LLC, parte della divisione Horizons, Sistemi ingegnerizzati di architetture navali e facciate civili, si è aggiudicata una nuova commessa sulla costa orientale degli Stati Uniti per un controvalore di oltre 18 milioni di dollari. Il contratto riguarda il nuovo laboratorio biotech ILSB (Integrated Life Science Building) della Brown University, una delle più antiche e prestigiose università private statunitensi. Si tratta di un edificio di 10 piani nella città di Providence, nello stato del Rhode Island, che includerà laboratori all’avanguardia per ricercatori di biologia, medicina, scienze del cervello, bioingegneria e sanità pubblica. Un progetto che contribuirà a migliorare la qualità dello spazio pubblico dando vita ad un quartiere vivace e ad uso misto nel Jewelry District. In particolare, Fabbrica si occuperà della progettazione, ingegnerizzazione, produzione e fornitura di oltre 14mila metri quadrati di facciate continue in vetro e metallo. Il visual mockup sarà realizzato entro il terzo trimestre del 2024, mentre la posa, ad opera di un partner consolidato, avverrà dodici mesi dopo, nel terzo trimestre del 2025.

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J. SAFRA SARASIN: I pianeti si stanno allineando per le small Cap USA

Posted by fidest press agency su domenica, 31 marzo 2024

A cura di Wolf von Rotberg, Equity Strategist di J. Safra Sarasin. Le small cap statunitensi hanno vissuto un paio di mesi volatili. Dopo aver toccato un massimo di 18 mesi a fine dicembre, il rally si è arrestato all’inizio dell’anno, mentre le large cap hanno continuato a salire. Di conseguenza, il prezzo relativo delle small cap rispetto alle large cap è tornato ai minimi storici raggiunti nel 2020. La recente sottoperformance è dovuta a due motivi. Un fattore è stato l’esiguo guadagno delle large cap statunitensi, con i “magnifici 7” (“M7”) che hanno guidato ancora una volta la maggior parte del rialzo a gennaio e febbraio. Hanno fornito circa tre punti percentuali dei guadagni del 4,5% dell’S&P 500 da un anno all’altro, mentre le small cap statunitensi sono scese di circa l’1% dall’inizio del 2024. Si tratta di un proseguimento dell’andamento generale del 2023. Mentre le small cap si sono mosse in un ampio range di oscillazione, le large cap statunitensi hanno registrato un’impennata grazie a pochi titoli e si sono staccate dal resto del mercato al rialzo. L’altro fattore che ha determinato una sottoperformance delle small cap rispetto alle large cap sono i tassi. L’aumento dei rendimenti negli ultimi due anni ha esercitato una notevole pressione sugli indici delle small cap, principalmente attraverso due canali: Le banche regionali, che fanno parte delle small cap, hanno sottoperformato. Con ampi portafogli a reddito fisso (ad es. SVB) e una sostanziale esposizione al settore immobiliare commerciale (ad es. NYCB), sono state più vulnerabili all’aumento dei tassi rispetto alle loro colleghe più grandi. Le banche più piccole hanno anche dovuto lottare più duramente per mantenere i depositi, in quanto percepite come più rischiose rispetto alle banche di importanza sistemica. Ciò si è tradotto in un aumento dei tassi di interesse sui depositi e in una riduzione dei margini di interesse netti per le banche più piccole nel 2023.La leva finanziaria, che è sostanzialmente più alta nelle small cap. Con un EBITDA di quasi 2 volte, le small cap statunitensi hanno una leva finanziaria quasi doppia rispetto alle large cap, il che le rende più vulnerabili a un forte aumento dei tassi di interesse, come è avvenuto nel 2023. Mentre in un ciclo tipico la correlazione tra la performance delle small cap e i rendimenti sarebbe positiva, data la prociclicità di entrambi, il superamento dei tassi guidato dall’inflazione nel ciclo attuale ha invertito questa correlazione. I timori per l’eccessivo indebitamento e l’aumento dei costi di rifinanziamento hanno prevalso sui potenziali benefici derivanti dalla solidità della domanda. Lo scenario migliore per le small cap nel 2024 sarebbe quello in cui il ciclo rimanesse stabile, l’inflazione rallentasse, i tassi diminuiscano e gli “M7” cedano la loro leadership di mercato. Per quanto riguarda il ciclo, i recenti dati macro hanno mostrato alcuni germogli. I numeri del settore manifatturiero sono rimbalzati dai minimi toccati nel quarto trimestre dello scorso anno e probabilmente aumenteranno nei prossimi mesi, come indicato dai prestiti bancari. Questo probabilmente sosterrà le aspettative sugli utili delle small cap, facendole risalire dopo la flessione dello scorso anno, simile a quella della recessione. Abstract by http://www.verinieassociati.com

