Cresce la preoccupazione dell’UNHCR, Agenzia ONU per i Rifugiati, per la sicurezza ed il benessere dei rifugiati e dei civili coinvolti nel conflitto in Sudan, poiché l’accesso umanitario rimane limitato e aumentano le segnalazioni di abusi dei diritti umani.Siamo particolarmente preoccupati per la situazione dei rifugiati a Khartoum. Sebbene il numero di rifugiati nella capitale sia diminuito in modo significativo, scendendo a meno della metà del totale precedente al conflitto e attestandosi ora al di sotto delle 150.000 unità, coloro che sono ancora presenti devono affrontare una situazione disastrosa, che comporta problemi di sicurezza e di accesso al cibo e ai servizi di base.Si stima che 150.000 rifugiati abbiano lasciato autonomamente Khartoum per trasferirsi in condizioni pericolose negli Stati del White Nile, Gedaref, Kassala e Jazira e a Port Sudan, secondo quanto riporta la Commissione sudanese per i rifugiati (COR).Attraverso le sue linee telefoniche dirette, l’UNHCR continua a fornire ai rifugiati consigli e, ove possibile, riferimenti. Le informazioni sui servizi disponibili sono state diffuse su Internet e sui social media. L’UNHCR ha inoltre lavorato a stretto contatto con le reti di protezione delle comunità e con i leader dei rifugiati per contribuire a fornire protezione e assistenza nelle aree sicure del Paese.A Port Sudan, dove sono fuggite migliaia di persone, tra cui sudanesi e rifugiati di varie nazionalità, l’UNHCR ha lavorato con i partner per identificare luoghi di raccolta e valutare i bisogni dei nuovi arrivati. Ai richiedenti asilo e ai rifugiati viene rilasciata la documentazione e ai più vulnerabili vengono distribuiti generi di prima necessità come coperte e teli di plastica.Nel White Nile e nel Blue Nile continuiamo a fornire assistenza umanitaria come ripari, acqua potabile, kit igienici e servizi sanitari a migliaia di sud sudanesi e ai nuovi arrivati da Khartoum, ma le scorte stanno diminuendo. Recentemente anche il Programma Alimentare Mondiale (WFP) ha distribuito cibo.Considerando la crescente vulnerabilità dei rifugiati in tutto il Paese, stiamo intensificando le campagne di informazione per metterli al corrente dei pericoli del traffico di esseri umani e del contrabbando. Continuiamo a chiedere alle autorità sudanesi di rafforzare le misure di sicurezza nei campi profughi. L’UNHCR, insieme ai suoi partner, sta facendo del suo meglio per proteggere e assistere i rifugiati in Sudan in circostanze molto difficili. Continuiamo a chiedere il rispetto del cessate il fuoco, in modo che le persone coinvolte nel conflitto possano spostarsi in luoghi più sicuri e che l’assistenza umanitaria possa raggiungere chi ne ha bisogno.
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Cresce la preoccupazione per la sicurezza dei rifugiati coinvolti nel conflitto in Sudan
Posted by fidest press agency su domenica, 4 giugno 2023
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Grave crisi di rifugiati in Sudan
Posted by fidest press agency su martedì, 2 Maggio 2023
L’Alto Commissario ONU per i Rifugiati, Filippo Grandi, è molto preoccupato per il fatto che il brutale conflitto in corso in Sudan sta costringendo decine di migliaia di persone ad abbandonare le proprie case in cerca di sicurezza sia all’interno del Paese che oltre i suoi confini. I bisogni umanitari in Sudan erano già enormi prima dell’attuale ondata di violenza, compresi quelli dei 3,7 milioni di sfollati interni. Il loro numero sta rapidamente aumentando, anche se non sono ancora disponibili statistiche. Almeno 20.000 rifugiati sudanesi sono fuggiti in Ciad, un Paese con risorse limitate che ospitava già 600.000 rifugiati. I nuovi arrivati provengono dal Darfur, una delle regioni del Sudan più colpite dalle violenze e dove la crescente instabilità potrebbe causare spostamenti molto più consistenti nelle prossime settimane. Altri hanno attraversato l’Egitto. L’UNHCR sta discutendo con il governo egiziano per garantire che le persone bisognose di protezione internazionale siano adeguatamente accolte e seguite.Almeno 4.000 rifugiati sud sudanesi – parte degli 1,1 milioni di rifugiati provenienti dai Paesi limitrofi attualmente ospitati dal Sudan – sono stati costretti a tornare prematuramente a casa in condizioni di profonda incertezza. A loro probabilmente ne seguiranno altri.Nel frattempo, l’UNHCR, insieme al resto delle Nazioni Unite, rimane in Sudan a sostegno della sua popolazione. Continua a operare ovunque abbia accesso sicuro appoggiandosi anche ad alcune delle reti comunitarie costituite durante la pandemia. L’UNHCR intende aumentare le operazioni ovunque in Sudan il prima possibile. Infine, ma non per questo meno importante, l’Alto Commissario invita la comunità internazionale a fornire urgentemente risorse adeguate per sostenere gli sforzi dell’UNHCR. Le risposte ai rifugiati nei Paesi della regione sono state a lungo estremamente sottofinanziate. Dobbiamo affrontare con urgenza i bisogni dei rifugiati, dei Paesi e delle comunità ospitanti, soprattutto perché sempre più persone cercano sicurezza. Una vera e propria catastrofe può essere evitata, ma il tempo stringe.
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Filippo Grandi dell’UNHCR elogia il supporto della Moldavia ai rifugiati ucraini
Posted by fidest press agency su domenica, 22 gennaio 2023
Il testo che segue è attribuibile all’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi.Sono lieto di essere in Moldavia per congratularmi con il governo per la sua decisione di attivare la protezione temporanea per i rifugiati in fuga dall’Ucraina. Il popolo e il governo moldavi hanno dimostrato una notevole solidarietà nei confronti dei rifugiati sin dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, quasi un anno fa.Questo sostegno è stato visibile fin dai primi giorni e settimane di guerra, quando decine di migliaia di rifugiati – soprattutto donne e bambini – sono fuggiti dall’Ucraina, e continua tuttora.Nonostante le numerose e pressanti sfide economiche e le risorse limitate, i moldavi hanno aperto il loro Paese e le loro case. Negli ultimi 11 mesi sono arrivati quasi 750.000 rifugiati ucraini e ne rimangono oltre 102.000, di cui quasi la metà sono bambini.La decisione del governo di attivare la protezione temporanea all’inizio di questa settimana è un’altra espressione concreta e tangibile di solidarietà continua e sostenuta con il popolo ucraino. Fornisce uno status giuridico più sicuro ai rifugiati, e apre la strada a una risposta più sostenibile e pianificata. La protezione temporanea aiuterà i rifugiati ad accedere al lavoro, a diventare autonomi e a contribuire alle comunità che li ospitano fino a quando non potranno tornare a casa in sicurezza e dignità. Fornisce inoltre il quadro per un accesso ancora più sostenibile all’istruzione e ad altri servizi di base, garantendo stabilità in un momento di grande trauma e sconvolgimento.L’UNHCR, l’Agenzia ONU per i Rifugiati, è impegnata a sostenere la Moldavia e ad approfondire la cooperazione per l’inclusione dei rifugiati, mobilitando al contempo un forte sostegno da parte dei donatori alle famiglie e comunità ospitanti.Dall’inizio dell’afflusso di rifugiati, l’UNHCR da sola ha fornito assistenza e sostegno in Moldavia per oltre 100 milioni di dollari, in aggiunta ai contributi di altri attori umanitari e dello sviluppo, nonché al sostegno diretto dei donatori bilaterali al governo. Continueremo a investire nel rafforzamento dei sistemi di protezione sociale in Moldavia, sia per i rifugiati che per i moldavi. Tuttavia, è indispensabile che la comunità internazionale si faccia avanti per rinnovare il sostegno alla risposta ai rifugiati e alle comunità che generosamente li ospitano in Moldavia. Ciò significa investimenti urgenti e potenziati per lo sviluppo del Paese, nonché sforzi internazionali significativi per sostenere e far crescere l’economia, anche incoraggiando gli investimenti del settore privato che possono offrire opportunità sostenibili sia ai moldavi che ai rifugiati.
