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Posts Tagged ‘antipolitica’

Antipolitica: ragioni e limiti

Posted by fidest press agency su domenica, 20 agosto 2023

Per quanto da anni siamo costretti a digerire nella conduzione della politica in Italia, di certo ci resta solo il disgusto e sicuramente comprendiamo il malessere che da tutto ciò promana. Va, tuttavia, fatto un distinguo per meglio chiarire il concetto. La politica, come giustamente si osserva da più parti, fa parte della nostra vita. Ciò significa che la “nausea” non è nella parola e nel suo ruolo espresso nel sociale e civile, quanto nel comportamento di chi si avvale di questa bandiera per farne un vessillo per proprio uso e consumo. E il danno d’immagine e la percezione che ne ricaviamo rendono ancora odioso quest’andazzo poiché rischia di trasformarsi in una tendenza accettata come normale dai soliti opportunisti. E molti dei politici, che oggi rappresentano questa visione comportamentale, sia appartenenti all’attuale coalizione di governo che delle stesse opposizioni, assumono agli occhi dell’opinione pubblica qualcosa di incomprensibile e finiscono con l’identificarsi in una sorta di difesa ad oltranza della casta e con tutte le sue ambiguità e doppiezze. E ancor più grave appare la situazione poiché si ha la convinzione che non sia possibile un ricambio non tanto generazionale ma nel modo di fare politica. Ciò spiega la reazione di chi oggi afferma che non intende andare a votare (siamo già al 44% degli elettori) perché se ha perso la fiducia nel proprio riferimento politico, lo è altrettanto per il suo opposto. D’altra parte, sarebbe impensabile supporre che vi possa essere, sic et simpliciter, un azzeramento dell’attuale classe politica e la sua sostituzione con personaggi nuovi di zecca. Ciò potrebbe verificarsi a una sola condizione: se ci fosse una guerra civile e non è certo il caso in cui potrebbe imbattersi l’Italia. Non solo. Anche se ciò accadesse, non sarebbe detto che il “ricambio” fosse assicurato. La caduta delle stesse dittature dal fascismo al nazismo e al franchismo in Spagna dimostrarono che non pochi dirigenti legati al precedente regime rimasero a galla o furono regolarmente riciclati nel nuovo ordine istituzionale. Alla fine, dovremmo dire che non è la politica che va cambiata ma gli uomini che la rappresentano a condizione che siano dei fanatici della democrazia, della libertà e della giustizia. Senza dubbi e senza tentennamenti. Forse con ciò entriamo nel mondo delle utopie. Forse. (Riccardo Alfonso)

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Antipolitica: ragioni e limiti

Posted by fidest press agency su venerdì, 16 settembre 2022

Per quanto da anni siamo costretti a digerire nella conduzione della politica in Italia, di certo ci resta solo il disgusto e sicuramente comprendiamo il malessere che da tutto ciò promana. Va, tuttavia, fatto un distinguo per meglio chiarire il concetto. La politica, come giustamente si osserva da più parti, fa parte della nostra vita. Ciò significa che la “nausea” non è nella parola e nel suo ruolo espresso nel sociale e civile, quanto nel comportamento di chi si avvale di questa bandiera per farne un vessillo per proprio uso e consumo. E il danno d’immagine e la percezione che ne ricaviamo rendono ancora odioso quest’andazzo poiché rischia di trasformarsi in una tendenza accettata come normale dai soliti opportunisti. E molti dei politici, che oggi rappresentano questa visione comportamentale, sia appartenenti all’attuale coalizione di governo che delle stesse opposizioni, assumono agli occhi dell’opinione pubblica qualcosa di incomprensibile e finiscono con l’identificarsi in una sorta di difesa ad oltranza della casta e con tutte le sue ambiguità e doppiezze. E ancor più grave appare la situazione poiché si ha la convinzione che non sia possibile un ricambio non tanto generazionale ma nel modo di fare politica. Ciò spiega la reazione di chi oggi afferma che non intende andare a votare (siamo già al 38% degli elettori) perché se ha perso la fiducia nel proprio riferimento politico, lo è altrettanto per il suo opposto. D’altra parte, sarebbe impensabile supporre che vi possa essere, sic et simpliciter, un azzeramento dell’attuale classe politica e la sua sostituzione con personaggi nuovi di zecca. Ciò potrebbe verificarsi a una sola condizione: se ci fosse una guerra civile e non è certo il caso in cui potrebbe imbattersi l’Italia. Non solo. Anche se ciò accadesse, non sarebbe detto che il “ricambio” fosse assicurato. La caduta delle stesse dittature dal fascismo al nazismo e al franchismo in Spagna dimostrarono che non pochi dirigenti legati al precedente regime rimasero a galla o furono regolarmente riciclati nel nuovo ordine istituzionale. A mio avviso ci sarebbe una sola risposta: la nascita di un partito fatto di persone in prevalenza legate al mondo del lavoro, se non altro per potervi riconoscere il loro modus vivendi per il vissuto e la loro non ingerenza nelle pastoie dell’attuale andazzo politico e relativo sistema lobbistico. Alla fine, dovremmo dire che non è la politica che va cambiata ma gli uomini che la rappresentano a condizione che siano dei fanatici della democrazia, della libertà e della giustizia. Senza dubbi e senza tentennamenti. Forse con ciò entriamo nel mondo delle utopie. Forse. (Riccardo Alfonso)