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AcomeA SGR: Azionario Usa le opportunità oltre i Magnifici 7

Posted by fidest press agency su sabato, 30 marzo 2024

A cura di Simone Obrizzo, Portfolio Manager azionario, AcomeA SGR.A partire da marzo 2023, sono aumentate le differenze di performance e di valutazione dei titoli dell’IA con indici, settori e capitalizzazioni a livello globale. Stiamo assistendo alla formazione di una gigantesca bolla o siamo di fronte a un cambio di paradigma epocale? Ad eccezione degli anni compresi tra il 2000 e il 2010, a seguito dell’espansione e della forte crescita dei Magnifici 7 si è notevolmente ampliata la divergenza tra l’indice S&P 500 e la sua versione equi pesata, in cui ogni titolo ha un peso analogo rispetto agli altri 499 dell’indice. Nonostante la maggior parte dei portafogli attivi abbia oggi una forte concentrazione sui Magnifici 7, riteniamo che il resto del mercato, rimasto un po’ indietro, celi ancora molto potenziale.I Magnifici 7 hanno raggiunto un multiplo di circa 30 volte, mentre il resto del mercato è arrivato a circa 21 volte. Questa divergenza si è mantenuta ad alti livelli nel corso degli ultimi quattro anni e si spiega con il comportamento degli investitori, i quali continuano a comprare un titolo, anche quando i multipli sono elevati, se la sua crescita è giustificata. Secondo noi, siamo arrivati a un punto di svolta nel tech, in cui il potenziale di crescita per i Magnifici 7 potrebbe essere più limitato rispetto al passato. Del resto, considerando un orizzonte temporale di medio lungo termine e confrontando le capitalizzazioni dei Magnifici 7 con quella di intere Borse, la situazione è impressionante: sette mega cap americane capitalizzano più della Borsa cinese, di quella giapponese e di quella francese. Il gigantismo dei colossi tech americani dimostra anche quanto poco spazio possa esserci per un ulteriore upside di questi titoli. A detta di molti osservatori anche l’IA spingerà la produttività nei prossimi anni. Se osserviamo il passato vediamo che circa 6 mesi prima del primo taglio dei tassi nel 1995 iniziò un rally che è culminato nella bolla del 2000 ma che per 5 anni ha registrato il 28% annualizzato. Nonostante l’euforia sui mercati, vediamo oggi un elevato potenziale dell’IA analizzando i commenti e i report delle società di semiconduttori, di hardware e di software in America. Questi report dimostrano come l’IA si stia diffondendo in modo significativo su interi settori, con un impatto positivo anche sulla marginalità. Degli sviluppi dell’IA ne hanno beneficiato solo alcune società, in questa prima fase, ma siamo tra coloro che pensano che possa diventare una tendenza più generale. Per questo stiamo valutando quali società avranno potenzialmente un maggiore successo sotto questo aspetto. La nostra focalizzazione è in particolare sulla parte hardware, con una preferenza alle società leader di mercato che potrebbero avvantaggiarsi della rivoluzione dell’IA. Ci piace anche il settore dei servizi di comunicazione, un’area dove si possono scovare sacche di crescita potenziale ancora non compresa dal mercato Abstract by.www.verinieassociati.com

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AcomeA SGR: Azionario Usa, le opportunità oltre i Magnifici 7

