Fidest – Agenzia giornalistica/press agency

Quotidiano di informazione – Anno 36 n° 153

Posts Tagged ‘banche centrali’

Capital Group: Lezioni di storia per le banche centrali europee

Posted by fidest press agency su mercoledì, 27 marzo 2024

A cura di Robert Lind, Economista di Capital Group. Nel valutare un possibile taglio dei tassi di interesse, i funzionari delle banche centrali europee terranno conto degli errori politici commessi in passato. I mercati sono convinti che il problema dell’inflazione in Europa sia ormai risolto e che le banche centrali saranno in grado di tagliare i tassi di riferimento in misura sostanziale nel corso dell’anno. Il consensus tra gli economisti è meno marcato, ma continua a prevedere un calo del CPI (Indice dei prezzi al consumo) verso il target nell’Eurozona e nel Regno Unito, con un taglio di circa 100 punti base nel tasso di riferimento sia dalla Banca Centrale Europea (BCE) che dalla Bank of England (BoE). Queste previsioni relativamente positive mi incuriosiscono, dal momento che economisti e mercati hanno nettamente sottovalutato la portata e la durata del recente aumento dell’inflazione e dell’inasprimento della politica monetaria. A mio avviso ci sono due problemi da considerare. Innanzitutto, non abbiamo un modello affidabile per prevedere l’inflazione. Il recente rialzo è stata la conseguenza di una complessa combinazione di fattori legati alla domanda e all’offerta dopo la pandemia e la guerra Russia-Ucraina, uniti alle drammatiche risposte politiche a questi shock. Se è vero che sia il dato primario che quello core sono calati rispetto ai picchi, non è ancora chiaro se si stabilizzeranno ai livelli target. In secondo luogo, non sappiamo in che modo le banche centrali reagiranno ai flussi di notizie sull’attività economica e l’inflazione, perché gli shock degli ultimi anni hanno reso molto più complicato prevedere le “funzioni di reazione” della BCE e della BoE. Non è chiaro se la risposta sarà la stessa del periodo post-CFG. Secondo le colombe della BCE e della BoE, il recente aumento dell’inflazione e dei tassi di interesse si rivelerà temporaneo e, una volta svaniti gli effetti della pandemia e dello shock dell’energia, entrambi torneranno ai minimi storici del decennio post-crisi finanziaria. (abstract)

Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: , | Leave a Comment »

GAM: Banche centrali – “What’s going on”

Posted by fidest press agency su venerdì, 15 marzo 2024

A cura di Carlo Benetti, Market Specialist di GAM (Italia) SGR L’economia e il mercato del lavoro americani resistono. In questi mesi Powell e gli altri membri del Comitato hanno sempre dichiarato che prima di procedere all’inversione della politica monetaria avrebbero voluto vedere un maggiore equilibrio tra domanda e offerta di lavoro, gli ultimi numeri indicano che quell’equilibrio è prossimo. Giovedì scorso, poche ore prima dell’audizione di Powell, il Consiglio Direttivo della Banca Centrale Europea lasciava senza sorprese il tasso di riferimento fermo a 4,50%, 4% il tasso sui depositi delle aziende di credito. È probabile che il filotto di riunioni senza alcuna decisione sui tassi, quattro da quando nel luglio 2022 è cominciato il ciclo di dieci rialzi consecutivi, continuerà in aprile, il primo taglio sarà verosimilmente a giugno, a dispetto dell’affanno dell’attività economica nell’Eurozona. I dati del quarto trimestre hanno mostrato il ritmo più lento della crescita del costo del lavoro per unità di prodotto e dei margini di profitto, si attenua il timore che le imprese alimentino l’inflazione scaricando i maggiori costi del lavoro con l’aumento dei prezzi finali.Le previsioni sull’inflazione si fanno più ottimistiche, alla BCE ritengono che l’obiettivo di inflazione del 2% dovrebbe essere traguardato nel 2025, il registro comunicativo dei banchieri di Francoforte si fa più accomodante, i mercati prezzano un punto percentuale di tagli entro la fine dell’anno. Nella conferenza stampa la presidente Lagarde ha comunque ribadito che, nonostante la maggior fiducia sulle prospettive, il Board non è ancora sufficientemente fiducioso per iniziare a tagliare i tassi. Il Fondo Monetario prevede per l’Eurozona una crescita di 0,9, lo sguardo parziale dei banchieri di Francoforte mette a fuoco gli aumenti delle buste paga ma sembra non vedere la debolezza degli altri indicatori dell’economia reale.La comunicazione di Lagarde è, nella migliore delle ipotesi, incompleta: lascia intendere che l’appuntamento con il primo taglio dei tassi è a giugno ma che il raggiungimento di tre/quattro tagli quest’anno è ancora un’incognita. La “forward guidance” è stata abbandonata da tempo, ma siamo lontani anche dal linguaggio pragmatico “data driven”, le azioni prese in base alla qualità dei dati economici che è stato il mantra dell’ultimo anno. E qual è la situazione ora, “what’s going on”, cosa sta succedendo? L’inversione delle politiche monetarie delle banche centrali coincide con il passaggio dal tempo deflazionistico al tempo inflazionistico. Non sappiamo come sarà il tempo che abbiamo davanti ma sappiamo che sarà molto diverso dai decenni appena trascorsi, l’asset allocation dovrà tenere conto delle nuove condizioni finanziarie, dell’inflazione normalizzata, della fine del deleveraging nelle banche che è stato un fattore deflazionistico. Il sistema bancario è ora ben patrimonializzato e nelle migliori condizioni per affrontare la fase della decarbonizzazione, gli investimenti necessari alla transizione saranno ingenti. È un tempo complesso, i premi al rischio sono ai minimi e i rendimenti obbligazionari entrano in competizione con gli asset rischiosi, eppure non mancano aree di valore e storie di investimento meritevoli di attenzione. Abstract by http://www.verinieassociati.com

Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: , | Leave a Comment »

Banche Centrali: una comunicazione poco coerente della FED che alimenta le attese di ribassi… forse troppo

Posted by fidest press agency su domenica, 24 dicembre 2023

A cura di Andrea Delitala, Head of Investment Advisory di Pictet Asset Management..C’è il nodo delle banche centrali. Fed e Bce hanno lasciato i tassi invariati anche nell’ultima riunione dell’anno, come previsto. Ma la Fed ha completamente capovolto la narrativa di un trimestre fa, stimando che il tasso di riferimento scenderà al 4,6% per dicembre 2024 (dal 5,1% del FOMC di settembre) e suggerendo dunque tre tagli nel 2024. In qualche modo la Fed ha assecondato la tendenza di mercato, in cui da un po’ si parla del prossimo ciclo di ribassi, e non più di quale sia il terminal rate, che in pratica è ormai stato raggiunto, con il 5,5% per l’America e il 4% per l’Europa. A settembre il mercato aveva metabolizzato con fatica una hawkishness convinta motivata da Powell con il maggior pericolo inflattivo di una politica accomodante; il 13 dicembre invece abbiamo sentito il presidente della Fed affermare che il mandato della Banca Centrale USA sia tornato a tutti gli effetti binario, in pratica ridando peso anche all’obbiettivo della piena occupazione. Questa improvvisa dovishness dei toni, non ascrivibile ai dati più recenti, e tantomeno alle condizioni finanziarie (ben più accomodanti di un mese fa) ci sembra dunque più l’esito di un ripensamento del FOMC forse convinto ad accompagnare il processo disinflattivo con un ribasso dei tassi nominali (limitando il tightening in termini reali). Il cambio di marcia, giustificato nella sostanza anche se non nei modi, ha alimentato la volatilità del mercato che si è posizionato ben oltre la Fed, con attese di 6 tagli per il 2024: questo percorso dei tassi di politica monetaria pare ora un po’ ottimistico a meno che non ricompaia il rischio di recessione.

Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: , | Leave a Comment »

Cosa aspettarsi dalle banche centrali nel 2024

Posted by fidest press agency su venerdì, 22 dicembre 2023

A cura di Steven Bell, Chief Economist EMEA di Columbia Threadneedle Investments. Nel corso del 2024 dovremmo assistere a una forte riduzione dei tassi da parte delle banche centrali, con un notevole sollievo per consumatori, imprese, mercati finanziari e governi, ancora scossi da due anni di forti rialzi. L’adozione di una politica monetaria aggressiva da parte delle banche centrali è stata dettata dall’incapacità di comprendere l’entità e la persistenza delle pressioni inflazionistiche dopo le chiusure forzate del Covid-19. Infatti, se durante la pandemia i tassi di interesse erano a zero o quasi, i primi due punti percentuali di inasprimento sono serviti soltanto a togliere il piede dall’acceleratore. Tuttavia, l’inflazione è aumentata più rapidamente del previsto.La buona notizia è che le banche centrali stanno riuscendo a tenere sotto controllo l’inflazione senza incorrere in una recessione. Infatti, sebbene la crescita sia piuttosto debole in Europa, il tasso di disoccupazione rimane basso, mentre gli Stati Uniti non hanno subito alcun rallentamento economico. Alcuni la definiscono una “disinflazione immacolata” ed è una delle tante peculiarità della recente stagione economica. Per diversi mesi, le banche centrali di Europa, Regno Unito e Stati Uniti hanno stabilizzato le loro politiche monetarie. Sebbene abbiano dichiarato di voler mantenere i tassi elevati per un periodo prolungato, restando pronte a rialzarli se necessario, i mercati prevedono un taglio dei tassi complessivo di oltre 1 punto percentuale entro la fine del 2024. In considerazione di ciò, le speculazioni riguardano chi taglierà per primo e quando.Alla luce di quanto detto, riteniamo che i tagli dei tassi inizieranno in primavera e saranno ancora più consistenti di quelli attualmente previsti dal mercato. Tuttavia, le banche centrali vogliono essere certe che l’inflazione si stia effettivamente avvicinando in modo sostenuto ai rispettivi obiettivi del 2%, prima di prendere in considerazione possibili ribassi. Gli Stati Uniti sono al momento più vicini a questo scenario, considerando che l’inflazione CPI nominale è oggi al 3%, sebbene l’inflazione di fondo sia più alta, sta comunque scendendo rapidamente. Inoltre, il deflatore della spesa per consumi, una delle misure principali utilizzate dalla Fed, si attesa su livelli ancora più bassi. Allo stesso modo, l’inflazione salariale è scesa ed è solo leggermente superiore al tasso compatibile con un’inflazione dei prezzi del 2%. Assistiamo, dunque, ad un trend inverso della tradizionale spirale in cui salari e prezzi si inseguono sempre più in alto. In questo scenario, tutti si chiedono dove si assesteranno i tassi, tuttavia nessuno, compresa la stessa banca centrale, lo sa con certezza, ma il 2-3% è un’ipotesi ragionevole. Si tratta di una percentuale molto più bassa rispetto ai tassi attuali, che superano il 5%. È probabile, tuttavia, che gli Stati Uniti taglieranno i tassi in modo graduale e con cautela.Per quanto riguarda le proiezioni sui tassi di interesse nell’Eurozona sono necessarie maggiori previsioni, che tuttavia comportano una certo grado di incertezza. Sebbene l’inflazione salariale nell’Eurozona sia solo di poco superiore a quella registrata negli Stati Uniti, gli ultimi dati mostrano un’accelerazione. Puntualizziamo, però, che di recente l’inflazione reale è diminuita rapidamente e la tornata salariale chiave che si terrà all’inizio del 2024 dovrebbe vedere un forte calo dei premi. Di conseguenza, i pareri sono concordi sul dire che la BCE e la Fed si allineeranno su tempistiche ed entità dei tagli. Nel Regno Unito, infine, l’incertezza è più grande a causa di un’inflazione più alta e a un livello di inflazione salariale ancora maggiore. Tuttavia, di recente abbiamo assistito ad una riduzione significativa dei tassi mese su mese, che pur si attestano elevati su base annua. Pertanto, anche la Banca d’Inghilterra potrebbe allinearsi con Bce e Fed ma è probabile che sarà l’ultima ad effettuare il primo taglio.Fonte: http://www.columbiathreadneedle.it,

Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: | Leave a Comment »

Banche centrali, azioni e obbligazioni: cosa aspettarsi dai mercati a novembre

Posted by fidest press agency su mercoledì, 22 novembre 2023

A cura di Andrea Delitala, Head of Investment Advisory di Pictet Asset Management. I dati americani sono forti per quel che riguarda il terzo trimestre, il che induce a rivedere al rialzo le previsioni per il 2024, nel nostro caso dallo 0,5 a circa 1%, ma un po’ meno per il mercato del lavoro, dove la disoccupazione, invece, è risalita al 3,9%. Sono in flessione, invece, i sondaggi, il PMI e l’ISM, soprattutto dei servizi. In particolare, i ritmi di crescita americani, alimentati dai risparmi in eccesso, che a loro volta hanno sostenuto i consumi, sono destinati a diminuire a causa, appunto, dell’esaurirsi di questo cuscinetto nel prossimo trimestre o due.L’inflazione rientra, invece, nonostante una crescita superiore al previsto nei primi trimestri dell’anno, a riprova del ruolo rivestito dalla normalizzazione dell’offerta. Insomma, non si parla più di interruzione della catena di produzione e distribuzione.Per quel che riguarda l’Europa, invece, i dati delle attività economiche restano depressi, mentre l’inflazione rientra più velocemente del previsto. Sebbene lo scenario di base sia, anche per l’Europa, di soft landing, come ha ribadito il Fondo Monetario Internazionale, per l’Eurozona il rischio di recessione – non solo tecnica – è più evidente che non in America.Per i mercati, comunque, la cosa più importante in queste ultime settimane è stato il regalo americano di Halloween: emissioni del Tesoro più leggere sul lungo termine e Federal Reserve meno hawkish. Occasione in cui Powell ha sottolineato un paio di aspetti molto importanti. Per prima cosa ha preso atto della restrizione finanziaria dovuta ai rialzi dei tassi di interesse a lunga, precisando tuttavia che la Fed reagirà a questo fenomeno solo qualora diventi persistente. In secondo luogo, dopo oltre il 5% di rialzi in un anno e mezzo, e tenendo conto del fatto che vi sono dei ritardi negli effetti macroeconomici di tali rialzi, la Fed ritiene al momento che il rischio di errore per eccesso di zelo sia simmetrico a quello di sbagliare per difetto.Guardando ai mercati finanziari e al loro recente andamento, il sostanzioso rally di inizio novembre rappresenta per noi più una correzione di una fase ossessiva sui tassi di interesse, rispetto a un’euforia. Riteniamo, infatti, che il rialzo dei tassi di interesse americani degli ultimi quattro mesi sia il frutto di preoccupazioni lecite (sebbene eccessive), che vanno dallo stato della finanza pubblica americana, al livello di equilibrio dei tassi nel lungo termine e ad altri fattori tecnici un po’ autoreferenziali (quali il term premium) e, quindi, il rialzo del decennale in quattro mesi dal 4 al 5% (quasi 1% anche in termini reali) non crediamo sia giustificato dal punto di vista fondamentale.Come dicevamo prima, la crescita ad oggi è forte ma non sostenibile a questi ritmi, mentre l’inflazione è in discesa con aspettative ancorate. La forte reazione, quindi, delle ultime sedute da parte dei bond americani, e non solo, sono sì causa di una Fed meno hawkish ma si devono anche all’annuncio di emissioni governative meno gravose da parte del Tesoro americano.La combinazione di questi elementi è un fattore di supporto per i bond, e lo sarà nei prossimi mesi, così come le borse beneficeranno di riflesso della distensione sui tassi.Attualmente il mercato resta sgradevolmente volatile, sebbene le valutazioni di oggi, soprattutto quelle obbligazionarie, sono più giustificate di quelle di fine ottobre. Nel complesso, riteniamo che il peggio sia ormai alle spalle, anche perché le autorità americane hanno in qualche modo preso atto di questo eccesso di volatilità e hanno mostrato una maggiore attenzione a questa erraticità, se non anche alla divergenza dai fondamentali dei titoli di Stato americani. Per le azioni prevediamo margini di recupero una volta che vedremo la stabilizzazione o, meglio, l’assestamento dei rendimenti obbligazionari, soprattutto americani. Più che da sorprese sugli utili, quindi, ci aspettiamo che la spinta azionaria si esprima in termini valutativi, con un’espansione dei multipli, cioè del rapporto prezzo/utili da qua a fine anno.I titoli tecnologici, growth e, in generale, quelli più penalizzati dal rialzo dei tassi di interesse, saranno pertanto anche quelli che ne dovrebbero beneficiare di più. (abstract by BC Communication)

Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: , , | Leave a Comment »

PIMCO: Le principali banche centrali mantengono la linea dura sull’inflazione

Posted by fidest press agency su venerdì, 13 ottobre 2023

A cura di Richard Clarida, Global Economic Advisor di PIMCO “Restrictive for longer” è ora il mantra con cui i responsabili della politica monetaria cercano di portare l’inflazione efficacemente verso l’obiettivo. Sebbene l’inflazione sia in calo a livello globale, le principali banche centrali non hanno allentato le loro posizioni restrittive. Sono in gioco i loro mandati di stabilità dei prezzi e la loro credibilità. Possono divergere negli approcci, ma la maggior parte delle banche centrali dei mercati sviluppati è passata a un nuovo mantra di politica monetaria: Dopo oltre un decennio di “lower for longer”, ora è “restrictive for longer”. I tassi di interesse possono rimanere scomodamente alti fino a quando i dati sull’inflazione non tenderanno comodamente verso l’obiettivo (e le banche centrali dipendono fortemente dai dati). È possibile che gli investitori stiano accettando questa prospettiva, visti gli indicatori di mercato come i futures sui tassi d’interesse e i rendimenti sovrani. Detto questo, i mercati hanno dimostrato una tendenza a romanzare i tagli dei tassi al primo accenno di segnali dovish da parte dei banchieri centrali, ma noi siamo cauti nel sottovalutare la loro determinazione. Il concetto di conservare un atteggiamento restrittivo per tutto il tempo necessario sembra radicato. Con le loro ultime decisioni di politica, la FED, la BCE e la Banca d’Inghilterra (BOE) hanno continuato a seguire un percorso restrittivo, pur con azioni e segnali diversi. La Banca del Giappone (BOJ) è parimenti concentrata sulla stabilità dei prezzi, ma con l’obiettivo di porre fine a decenni di disinflazione.

Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: , , | Leave a Comment »

T. Rowe Price – Banche centrali troppo rigorose, impatti negativi non considerati

Posted by fidest press agency su venerdì, 29 settembre 2023

A cura di Tomasz Wieladek, Chief European Economist, T. Rowe Price. Sulla base delle esperienze maturate finora nella gestione del Quantative Tightening, le banche centrali sembrano sempre più fiduciose di poter ridurre i propri bilanci senza perturbare i mercati finanziari. Di conseguenza, alcune di esse, come la Bce e la BoE, probabilmente accelereranno i loro programmi di inasprimento monetario. Tuttavia, temo che la loro fiducia sia mal riposta e che rischino di irrigidire eccessivamente la politica monetaria. Sebbene i mercati obbligazionari abbiano ceduto durante la politica monetaria restrittiva, ciò è stato generalmente attribuito all’aumento dei tassi di interesse attesi piuttosto che al Quantitative Tightening stesso. Tuttavia, separare gli effetti dell’inasprimento monetario dalle aspettative sui tassi di policy non è una scienza esatta, soprattutto quando le curve dei rendimenti si muovono così tanto come nell’ultimo anno. In realtà, non sappiamo quale livello avrebbero raggiunto oggi i rendimenti obbligazionari in assenza di una politica restrittiva. Dopo la crisi finanziaria globale, gli elevati disavanzi pubblici non hanno avuto un effetto significativo sui rendimenti perché il Quantitative Easing ha limitato l’ammontare netto di obbligazioni che dovevano essere assorbite dal settore privato. Questa volta è diverso. Le politiche delle banche centrali stanno aumentando la quantità di debito netto che i governi devono vendere al settore privato. I premi a termine della curva dei rendimenti, la componente della curva dei rendimenti che gli investitori richiedono per compensare il rischio di tasso d’interesse nel detenere debito pubblico a lungo termine, sono crollati con l’inizio del Quantitative Easing. Ciò non sorprende in quanto la politica espansiva delle banche centrali significa la presenza di un acquirente insensibile ai prezzi sul mercato, che riduce l’incertezza sul percorso futuro dei rendimenti dei titoli di Stato a lunga scadenza. I premi a termine della curva dei rendimenti dovrebbero tornare a causa del Quantative Tightening; tuttavia, ciò potrebbe accadere solo quando le banche centrali avranno venduto una quota significativa dei loro titoli di debito sovrano. In questo senso, i rendimenti potrebbero cedere rapidamente verso la fine della politica. Le ricadute internazionali probabilmente amplificheranno l’effetto della politica restrittiva. Lo spillover dei Treasury statunitensi a 10 anni sui Bund a 10 anni è molto più elevato dell’effetto corrispondente per il debito pubblico a due anni. Quando si calcola l’impatto totale dell’inasprimento monetario su un singolo paese, è necessario considerare queste ricadute internazionali perché molte banche centrali stanno perseguendo il Quantitative Tightening nello stesso momento. I rendimenti reali a 10 anni degli Stati Uniti rimarranno quindi probabilmente più alti ancora per un po’ di tempo a causa di questi effetti sull’offerta obbligazionaria e, col tempo, si riverseranno anche su altri mercati obbligazionari. Nel complesso, questi effetti suggeriscono che il Quantitative Tightening potrebbe portare a tassi di interesse a lungo termine più alti di 50-100 punti base rispetto all’assenza di questa misura. In genere, per ottenere un simile risultato sarebbero necessari interventi di politica monetaria convenzionale tra i 100 e i 150 punti base. Ciò dimostra chiaramente che gli effetti della politica monetaria restrittiva non saranno probabilmente modesti e che le banche centrali dovrebbero prendersi il tempo necessario per comprenderli appieno prima di accelerare i loro piani di inasprimento. Abstract by http://www.verinieassociati.com/

Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: , | Leave a Comment »

GAM: Il punto sui mercati nei giorni delle banche centrali

Posted by fidest press agency su giovedì, 21 settembre 2023

A cura di Carlo Benetti, Market Specialist di GAM (Italia) SGR. Il 14 settembre, in un contesto di peggioramento delle condizioni economiche nell’Eurozona, la riunione della Banca Centrale Europea si è conclusa con la decisione, a voto non unanime, di aumentare i tassi di un altro quarto di punto. I tassi sono ora al massimo storico da quando è stata introdotta la moneta unica. L’inflazione non rientrerà verso l’obiettivo del 2% nel 2024, come la BCE stimava pochi mesi fa, ma solo a metà del 2025. Il valore medio dell’inflazione sarà 5,6% quest’anno e 3,2% nel 2024, livelli ritenuti “troppo alti, per troppo tempo”.La crescita dei prezzi non rallenta abbastanza e a Francoforte reagiscono in modo pavloviano, a dispetto delle condizioni dell’economia. L’ultima rilevazione dell’indice PMI conferma la debolezza dell’Eurozona: l’indice composito, che tiene assieme la manifattura con i servizi, è sceso da 48,6 di luglio a 46,7 ad agosto. Un declino pesante, quasi due punti in un indice in cui si commentano gli scostamenti decimali e, se si esclude la straordinarietà del picco al ribasso durante la pandemia, l’indice è tornato ai valori minimi del 2013.Ancor più rilevante è la discesa sotto la soglia di 50 del settore dei servizi che ha messo la parola fine a un filotto di sette mesi positivi. Viene a mancare la compensazione che i servizi hanno dato al settore della manifattura, in contrazione da mesi. Le prospettive di crescita a breve termine dell’Europa sono peggiorate, il costo del denaro morde l’attività economica, la fiducia delle imprese e dei consumatori è debole e l’Europa si trova esposta alla bassa domanda estera, alla Cina in particolare.La reazione immediata dei mercati all’aumento dei tassi è stata positiva, le condizioni dell’economia hanno portato a valutare il pericolo di nuovi aumenti e giovedì scorso sono calati il decennale tedesco e il titolo italiano di pari scadenza, il differenziale tra Bund e BTP (lo “spread”) si attestava intorno a 173 punti base, da 178 punti prima della decisione della BCE.Il giorno dopo c’è stato però un ripensamento e i rendimenti sono tornati a salire. Gli operatori hanno valutato la forte dipendenza dell’Europa dall’approvvigionamento energetico. L’aumento del prezzo del petrolio e i possibili shock sul lato della fornitura, ad esempio lo sciopero negli impianti LNG in Australia, espongono la vulnerabilità della regione, rappresentano veri e propri ostacoli alla discesa dell’inflazione e, soprattutto, alla discesa delle aspettative dell’inflazione nel medio periodo. Alcuni analisti hanno alzato l’obiettivo del rendimento del Treasury a dieci anni a 4,5% e oltre, il Treasury è un benchmark universale, un potente magnete che ha orientato anche il rendimento delle obbligazioni europee.Durante la conferenza stampa Christine Lagarde non ha dato, neppure questa volta, nessuna indicazione positiva, nessun indizio sulle scelte future, ha ribadito il mantra della dipendenza dai dati e sono proprio i dati economici grami a far pensare alla fine del ciclo di rialzo. Più che di nuovi aumenti, si parla di quanto a lungo verrà mantenuto l’attuale livello dei tassi. Per quanto riguarda la Fed, il consenso prevalente è che nella riunione di questa settimana non verranno decisi nuovi rialzi e che la pausa serva per valutare le conseguenze dei rialzi sull’economia, la Fed si sta posizionando nella modalità “higher for longer”.Siamo arrivati all’”higher”, i tassi più alti, ora ci acconciamo al “longer”, l’attuale livello dei tassi americani ci accompagnerà ben addentro il 2024, l’appuntamento con i tagli della BCE è probabilmente nel 2025.I rischi che possono verificarsi nel prossimo futuro sono principalmente tre: 1. Il primo è che l’inflazione sorprenda o al rialzo oppure interrompendo il sentiero di discesa; 2. Un altro rischio è che i banchieri centrali spingano troppo il freno e il rallentamento si trasformi in recessione; sono importanti anche i segnali che vengono dalla Cina. In questi giorni sono usciti dati rinfrancanti, in agosto le vendite al dettaglio e la produzione industriale sono cresciute oltre le previsioni; la Banca del Popolo ha tagliato di un quarto di punto il coefficiente di riserva obbligatoria per le banche, una azione che ha iniettato di fatto liquidità nel sistema e ha mandato al mercato il segnale della volontà del governo di fare il possibile per evitare il rallentamento e far ripartire l’economia; 3. Il terzo rischio è quello geopolitico, l’evoluzione della guerra, le relazioni diplomatiche e commerciali della Cina con gli Stati Uniti e il resto del mondo, il movimento negli equilibri di potere, e di alleanze, nel Medio Oriente. (fonte by http://www.verinieassociati.com

Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: , , | Leave a Comment »