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Astensionismo alias antipolitica?

Posted by fidest press agency su martedì, 11 agosto 2020

Dalle ultime elezioni politiche ad oggi abbiamo avuto, a mio avviso, due particolari momenti che vorrei focalizzare in questa circostanza: l’exploit dei grillini che è diventato da solo il primo partito a livello nazionale e il successo elettorale dei leghisti che alle europee hanno dimostrato d’avere dalla loro parte una grossa fetta dell’elettorato. Si è detto e ripetuto che Cinque stelle nelle politiche del 2018 ha incassato un successo come conseguenza della rabbia che la gente aveva in corpo e la delusione provocata dal partito di riferimento per le riforme promesse e non fatte. Ora è seguito un declino che appare inarrestabile. Cresce la delusione per il Movimento cinque stelle ma resta la sfiducia per gli altri partiti facendo ingrossare l’assenteismo elettorale eccezion fatta per la revanche di Fratelli d’Italia guidati da Giorgia Meloni. Non vi è dubbio che un prezzo molto alto i grillini lo hanno pagato non avendo avuto un adeguato supporto mediatico che ha finito con l’esaltare i loro errori e ignorare i loro meriti. Penso al pasticciaccio di Palermo, alla poca incisiva azione dell’amministrazione romana e alle acque agitate nei gruppi parlamentari e un vistoso cambio di casacca dei loro parlamentari. Se a questo punto diamo per scontato il declino del PD, dove è molto chiaro a tutti che l’attuale segretario è stato messo a quel posto solo dopo un faticoso compromesso tra le sue varie anime, e la capacità del centro-destra di sapersi coalizzare anche a dispetto delle rispettive e profonde divergenze di programmi e di leadership, il gioco appare incentrato solo su due competitor. Significa però tenere congelata quella parte degli scontenti che si rifugia nell’astensionismo. Che ne facciamo? Sarebbe un errore, di là dei tatticismi dei due contendenti, ignorarli e allora chi sarà capace di risvegliare il loro interesse e stimolarli a riprendere il dialogo politico? Noi come Centro Studi politici e sociali della Fidest abbiamo un’idea e ne riparleremo. (Riccardo Alfonso)

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Antipolitica: ragioni e limiti