Posted by fidest press agency su venerdì, 29 marzo 2024

A cura di Simone Obrizzo, Portfolio Manager azionario, AcomeA SGR. A partire da marzo 2023, sono aumentate le differenze di performance e di valutazione dei titoli dell’IA con indici, settori e capitalizzazioni a livello globale. Stiamo assistendo alla formazione di una gigantesca bolla o siamo di fronte a un cambio di paradigma epocale? Ad eccezione degli anni compresi tra il 2000 e il 2010, a seguito dell’espansione e della forte crescita dei Magnifici 7 si è notevolmente ampliata la divergenza tra l’indice S&P 500 e la sua versione equi pesata, in cui ogni titolo ha un peso analogo rispetto agli altri 499 dell’indice. Nonostante la maggior parte dei portafogli attivi abbia oggi una forte concentrazione sui Magnifici 7, riteniamo che il resto del mercato, rimasto un po’ indietro, celi ancora molto potenziale. I Magnifici 7 hanno raggiunto un multiplo di circa 30 volte, mentre il resto del mercato è arrivato a circa 21 volte. Questa divergenza si è mantenuta ad alti livelli nel corso degli ultimi quattro anni e si spiega con il comportamento degli investitori, i quali continuano a comprare un titolo, anche quando i multipli sono elevati, se la sua crescita è giustificata. Secondo noi, siamo arrivati a un punto di svolta nel tech, in cui il potenziale di crescita per i Magnifici 7 potrebbe essere più limitato rispetto al passato. Del resto, considerando un orizzonte temporale di medio lungo termine e confrontando le capitalizzazioni dei Magnifici 7 con quella di intere Borse, la situazione è impressionante: sette mega cap americane capitalizzano più della Borsa cinese, di quella giapponese e di quella francese. Il gigantismo dei colossi tech americani dimostra anche quanto poco spazio possa esserci per un ulteriore upside di questi titoli. Nonostante il forte appeal dei Magnifici 7 e il recente rally, pensiamo tuttavia che nella parte restante del mercato ci sia un potenziale di crescita molto più elevato. Siamo in una fase in cui l’inflazione è in fase decrescente e sta arrivando il momento più difficile per riportarla intorno al target del 2 per cento. Sullo sfondo, la prospettiva di un imminente taglio dei tassi da parte della Fed, mentre la tematica dell’intelligenza artificiale si sta affermando come potenziale driver per l’incremento della produttività. Quest’ultima dinamica può in parte ricordare gli anni del boom delle tecnologie digitali successivi al 1994, in cui si è verificato un aumento annuo della produttività del 2,5%per i maggiori investimenti immateriali delle imprese. A detta di molti osservatori anche l’IA spingerà la produttività nei prossimi anni. Se osserviamo il passato vediamo che circa 6 mesi prima del primo taglio dei tassi nel 1995 iniziò un rally che è culminato nella bolla del 2000 ma che per 5 anni ha registrato il 28% annualizzato. Nonostante l’euforia sui mercati, vediamo oggi un elevato potenziale dell’IA analizzando i commenti e i report delle società di semiconduttori, di hardware e di software in America. Questi report dimostrano come l’IA si stia diffondendo in modo significativo su interi settori, con un impatto positivo anche sulla marginalità. Degli sviluppi dell’IA ne hanno beneficiato solo alcune società, in questa prima fase, ma siamo tra coloro che pensano che possa diventare una tendenza più generale. Per questo stiamo valutando quali società avranno potenzialmente un maggiore successo sotto questo aspetto. La nostra focalizzazione è in particolare sulla parte hardware, con una preferenza alle società leader di mercato che potrebbero avvantaggiarsi della rivoluzione dell’IA. Ci piace anche il settore dei servizi di comunicazione, un’area dove si possono scovare sacche di crescita potenziale ancora non compresa dal mercato.

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Commento Comgest – Azioni USA, chi vince prende tutto?