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Rifugiati dall’Iran nel Kurdistan iracheno
Posted by fidest press agency su domenica, 16 ottobre 2022
L’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) lancia un appello all’Unione Europea affinché aiuti i rifugiati curdi dall’Iran che scappano nel Kurdistan iracheno. Dopo gli attacchi delle Guardie Rivoluzionarie iraniane, hanno urgente bisogno di aiuti umanitari. A causa dei bombardamenti degli ultimi giorni, centinaia di persone sono rimaste senza casa, soprattutto donne, bambini e anziani. Da anni cercano rifugio nel vicino Kurdistan iracheno. Ora hanno paura di rimanere nei rifugi che ancora non sono stati distrutti dagli attacchi iraniani. Da settimane le Guardie rivoluzionarie iraniane bombardano case, scuole e altre strutture nel Kurdistan iracheno utilizzate dai rifugiati. Decine di persone sono state uccise, tra cui donne e bambini. L’Iran afferma di aver utilizzato oltre 73 missili balistici e numerosi droni kamikaze contro i “terroristi”. Per paura di ulteriori attacchi, i corpi delle persone uccise vengono seppelliti solo di notte. Poiché un attacco può arrivare in qualsiasi momento, i bambini hanno paura di andare a scuola e le famiglie evitano le proprie case. Per paura dei sicari iraniani, i feriti spesso non vogliono farsi curare negli ospedali pubblici. I servizi segreti iraniani e turchi sono molto attivi nella regione. Non è raro che i curdi vengano uccisi da sconosciuti nelle loro case o nelle strade. L’UE deve fare il possibile per assistere le vittime del regime dei Mullah. L’Iraq non ha un governo funzionante da mesi. Il Paese non è in grado di proteggere i propri confini e di fornire assistenza umanitaria ai rifugiati provenienti dal Paese vicino. L’UE non dovrebbe quindi limitarsi a un generico sostegno a parole. Se davvero condanna le azioni dell’Iran contro i manifestanti nel proprio Paese e i rifugiati in Iraq, deve anche aiutare le vittime. La maggior parte dei rifugiati curdi provenienti dall’Iran risiedeva alla periferia della città di Koya, sulla strada principale tra Arbil e Sulaymaniyah.
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3,4 miliardi di euro ai Paesi UE per affrontare la crisi dei rifugiati ucraini
Posted by fidest press agency su lunedì, 11 aprile 2022
Bruxelles. I deputati hanno deciso di liberare immediatamente un importo pari a circa 3,4 miliardi di euro (dei 10 miliardi di euro disponibili) dalle risorse REACT-EU e rendere più celere l’accesso dei governi UE ai fondi per finanziare infrastrutture, alloggi, attrezzature, occupazione, istruzione, inclusione sociale, assistenza sanitaria e assistenza ai bambini per i rifugiati. Le nuove misure permetteranno un incremento del prefinanziamento iniziale (15% rispetto all’11% previsto originariamente) delle risorse REACT-EU per tutti i Paesi UE. Gli Stati membri che confinano con l’Ucraina (Ungheria, Polonia, Romania e Slovacchia) e quelli che hanno ricevuto un numero di rifugiati equivalente a più dell’1% della loro popolazione nazionale (Austria, Bulgaria, Cechia ed Estonia) possono ottenere immediatamente il 45% (rispetto all’11% previsto) del fondo (senza, al momento, dover presentare alcun resoconto. Il testo legislativo è stato adottato con 549 voti favorevoli, uno contrario e 8 astensioni.
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Opportunità di lavoro nell’istruzione ai laureati rifugiati
Posted by fidest press agency su mercoledì, 14 luglio 2021
L’UNHCR, Agenzia ONU per i Rifugiati, e la rete globale Teach For All collaborano per sostenere l’impiego dei laureati rifugiati nel settore dell’istruzione attraverso una rete di programmi di borse di studio per l’insegnamento. La partnership sosterrà l’inclusione dei rifugiati nelle comunità ospitanti.Secondo la Banca Mondiale, il ritorno economico sulla frequenza universitaria è il più alto di tutto il sistema di istruzione, con un aumento medio del 17% dei guadagni per ogni anno di università frequentato. Nell’ambito della collaborazione, i laureati sostenuti dal programma di borse di studio DAFI (Albert Einstein German Academic Refugee Initiative) saranno avviati verso l’occupazione attraverso una borsa di studio per l’insegnamento e lo sviluppo di leadership con Teach For All.“Questa entusiasmante partnership con Teach for All aiuterà i laureati rifugiati a entrare nel mercato del lavoro e a realizzare il loro immenso potenziale come membri attivi delle comunità ospitanti”, ha detto Rebecca Telford, capo dell’istruzione dell’UNHCR.Ad oggi in tutto il mondo solo il 3% dei giovani rifugiati ha accesso all’istruzione superiore. Attraverso il programma DAFI e altri progetti come UNICORE – University Corridors for Refugees, l’UNHCR aiuta i rifugiati a iscriversi a istituti pubblici di istruzione superiore in tutto il mondo, come parte del suo obiettivo di garantire che, entro il 2030, il 15% dei giovani rifugiati sia iscritto all’università, in linea con gli obiettivi del Global Compact sui Rifugiati e l’impegno di “non lasciare nessuno indietro” dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.La collaborazione permetterà alla rete di organizzazioni partner di Teach For All nei paesi d’asilo di includere i laureati rifugiati nei loro pool di insegnanti e di trasformarli in leader motivazionali per le loro classi. Verrà sperimentata in diversi paesi africani con l’obiettivo di espandersi in altri paesi dove operano le organizzazioni partner di Teach For All. Opportunità di lavoro come quelle fornite dalla rete di Teach For All sono vitali per promuovere la piena inclusione sociale ed economica dei rifugiati che hanno conseguito una laurea e possono mettere le loro preziose capacità e talento a servizo dell’insegnamento.
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L’avvertimento di Kamala Harris ai rifugiati: “restate a casa”
Posted by fidest press agency su domenica, 20 giugno 2021
“Voglio essere chiara con i residenti di questa regione che stanno pensando di fare il pericoloso viaggio al confine tra il Messico e gli Stati Uniti. Non venite. Non venite”. Questo il monito uscito dalla bocca della vicepresidente americana Kamala Harris per scoraggiare i centroamericani che vedono la loro salvezza nel Paese di strisce e stelle. Se ci fossero stati dubbi sulle sue parole la Harris ha aggiunto che quelli che arrivano al confine “saranno spediti indietro”.Le dure parole della vicepresidente americana stonano in primo luogo perché richiamano la linea dura dell’amministrazione di Donald Trump sugli immigrati dalla quale Joe Biden e la stessa Harris avevano promesso in campagna elettorale di volersi allontanare. Biden e Harris avevano giustamente riconosciuto gli attacchi agli immigrati della politica di Trump il quale si rifiutò di accettare i loro contributi. Per Trump gli immigrati erano poc’altro che stupratori, criminali, a cui bisognava proibire l’ingresso negli Usa. Biden e Harris, invece, avevano detto di vedere i nuovi arrivati come risorsa e valore aggiunto in un Paese costruito in grande misura da immigrati.Stonano ancor di più le parole della vicepresidente considerando il fatto che i suoi genitori vennero in America da altri Paesi. Nel suo discorso dopo la vittoria nell’elezione del 2020 la Harris ha infatti ricordato che la madre Shymala Gopalan Harris era venuta in America dall’India all’età di 19 anni. Anche il padre, Donald Harris, era nato in Giamaica. I genitori erano dunque immigrati senza però la valigia di cartone poiché approdarono negli Usa come studenti per completare il loro dottorato all’Università della California a Berkeley.La Harris aveva dimostrato la sua sensibilità agli immigrati quando svolgeva il suo lavoro di procuratore generale della California, prima di divenire senatrice ed eventualmente vicepresidente. Da procuratore generale nel Golden State la Harris aveva supportato il concetto delle città santuari per immigrati, limitando la cooperazione con il governo federale nelle deportazioni, eccetto nei casi di gravi reati.Le reazioni della sinistra alle dure parole della vicepresidente non si sono fatte aspettare. Alexandria Ocasio-Cortez, parlamentare di New York (quattordicesimo distretto) e icona dell’ala liberal dei democratici, ha espresso su Twitter la sua “delusione”. Ha ragione anche perché il diritto alla richiesta di asilo per chi arriva negli Stati Uniti è sancito non solo dalla legge internazionale ma anche da quella americana. Non garantisce che i richiedenti asilo avranno successo a ottenerlo e resteranno negli Usa ma il diritto di richiesta non va ignorato, come ben sa la Harris. Anche l’attrice americana di origini honduregne, America Ferrera, ha espresso la sua delusione. La Ferrera, notissima per il suo ruolo di protagonista nella serie televisiva Ugly Betty, ma