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Ofi Invest AM: La Bce ha tagliato i tassi… e adesso?

Posted by fidest press agency su giovedì, 20 giugno 2024

Analisi di Geoffroy Lenoir, Co-CIO Mutual Funds di Ofi Invest AM. Lo scorso 6 giugno, la Banca Centrale Europea ha operato un primo taglio dei tassi d’interesse di 25 punti base per arrivare a 3,75%; un evento che era stato ampiamente preventivato dai mercati e dai vari stakeholder per via delle parole e del tenore dei discorsi a seguito dei meeting precedenti del presidente Christine Lagarde. Tuttavia, se si osservano i dati macroeconomici, si evince che l’inflazione nell’Area Euro è cresciuta notevolmente tra aprile e maggio, passando dal 2,4% al 2,6%.Se, da un lato, questo non significa che il trend deflattivo si sia invertito, dall’altro ci dice che la strada verso l’obiettivo del 2% si è fatta quantomeno più lunga. Ciò comporta che la Bce non ha alcun bisogno di operare ulteriori tagli in tempi brevi, vista la crescita ancora robusta dei salari e, soprattutto, l’ulteriore rinvio della Federal Reserve statunitense a una data che non sembra essere imminente. Infatti, i dati macroeconomici degli Stati Uniti si sono dimostrati ancora piuttosto resilienti, soprattutto per quanto riguarda l’inflazione, che ad aprile segnava un +3,4%, ben al di sopra delle aspettative. Nonostante i dati appena presentati, noi di Ofi Invest AM riteniamo che uno o, al massimo, due tagli da parte della Fed entro la fine dell’anno siano ancora possibili, in concomitanza con un altro taglio da parte della Bce. In sintesi, è molto probabile che i mercati abbiano dato e stiano dando troppo peso, almeno per il breve termine, alla possibilità che il 2024 si concluda con solamente un intervento. Ma cosa comporta tutto questo per il mercato obbligazionario? A maggio, il rendimento dei Bund decennali tedeschi ha oscillato tra il 2,42% e il 2,68%, senza nessuna particolare impennata nella curva e risultando generalmente ancora piuttosto attrattivi. Tuttavia, vista la stretta correlazione tra la politica monetaria delle banche centrali e i dati macroeconomici dei prossimi mesi, prevedere l’andamento dei rendimenti e, di conseguenza, scovare opportunità tattiche per conseguire un guadagno sarà molto più difficile. In particolare, gli interessi potrebbero reagire positivamente all’anticipazione di aggiustamenti prossimi, ma negativamente a eventi politici e geopolitici o ad altri fattori tecnici, che potrebbero far sì che la maggiore volatilità che stiamo già iniziando a osservare, prosegua per tutta l’estate.Per questo preferiamo aumentare leggermente la nostra esposizione nel settore obbligazionario verso quel segmento dalla duration più lunga, che è quella che potrebbe beneficiare di più di un ulteriore taglio dei tassi. Infine, è opportuno rivolgere lo sguardo anche verso le obbligazioni corporate, dato che, come già avvenuto a inizio anno, il segmento high yield ha sovraperformato i segmenti investment grade dalla qualità più alta. Nel complesso, il mercato del credito è stato ancora una volta piuttosto movimentato, con massicce emissioni primarie e continui e cospicui afflussi verso questa classe di attività. In questo contesto, gli spread creditizi si sono ulteriormente ridotti. Per citare un esempio, l’iTraxx Xover, un indicatore della salute del mercato del credito, ha toccato 286 punti base, un livello che riflette la fiducia del mercato in questa classe di asset. Tuttavia, a nostro avviso, gli spread ridotti non compromettono l’attrattiva delle obbligazioni societarie. Infatti, i fondamentali rimangono solidi, come si è visto nella revisione del tasso di default da parte di Standard & Poor’s, il quale è sceso al 3,75% per i prossimi 12 mesi, rispetto al già basso 4,1% di aprile. Pertanto, nella maggior parte dei casi, le aziende mostrano profili di credito affidabili e bilanci solidi, anche nel caso di emittenti ad alto rendimento.