Le Banche Centrali e il ciclo dei rialzi dei tassi

Posted by fidest press agency su martedì, 19 settembre 2023

Il mercato è ormai concorde nel ritenere che le banche centrali, che si tratti della BCE o della Fed, abbiano terminato il ciclo di rialzi dei tassi: una previsione basata anche sulla convinzione che l’inflazione si stia affievolendo. Anche i futures sui Fed funds stanno prezzando una “normalizzazione” dei tassi da parte della Fed a circa 70 punti base nel corso del prossimo anno. Pur riconoscendo i progressi compiuti sul fronte dell’inflazione, però, il futuro appare ancora incerto e lascia spazio allo scetticismo. Il rapporto sull’indice dei prezzi al consumo (CPI) statunitense di agosto, pubblicato questa settimana, ha mostrato un’accelerazione dell’inflazione core (che esclude le componenti alimentare ed energetica), salita allo 0,28% su base mensile dopo l’aumento di appena lo 0,16% di luglio. I servizi core, come ad esempio gli affitti, hanno registrato un aumento dello 0,37% in agosto, il più rapido da marzo. Se la lettura del CPI core dovesse rimanere ai livelli di agosto, l’inflazione sarebbe ben al di sopra del 3% anche all’inizio della prossima estate, un livello troppo alto per i gusti della Fed. Uno scenario peggiore poi si aprirebbe qualora l’inflazione accelerasse, come accaduto nel primo trimestre del 2023. Non vogliamo spaventarvi, ma convincervi che sono molti e differenti gli scenari possibili.

Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: , , | Leave a Comment »

Asset allocation: prosegue la stretta monetaria delle Banche Centrali

Posted by fidest press agency su mercoledì, 19 luglio 2023

A cura di Marco Piersimoni, Senior Investment Manager di Pictet Asset Management. Dopo un mese di giugno che ha registrato delle buone performance tra azioni ed obbligazioni, l’inizio di luglio sta assumendo un colore diverso. Per alcuni momenti, infatti, è riapparso lo spettro del 2022 e abbiamo assistito a un nuovo timore da parte dei mercati per il rinnovato atteggiamento aggressivo delle banche centrali, annoverando perdite contemporanee sui mercati azionari e su quelli obbligazionari. Si tratta, indubbiamente, di movimenti decisamente più composti e convincenti rispetto al disordine del 2022. Quali potrebbero essere le reazioni dei mercati ai diversi scenari? Dal punto di vista macroeconomico, prosegue la dicotomia già presente da diversi mesi tra due macrosettori: da un lato il comparto manifatturiero è in forte sofferenza a livello globale, mentre tengono in maniera convincente i servizi. È bene ricordare che il dinamismo dei servizi sostiene la crescita del comparto nel suo complesso, dato anche il peso maggiore che i servizi hanno nelle economie avanzate. A livello generale, l’attività economica sta continuando a procedere con ritmi di crescita non entusiasmanti ma sicuramente non prossimi ai livelli recessivi a lungo temuti. Anche gli indicatori di fiducia delle imprese, utili per capire i trend futuri, confermano le differenti fasi in cui si trovano i settori della manifattura e dei servizi. I principali indicatori delle attività industriali, dall’indice ISM manifatturiero americano, all’indice IFO tedesco e ai PMI manifatturieri globali manifestano tutti una contrazione, mentre le indagini di fiducia sul settore dei servizi sono in zona di espansione. I dati di inflazione comunicati a giugno e relativi al mese di maggio confermano la traiettoria discendente della dinamica dei prezzi; questa discesa appare convincente, ma agli occhi delle banche centrali non sembra sufficientemente veloce. Le autorità di politica monetaria non perdono occasione per esprimere la propria preoccupazione in questo senso. Negli Stati Uniti i dati sul mercato del lavoro mostrano solo timidi segnali di rallentamento della creazione occupazionale, mentre la dinamica salariale non soddisfa ancora i desiderata della FED. Il mercato non può che registrare questi segnali, dolorosi soprattutto per la parte a breve della curva dei rendimenti. E il picco del ciclo dei rialzi viene spostato di qualche basis point più in alto con il passare delle settimane: negli Stati Uniti siamo vicini al cinque e mezzo, in area Euro siamo al 4%, mentre nel Regno Unito siamo addirittura vicini al 6,5%. Le parti lunghe delle curve trovano paradossalmente conforto da questa vigilanza continua della politica monetaria e soffrono meno.I mercati azionari sono in parte confortati dalle dinamiche macroeconomiche attuali e guardano alla stagione degli utili USA, che sta per entrare nel vivo. Restano poi sullo sfondo, sebbene incidano anche sull’andamento attuale dei prezzi delle azioni, le tematiche di lungo termine, in particolare quelle relative all’intelligenza artificiale e ai suoi effetti sul mercato del lavoro e sulla produttività delle imprese. A tal proposito, si iniziano a delineare stime sia macro che micro sempre più precise e si intravedono con sempre maggiore chiarezza i possibili beneficiari e dipendenti di quella che pare essere una vera e propria rivoluzione tecnologica. Un capitolo a parte merita poi la Cina, dove le dinamiche di crescita e inflazione sono decisamente moderate, al punto da destare preoccupazione per un possibile concretizzarsi di uno scenario deflazionistico. Le incertezze ovviamente non mancano, ma riteniamo che l’attuale scenario di investimento offra qualche spunto interessante tra cui, quello forse più importante, è la rinnovata possibilità dell’attività di costruzione di portafoglio. Le correlazioni tra le attività finanziarie sono infatti tornate a funzionare e la volatilità, in particolar modo quella legata alle obbligazioni, si sta riducendo, a fronte di rendimenti complessivi di azioni e obbligazioni che giustificano oggi un approccio e una presenza attiva sui mercati.

Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: , , | Leave a Comment »

T. Rowe Price – Banche centrali: gli atteggiamenti falco potrebbero provocare una recessione

Posted by fidest press agency su giovedì, 13 luglio 2023

A cura di Arif Husain, Head of International Fixed Income and Chief Investment Officer, Fixed Income, T. Rowe Price.Potremmo incappare in un errore di policy monetaria globale? Le recenti posizioni falco assunte da alcune delle principali banche centrali dei mercati sviluppati rendono questa domanda pertinente. Esiste il rischio concreto che queste banche centrali possano irrigidirsi eccessivamente nel tentativo di contenere l’inflazione contribuendo a spingere l’economia globale verso la recessione, oltre a indurre una recessione dei mercati finanziari. La banca centrale cinese, dall’altro lato, potrebbe commettere un altro tipo di errore, non allentando la politica a sufficienza per sostenere l’economia del Paese.La Bce ha fornito quello che probabilmente è l’esempio recente più evidente di una posizione estremamente falco da parte di una grande banca centrale. Nella riunione di giugno, ha aumentato i tassi di 25 punti base e la Presidente Christine Lagarde ha dichiarato di aspettarsi un altro rialzo a luglio. L’aspetto più significativo è che la Bce ha sorpreso i mercati alzando le previsioni sull’inflazione per il 2025, fatto che ha dato un segnale fortemente ribassista. In seguito alla revisione delle previsioni di aumento dell’inflazione, riteniamo che la Banca centrale europea potrebbe addirittura procedere a un nuovo rialzo nella prossima riunione di settembre. Tuttavia, come la maggior parte delle banche centrali, la Bce non ha una solida esperienza nel prevedere con precisione l’inflazione, per cui c’è la possibilità netta che l’inflazione possa essere inferiore alle previsioni, con conseguente eccessivo irrigidimento della politica monetaria. La Fed ha indicato che prenderà in considerazione gli effetti cumulativi dell’inasprimento delle politiche al momento di stabilire di quanto aumentare ancora i tassi, segnalando che probabilmente passerà più tempo tra un rialzo e l’altro. Sarà sufficiente per evitare una recessione? La vischiosità dell’inflazione core statunitense e il focus della Fed sul ritorno dell’inflazione all’obiettivo del 2% potrebbero facilmente indurla a spostare i tassi troppo in alto e ad essere lenta a tagliare quando l’economia entrerà in recessione. La BoE sembrava posizionata dalla parte giusta quando è stata una delle prime banche centrali dei mercati sviluppati ad aumentare i tassi dopo il rimbalzo economico del 2020 dalla recessione indotta dalla pandemia. Tuttavia, ha poi adottato un atteggiamento rilassato per gran parte del 2022. Di conseguenza, è rimasta indietro nella lotta all’inflazione e l’inflazione dei prezzi al consumo nel Regno Unito è schizzata ben oltre il 10%. Ora i lavoratori del settore pubblico nel Regno Unito chiedono massicci aumenti di stipendio, sollevando il timore che possa instaurarsi una spirale salari-prezzi. Invece di alzare troppo i tassi, la Cina potrebbe non tagliarli in modo abbastanza aggressivo per sostenere la crescita economica. A giugno la PBOC ha abbassato il tasso sui prestiti a medio termine a un anno di soli 10 punti base, il primo taglio dall’agosto 2022. Sebbene abbia seguito con tagli minori i tassi di riferimento sui prestiti a uno e cinque anni, l’economia cinese sta palesemente vacillando dopo l’ondata di politiche post-zero-Covid e potrebbe avere difficoltà a raggiungere anche l’obiettivo di crescita annuale relativamente modesto del 5% che il governo ha fissato per il 2023. Al contrario, alcune banche centrali dei mercati emergenti stanno riuscendo a ridurre l’inflazione dopo aver aumentato i tassi in modo più rapido e significativo. Le banche centrali di paesi come il Brasile stanno ora prendendo in considerazione tagli dei tassi, il che ci porta a chiederci se le obbligazioni in valuta locale di questi paesi siano prezzate con un premio al rischio eccessivo e se i titoli sovrani dei mercati sviluppati abbiano un premio al rischio sufficiente. (abstract by http://www.verinieassociati.com/)

Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: , , | Leave a Comment »