anche attivista politica, ha visto crudeltà nelle parole di Harris, aggiungendo che le ricordano i consigli a chi sta annegando di smettere di “dimenarsi”. La Ferrera sottolineava in questo modo la disperazione che spinge i centroamericani a rischiare la vita per un futuro migliore negli Usa. Al di là del passo falso con il suo durissimo monito la Harris ha anche subito un sgambetto dai media per la sua mancata visita alla frontiera col Messico dove i numeri di richiedenti asilo continuano ad aumentare. In due interviste televisive, una alla Abc e l’altra ad Univisión, Harris non è riuscita a districarsi bene promettendo che visiterà il confine fra breve. Andare al confine per farsi fotografare è stata una strategia repubblicana di ricordare agli americani che c’era un serio problema e che la loro visita confermava la serietà delle loro azioni. In realtà si trattava di propaganda politica per racimolare più voti e riconfermare la fedeltà degli elettori conservatori.Harris ha giustamente spiegato nelle interviste che la soluzione ai problemi dell’immigrazione si trova attaccando le radici. La situazione al confine, in essenza, è il sintomo. Ecco perché lei si era recata in America Centrale dove si è incontrata con il presidente del Guatemala Alejandro Giammattei e poi con il presidente del Messico Andrés Manuel Obrador. Harris ha promesso 500 mila vaccini anti-Covid al Guatemala ma si è anche discusso il piano di assistenza economica di 4 miliardi di dollari in Centroamerica. Inoltre, investimenti privati sarebbero incoraggiati onde migliorare l’economia e la sicurezza, scoraggiando i centroamericani dall’abbandonare i loro Paesi.Tre mesi fa il presidente Biden ha incaricato Harris di dirigere la politica americana per controllare l’immigrazione proveniente dall’America Centrale che continua a creare problemi al confine col Messico. Si tratta di un compito difficilissimo non risolto da Trump né da presidenti precedenti. La vicepresidente attuale sta facendo del suo meglio per affrontare una situazione spinosissima in maniera realista riconoscendo che il problema nasce dalla complessa situazione in America Centrale. Ovviamente ha fatto alcuni passi falsi ma si può riprendere. Un’indicazione di questa ripresa ci è stata offerta recentemente con il suo annuncio del nono anniversario del DACA (Deferred Action of Childhood Arrivals), l’ordine esecutivo del presidente Barack Obama del 2012. I giovani portati negli Stati Uniti da genitori senza permessi legali sono stati protetti da Obama il quale ha garantito loro permanenza legale temporanea. Una legge su questi individui chiamati “dreamers” (sognatori) è stata approvata dalla Camera la quale stabilisce un iter per la loro permanenza permanente e l’eventuale cittadinanza americana. Harris ha annunciato che il Senato dovrebbe considerare ed approvare la legge la quale non influirebbe molto sulla situazione al confine col Messico ma costituirebbe un successo nella questione dell’immigrazione per Harris e il suo capo. Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California.
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La Colombia intende regolarizzare i rifugiati e i migranti venezuelani
Posted by fidest press agency su venerdì, 12 febbraio 2021
L’UNHCR, Agenzia ONU per i Rifugiati, e l’OIM, Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, hanno elogiato ieri l’iniziativa della Colombia di riconoscere uno status di protezione temporanea di dieci anni ai venezuelani presenti nel Paese.La Colombia ospita 1,7 milioni di venezuelani, che rappresentano più del 37% dei circa 4,6 milioni di rifugiati e migranti venezuelani in America Latina e nei Caraibi. Più della metà della popolazione venezuelana in Colombia non ha uno status regolare, il che influisce sulla sua capacità di accedere a servizi essenziali, protezione e assistenza.“Questo coraggioso gesto umanitario serve da esempio per la regione e per il resto del mondo. È un gesto che cambia la vita a 1,7 milioni di venezuelani costretti a fuggire che ora beneficeranno di maggiore protezione, sicurezza e stabilità mentre sono lontani da casa”, ha detto l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati Filippo Grandi, che si trova attualmente in Colombia per valutare i bisogni umanitari.“Ci congratuliamo con la Colombia per la sua straordinaria generosità e il suo impegno a garantire protezione ai venezuelani costretti a fuggire. Questa decisione è un modello di pragmatismo e umanità”.Con la pandemia di COVID-19 che aggrava i bisogni in tutta la regione, molti rifugiati e migranti venezuelani, così come le comunità locali, lottano per sopravvivere mentre affrontano l’aggravamento della povertà, la perdita del lavoro, gli sfratti, la fame e la mancanza di cibo e di accesso alle cure mediche.Lo status di protezione temporanea permetterà anche l’accesso ai servizi di base, tra cui il sistema sanitario nazionale e i piani di vaccinazione anti COVID-19. La regolarizzazione è anche la chiave per soluzioni a lungo termine, compreso l’accesso al mercato del lavoro, il quale a sua volta serve a diminuire la dipendenza delle persone dall’assistenza umanitaria, contribuendo anche alla ripresa socio-economica del paese dopo il COVID-19.“La regolarizzazione dei rifugiati e dei migranti venezuelani in Colombia attraverso la concessione di un generoso status di protezione temporanea è una chiave per facilitare la loro integrazione socio-economica e l’accesso al sistema sanitario nazionale e alle campagne di vaccinazione anti COVID-19”, ha detto il direttore generale dell’OIM António Vitorino.“Il governo della Colombia ha dimostrato ancora una volta grande solidarietà e leadership. La sua decisione serve da esempio per il mondo”.L’attuazione di un’iniziativa di tale portata richiederà un investimento significativo in termini di tempo, logistica e risorse. OIM e UNHCR, come co-leader della Piattaforma Regionale di Coordinamento Inter-agenzia per i Rifugiati e i Migranti dal Venezuela (R4V), e in coordinamento con i loro 159 partner, sono pronti a contribuire con le loro competenze tecniche, la presenza sul campo, la capacità logistica e le risorse per sostenere la realizzazione di questa importante iniziativa.
Ribadendo la necessità di solidarietà e sostegno alla Colombia e ad altri paesi che ospitano rifugiati e migranti, l’OIM e l’UNHCR chiedono alla comunità internazionale di continuare a fornire finanziamenti adeguati e tempestivi per garantire il successo di questo impegno innovativo.
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Etiopia: Rifugiati dall’Eritrea hanno bisogno di protezione
Posted by fidest press agency su sabato, 6 febbraio 2021
L’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) chiede una protezione efficace per i circa 100.000 rifugiati eritrei in Etiopia. Bisogna urgentemente fare luce sulla distruzione sistematica di due campi con 26.000 rifugiati nel nord dello stato del Tigray e i campi devono essere ricostruiti, ha dichiarato l’organizzazione per i diritti umani. I rifugiati dall’Eritrea non devono diventare un danno collaterale della guerra in Tigray. Sono fuggiti da crimini contro l’umanità in Eritrea e hanno bisogno di protezione. Se i campi sono stati deliberatamente distrutti, come suggeriscono le immagini satellitari, questa sarebbe una violazione del diritto internazionale. I responsabili devono essere ritenuti responsabili. Gli analisti del gruppo di ricerca britannico DX Open Network hanno valutato le immagini satellitari di entrambi i campi, prese tra la fine di novembre 2020 e la fine di gennaio 2021. Secondo loro, le foto suggeriscono la distruzione sistematica di entrambi i campi con il fuoco e i bombardamenti. Gli analisti affermano che gli incendi sono stati registrati simultaneamente in diversi luoghi del campo di Shimelba, distruggendo 721 edifici o altre abitazioni. Sono state bruciate anche strutture appartenenti a organizzazioni umanitarie, il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite e un ospedale. A Camp Hitsats, gli analisti hanno potuto registrare 531 edifici distrutti, compresi quelli appartenenti alle agenzie di aiuto umanitario. Le foto mostrano i crateri causati dal fuoco dell’artiglieria e dai veicoli militari. Ancora oggi non è chiaro chi abbia commesso questi presunti crimini di guerra. La violenza potrebbe provenire da soldati etiopi o eritrei alleati, così come dalle milizie. Anche il destino delle 26.000 persone che vivevano nei campi non è chiaro. Anche l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Filippo Grandi, ha espresso grande preoccupazione per il loro destino dopo una visita in Etiopia la scorsa settimana. A Grandi non è stato permesso di visitare i resti di nessuno dei due campi, e ha potuto visitare solo altri due campi nel Tigray meridionale.