Posted by fidest press agency su lunedì, 30 ottobre 2017

camera deputatiPer quanto da anni siamo costretti a digerire nella conduzione della politica in Italia, di certo ci resta solo il disgusto e sicuramente comprendiamo il malessere che da tutto ciò promana. Va, tuttavia, fatto un distinguo per meglio chiarire il concetto. La politica, come giustamente si osserva da più parti fa parte della nostra vita. Ciò significa che la “nausea” non è nella parola e nel suo ruolo espresso nel sociale e civile, quanto nel comportamento di chi si avvale di questa bandiera per farne un vessillo per proprio uso e consumo. E il danno d’immagine e la percezione che ne ricaviamo rendono ancora odioso quest’andazzo poiché rischia di trasformarsi in una tendenza accettata come normale dai soliti opportunisti. E molti dei politici, che oggi rappresentano questa visione comportamentale, sia appartenenti all’attuale coalizione di governo che delle stesse opposizioni, assumono agli occhi dell’opinione pubblica qualcosa di incomprensibile e finiscono con l’identificarsi in una sorta di difesa ad oltranza della casta e con tutte le sue ambiguità e doppiezze. E ancor più grave appare la situazione poiché si ha la convinzione che non sia possibile un ricambio non tanto generazionale ma nel modo di fare politica. Ciò spiega la reazione di chi oggi afferma che non intende andare a votare (siamo già al 38% degli elettori) perché se ha perso la fiducia nel proprio riferimento politico, lo è altrettanto per il suo opposto. Ne deriva un difficile recupero d’immagine anche perché lo stesso outsider espresso anni fa da Silvio Berlusconi, che volle significare una discontinuità nel rapporto politica/elettori, è oggi fallito miseramente anche se oggi è tentato a riproporlo di nuovo sperando nella memoria corta degli italiani. D’altra parte sarebbe impensabile supporre che vi possa essere, sic et simpliciter, un azzeramento dell’attuale classe politica e la sua sostituzione con personaggi nuovi di zecca. Ciò potrebbe verificarsi a una sola condizione: se ci fosse una guerra civile e non è certo il caso in cui potrebbe imbattersi l’Italia. Non solo. Anche se ciò accadesse, non è detto che il “ricambio” fosse assicurato. La caduta delle stesse dittature dal fascismo al nazismo e al franchismo in Spagna dimostrarono che non pochi dirigenti legati al precedente regime rimasero a galla o furono regolarmente riciclati nel nuovo ordine istituzionale. A mio avviso ci sarebbe una sola risposta: la nascita di un partito fatto di persone in prevalenza legate al mondo del lavoro, non tanto giovani se non altro per potervi riconoscere il loro modus vivendi per il vissuto e la loro non ingerenza nelle pastoie dell’attuale andazzo politico e relativo sistema lobbistico. Alla fine dovremmo dire che non è la politica che va cambiata ma gli uomini che la rappresentano a condizione che siano dei fanatici della democrazia, della libertà e della giustizia. Senza dubbi e senza tentennamenti. Forse con ciò entriamo nel mondo delle utopie. Forse. (Riccardo Alfonso)

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Antipolitica: ragioni e limiti

Posted by fidest press agency su sabato, 23 settembre 2017

di maioPer quanto da anni siamo costretti a digerire nella conduzione della politica in Italia, di certo ci resta solo il disgusto e sicuramente comprendiamo il malessere che da tutto ciò promana. Va, tuttavia, fatto un distinguo per meglio chiarire il concetto. La politica, come giustamente si osserva da più parti fa parte della nostra vita. Ciò significa che la “nausea” non è nella parola e nel suo ruolo espresso nel sociale e civile, quanto nel comportamento di chi si avvale di questa bandiera per farne un vessillo per proprio uso e consumo. E il danno d’immagine e la percezione che ne ricaviamo rendono ancora odioso quest’andazzo poiché rischia di trasformarsi in una tendenza accettata come normale dai soliti opportunisti. E molti dei politici, che oggi rappresentano questa visione comportamentale, sia appartenenti all’attuale coalizione di governo che delle stesse opposizioni, assumono agli occhi dell’opinione pubblica qualcosa di incomprensibile e finiscono con l’identificarsi in una sorta di difesa ad oltranza della casta e con tutte le sue ambiguità e doppiezze. E ancor più grave appare la situazione poiché si ha la convinzione che non sia possibile un ricambio non tanto generazionale ma nel modo di fare politica. Ciò spiega la reazione di chi oggi afferma che non intende andare a votare (siamo già al 38% degli elettori) perché se ha perso la fiducia nel proprio riferimento politico, lo è altrettanto per il suo opposto. Ne deriva un difficile recupero d’immagine anche perché lo stesso outsider espresso anni fa da Silvio Berlusconi, che volle significare una discontinuità nel rapporto politica/elettori, ma fu un fallimento  anche se oggi è tentato a riproporlo sperando nella memoria corta degli italiani. D’altra parte sarebbe impensabile supporre che vi possa essere, sic et simpliciter, un azzeramento dell’attuale classe politica e la sua sostituzione con personaggi nuovi. Ciò potrebbe verificarsi a una sola condizione: se ci fosse una guerra civile e non è certo il caso in cui potrebbe imbattersi l’Italia. Non solo. Anche se ciò accadesse, non è detto che il “ricambio” fosse assicurato. La caduta delle stesse dittature dal fascismo al nazismo e al franchismo in Spagna dimostrarono che non pochi dirigenti legati al precedente regime rimasero a galla o furono regolarmente riciclati nel nuovo ordine istituzionale. A mio avviso ci sarebbe una sola risposta: la nascita di un partito fatto di persone in prevalenza legate al mondo del lavoro, non tanto giovani se non altro per potervi riconoscere il loro modus vivendi per il vissuto e la loro non ingerenza nelle pastoie dell’attuale andazzo politico e relativo sistema lobbistico. Alla fine dovremmo dire che non è la politica che va cambiata ma gli uomini che la rappresentano a condizione che siano dei fanatici della democrazia, della libertà e della giustizia. Senza dubbi e senza tentennamenti. Forse con ciò entriamo nel mondo delle utopie. Forse. Oggi lo prefiguriamo con una figura nuova: Di Maio ma di lui possiamo dire che è di “oro zecchino?”  (Riccardo Alfonso)

