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Quotidiano di informazione – Anno 36 n° 172

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Linfoma di Burkitt nei bambini iracheni

Posted by fidest press agency su martedì, 15 gennaio 2019

I Linfomi sono tumori causati dalla proliferazione incontrollata dei linfociti, le cellule del sistema immunitario che contribuiscono a difenderci dagli agenti esterni. Più della metà dei linfomi infantili è rappresentata dal Linfoma di Burkitt, un tumore molto aggressivo di cui esistono due varianti cliniche principali: quella endemica, presente nell’Africa equatoriale (dove questo tipo di linfoma rappresenta il cancro più comune nei bambini che vivono nelle regioni in cui la malaria è endemica), che si manifesta soprattutto a livello della testa e delle ossa facciali; e quella sporadica, presente in Europa, in America e in Giappone, che si sviluppa prevalentemente nell’intestino.Grazie alla lunga e fruttuosa collaborazione coordinata dalla Prof.ssa Stefania Uccini fra l’Istituto Pasteur Italia, Sapienza Università di Roma e il Children’s Welfare Teaching Hospital dell’Università di Baghdad, è stato possibile incrementare le conoscenze scientifiche relative al Linfoma di Burkitt nei bambini iracheni e aumentare così l’accuratezza diagnostica relativa a questa malattia. I risultati dello studio sono stati recentemente pubblicati sulla rivista specialistica internazionale Pediatric Blood Cancer.
Un’ulteriore importante differenza tra le due principali varianti del Linfoma di Burkitt è data dal grado di correlazione con l’infezione da Epstein Barr Virus (EBV), appartenente alla famiglia degli herpesvirus e responsabile della mononucleosi infettiva. L’EBV infetta più del 90% della popolazione umana instaurando un’infezione latente asintomatica. Mentre i linfomi che si sviluppano nei bambini africani sono al 100% legati all’infezione da EBV, la forma sporadica del tumore è correlata solo al 30% alla presenza del virus. Si ipotizza dunque che mentre nei soggetti sani l’infezione da EBV sia facilmente controllata dal sistema immunitario, nei bambini malnutriti o che vivono in aree geografiche in via di sviluppo (o più in generale in individui affetti da immunodeficienza), la presenza di EBV potrebbe contribuire a causare l’insorgenza del Linfoma di Burkitt.«La collaborazione con i colleghi di Baghdad ci ha permesso di identificare nei bambini iracheni una terza forma della malattia che si caratterizza per una elevata incidenza di infezione da EBV, come per i bambini Africani, ma con una frequente localizzazione intestinale, come per i bambini Occidentali» spiega la Prof.ssa Stefania Uccini, coordinatrice dello studio. «L’Ospedale Pediatrico di Baghdad ci invia mensilmente 10 casi di patologia pediatrica oncologica per una seconda opinione diagnostica perché a Roma, presso l’Unità di Anatomia Patologica del Dipartimento di Medicina Clinica e Molecolare dell’Ospedale Sant’Andrea, disponiamo di tecnologie attualmente poco utilizzate in Iraq che consentono di migliorare moltissimo l’accuratezza diagnostica» continua la Prof.ssa Uccini.
Una diagnosi corretta e tempestiva è essenziale per la terapia del Linfoma di Burkitt in quanto si tratta di un tumore molto aggressivo che prolifera e cresce molto rapidamente. Il trattamento chemioterapico, infatti, è spesso efficace e ha una percentuale di guarigione molto elevata, ma deve essere iniziato molto precocemente.«Questo lavoro, che ci porta a diagnosticare 120 casi l’anno, ha fatto emergere che nell’area geografica irachena vi è un’elevata incidenza di Linfomi di Burkitt, caratterizzati dalla frequente localizzazione a livello addominale (66%) e dall’alta percentuale di casi EBV positivi (86%). È emerso inoltre che i bambini iracheni diventano sieropositivi per il virus di Epstein Barr sin dall’età di due anni, mentre per le popolazioni occidentali la sieropositività per EBV inizia dai 14 – 15 anni in poi. I nostri risultati indicano pertanto che esistono almeno due diverse forme di Linfoma di Burkitt sporadico, uno più comune nei Paesi occidentali e in Giappone, caratterizzato da un basso tasso di casi infetti da EBV (20% – 30 %) e l’altro più comune nei Paesi in via di sviluppo, caratterizzato da un alto tasso di casi infetti da EBV (47% – 80%). La differenza tra le due forme è probabilmente dovuta alle peggiori condizioni socioeconomiche delle aree geografiche in via di sviluppo, che potrebbero favorire l’infezione da EBV già durante la prima infanzia».Per la Prof.ssa Stefania Uccini è infine molto importante sottolineare che «la collaborazione Italia – Iraq è molto rilevante non solo sotto il profilo medico-scientifico, ma anche perché offre ai colleghi iracheni la possibilità di uscire dall’isolamento culturale nel quale la guerra, ormai da molti anni, li costringe a vivere».
Lo studio è stato sostenuto dai finanziamenti dell’Istituto Pasteur Italia e di Sapienza Università di Roma. Fa inoltre parte del programma di collaborazione scientifica “Baghdad Resolve” tra Sapienza Università e il Children’s Welfare Teaching Hospital dell’Università di Baghdad.