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Oltre 80 milioni di persone costrette a fuggire a metà 2020
Posted by fidest press agency su venerdì, 11 dicembre 2020
Mentre il Covid-19 mette a dura prova la protezione dei rifugiati a livello globale. In attesa di definire un quadro completo per il 2020, secondo un nuovo rapporto pubblicato oggi a Ginevra l’UNHCR, Agenzia ONU per i Rifugiati, stima che il numero di persone costrette a fuggire a livello globale abbia superato gli 80 milioni a metà anno.All’inizio di quest’anno, circa 79,5 milioni di persone erano state costrette a lasciare la loro casa a causa di persecuzioni, conflitti e violazioni dei diritti umani. Questo numero comprendeva 45,7 milioni di sfollati interni, 29,6 milioni di rifugiati e altre persone costrette a lasciare il proprio Paese e 4,2 milioni di richiedenti asilo. Nel 2020, i conflitti esistenti e nuovi ed il Covid-19 hanno avuto un impatto drammatico sulle loro vite. Nonostante l’appello urgente di marzo del Segretario Generale delle Nazioni Unite per un cessate il fuoco globale per far fronte alla pandemia, i conflitti e le persecuzioni sono continuati. Le violenze in Siria, Repubblica Democratica del Congo, Mozambico, Somalia e Yemen hanno causato nuove migrazioni forzate nella prima metà del 2020. Nuovi significativi movimenti migratori forzati sono stati registrati anche nella regione del Sahel centrale dell’Africa, dove i civili sono sottoposti a violenze brutali, tra cui stupri ed esecuzioni.”Il numero di persone costrette a fuggire èraddoppiato nell’ultimo decennio, e la comunità internazionale non riesce a salvaguardare la pace”, ha detto Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati. “Stiamo sorpassando un’altra triste pietra miliare, ed il numero continuerà a crescere se i leader mondiali non fermeranno le guerre”. Per le persone costrette a fuggire, il Covid-19 ha rappresentato un’ulteriore crisi di protezione e di sostentamento, oltre ad un’emergenza sanitaria pubblica globale. Il virus ha sconvolto ogni aspetto della vita umana e ha gravemente peggiorato le sfide esistenti per le persone costrette a fuggire e per gli apolidi.Alcune delle misure per frenare la diffusione del Covid-19 hanno reso più difficile per i rifugiati raggiungere la sicurezza. Al culmine della prima ondata della pandemia, in aprile, 168 paesi hanno chiuso completamente o parzialmente le loro frontiere, e 90 paesi che non hanno fatto alcuna eccezione per le persone in cerca di asilo. Da allora, e con il sostegno e l’esperienza dell’UNHCR, 111 Paesi hanno trovato soluzioni pragmatiche per garantire che il loro sistema di asilo sia pienamente o parzialmente operativo, assicurando al contempo l’adozione delle misure necessarie a contenere la diffusione del virus.Nonostante tali soluzioni, le nuove domande d’asilo sono diminuite di un terzo rispetto allo stesso periodo del 2019. Nel frattempo, i fattori alla base dei conflitti a livello globale non sono ancora stati affrontati.Nel 2020 sono state trovate meno soluzioni durature per le persone costrette a fuggire rispetto allo stesso periodo degli anni precedenti. Solo 822.600 persone sono tornate a casa, la maggior parte dei quali – 635.000 – erano sfollati interni. Con 102.600 rimpatri volontari nella prima metà dell’anno, i ritoni a casa dei rifugiati sono diminuiti del 22% rispetto al 2019.I trasferimenti per il reinsediamento dei rifugiati sono stati sospesi temporaneamente a causa delle restrizioni dovute al COVID-19 da marzo a giugno. Di conseguenza, secondo le statistiche governative, solo 17.400 rifugiati sono stati reinsediati nei primi sei mesi del 2020, la metà rispetto al 2019.Sebbene il numero effettivo di apolidi rimanga sconosciuto, 79 Paesi nel mondo hanno segnalato 4,2 milioni di apolidi sul loro territorio.Le statistiche sulle migrazioni forzate sono disponibili all’indirizzo https://www.unhcr.org/refugee-statistics/.
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Il numero dei rifugiati etiopi in Sudan supera le 40.000 unità
Posted by fidest press agency su venerdì, 27 novembre 2020
Il numero di rifugiati etiopi che si stanno riversando nel Sudan orientale ha ormai superato le 40.000 unità dallo scoppio della crisi, facendo registrare oltre 5.000 donne, bambini e uomini fuggiti dagli scontri in corso nel Tigrè nel corso del fine settimana.L’UNHCR, Agenzia ONU per i Rifugiati, e i partner hanno potuto consegnare e distribuire aiuti salvavita, compresi alimenti, a un numero ulteriore di persone. Ma le attività di risposta umanitaria continuano a misurarsi con criticità logistiche e a essere messe a dura prova. Non vi è sufficiente capacità di alloggi per soddisfare le crescenti esigenze.Integratori alimentari e alimenti terapeutici sono attualmente assicurati a circa 300 bambini malnutriti, donne incinte e madri che allattano. Il personale dell’Agenzia ha potuto identificare le persone più vulnerabili e inviarle ai servizi competenti. Continuano a essere assicurati pasti caldi e sono stati installati ulteriori punti di distribuzione dell’acqua e latrine.L’Agenzia continua a trasferire lontano dal confine i rifugiati – con criticità legate alla logistica e alle distanze che limitano il numero di persone che possono essere trasportate all’insediamento di Um Rakuba – 70 km nell’entroterra sudanese. Al 23 novembre, risultavano trasferite poco più di 8.000 persone. Per quanto riguarda la situazione interna all’Etiopia, l’UNHCR continua a esprimere preoccupazione per i civili, tra cui popolazioni sfollate e operatori umanitari presenti nel Tigrè. L’Agenzia si unisce ai partner ONU nell’esortare tutte le parti in conflitto ad adempiere gli obblighi internazionali che prevedono di proteggere i civili. L’UNHCR rinnova l’appello ad assicurare agli attori umanitari accesso incondizionato, sicuro e senza impedimenti affinché possano garantire assistenza a quanti ne hanno necessità. Visto il perdurare del conflitto in corso in Etiopia, l’Agenzia esprime crescente apprensione in merito ai 100.000 rifugiati eritrei presenti sul territorio. L’assenza di accesso umanitario genera enorme preoccupazione in relazione all’erogazione di servizi fondamentali, quali acqua, farmaci essenziali e derrate alimentari, le cui scorte a disposizione della popolazione rifugiata si esauriranno nel giro di una settimana. L’Alto Commissariato rilancia l’appello a tutte le parti in conflitto ad assicurare libertà di circolazione in condizioni sicure a beneficio di quanti sono in cerca di sicurezza e assistenza, siano essi fuggiti oltre frontiera o all’interno dei confini nazionali, indipendentemente dalla loro origine etnica.