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Antipolitica? Bene facciamo politica

Posted by fidest press agency su sabato, 23 settembre 2017

urne-voteI partiti che vanno per la maggiore (Pd, 5 stelle, Forza Italia, lega, ecc.) stanno sulla difensiva. Si sentono investiti dal vento gelido soffiato dal popolo degli elettori nei loro confronti. Il rischio è che possono essere travolti senza che si possa fare un distinguo e valutare le circostanze senza gravarle con il peso del sospetto. La differenziazione che facciamo è a livello umano e non riguarda la politica in se stessa che riteniamo fondamentale per la vita di una comunità e nel suo ruolo di mediatore in una società complessa come la nostra e attraversata da interessi spesso conflittuali tra loro.
Nello stesso tempo gli esponenti di questi partiti non si rendono conto della ragione di tali e tante contrarietà popolari. Credo che, intimamente, tutti concordino sulla necessità che la politica abbia un costo e che debba essere sobbarcato dalla collettività. Ciò che non è perdonato è di aver trasformato un contributo in una speculazione commerciale e per trarne personali interessi. Non solo. Queste cose si conoscevano da anni come lo è stato per la Lega Nord che ha utilizzato gran parte dei fondi pubblici per speculazioni finanziarie in Tanzania e Cipro e per usi privati. E tutto sarebbe passato come un “pettegolezzo” o una malevolenza di giornalisti come Fabio Bonasera e Davide Romano, e non sono i soli, che con i tipi delle Edizioni La Zisa hanno scritto la vera storia della “Lega Nord” riportando le stesse cose che poi ben sei procure ne hanno tratto lo spunto per aprire un fascicolo e avviare delle indagini con svariate ipotesi di reato. E oggi vi è stato uno strascico a Genova con il sequestro cautelare dei fondi della Lega. E non dimentichiamo che lo stesso Roberto Maroni autoproclamatosi “moralizzatore” se l’era presa con i giornalisti accusandoli di attacchi ingiusti e immotivati e minacciando querele. Avrebbe fatto meglio ad accertarsi prima di come stavano realmente le cose, ammesso che non le conoscesse già. E dire che gli italiani, se solo lo volessero, alle prossime elezioni dovrebbero andare in massa a votare penalizzando quei partiti che hanno dimostrato d’avere poca sensibilità e rispetto per la politica e minandola nelle sue fondamenta. Ne saranno capaci? Ne dubito, purtroppo. (Riccardo Alfonso)

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Antipolitica: ragioni e limiti