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Ofi Invest AM: I mercati non si facciano intimorire dalla dipendenza della Bce dalla Fed

Posted by fidest press agency su lunedì, 27 Maggio 2024

Analisi di Ombretta Signori, Head of Macroeconomic Research and Strategy di Ofi Invest AM. Nel primo trimestre del 2024, la crescita reale degli Stati Uniti è scesa al di sotto del 2% per la prima volta in un anno e mezzo, avendo fatto registrare un aumento “solo” dell’1,6% rispetto ai tre mesi precedenti su base annua. Se da un lato si osserva come la domanda interna si sia mantenuta solida, con gli investimenti e i consumi che hanno contribuito grandemente ai risultati appena descritti, dall’altro ci sono altri indicatori di più lungo periodo, come i report aziendali, i quali suggeriscono come l’attività economica potrebbe rallentare considerevolmente in questo secondo trimestre. Anche il mercato del lavoro si sta indebolendo, con il rapporto tra opportunità di lavoro e disoccupati sceso da 1,4 a 1,3. La causa è la creazione di nuovi posti di lavoro che ad aprile è stata inferiore alle attese, cosa che non accadeva da molti mesi, e si sono concentrati fortemente nel comparto sanitario. Infine, anche i dati sulle nuove assunzioni e sulle dimissioni stanno iniziando a contrarsi. Al contrario, la crescita europea è stata sorprendentemente solida nei primi tre mesi di quest’anno, con il Pil dell’Area Euro che è cresciuto dello 0,3% rispetto al trimestre precedente, con la spinta più forte che è registrata nelle maggiori economie di questo gruppo. Purtroppo, i dati ad oggi sono disponibili solo per poche nazioni, ma già da quanto emerge dalla Francia si può vedere come ci sia stata una marcata accelerazione di consumi e investimenti. In Ofi Invest AM siamo cautamente ottimisti sulla portata di questa crescita, ma allo stesso tempo siamo ben consapevoli che attualmente è trainata solo dai servizi (e il fatto che la Pasqua quest’anno sia caduta nel mese di marzo potrebbe aver distorto i dati sui consumi stagionali), mentre il settore manifatturiero continua a rappresentare un freno, in particolare in Germania.Oltre a questa crescita, un altro dato molto importante riguarda l’inflazione, la quale si è mantenuta stabile al 2,4% nel mese di aprile, ma ha anche fatto registrare un importante calo della componente core (dal 2,9% al 2,7%) e di quella legata ai servizi, tenuta particolarmente in considerazione dalla Banca Centrale Europea, che per la prima volta in 6 mesi è scesa sotto al 4%. Alla luce di questi risultati, un primo taglio dei tassi d’interesse di 25 punti base da parte della Bce sembra ormai in programma e solo un repentino capovolgimento dell’andamento dell’inflazione o dei salari lo farebbe slittare. Al contrario, se i dati futuri dovessero coincidere con le proiezioni dell’istituto di Francoforte e di un ritorno verso l’obiettivo del 2% per l’inizio del 2025, allora troverebbe giustificazione un’ulteriore serie di tagli (due o tre nel corso dell’anno).Tuttavia, si riscontra che i mercati sono scettici circa la capacità della Bce di abbassare significativamente i tassi senza che la Federal Reserve faccia lo stesso. Noi di Ofi Invest AM, al contrario, riteniamo che queste preoccupazioni sull’eccessiva dipendenza di Christine Lagarde da Washington siano esagerate. In primo luogo, è molto improbabile che il deprezzamento dell’euro che ne seguirebbe avrà un impatto tale da innescare un rimbalzo dell’Eurozona, soprattutto con la letteratura economica che suggerisce che la trasmissione degli effetti della variazione dei tassi sull’inflazione si è notevolmente attenuata dall’avvento della moneta unica. Inoltre, ci sono già stati casi di desincronizzazione delle politiche monetarie, come nel periodo 2015-2018, quando la Fed li ha gradualmente alzati, mentre la Bce è entrata in territorio di tassi negativi, avviando un programma di quantitative easing.Lo scorso mese, avevamo messo in luce i rischi legati alla possibilità che la Fed rimandasse il primo taglio, esploso dopo che gli ultimi dati avevano evidenziato un’interruzione del processo deflattivo. Nonostante ciò, Jerome Powell ha rassicurato i mercati annunciando che i suoi prossimi provvedimenti non avrebbero comunque compreso nuovi rialzi, sebbene non abbia dato nessuna nuova informazione su quando il primo taglio sarebbe avvenuto.La natura della recente inflazione, che è stata solo marginalmente legata alla forza della domanda, e la normalizzazione del mercato del lavoro dovrebbero essere in grado di mantenere in linea i tagli dei tassi a medio termine. Tuttavia, ad oggi la Fed è completamente dipendente dai dati e lo sarà anche nei prossimi mesi. Pertanto, l’inflazione dovrà ora seguire il percorso prefissato affinché la banca centrale americana possa tagliare i tassi di riferimento a luglio o (più probabilmente) a settembre, a meno che nel frattempo il mercato del lavoro non si riveli molto più debole del previsto.