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Necessario supporto urgente per aiutare i rifugiati etiopi diretti in Sudan
Posted by fidest press agency su martedì, 24 novembre 2020
Mentre il numero di persone in fuga verso il Sudan orientale dalla regione etiope del Tigrè ora supera le 33.000 unità, l’UNHCR, Agenzia ONU per i Rifugiati, lavora senza sosta per assicurare assistenza vitale a donne, bambini e uomini estremamente bisognosi.Il personale presente ai varchi di confine di Hamdayet, nello Stato di Kassala, e di Lugdi, nello Stato di Gadaref, continua a registrare migliaia di nuovi arrivi ogni giorno.I rifugiati hanno raccontato al personale dell’UNHCR come siano stati colti nel mezzo delle loro attività quotidiane dallo scoppio improvviso degli scontri. Il personale ha incontrato insegnanti, infermieri, impiegati d’ufficio, agricoltori e studenti colti completamente di sorpresa. Molti sono dovuti fuggire senza poter portare i propri effetti personali e hanno dovuto camminare per ore e attraversare un fiume per mettersi in salvo in Sudan.I rifugiati arrivano in aree remote dotate di pochissime infrastrutture. Sono necessarie almeno sei ore per raggiungere Hamdayat da Kassala e per arrivare al Villaggio 8, un altro sito che accoglie temporaneamente i rifugiati. Il personale al confine è costretto a imbarcarsi su un traghetto che può trasportare al massimo quattro veicoli oppure fare una deviazione di tre ore via terra.Le esigenze complessive sono enormi, ma sono stati compiuti progressi nell’assicurare una risposta, dato che un numero maggiore di aiuti è ora in grado di raggiungere il confine. Continuano a essere assicurati pasti caldi e acqua potabile. L’UNHCR ha dispiegato personale per identificare le persone più vulnerabili portatrici di esigenze specifiche. Un numero ulteriore di forniture mediche è stato inviato alle cliniche, tra cui alimenti terapeutici e supplementari per il consumo immediato.Oltre 5.000 rifugiati sono stati traferiti dal confine all’insediamento di Um Raquba, a 70 km in direzione dell’entroterra.L’UNHCR ha bisogno del supporto immediato dei donatori per poter continuare ad assistere il crescente numero di rifugiati.In Etiopia, il numero di sfollati interni è in continuo aumento dopo quasi due settimane di conflitto. La difficoltà di accedere a quanti necessitano di aiuto, sommata all’impossibilità di far entrare aiuti nella regione, continuano a costituire un serio ostacolo. L’Agenzia esprime crescente preoccupazione per l’incolumità e la sicurezza di tutti i civili nel Tigrè, compresi i 100.000 rifugiati eritrei accolti in quattro campi. L’UNHCR non ha notizie del proprio personale da lunedì ed esprime profonda preoccupazione a riguardo.I rifugiati eritrei nel Tigrè dipendevano totalmente dagli aiuti, compresi cibo e acqua, prima che scoppiasse il conflitto, e vi sono seri motivi di preoccupazione che le ostilità in corso possano condizionare drasticamente l’erogazione di servizi nei campi. Le razioni alimentari sono assicurate fino alla fine di novembre, pertanto è di importanza fondamentale che gli operatori umanitari possano tornare ad avere accesso e a distribuire cibo supplementare prima che i rifugiati restino senza. L’UNHCR si unisce alle altre agenzie delle Nazioni Unite nell’appello a tutte le parti in conflitto a proteggere i civili sfollati e a garantire l’incolumità degli operatori umanitari, assicurare un cessate il fuoco temporaneo con effetto immediato che consenta di attivare corridoi umanitari, e sollecita a garantire accesso umanitario incondizionato e immediato che permetta di prestare assistenza a quanti ne hanno bisogno nelle aree sotto il controllo di ciascuna parte belligerante.
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Inclusione fattore chiave per proteggere i rifugiati e le comunità ospitanti durante la pandemia
Posted by fidest press agency su domenica, 8 novembre 2020
Le restrizioni che impediscono l’accesso all’asilo, la spirale di violenza di genere, i rischi di ritorni non sicuri e la perdita dei mezzi di sussistenza sono tra gli aspetti della pandemia di coronavirus che impattano pesantemente sui rifugiati, ha avvertito ieri Gillian Triggs, Assistente Alto Commissario dell’UNHCR per la Protezione.Aprendo una sessione virtuale del Dialogo annuale dell’Alto Commissario dell’UNHCR sulle sfide della protezione, Triggs ha esortato gli Stati a mantenere l’accesso all’asilo e a salvaguardare i diritti dei rifugiati, degli sfollati interni e degli apolidi.”L’UNHCR è stata chiara: per un paese è possibile sia proteggere la salute pubblica della sua popolazione sia garantire l’accesso al territorio alle persone costrette a fuggire dalle loro case. Non si deve permettere che limitazioni all’accesso all’asilo vengano messe in atto con la scusa della salute pubblica”, ha detto Triggs.La discussione guidata da Triggs con persone costrette alla fuga, ONG e rappresentanti governativi provenienti da Asia, Africa, Medio Oriente ed Europa ha dimostrato come compassione e spirito di iniziativa possano garantire che le richieste di asilo siano prese in considerazione durante la pandemia e che i servizi di protezione si adattino a raggiungere le persone in difficoltà durante i lockdown.Tutti i partecipanti al dialogo hanno sottolineato come la pandemia presenti maggiori sfide per la protezione e il benessere dei rifugiati, degli sfollati interni e degli apolidi, e che sono necessari innovazione, solidarietà e maggiore sostegno.In risposta, l’UNHCR ha sostenuto l’inclusione urgente e senza riserve dei rifugiati, degli sfollati e degli apolidi nell’intera gamma di risposte alla pandemia, dalle risposte di salute pubblica alle reti di sicurezza sociale nazionali.Istituito più di dieci anni fa, il Dialogo dell’Alto Commissario permette un libero scambio di opinioni tra rifugiati, governi, società civile, settore privato, accademici e organizzazioni internazionali su questioni nuove o emergenti di protezione globale.Il Dialogo 2020 si svolge attraverso una serie di cinque sessioni virtuali distribuite nell’ultimo trimestre dell’anno, con la sessione di chiusura che si terrà il 9 dicembre. Le discussioni si concentreranno sull’impatto della pandemia sulle persone costrette alla fuga e sugli apolidi per quanto riguarda la protezione, la resilienza e l’inclusione nei programmi di salute e il cambiamento climatico.Per illustrare le difficoltà che i rifugiati e gli sfollati interni affrontano nel contesto della pandemia, l’UNHCR ha lanciato ieri una visualizzazione dei dati, Space, shelter and scarce resources – coping with COVID-19, che evidenzia come le persone costrette alla fuga estremamente vulnerabili debbano combattere con la pandemia.
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L’UNHCR chiede solidarietà, sostegno e soluzioni per i rifugiati rohingya
Posted by fidest press agency su mercoledì, 21 ottobre 2020
Alla vigilia della conferenza di donatori per i rifugiati rohingya che si terrà questa settimana, l’UNHCR, l’Agenzia ONU per i Rifugiati, oggi sottolinea la necessità di assicurare maggiore supporto internazionale e di intensificare gli sforzi volti a trovare soluzioni a beneficio di questo popolo apolide e in fuga. Insieme a Stati Uniti, Regno Unito e Unione Europea, questo giovedì (22 ottobre) l’UNHCR presenterà una conferenza di donatori virtuale col fine di rispondere alle urgenti esigenze umanitarie dei rohingya costretti alla fuga, sia all’interno sia al di fuori del Myanmar. Garantire supporto ai servizi essenziali in seno alle comunità di accoglienza costituisce un’altra priorità.Le attività di risposta umanitaria in corso stanno risentendo di un drastico ammanco quest’anno, dal momento che, ad oggi, sono stati ricevuti meno della metà dei finanziamenti richiesti. Nel 2020, le Nazioni Unite hanno chiesto più di 1 miliardo di dollari per rispondere alle esigenze umanitarie dei rifugiati rohingya in Bangladesh. La pandemia di COVID-19 è andata ad aggiungere una serie di nuove sfide ed esigenze a un’emergenza già complessa e di dimensioni massicce.Sono 860.000 i rifugiati rohingya che attualmente vivono in insediamenti all’interno del distretto di Cox’s Bazar, in Bangladesh. La maggior parte, circa 740.000, sono fuggiti dal Myanmar durante la crisi più recente che ha causato l’esodo del 2017. Altri Paesi della regione accolgono circa 150.000 rifugiati rohingya. Si stima che 600.000 vivano nello Stato di Rakhine, in Myanmar.In tutta la regione, la maggior parte dei rohingya vive ai margini della società ed è necessario assicurare loro accesso ad assistenza sanitaria di base, acqua potabile, scorte alimentari affidabili, oppure significative opportunità di lavoro ed educative. La pandemia di COVID-19 ne ha peggiorato le condizioni di vita, ha reso l’accesso ai servizi ancora più difficoltoso, ha fatto aumentare il rischio che si verifichino casi di violenza sessuale e di genere e ha esacerbato gli effetti delle malattie infettive sui rohingya sfollati in campi affollati, quali quelli di Cox’s Bazar e dello Stato di Rakhine.L’UNHCR sottolinea come la comunità internazionale e i Paesi della regione non soltanto debbano continuare ad assicurare supporto ai rifugiati e alle comunità che li accolgono, ma adattare gli interventi alle nuove esigenze fondamentali e ampliare la ricerca di soluzioni.Il fulcro di tale ricerca deve mirare al conseguimento del ritorno volontario e in condizioni sicure, dignitose e sostenibili dei rifugiati rohingya e delle altre persone in fuga alle proprie case o in luoghi di loro preferenza in Myanmar.La responsabilità di creare i presupposti che favoriscano il ritorno in condizioni sicure e sostenibili dei rohingya spetta alle autorità del Myanmar. Tale processo dovrà comportare il coinvolgimento della società intera, l’avvio e la promozione del dialogo tra le autorità del Myanmar e i rifugiati rohingya e l’adozione di misure che contribuiscano a cementare sicurezza e fiducia reciproca. Tra queste vi sono la necessità di revocare le restrizioni alla libertà di movimento, permettere ai rohingya sfollati di fare ritorno ai propri villaggi e istituire un iter effettivo per poter acquisire la cittadinanza.La conferenza di donatori virtuale, che prevede anche testimonianze di rifugiati rohingya, si terrà dalle ore 14 alle ore 16:30 CEST, ora di Ginevra (8-10:30 EDT Washington; 19-21:30 GMT+7 in Bangkok) il 22 ottobre 2020. Sarà trasmessa in diretta streaming su http://www.rohingyaconference.org. I fondi raccolti grazie alla conferenza saranno destinati a organizzazioni internazionali e organizzazioni non governative impegnate sul campo ad alleviare gli effetti della crisi in Myanmar e nell’intera regione, e al Piano di risposta congiunta (Joint Response Plan/JRP) a guida ONU in Bangladesh.