Posted by fidest press agency su domenica, 2 ottobre 2011

Alte cariche

Image via Wikipedia

Editoriale fidest. Per quanto da anni siamo costretti a digerire nella conduzione della politica in Italia, di certo ci resta solo il disgusto e sicuramente comprendiamo il malessere che da tutto ciò promana. Ma va, tuttavia, fatto un distinguo per meglio chiarire il concetto. La politica, come giustamente ha osservato qualche giorno fa il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, fa parte della nostra vita. Ciò significa che la lettera di Diego Della Valle va intesa nel giusto senso ovvero che la “nausea” non è nella parola e nel suo ruolo espresso nel sociale e civile, quanto nel comportamento di chi si avvale di questa bandiera per farne un vessillo per proprio uso e consumo. E il danno di immagine e la percezione che ne ricaviamo rende ancora odioso questo andazzo poiché rischia di trasformarsi in una tendenza accettata come normale dai soliti opportunisti. E molti dei politici, che oggi rappresentano questa visione comportamentale, sia appartenenti all’attuale coalizione di governo che delle stesse opposizioni, assumono agli occhi dell’opinione pubblica qualcosa di incomprensibile e finiscono con l’identificarsi in una sorta di difesa ad oltranza della casta e con tutte le sue ambiguità e doppiezze. E ancor più grave appare la situazione poiché si ha la convinzione che non sia possibile un ricambio non tanto generazionale ma nel modo di fare politica. Ciò spiega la reazione di chi oggi afferma che non intende andare a votare (siamo già al 30% degli elettori) perché se ha perso la fiducia nel proprio riferimento politico, lo è altrettanto per il suo opposto. Ne deriva un difficile recupero d’immagine anche perché lo stesso ousider espresso 18 anni fa da Silvio Berlusconi, che volle significare una discontinuità nel rapporto politica/elettori, è oggi fallito miseramente. A questo punto anche Diego Della Valle rischia di fare flop in politica poiché la diffidenza potrebbe continuare e per molti si avrebbe l’impressione di un mero passaggio del testimone tra Berlusconi e Della Valle. D’altra parte sarebbe impensabile supporre che vi possa essere, sic et sempliciter, un azzeramento dell’attuale classe politica e la sua sostituzione con personaggi nuovi di zecca. Ciò potrebbe verificarsi ad una sola condizione: se ci fosse una guerra civile e non è certo il caso in cui potrebbe imbattersi l’Italia. Non solo. Anche se ciò accadesse non è detto che il “ricambio” fosse assicurato. La caduta delle stesse dittature dal fascismo al nazismo e al franchismo in Spagna dimostrarono che non pochi dirigenti legati al precedente regime rimasero a galla o furono regolarmente riciclati nel nuovo ordine istituzionale. A mio avviso ci sarebbe una sola risposta: la nascita di un partito fatto di persone in prevalenza legate al mondo del lavoro, non tanto giovani se non altro per potervi riconoscere il loro modus vivendi per il vissuto e la loro non ingerenza nelle pastoie dell’attuale andazzo politico e relativo sistema lobbistico. Alla fine dovremmo dire che non è la politica che va cambiata ma gli uomini che la rappresentano per il loro essere dei fanatici della democrazia, della libertà e della giustizia. Senza dubbi e senza tentennamenti. Forse con ciò entriamo nel mondo delle utopie. Forse. (Riccardo Alfonso http://www.fidest.it)

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Referendum e l’ultimo miglio dei politici

Posted by fidest press agency su martedì, 27 settembre 2011

“La campagna elettorale è iniziata con la raccolta firme per il referendum, sia che si voti a scadenza naturale della legislatura sia che si voti anticipatamente”. E’ quanto scrive Roberto Menia, cooordinatore nazionale di FLI, sul sito http://www.areanazionale.it. “La relativa rapidità e la facilità con le quali si sta superando la quota di firme necessarie per presentare il referendum elettorale – sottolinea Menia – dimostrano a chi ancora non lo avesse capito che gli italiani non hanno un sentimento di antipolitica, ma solo un forte risentimento anti politici. La raccolta delle firme per il referendum – continua Menia – sta scardinando tutto questo. Abbiamo scelto anche noi questa strada in modo convinto e con la stessa forza vogliamo affrontare l’ultimo miglio. Siamo consapevoli, peraltro, che una volta accettato il referendum inizierà la vera partita. Il sistema della “nominocrazia” non vorrà correre il rischio di confrontarsi con l’elettorato e opterà per tutte le soluzioni possibili e persino quel voto anticipato, che oggi viene sbandierato come una minaccia, potrebbe rivelarsi un tentativo di sopravvivenza del leviatano. Nella migliore delle ipotesi il parlamento sarebbe costretto a scegliere un’alternativa valida al porcellum. Il referendum segna la fine di un sistema che invece della stabilità ha prodotto conflitti striscianti e spregio dei valori fondamentali del merito e della legalità. Le scelte tattiche, le alleanze ed addirittura i programmi possono passare in secondo piano di fronte al principio fondamentale della rappresentatività. Tornare a scegliere chi ci rappresenta e quindi ci governa è l’unico modo per affrontare tutti i nostri problemi e ricostruire il paese sulle rovine di questo declino. Il sistema, appunto, resisterà in tutti i modi, ma siamo pronti, anche, ad intraprendere da subito una campagna elettorale, che, si voti a scadenza naturale o anticipata, è di fatto iniziata con la raccolta delle firme. Tra la gente gli umori del paese si identificano meglio e chi tra noi ha raccolto firme ai banchetti ha trovato tanta partecipazione che, in attesa di proposte e programmi, sfocia nella volontà di abbattere questo muro di incomunicabilità tra politici e cittadini.