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OFI Invest AM: Azionario globale sulle spalle di pochi grandi brand

Posted by fidest press agency su venerdì, 29 marzo 2024

Analisi di Eric Turjeman, Co-CIO Mutual Funds di Ofi Invest AM. Il 2024 è iniziato con un forte rialzo dei mercati azionari, i quali hanno sfruttato un processo di deflazione più lento delle aspettative e dei rendimenti obbligazionari più elevati. Proprio in ambito obbligazionario, si osserva che l’ottimismo verso il taglio dei tassi sta rientrando, tanto che ora si stimano solamente tre riduzioni nel corso dell’anno, la prima delle quali non dovrebbe avvenire prima dell’inizio del secondo semestre. È interessante osservare anche come negli ultimi due anni, le buone performance dei bond avevano spinto soprattutto i settori (e quindi le azioni) orientate al valore, mentre stavolta a guidare la carica sono stati i titoli più orientati alla crescita e alla qualità. In base al mercato di riferimento, questo fenomeno ha interessato aree economiche differenti. Negli Stati Uniti, la parte del leone l’hanno giocata le grandi società del tech (Nvidia, Amazon, Alphabet…)[1], che oggi rappresentano oltre un quarto della capitalizzazione del mercato US e che, in termini di guadagni, continuano a guidarne la crescita. Per dare un’idea di quanto le prospettive su queste multinazionali assumano contorni quasi spaventosi, per i prossimi 5 anni si prevede una crescita annua dei ricavi del 13%, dei guadagni del 17% e dei flussi di cassa netti del 22%. È vero che il capitalismo americano ha già prodotto, in passato, esempi con un potenziale di crescita così robusto, ma ciò che non si era mai osservato prima è la capacità di queste poche realtà di finanziare grandi investimenti (in questo caso in intelligenza artificiale) e, allo stesso tempo, di remunerare i loro azionisti attraverso il pagamento di dividendi e buyback di azioni, facendo leva solamente sugli introiti. Ecco perché scambiano al di sopra della media del resto del mercato Usa. Tuttavia, anche l’Europa osserva delle performance distribuite in modo molto disomogeneo, a vantaggio di alcune realtà particolarmente di successo; proprio come negli Stati Uniti, con i guadagni dell’indice che sono stati trainati da pochi marchi come ASML, SAP, Capgemini, Adyen, Ferrari, Hermés e LVMH. Questi risultati mostrano come, nel Vecchio Continente, l’arretratezza nel tech sia stata compensata da un settore del lusso che è tornato su livelli positivi, in quanto, generando importanti volumi d’affari anche al di fuori dei confini dell’Europa, è riuscito a proteggersi dall’economia in affanno di quest’ultima. Infine, anche l’Asia ha dato un importante contributo al comparto azionario, con il Giappone che è tornato su livelli che non si osservavano dal 1989 grazie alle solide performance finanziarie raggiunte dalle sue imprese nel quarto trimestre dello scorso anno, e con la Cina che ha finalmente fatto registrare un rally, guidato probabilmente dalla maggiore spesa dei consumatori in concomitanza con il nuovo Capodanno lunare. Sul Dragone, però, è bene specificare che gli indici PMI mostrano un’attività manifatturiera ancora sotto la media e che solamente un intervento delle autorità centrali potrà consolidare il trend rialzista che si è sviluppato nell’ultimo mese.