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Rifugiati e pandemia di COVID-19
Posted by fidest press agency su sabato, 3 ottobre 2020
La pandemia di COVID-19 ha causato seri disagi a tutti gli studenti e, in particolare, ai rifugiati, la maggior parte dei quali – l’85 per cento – vive nei Paesi in via di sviluppo o in quelli meno sviluppati. Nel caso della chiusura delle scuole, i programmi di apprendimento a distanza non sempre sono disponibili e anche quando lo sono, telefoni cellulari, tablet, laptop, tv, apparecchi radio, nonché connessione a internet sono spesso non accessibili a coloro che sono stati costretti alla fuga. Le conseguenze socioeconomiche della pandemia non solo limitano le opportunità, ma possono anche costringere gli studenti costretti alla fuga o indigenti ad abbandonare gli studi e a dover lavorare, chiedere elemosina o contrarre matrimoni precoci, nel tentativo di sostenere le proprie famiglie. Nel 2017 solo l’uno per cento dei rifugiati risultava iscritto all’istruzione superiore. Dalla fine del 2018, il dato è salito al tre per cento, in larga parte grazie al maggiore riconoscimento dell’importanza di tale livello di istruzione per i rifugiati da parte degli Stati, degli istituti d’istruzione e dalle organizzazioni partner.Anche il 2019 è stato un anno che ha fatto registrare numeri record per lo schema di assegnazione di borse di studio universitarie promosso dall’UNHCR, noto come DAFI (iniziativa tedesca Albert Einstein per l’accesso dei rifugiati all’università), finanziato in larga parte dal Governo tedesco col supporto del Governo danese in qualità di nuovo partner. Alla fine del 2019 il numero di studenti rifugiati iscritti attraverso questo programma era di 8.347 in 54 Paesi partecipanti, a testimonianza della crescente domanda dei rifugiati in tutto il mondo e della forte risposta assicurata da governi e partner in merito alla necessità di migliorarne l’accesso all’istruzione.Nel 2019, i beneficiari delle borse di studio DAFI provenivano da 45 Paesi. Gli studenti rifugiati siriani costituivano il gruppo più numeroso (29 per cento), seguiti da quelli provenienti da Afghanistan (14 per cento), Sud Sudan (14 per cento), Somalia (10 per cento) e Repubblica Democratica del Congo (6 per cento).Questi e altri dati relativi alla frequenza dell’istruzione universitaria dei rifugiati sono messi in evidenza nel rapporto dell’UNHCR Refugee Students in Higher Education.Per non soccombere all’impatto della pandemia di COVID-19, l’UNHCR si appella a governi, settore privato, società civile e altri attori chiave affinché contribuiscano a rafforzare e migliorare i livelli di inclusione e accessibilità ai sistemi di istruzione nazionali nei Paesi di accoglienza e a garantire e tutelare finanziamenti destinati all’istruzione. In assenza di tali interventi, il futuro di innumerevoli studenti sarà a rischio.
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Rifugiati: un’accoglienza che rispetti i diritti umani
Posted by fidest press agency su lunedì, 14 settembre 2020
Papa Francesco lo ha ripetuto ieri, con forza, all’Angelus: occorre assicurare “un’accoglienza umana e dignitosa a chi cerca asilo”. Sostenendo il messaggio del Papa, la Comunità di Sant’Egidio, il Jesuit Refugee Service e le Suore missionarie di San Carlo Borromeo (Scalabriniane) lanciano un appello: Dopo l’incendio che ha distrutto il campo e creato enormi difficoltà a chi viveva già un inferno, nulla sia come prima. L’Unione Europea, in collaborazione con il governo greco, intervenga con immediatezza nel segno dell’accoglienza e dell’integrazione di un numero di persone che certamente è alla sua portata. Con estrema urgenza nelle prossime ore devono essere prese importanti decisioni per salvare le persone più vulnerabili, a partire da malati, donne e bambini. Solo privilegiando la strada del dialogo e delle relazioni pacifiche, sarà possibile arrivare a una soluzione nell’interesse di tutti. Ma ritardare o, peggio, far finta di niente in attesa che si crei una nuova precarietà permanente a danno di famiglie che risiedono da mesi nell’isola, alcune da anni, sarà gravemente colpevole per un continente che è simbolo di rispetto dei diritti umani, una vergogna di fronte alla storia. Le tre realtà che promuovono questo appello – da tempo vicine, con diversi interventi, ai profughi che risiedono a Lesbo e in tutta la Grecia – chiedono in particolare di:
- alloggiare, il prima possibile, gli sfollati dell’incendio di Moria in strutture di piccole dimensioni, forniti di servizi.
- garantire il libero accesso alle associazioni umanitarie per soccorrere i migranti nelle loro necessità più immediate, in particolare nei confronti di malati, donne e bambini, anziani;
- decidere contemporaneamente, a livello dell’Unione o dei singoli paesi europei che si offrono, il necessario ricollocamento di non solo dei minori non accompagnati ma anche delle famiglie e degli individui vulnerabili presenti nell’isola;
- cambiare il modello di accoglienza nell’isola di Lesbo per i nuovi arrivi dalla Turchia prevedendo strutture di accoglienza su base transitoria, gestibili e rispettose della dignità umana, salvaguardando il diritto di ciascun profugo, di qualsiasi provenienza, a chiedere asilo.Le tre realtà promotrici di questo appello ricordano inoltre che, dal febbraio 2016, è nata l’esperienza dei corridoi umanitari, avviata anche a Lesbo dallo stesso Francesco quando, il 16 aprile 2016, portò con sé in aereo le prime tre famiglie per un totale di 67 profughi con l’intervento dell’Elemosineria Apostolica e della Comunità di Sant’Egidio. Si tratta di una via che occorre continuare a percorrere per salvare altri profughi facendo rete con tante associazioni, parrocchie, cittadini comuni che si sono offerti di accogliere con grande generosità. “Le esperienze già avviate in alcuni paesi – hanno ricordato i cardinali Krajewski, Hollerich e Czerny nella loro lettera agli episcopati europei del 28 gennaio scorso – dimostrano che le possibilità della buona accoglienza sono superiori a quanto si sperasse”. Per questo auspichiamo anche che le conferenze episcopali europee sollecitino i loro rispettivi governi a elaborare nuovi progetti di accoglienza e di integrazione, due pratiche che fanno bene non solo ai migranti, ma molto, in termini di valori e di futuro, a tutti i cittadini europei.