Posted by fidest press agency su venerdì, 29 marzo 2024

Louis Citroën e Justin Streeter, Gestori del fondo Comgest Growth America. Nel 2023 l’unico modo per brillare nel mercato statunitense sembrava essere quello di battere le “Magnifiche Sette”. Tuttavia, negli ultimi 30 anni negli USA si è registrato un aumento del 50% del numero di aziende, che sono passate da 4 milioni a 6 milioni. Allo stesso tempo, però, si è assistito a un aumento della concentrazione nell’economia. Se negli anni ’30 questa percentuale rappresentava circa metà dell’economia, oggi, invece, è prossima al 90%. Pertanto, la questione ha acquisito rilevanza per gli investitori che devono riconoscere le migliori aziende in cui investire.Crediamo sia importante concentrarsi su società che abbiano un vantaggio competitivo che garantisca loro di continuare a crescere nel lungo periodo. Per farlo occorre analizzare il modello di business delle società durante il loro ciclo di vita attraverso la “curva a S” della crescita di qualità. Se ci si muove lungo la curva, è possibile trovare alcune aziende che, a livello di percezione pubblica, sono poco mature, ma che in realtà hanno al loro interno delle divisioni che stanno crescendo più velocemente e che le rendono interessanti. Tra queste c’è Avery Dennison, leader nel settore delle etichette adesive. L’azienda ha una divisione di etichette a radiofrequenza che sta crescendo molto rapidamente. Noi di Comgest tendiamo a preferire le aziende con “crescita forte e sostenibile” o “crescita costante e sostenibile” e puntiamo su questi titoli a crescita composita nel lungo termine che hanno una volatilità più bassa con rendimenti interessanti a due cifre. I primi tre operatori del settore tech, Amazon, Microsoft e Google, spendono ogni anno circa 100 miliardi di dollari in investimenti. Tuttavia, sono necessarie una scala e una diversificazione delle entrate per poter finanziare queste attività. Le dimensioni di una società non sono sufficienti per avere un vantaggio competitivo e crescere nel lungo periodo, ma contano anche altri fattori, tra cui le caratteristiche del mercato. Il mercato USA è ancora in una certa misura frammentato, ma molto competitivo e in continua crescita. I dati sull’economia statunitense sono molto positivi, ma bisogna tenere in considerazione anche altri aspetti come l’impatto della Fed e delle elezioni americane. In generale, i mercati iniziano a preoccuparsene ma, indipendentemente da chi sarà eletto, gli Stati Uniti avranno ancora un enorme vantaggio competitivo rispetto alle altre economie occidentali. Abstract by http://www.verinieassociati.com

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GAM: La qualità paga per azionario Europa e USA

Posted by fidest press agency su domenica, 24 marzo 2024

A cura di Charles Hepworth, Investment Director di Gam. È vero che la dispersione delle valutazioni tra Stati Uniti ed Europa è a livelli elevati. A prima vista, ovviamente lo stato naturale della crescita economica di ciascuna regione contribuirebbe a spiegare parte di questa differenza, in quanto gli investitori potrebbero essere più felici di pagare più del dovuto per la crescita, rafforzando così un multiplo più costoso. Questo fenomeno si è accentuato in seguito alla crisi finanziaria globale, quando il mercato azionario statunitense, molto orientato verso la tecnologia, era meglio posizionato per beneficiare del contesto di tassi d’interesse bassi o nulli che si è poi verificato.I FAANG degli anni della pandemia hanno assunto le sembianze dei “Magnifici 7”. Questi stessi nomi legati alla tecnologia negli Stati Uniti hanno permesso a questa dispersione di mettere il turbo nell’ultimo anno: Apple, Alphabet, Amazon, Meta. Microsoft, NVIDIA e Tesla stanno davvero distorcendo il P/E del mercato data la loro crescita esplosiva, con NVIDIA in particolare che è al momento il simbolo di tutto ciò che è AI con un P/E stimato di 35 volte. Questo gruppo di titoli, che costituisce il 29% del benchmark regionale, è scambiato con un P/E prospettico aggregato di 25 volte ed è difficile trovare una categoria simile nello spazio azionario europeo che si avvicini a questo multiplo di PE, per cui si potrebbe sostenere che è il ruolo di particolare dominanza e l’euforia degli investitori per questi colossi della tecnologia a determinare l’apparente divario di valutazione.Se si costruisce un analogo proxy di crescita nello spazio europeo, con margini di profitto netto altrettanto elevati, posizione dominante nel mercato e alti tassi di crescita composta, utilizzando società come GSK, Roche, Nestle, Novartis, L’Oreal, LVMH, AstraZeneca e Sanofi (si noti la preponderanza di prodotti farmaceutici rispetto a quelli puramente tecnologici), l’argomento della valutazione è molto più chiaro. Questi titoli sono scambiati complessivamente a soli 16,6 volte il P/E a termine, decisamente più conveniente. Si è sostenuto che i titoli azionari statunitensi richiedono multipli più elevati in quanto ritenuti di qualità superiore, caratterizzati da una crescita strutturale più rapida, da una maggiore prevedibilità degli utili e da una maggiore facilità per gli azionisti, oltre che da una migliore allocazione del capitale e da una minore influenza delle politiche governative. Sembrerebbe strano che queste stesse argomentazioni non valgano per le azioni europee di cui sopra. Gli Stati Uniti rappresentano un peso ampio e consistente nei portafogli globali, mentre le allocazioni europee sono sempre state spesso un ripensamento dell’allocation. Ma proprio come il mercato azionario statunitense negli anni ’70 ha goduto della crescita dell’allora “Nifty Fifty”, con gli investitori apparentemente felici di pagare più del dovuto sulla base dell’aspettativa di una continua crescita degli utili, il successivo crollo di questi nomi è stato tutt’altro che di buon auspicio. Non auspichiamo un crollo nell’attuale performance dei “Magnifici Sette” ma piuttosto che gli investitori si rendano conto che è giunto il momento di rivalutare le parti del mercato che, per le più svariate ragioni, non sono state apprezzate. A volte conviene puntare su una crescita di qualità: il percorso sarà molto più agevole. Fonte: http://www.verinieassociati.com/