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Schifani: la contestazione non serve

Posted by fidest press agency su lunedì, 6 settembre 2010

Bisogna comprendere le ragioni della contestazione  a Schifani, fermo restando che comprendere non significa condividere. Ogni forma di violenza che impedisce il libero esercizio della propria libertà, quando non violenta la libertà altrui, è da condannare come esempio di meschina rivalsa delle proprie ragioni, impedendo il contraddittorio  che ne spiegherebbe le ragioni. Chi urla lo fa perché non ha nulla da dire. La contestazione priva di contenuti alternativi non serve alla causa della democrazia, ma serve a chi ha interesse ad una cortina fumogena. E’ il trionfo dell’antipolitica in quanto l’interesse privato prevale sull’interesse generale, con l’aggravante che l’interesse privato viene gabellato come interesse pubblico, sostenendo che il privilegio riservato al satrapo diventa interesse pubblico, permettendo al medesimo detentore del potere di dedicarsi al governo, non più distratto dall’esigenza di difendersi davanti alla magistratura che vuole giudicarlo per i reati commessi fin da quando organizzava le grandi manovre del rapido arricchimento senza avere ancora deciso l’ingresso in politica.
La scomparsa del grande protettore, travolto dagli eccessi che lo costrinsero a fuggire nel dorato rifugio di Hammamet, eufemisticamente chiamato “esilio”, strinse i tempi, essendo rimasti scoperti i nervi sensibili che inevitabilmente conducevano al codice penale e al dovere di rispettare le regole imposte dal sistema democratico: per delinquere in tutta tranquillità bisognava spostare i paletti della legalità, fino a coprire i reati, propri e degli amici… nonché degli amici degli amici!
Fu detto dal medesimo che la scelta politica fu imposta dal grande amore per la patria, ma una patria inesistente, trattandosi semplicemente di una nazione, trasformata in una pletora di interessi privati, travolta da “mani pulite” che azzerò la prima repubblica, ma senza gettare le basi per la seconda. Nel vuoto di potere si inserì il satrapo, promettendo tutto ciò che i sondaggi indicavano essere in cima ai desideri della  maggioranza  che avrebbe dovuto legittimare l’ascesa al trono e l’esercizio del potere: potere della maggioranza che, in democrazia, indica il perentorio adeguamento all’interesse generale, ma nel nostro caso l’urgenza di tutelare gli interessi illegittimi del singolo.  Governatore e governato, controllore e controllato, legislatore e fruitore delle sue leggi; queste le antitesi che hanno generato l’antipolitica che conduce la nazione alla deriva, tranne gli eletti e i componenti la casta privilegiata, ai quali viene offerto uno scudo protettivo contro ogni forma di  intemperie: si chiama “fratellanza massone”. (Rosario Amico Roxas)

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Ciò che Josè Saramago non ha detto

Posted by fidest press agency su lunedì, 21 giugno 2010

Di Rosario Amico Roxas Stringere in poche battute la dimensione culturale di Josè Saramago è impresa ardua. Saranno scritti trattati di interpretazione, non sempre aderenti al suo pensiero, per questa ragione, mi accosto con umiltà, limitando le interpretazioni per realizzare più il “non detto” .
Lo scontro frontale che è sfuggito  a Josè Saramago, in quanto più impegnato a narrare che a registrare la cronaca, sta nell’ottimismo delle parole quando  si confronta con il pessimismo della ragione.  Il momento più grave sta nella evidenza che una larga parte dell’elettorato, almeno in Italia,  ha optato per credere all’ottimismo delle parole, forse nel tentativo di esorcizzare quel pessimismo latente che lasciava poche chances alla speranza. La diseducazione alla cultura, poi, così abilmente pilotata dai media secondo un ben preciso progetto,  ha fatto il resto, elevando le parole a “verbo”,  in una alterazione dei fatti che diventavano “verità” solo se emesse, come un rutto post-prandiale, dai mezzi di comunicazione di massa. La vittoria della menzogna diventa la vittoria di chi riesce farla passare per verità, avendo martellato di disinformazione i già distratti ascoltatori. La parabola del rifiuto del voto,  si sta formalizzando nella realtà, per cui finirà che si recheranno al seggio solo i fedelissimi del banchetto, molto attenti a non perdere il posto a tavola.
L’antipolitica non è una invenzione di qualcuno che ha voluto programmarne la struttura; l’antipolitica è nel rifiuto di accettare l’attualità compromessa per la quale non si intuisce soluzione, mancando i predicatori del vero, ormai spariti anche dalla ufficialità delle Chiese. (Rosario Amico Roxas)

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