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OFI Invest AM: Rally di fine anno, è un mondo alla rovescia?

Posted by fidest press agency su giovedì, 14 dicembre 2023

Nelle ultime settimane si è assistito a un cospicuo calo dei rendimenti obbligazionari, il quale ha innescato un rally diffuso degli asset più rischiosi. Le “cattive notizie” sul fronte economico si stanno sommando più o meno in tutto il mondo, a dimostrazione che i mercati hanno iniziato a rallentare in maniera più o meno intensa a seconda dell’area geografica; inoltre, la contrazione dell’inflazione, che ha fatto sì che i bond registrassero una flessione, ha permesso al comparto azionario di riguadagnare terreno.Tutta questa dinamica ci ha stupiti, in quanto la fine dell’anno è generalmente il momento in cui si liquidano le posizioni più rischiose, mentre stavolta è accaduto il contrario. Ma perché? Sebbene i recenti sondaggi mostrino che gli investitori stanno ancora detenendo un vasto ammontare di liquidità nei fondi (segno inequivocabile di prudenza), l’andamento comunque positivo dell’inflazione e una prima riduzione del rischio geopolitico hanno costretto questi ultimi a vendere parte delle loro posizioni corte. La naturale conseguenza di ciò non poteva che essere una performance superiore alle attese delle azioni “growth”, le quali per definizione hanno una lunga duration. Una dimostrazione pratica ce l’ha data il Nasdaq, che essendo trainato in larga parte dal tech, ha recuperato il terreno perso negli scorsi due mesi.Tuttavia, nelle scorse settimane si è assistito anche a un’inversione di numerosi trend che ha portato a un rally anche di quei settori che, per tutto il 2023, sono stati maggiormente trascurati. Il rimbalzo è stato particolarmente per le società a piccola e media capitalizzazione, finora frenate dalla loro dipendenza dai mercati finanziari e dal loro carattere ciclico. Altri settori come l’immobiliare sono riemersi dalle problematiche generate dalla valutazione delle attività e dalla rinegoziazione delle passività all’interno dei loro bilanci; mentre il manifatturiero ha ottenuto risultati migliori rispetto a quelli presentati alle ultime assemblee consuntive. A titolo di esempio, si consideri il caso di Unibail, società attiva nel real estate, che ha ottenuto la performance migliore (24%) tra i CAC 40’s. Le azioni di tutti questi settori hanno un elemento in comune: sono fortemente scontate e scambiano molto al di sotto delle loro medie storiche.Gli investitori potrebbero convincersi che i rendimenti delle obbligazioni abbiano raggiunto il loro picco e che potrebbero iniziare a contrarsi rapidamente, tanto che l’idea di un taglio dei tassi nella prima metà del 2024 sta iniziando ad essere sempre più condivisa, nonostante il linguaggio conservativo adottato dalle banche centrali. Se queste assunzioni fossero smentite, significherebbe che l’inflazione si sarebbe rivelata sorprendentemente alta, il che al momento, nonostante i dati non pienamente positivi che ci arrivano dagli Usa, non sembra rappresentare la realtà dei fatti. Inoltre, se la frenata del sistema economico dovesse diventare eccessiva, l’allentamento della politica monetaria per stimolarne la ripresa potrebbe essere più rapido e più robusto delle previsioni.In conclusione, l’opinione diffusa è quella di una caduta morbida, ma che comunque comporta una caduta. Nonostante ciò, le nostre aspettative sugli utili per il 2024 restano ancora alte, con i rischi di ribasso sui mercati azionari che potrebbero essere contenuti dall’intervento degli istituti di credito centrali e con un outlook moderato verso il rialzo. Nonostante ciò, non possiamo escludere che le inversioni di tendenza descritte in precedenza non proseguano coinvolgendo anche altri settori.

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OFI Invest AM: Un’Asia senza Cina è possibile?