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Arrivati in Italia i 20 rifugiati vincitori di borse di studio dei corridoi universitari
Posted by fidest press agency su domenica, 13 settembre 2020
Sono arrivati in Italia i venti rifugiati destinatari di borse di studio che proseguiranno il loro percorso accademico in dieci atenei italiani grazie al progetto University Corridors for Refugees.Gli studenti, tra cui una donna, provengono da Eritrea, Sudan, Sud Sudan e Repubblica Democratica del Congo, e sono stati selezionati sulla base del merito accademico e della motivazione, attraverso un bando pubblico, da una commissione di selezione individuata da ciascuna università. Una volta completato il periodo di quarantena reso obbligatorio dall’emergenza Coivd-19, gli studenti inizieranno il loro percorso universitario presso le Università di Cagliari, Firenze, L’Aquila, Milano (Statale), Padova, Perugia, Pisa, Roma (Luiss), Sassari, e Venezia (IUAV).Il progetto, che vede la collaborazione del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, dell’UNHCR, Agenzia ONU per i Rifugiati, di Caritas Italiana e Diaconia Valdese, e’ reso possibile anche grazie al sostegno dell’Universita’ di Bologna (promotrice della prima edizione del progetto nel 2019) e di un’ampia rete di partner in Etiopia (Gandhi Charity) e in Italia che assicureranno il supporto necessario agli studenti per tutta la durata del programma di laurea magistrale.“Siamo estremamente felici per questo straordinario risultato”, ha dichiarato Chiara Cardoletti, Rappresentante dell’UNHCR per l’Italia, la Santa Sede e San Marino. “Con questa iniziativa l’Italia dimostra di voler essere all’avanguardia nell’individuare soluzioni innovative per la protezione dei rifugiati”. Solo il 3% dei rifugiati a livello globale ha accesso all’istruzione superiore, secondo il rapporto UNHCR intitolato Coming Together for Refugee Education, pubblicato la scorsa settimana. Una tendenza che puo’ essere invertita, anche con i Corridoi Universitari.Entro il 2030 l’UNHCR si pone l’obiettivo di raggiungere un tasso di iscrizione del 15% a programmi di istruzione superiore per i rifugiati in paesi d’accoglienza e paesi terzi anche attraverso l’ampliamento di vie di accesso sicure che tengano in considerazione i bisogni specifici e le legittime aspirazioni dei rifugiati di costruire il loro futuro in dignità.
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Rapporto UNHCR: il coronavirus rappresenta una grave minaccia all’istruzione dei rifugiati
Posted by fidest press agency su giovedì, 10 settembre 2020
In un rapporto pubblicato oggi, intitolato “Coming Together for Refugee Education”, l’UNHCR, Agenzia ONU per i Rifugiati, prevede che, se la comunità internazionale non intraprenderà azioni immediate e coraggiose per contrastare gli effetti catastrofici del COVID-19 sull’istruzione dei rifugiati, il potenziale di milioni di giovani rifugiati che vivono in alcune delle comunità più vulnerabili al mondo sarà ulteriormente minacciato. I dati raccolti nel rapporto si basano sulle statistiche complessive inerenti alle iscrizioni al ciclo scolastico del 2019.In assenza di maggiore supporto, l’aumento costante e duramente conseguito del numero di iscrizioni a scuola, alle università, e ai corsi di formazione tecnica e professionale potrebbe invertire la tendenza – in alcuni casi in modo permanente –pregiudicando potenzialmente gli sforzi volti a conseguire l’Obiettivo di sviluppo sostenibile 4 relativo alla necessità di assicurare a tutti accesso a un’istruzione inclusiva, equa e di qualità. I dati relativi al 2019 raccolti nel rapporto si basano su informazioni provenienti da dodici Paesi che accolgono oltre la metà dei bambini rifugiati di tutto il mondo. Mentre la percentuale di iscrizioni complessive all’istruzione primaria è pari al 77%, solo il 31% dei giovani risulta iscritto all’istruzione secondaria. A livello di istruzione superiore, la percentuale di iscritti è solo del 3%.Pur non stando in alcun modo al passo delle medie globali, queste statistiche dimostrano che sono stati compiuti progressi. Le iscrizioni all’istruzione secondaria sono aumentate e fanno registrare nuove decine di migliaia di bambini rifugiati che frequentano la scuola, un incremento del 2% nel solo 2019. Tuttavia, la pandemia di COVID-19 ora minaccia di azzerare questi e altri risultati di fondamentale importanza. La minaccia nei confronti delle bambine rifugiate è di particolare gravità.
Per le bambine rifugiate, le possibilità di accesso all’istruzione sono già inferiori rispetto a quelle dei bambini e le probabilità che esse frequentino la scuola secondaria sono la metà. In base ai dati in possesso dell’UNHCR, il Malala Fund ha stimato che, per effetto della pandemia da COVID-19, la metà di tutte le ragazze rifugiate iscritte alla scuola secondaria non farà ritorno in classe quando gli istituti riapriranno questo mese. Nei Paesi in cui la percentuale complessiva di ragazze rifugiate iscritte alla scuola secondaria era già inferiore al 10%, tutte le ragazze sono a rischio di abbandonare gli studi per sempre, una previsione agghiacciante che avrebbe un impatto sulle future generazioni.
Adattarsi alle limitazioni imposte dal COVID-19 è stato duro, specialmente per l’85% dei rifugiati di tutto il mondo che vive nei Paesi in via di sviluppo o in quelli meno sviluppati. Telefoni cellulari, tablet, laptop, connettività, e perfino apparecchi radio spesso non sono immediatamente disponibili presso le comunità di sfollati. L’UNHCR, i governi, e i partner stanno lavorando instancabilmente per risolvere le criticità essenziali e assicurare continuità all’istruzione dei rifugiati durante la pandemia, sfruttando programmi di didattica a distanza, televisione e radio, e assicurando sostegno a insegnanti e assistenti per relazionarsi con gli studenti nel rispetto delle linee guida sanitarie.Il rapporto si appella a governi, settore privato, società civile e altri attori chiave affinché uniscano le forze per trovare soluzioni che rafforzino i sistemi educativi nazionali, creino collegamenti a percorsi didattici che consentano di conseguire un’istruzione qualificata e assicurino e tutelino finanziamenti dedicati. In assenza di tali interventi, avverte il rapporto, il rischio è quello di perdere una generazione di bambini rifugiati privati dell’istruzione.I rischi per l’istruzione dei rifugiati non si limitano a quelli causati dal COVID-19. Gli attacchi perpetrati ai danni delle scuole costituiscono una triste realtà in aumento. Il rapporto dedica particolare attenzione alla regione africana del Sahel, dove le violenze hanno costretto alla chiusura di oltre 2.500 scuole danneggiando i percorsi didattici di 350.000 studenti.