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Conferenza della società civile irachena

Posted by fidest press agency su martedì, 24 marzo 2009

Velletri (RM)25-31 marzo Circa 45 esponenti della società civile irachena (giornalisti, sindacalisti, donne, rappresentanti di ong, attivisti per la difesa dei diritti umani) si ritroveranno dal 25 al 31 marzo a Velletri (Rm) per la prima Conferenza della società civile irachena organizzata da Un ponte per… e da altre associazioni internazionali.A 6 anni dalla guerra: –    I diritti basilari all’acqua e all’alimentazione, alla educazione, alla salute sono negati alla gran parte della popolazione. –    La libertà sindacale è tuttora negata dalla legge sul sindacato unico di Saddam Hussein, la libertà di associazione è sotto tutela, la libertà di stampa è ancora lontana.-    I diritti delle donne hanno fatto enormi passi indietro. La nuova costituzione, approvata sotto l’occupazione americana, nega la parità di genere. –    Gli arresti arbitrari, detenzioni senza processo, esecuzioni extragiudiziali, torture sono ancora all’ordine del giorno. –    Il calo della violenza non basta, la vita di milioni di uomini e donne è ancora quotidianamente appesa ad un filo.-    I giovani studenti o disoccupati che non vogliono perdere la speranza di avere un futuro nel loro paese.-    I milioni i rifugiati nei paesi confinanti e altrettanti gli sfollati interni.-    La ricostruzione non è mai avvenute e le infrastrutture del paese sono azzerate.Si discuterà di tutto questo a Velletri in una settimana di workshop e seminari con esponenti di spicco della società civile irachena provenienti da tutto il paese, garantendo quindi una radiografia delle condizioni in cui versa l’ Iraq a sei anni dall’inizio del conflitto. Un momento unico in Italia per permettere di capire una realtà complessa in un paese determinante per l’equilibrio dell’area, ma anche per ragionare con chi si è messo in gioco da subito per costruire un nuovo Iraq basato su diritti e giustizia. Per la società civile italiana e internazionale presente all’incontro l’obiettivo è quello di creare un piano di azione comune a sostegno dello sviluppo e del rafforzamento della società civile irachena. La Conferenza, nasce, infatti dalla necessità di capire meglio le esigenze e le priorità dell’ associazionismo iracheno per coordinarci meglio con loro, capire come calibrare le nostre azioni e le nostre iniziative. Una necessità sentita anche da altre associazioni internazionali con le quali Un ponte per… ha cooperato in Iraq o all’interno del movimento globale, che come noi si sono posti la domanda di ‘come’ andare oltre la richiesta di ritiro delle truppe, di ‘come’ riuscire ad appoggiare al meglio le organizzazioni irachene.  Tra i presenti internazionali (elenco completo in allegato): Norwegian People’s Aid, Index of Censorship (Regno Unito), Comité Catholique contre la Faim et pour le Development (Francia), Public Service International (Belgio), Direct Aid Iraq (Stati Uniti), September 11 Families for a Peaceful Tomorrow (Stati Uniti), Japan International Volunteer Center).

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Iraq sei anni dopo

Posted by fidest press agency su giovedì, 19 marzo 2009

Cos’è l’Iraq a sei anni dall’invasione Usa? Anche se le voci degli iracheni sono per lo più assenti nei numerosi bilanci fatti finora, dai risultati di un sondaggio annuale realizzato per la BBC e altre emittenti – giunto alla sesta edizione – emerge che la maggioranza ritiene che l’invasione del marzo 2003 sia stata sbagliata, vuole che gli occupanti se ne vadano il prima possibile (e non è preoccupata più di tanto delle possibili conseguenze per la sicurezza), che gli iraniani non interferiscano negli affari iracheni. E che il Paese resti unito, con un forte governo centrale.  Nel marzo 2009 l’Iraq è un Paese che vuole camminare con le proprie gambe, ma dove chi denuncia gli abusi del potere rischia tuttora la vita, in cui le donne sono costrette a vivere in condizioni di povertà, disperazione e insicurezza personale, e nel quale c’è chi – approfittando della guerra – è diventato milionario.

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