Posted by fidest press agency su martedì, 5 dicembre 2023

Analisi di Jean-Marie Mercadal, Chief Executive Officer di SYNCICAP ASSET MANAGEMENT L’Asia è quel continente che racchiude al suo interno due terzi della popolazione sulla Terra e concorre alla creazione di quasi il 50% del Pil mondiale. Tuttavia, quando si parla di mercati finanziari, il suo peso è di gran lunga inferiore rispetto a quello che dovrebbe avere un’area con queste caratteristiche economiche e demografiche. Non c’è da sorprendersi, quindi, se negli ultimi 30 anni l’intera regione si è appiattita sul suo player più potente, ovvero la Cina, che ha fatto registrare un percorso di crescita effettivamente sorprendente. Ma ora che le relazioni internazionali si stanno inasprendo e che le dinamiche interne stanno obbligando le autorità locali ad attuare politiche tanto peculiari da separare questo paese dal resto del mondo, rendendolo un unicum in termini economici, è ancora possibile investire in modo remunerativo nell’azionario asiatico? Per rispondere a questa domanda, noi di Ofi Invest AM proponiamo uno spaccato valutativo di due strade parallele, denominate “China” o “ex-China”. In favore della prima, innanzitutto è bene chiarire che, sebbene il mercato cinese risponda sempre di più a fattori locali, una strategia d’investimento “pura” sulla Cina è ancora possibile, soprattutto ora che gli ultimi dati suggeriscono che dovrebbe riuscire nell’impresa di centrare il 5% di crescita. Tuttavia, quando si sviluppa un portafoglio di investimento internazionale, bisogna sempre tenere presente che costituisce un capitolo a sé. Inoltre, la maggiore attenzione al bilancio e all’equilibrio interno, non devono farci pensare che il Dragone sia rimasto immobile sul fronte internazionale; basta guardare come ha rafforzato i suoi legami con gli altri paesi del gruppo BRICS (Brasile, India, Russia e Sud Africa), a cui va aggiunta anche l’Arabia Saudita, seguendo quanto previsto dalla “Belt and Road Initiative”. La cooperazione tra queste nazioni dovrebbe interessare molti segmenti diversi, ma quello che sembra godere di maggiore slancio è quello dell’energia: sebbene la Cina abbia ancora bisogno di petrolio nel breve termine, nel lungo lo potrebbe sostituire con il solare e l’idrogeno verde. Passando al versante “ex-China”, questo sembra mostrare un profilo di crescita più lineare, con l’indice azionario EM Asia ex-China che gode di un P/E ratio di 12,5 (mentre quello della Cina è sceso sotto il 10). Noi di Ofi Invest AM riteniamo che questo rappresenti una soluzione tutt’altro che marginale: si compone di 425 azioni, ha un market cap di 3.160 miliardi di dollari (per fare un paragone, quello del CAC 40 è di 2.230 miliardi) e include i paesi asiatici più importanti (Cina esclusa, ovviamente), come India (32,4%), Taiwan (30%) e Corea (25%), ma anche alcuni che sono più arretrati nello sviluppo, offrendo così margini di crescita più ampi. Questo indice è attrattivo anche dal punto di vista dei settori, essendo costituito per il 38% da società attive in un segmento in rapida espansione come l’IT, per il 20% da finanziari, per l’8% da beni industriali, per il 7% da consumi e per un altro 7% da materie prime, il che lo rende pure ben diversificato. Inoltre, l’Asia ex-China ha tratto vantaggio anche da un trend che si è affermato durante la pandemia di Covid-19, quando il mondo si è reso conto di quanto i paesi occidentali fossero dipendenti dal manifatturiero e dal basso costo della manodopera cinese. Questo ha dato origine a un processo di diversificazione dell’offerta, da cui hanno beneficiato altre economie asiatiche come il Vietnam, l’Indonesia e altre. A questo punto, si potrebbe pensare che investire nell’Asia escludendo la Cina sia non solo possibile, ma consigliato. Tuttavia, se si esamina bene quanto detto in precedenza e se si studiano i flussi di denaro in entrata in alcune delle economie appena citate, si evince come la correlazione con Pechino sia sì negativa, ma comunque molto alta. Quindi, nel momento in cui quest’ultima ritroverà l’equilibrio, non c’è il rischio che questi flussi possano compiere il percorso inverso? Ad oggi, non è possibile rispondere con certezza a questa domanda, ma se questo rischio si rivelasse reale, allora riteniamo che la soluzione migliore sia trattare le due strategie come complementari, non andando a sceglierne una, ma piuttosto integrandole, attenuando i pericoli e stabilizzando i rendimenti futuri.