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La pandemia di COVID-19 riduce i rifugiati nicaraguensi alla fame e alla disperazione
Posted by fidest press agency su lunedì, 7 settembre 2020
Prima che la pandemia si manifestasse, e grazie alle efficaci iniziative di integrazione locale attuate in Costa Rica, solo il tre per cento dei rifugiati si trovava in condizione tale da potersi permettere un solo pasto al giorno, o meno. Oggi, tale percentuale è più che quadruplicata arrivando al 14 per cento. Si tratta dei dati rilevati in seguito alle attività di valutazione umanitaria condotte dall’UNHCR a luglio e agosto, al fine di supportare le autorità costaricane nella risposta alle esigenze di oltre 81.000 nicaraguensi che hanno cercato protezione internazionale.La maggior parte dei rifugiati e richiedenti asilo nicaraguensi presenti nel Paese, il 63 per cento, oggi riferisce di consumare solo due pasti al giorno.Le comunità di accoglienza si trovano ad affrontare condizioni analoghe e la contrazione economica che ha colpito i Paesi della regione renderà ancora più complicata la possibilità che queste, e i rifugiati da loro accolti, si riprendano.La Costa Rica accoglie con generosità quasi l’80 per cento di tutti i rifugiati e richiedenti asilo fuggiti dal Nicaragua a causa di violazioni di diritti umani e persecuzioni, ovvero circa 81.000 persone. Rientra tra i dieci Paesi che hanno ricevuto il numero più elevato di domande di asilo su scala mondiale nell’arco dello scorso anno, circa 59.200.Considerato che una vasta proporzione di persone costrette alla fuga in America Latina fa affidamento sull’economia informale, specialmente all’inizio del processo di integrazione nelle comunità di accoglienza, è evidente come le misure di quarantena imposte dal COVID ora stiano producendo i propri effetti sui mezzi di sostentamento causando insicurezza alimentare. Alla fine di luglio, solo il 59 per cento delle famiglie rifugiate in Costa Rica riferiva di percepire regolari redditi da lavoro, un calo impressionante rispetto al 93 per cento registrato prima che si manifestasse la pandemia. È una situazione che espone molti anche al rischio di sfratto e di restare senza dimora. Un quinto dei rifugiati nicaraguensi intervistati mediante sondaggio in Costa Rica ha dichiarato di non sapere dove vivrà il prossimo mese. Le difficoltà a cui fanno fronte rifugiati e richiedenti asilo nicaraguensi, tra cui perdita di mezzi di sussistenza, sfratto e fame, sono state segnalate anche in altri Paesi della regione, compresi Panama, Guatemala e Messico.Il 21 per cento dei rifugiati e dei richiedenti asilo nicaraguensi intervistati ha dichiarato che almeno un membro della propria famiglia sta ora considerando di fare ritorno in Nicaragua, soprattutto per la mancanza di reddito o di cibo. Ciò avverrebbe nonostante i pericoli da cui avevano dichiarato di essere fuggiti. Ad oggi, sono oltre 3.000 le domande di asilo ritirate in Costa Rica, principalmente da parte di cittadini nicaraguensi.L’UNHCR continua a fornire informazioni imparziali a quanti stanno considerando se fare ritorno in Nicaragua, dove la crisi sociale e politica ha spinto più di 102.000 persone a cercare protezione oltre i confini nazionali.Di fronte all’aggravarsi della situazione, l’UNHCR sta lavorando con governi e partner affinché richiedenti asilo e rifugiati — per i quali fare ritorno in patria non rappresenta un’opzione — ricevano il supporto e l’assistenza di cui hanno bisogno nei Paesi di accoglienza.Dall’inizio della pandemia, l’UNHCR ha intensificato in tutta l’America Centrale i programmi di assistenza in denaro contante volti a supportare le persone in fuga in condizioni vulnerabili. In Costa Rica, l’UNHCR ha assicurato assistenza a 1.221 famiglie vulnerabili e a rischio.Grazie al partenariato col Sistema di sicurezza sociale costaricano, l’UNHCR, inoltre, sta assicurando assistenza sanitaria a 6.000 richiedenti asilo che presentano patologie gravi e croniche. A Panama, mediante i partner, l’Agenzia ha supportato quasi 700 persone fornendo aiuti in contanti e ha sostenuto decine di famiglie coprendone le spese di affitto o mediando affinché non fossero sfrattate.Tuttavia, la grave carenza di fondi sta ostacolando le capacità di rispondere alle urgenti esigenze umanitarie. Le operazioni dell’UNHCR in Costa Rica, i cui requisiti finanziari per il 2020 sono pari a 26,9 milioni di dollari, ad oggi risultano essere finanziate solo per il 46 per cento.
Nell’ambito del Quadro comprensivo regionale per la protezione e la ricerca di soluzioni agli esodi forzati in America Centrale (Marco Integral Regional para la Protección y Soluciones/MIRPS), l’UNHCR continua a sostenere gli sforzi profusi dagli Stati per rispondere alle esigenze delle persone costrette a fuggire. L’Agenzia, inoltre, rivolge un appello a tutti gli Stati membri MIRPS affinché incrementino i livelli di coordinamento e supporto a fronte delle nuove criticità correlate alla diffusione del COVID-19.Per un quadro completo degli esodi forzati in corso in America Centrale e in Messico è possibile consultare il portale dati dell’UNHCR.
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Migliaia di rifugiati e migranti subiscono gravi violazioni di diritti umani durante i viaggi verso la costa mediterranea dell’Africa
Posted by fidest press agency su lunedì, 3 agosto 2020
Un nuovo rapporto pubblicato oggi dall’UNHCR, l’Agenzia ONU per i Rifugiati, e dal Mixed Migration Centre (MMC) del Danish Refugee Council, intitolato “In questo viaggio, a nessuno importa se vivi o muori”, descrive in che modo la maggior parte delle persone in viaggio lungo queste rotte cada vittima o assista a episodi di inenarrabili brutalità e disumanità per mano di trafficanti, miliziani e, in alcuni casi, perfino di funzionari pubblici.Raccogliere dati accurati inerenti ai decessi che si verificano nel contesto dei flussi irregolari di popolazioni miste controllati dalle reti del traffico e della tratta di essere umani è estremamente difficile, considerato che molti avvengono nell’ombra, lontano dallo sguardo delle autorità ufficiali e dai sistemi formali da esse utilizzati per gestire dati e statistiche. Tuttavia, i risultati del rapporto, basati primariamente sul programma di raccolta dati 4Mi del MMC, e su dati provenienti da fonti aggiuntive, suggeriscono che un minimo di 1.750 persone hanno perso la vita nel corso di questi viaggi nel 2018 e nel 2019. Si tratta di un tasso di almeno 72 decessi al mese, un andamento che rende la rotta una delle più mortali al mondo per rifugiati e migranti. Queste morti si sommano a quelle delle migliaia di persone che negli ultimi anni hanno perso la vita o sono risultate disperse tentando viaggi disperati attraverso il Mediterraneo per approdare in Europa dopo aver raggiunto la coste nordafricane. Circa il 28% delle morti registrate nel 2018 e nel 2019 si è verificato nel corso dei tentativi di traversata del deserto del Sahara. Altre località potenzialmente mortali comprendono Sebha, Cufra, e Qatrun nella Libia meridionale, l’hub del traffico di esseri umani Bani Walid, a sudest di Tripoli, e numerose località lungo la parte di rotta che attraversa l’Africa occidentale, tra cui Bamako e Agadez.Sebbene la maggior parte delle testimonianze e dei dati siano ancora in fase di ricezione per il 2020, è certo che siano almeno 70 i rifugiati o migranti che hanno già perso la vita nell’arco dell’anno, tra cui almeno 30 persone uccise per mano di trafficanti a Mizdah a fine maggio.
Uomini, donne e bambini sopravvissuti, spesso presentano malattie mentali gravi e persistenti derivanti dai traumi subiti. Per molti, l’arrivo in Libia rappresenta la tappa finale di un viaggio caratterizzato da abusi raccapriccianti, quali esecuzioni sommarie, torture, lavori forzati e pestaggi. Altri continuano a riferire di essere stati vittime di violenze brutali, tra cui essere ustionati con olio bollente, plastica sciolta, od oggetti in metallo riscaldati, di aver subito scariche elettriche e di essere stati legati e costretti a posizioni di stress.Donne e bambine, ma anche uomini e bambini, sono a rischio elevato di divenire vittime di stupri e violenza sessuale e di genere, in particolare presso checkpoint e aree di frontiera, e durante le traversate del deserto. Circa il 31% delle persone intervistate dal MMC che hanno assistito o sono sopravvissute a episodi di violenza sessuale nel 2018 o nel 2019, hanno vissuto tali aggressioni in più di una località. I trafficanti risultano essere stati i primi responsabili di violenza sessuale in Africa settentrionale e orientale, come registrato nel 60% e nel 90% delle testimonianze relative a ciascuna rotta. Tuttavia, in Africa occidentale, i principali responsabili di aggressioni sono stati funzionari delle forze di sicurezza, militari o di polizia, avendo commesso un quarto degli abusi denunciati. Una volta in Libia, rifugiati e migranti sono esposti al rischio di subire ulteriori abusi, dal momento che il conflitto in corso e la fragilità dello Stato di diritto comportano che le reti del traffico e della tratta e le milizie siano spesso nelle condizioni di poter agire impunemente. L’UNHCR accoglie con favore le recenti operazioni avviate dalle autorità libiche contro gruppi armati e trafficanti, tra cui un’irruzione ai danni di un’organizzazione dedita al traffico di esseri umani e il congelamento dei beni di vari trafficanti. L’Agenzia si appella alla comunità internazionale affinché assicuri maggiore supporto alle autorità nella lotta contro le reti della tratta di esseri umani.
È necessaria una maggiore cooperazione tra Stati per identificare i criminali responsabili di questi orribili abusi perpetrati presso varie località presenti lungo le rotte e assicurare che rispondano della loro condotta, condividere informazioni chiave con gli attori incaricati di applicare la legge, smantellare le reti del traffico e della tratta e congelarne i beni finanziari. Inoltre, le autorità nazionali dovrebbero intraprendere azioni più efficaci per indagare sulle denunce di abusi commessi da funzionari pubblici.L’adozione di tali misure deve accompagnarsi agli sforzi volti a risolvere le cause di fondo che spingono a intraprendere questi viaggi e a un impegno inequivocabile per assicurare che nessuna persona soccorsa in mare sia ricondotta alla situazione di pericolo che vige in Libia. Il rapporto e i materiali multimediali, comprendenti foto, testimonianze video e b-roll, sono disponibili a questo link: https://www.unhcr.org/5f1ab91a7
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