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Cresce l’allerta morbillo negli Stati Uniti

Posted by fidest press agency su venerdì, 22 marzo 2024

Secondo i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) sono 59 i casi accertati dall’ inizio del 2024 superiori quindi ai 58 registrati complessivamente nel 2023. L’ agenzia del governo americano ha aggiornato le sue raccomandazioni sulla gestione della nuova emergenza, invitando i cittadini che si apprestano a viaggiare all’estero a controllare le proprie vaccinazioni almeno sei settimane prima della partenza in modo da avere il tempo per vaccinarsi. Focolai a macchia di leopardo si stanno diffondendo in diverse aree degli Stati Uniti e nelle grandi città, come quelli registrati recentemente a Chicago, quasi tutti in un centro per senzatetto. Tutti i frequentatori del centro di ricovero sono stati vaccinati contro il morbillo. Sinora i contagi ufficiali sono stati verificati in 17 Stati Usa, ma le autorità sospettano che possano essere molti di più e in più zone. Gli esperti ribadiscono la pericolosità della malattia a fronte della crescita dei sentimenti no vax, e soprattutto per i più piccoli: secondo i Cdc i rischi di morte per complicazioni sono di un bambino ogni mille infetti tra i 0-4 anni. In Europa, nel frattempo, il virus del morbillo è stato scoperto nelle acque reflue della capitale belga Bruxelles, come sottolinea uno studio della Katholieke Universiteit di Lovanio (KU Leuven). “Abbiamo esaminato le acque reflue di Lovanio, Bruxelles-Sud e Bruxelles-Nord – spiega la virologa Elke Wollants, citata dalla Tv fiamminga Vrt – Mentre a Lovanio e Bruxelles-Sud le indagini hanno dato esito negativo, a Bruxelles-Nord abbiamo trovato il virus del morbillo in 3 campioni consecutivi”. Per Wollants, responsabile di laboratorio al Rega Institute della KU Leuven, “questo indica che circolano molte più infezioni di quelle che intercettiamo”. Se a Bruxelles sono noti circa 6 casi di morbillo, “l’aver rilevato il virus nelle acque reflue di una città con un milione di abitanti – avverte – significa che molte infezioni sfuggono ai radar” della diagnosi. In Belgio – riporta Vrt – solo il vaccino anti-poliomielite è obbligatorio, l’anti-morbillo no. E a Bruxelles e in Vallonia il tasso di vaccinazione è molto inferiore a quello delle Fiandre. “Nelle Fiandre la copertura è dell’89%, mentre a Bruxelles e in Vallonia il tasso di vaccinazione è del 75%. Non è quindi inconcepibile che lì possa circolare il morbillo”, osserva Wollants. “Ecco perché invitiamo a vaccinare il più possibile i bambini, perché questo – insiste – è l’unico modo per proteggersi dal virus”. Virus che, riportava in febbraio l’Ecdc, ha ucciso 6 persone in Romania e una in Irlanda. Un’epidemia di morbillo è in corso anche nei Paesi Bassi, a Eindhoven e dintorni, evidenzia la Tv fiamminga. Le segnalazioni al Servizio sanitario comunale parlano di 14 bambini contagiati, età media 5 anni, e di un adulto infettato. Secondo le autorità olandesi, nessuno di loro era vaccinato. (Fonte Doctor33)

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