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Ofi Invest AM: I bond ci proteggeranno dalla recessione

Posted by fidest press agency su sabato, 24 giugno 2023

Analisi di Geoffroy Lenoir, Co-CIO per i mutual fund di Ofi Invest AM. Ormai da fine aprile, il rendimento dei titoli di stato tedeschi a 10 anni si aggira attorno al 2,30%, mentre, se si considera l’arco temporale in cui è rimasto compreso nel range 2,20%-2,50%, questo è superiore ai 2 mesi; un segnale che potrebbe far pensare che il mercato obbligazionario europeo abbia trovato un nuovo equilibrio. In realtà, se la situazione in Germania sembra essersi stabilizzata, lo stesso non si può dire per altre nazioni o per i tassi d’interesse a breve in generale, come dimostrato dagli Stati Uniti, i cui bond a 10 anni sono passati dal rendere il 3,42% a fine aprile al 3,69% a fine maggio. Alla luce di quanto emerso sopra, noi di Ofi Invest AM restiamo dell’idea che i tassi d’interesse non possono crescere ancora di molto. In particolare, da parte della Bce ci aspettiamo quello che già paventavamo a maggio, ovvero altri due aumenti, seguiti da un lungo periodo di “plateau”, in cui questi saranno mantenuti su livelli alti, ma non ulteriormente innalzati. Per quanto riguarda gli USA, sembra che anche i mercati ora non considerino impossibile un taglio dei tassi del 2023, un altro segnale che la politica da falco dei maggiori istituti di credito centrali sta volgendo al termine; uno scenario che ci ha portati ad accrescere la nostra esposizione al comparto obbligazionario. Infatti, sebbene non ci aspettiamo tagli significativi nei rendimenti per i prossimi mesi, riteniamo che i bond sovrani siano comunque una buona opzione per una strategia di tipo “buy and hold”. Inoltre, questi ultimi svolgono anche una funzione importantissima per un bilanciamento ponderato di un portafoglio di investimento, dato che le prospettive sul secondo semestre di quest’anno sono ancora molto incerte e permangono rischi sull’andamento futuro dell’economia. Indipendentemente dalla natura pubblica o privata di un emittente, rendimenti all’emissione più elevati difficilmente sono portatori di buone notizie. Tuttavia, il punto veramente importante è riuscire a piazzare questo debito aggiuntivo presso gli investitori; un’operazione che fino ad oggi ha avuto successo grazie ai livelli particolarmente elevati dei rendimenti e agli utili delle società che si sono mantenuti solidi. Ma cosa è che rende i rendimenti del mercato del credito così attrattivi? La risposta più scontata è il loro innalzamento a seguito dell’aumento dei tassi d’interesse da parte di numerose banche centrali; ma bisogna anche considerare che, dopo numerosi episodi che hanno fatto crescere la volatilità nel 2022, gli spread creditizi si sono attestati su livelli ben superiori alla media degli ultimi 10 anni. Infine, anche il fatto che la Bce stia terminando il suo ciclo di rialzi costituisce una buona notizia, in quanto fuga molti dubbi sulla possibilità che la politica monetaria di questa possa andare fuori controllo, nonostante stia comunque riducendo il suo programma di acquisto di asset. Con i rendimenti che si attestano al 4,25%, 7,50% e 3,50%, rispettivamente per segmento Investment Grade, segmento High Yield e mercato valutario, l’obbligazionario è tornato a rappresentare molto più di un’alternativa alle azioni, con il mercato europeo che ha molto da offrire tra cui una minore volatilità, rendimenti positivi dall’inizio dell’anno e una strategia di carry che proteggerà gli investitori in caso di allargamento degli spread. (abstract by Ofi Invest AM)

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