de Larosière (ex Fmi): le colpe delle banche centrali

Posted by fidest press agency su giovedì, 22 giugno 2023

By Mario Lettieri e Paolo Raimondi. E’ molto severo il giudizio di Jacques de Larosière sulla gestione della politica monetaria delle banche centrali. L’ex direttore del Fondo monetario internazionale, del Tesoro francese e della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, ha plasticamente spiegato le loro errate decisioni ricordando “il racconto di Goethe dell'apprendista stregone il cui goffo uso dei poteri magici produce una scia incontrollabile di disastri”. Niente di più vero. de Larosière non è stato un santo nella sua lunga carriera di alto dirigente delle politiche monetarie francesi e internazionali. I Paesi in via di sviluppo non hanno un buon ricordo dell’austerità e delle dure condizioni imposte dal Fmi. Fa, però, piacere, oggi che non è più costretto da responsabilità, sentirlo esprimere liberamente giudizi tranchant sulla politica monetaria dominante. In un suo recente scritto ha affermato: “Le banche centrali di tutto il mondo hanno acquistato enormi quantità di titoli di stato ad alto prezzo, il cui valore, come risultato delle loro azioni di inasprimento degli interessi, è successivamente crollato precipitosamente. Sfortunatamente, hanno incoraggiato le istituzioni finanziarie private a seguirne l'esempio, con conseguenze nefaste. Lungi dal promuovere la stabilità, le banche centrali hanno tenuto una lezione magistrale su come organizzare una crisi finanziaria.”. In questo modo esse hanno indebolito i propri bilanci e la propria reputazione. Com’è noto, con i quantitative easing i loro bilanci sono cresciuti a dismisura, pieni di asset backed security, titoli di dubbio valore, e di titoli pubblici acquistati dalle grande banche internazionali. Questi ultimi, ritenuti “sicuri” e “protetti” all’inizio, adesso, grazie all’aumento dei tassi d’interesse, sono in perdita. Le banche centrali, quindi, sono nei guai. In verità lo sono molto di più le banche commerciali private perché esse devono valutare le partecipazioni obbligazionarie in rapporto al loro valore di mercato, rendendole vulnerabilialla fuga dei depositanti. Le banche centrali non devono affrontare questo pericolo poiché le loro partecipazioni obbligazionarie non sono valutate in rapporto al mercato ma in base alla convenzione contabile secondo cui esse sono detenute al valore nominale fino alla loro scadenza. de Larosière aggiunge:” Riducendo i tassi di interesse quasi a zero e continuando il QE per un periodo irragionevolmente lungo, le banche centrali hanno aumentato il credito e la domanda nell’economia, il che probabilmente avrebbe portato sia all'inflazione sia agli investimenti speculativi, che alla fine sarebbero andati male quando i tassi di interesse sarebbero aumentati.”. Il risultato alla fine è stato il contagio tra le banche centrali e quelle commerciali, soprattutto se queste ultime operano in un ambiente mal regolamentato e se sono mal gestite. Negli Usa la Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic), l’agenzia federale che garantisce i depositi fino a 250.000 dollari, già a marzo stimava che le banche americane erano sedute su perdite non riconosciute di circa 600 miliardi di dollari sui loro titoli in portafoglio – una cifra che saliva ben oltre 1.000 miliardi se si includono le perdite sui prestiti a basso rendimento. Inoltre, molte di queste banche hanno anche livelli rilevanti di depositi non coperti dalla Fdic. In generale, le banche private, se non funzionano, sono a rischio di bancarotta, come abbiamo visto nelle settimane passate. Questo non vale per le banche centrali che in caso di bisogno potrebbero chiedere una ricapitalizzazione, anche se non facile e a condizioni pessime. E’ vero che le banche centrali sono indipendenti ma, di fatto, sono fortemente coinvolte in questioni fiscali e dipendenti dai mercati finanziari. de Larosière teme che il risultato più probabile possa essere la stagflazione, che produrrebbe una serie di tensioni politiche ed economiche. E aggiunge: “Con la loro gestione della politica monetaria, le banche centrali hanno contribuito all’inflazione e a indebolire il sistema finanziario”.” Sono conclusioni molto pesanti. Mario Lettieri sottosegretario all’Economia e Paolo Raimondi economista

Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: , , | Leave a Comment »

Banche Centrali e margini aziendali alla ricerca del tasso naturale

Posted by fidest press agency su mercoledì, 3 Maggio 2023

A cura di Andrea Delitala, Head of Euro Multi Asset, e Marco Piersimoni, Senior Investment Manager di Pictet Asset Management. Nel momento in cui è scoppiata l’inattesa crisi finanziaria delle piccole banche USA, a seguito del fallimento della Silicon Valley Bank, la Fed si è trovata a un bivio dovendo scegliere se privilegiare la stabilità dei prezzi o la stabilità finanziaria. La Banca Centrale americana ha attuato rimedi ad hoc per garantire la stabilità finanziaria: linee di credito dirette e moral suasion per coinvolgere le banche sistemiche nei salvataggi; non diversamente, l’Europa ha scavalcato la legislazione sulla posizione dominante per favorire la fusione tra Credit Suisse e UBS. Decisione presa affinché potesse continuare a occuparsi in maniera prioritaria della stabilità dei prezzi attraverso la politica dei tassi. Una strategia che è stata correttamente recepita dal mercato, tanto che le previsioni sui tassi terminali non sono collassate: il mercato si attende che la stretta prosegua portando i tassi in Europa al 3,75% e in America al 5%. Questi livelli sono un punto intermedio tra quelli prevedibili in caso di recessione e quelli che il mercato si aspettava a fine febbraio quando le BC avevano nuovamente inasprito la retorica antiinflazionistica.Il mercato attualmente incorpora circa il 2% di tagli da parte della Fed entro fine 2024 (mezzo già quest’anno e 1,5% il prossimo), che rappresenta ancora un overshooting in termini reali rispetto al punto di equilibrio di lungo periodo, il cosiddetto tasso neutrale. Perciò crediamo che, in caso di recessione, vi sarebbe un’ulteriore discesa nel sentiero previsto dei tassi a due anni, mentre uno scampato pericolo vedrebbe tassi a breve più vicini a massimi di quest’anno. Secondo le stime della contabilità nazionale Usa, i margini 2022 si sono attestati al 12,2%, di cui una parte considerevole è giustificata dall’andamento della tassazione sulle aziende, che in America è passata dal 40% degli anni ’60 all’odierno 14%. Le stima per il 2023 sono vicine al 12%, in uno scenario intermedio, nel quale un’ulteriore riduzione fiscale risulterebbe ovviamente improbabile.I dati di contabilità nazionale ci raccontano le tendenze macro ma sono solo parzialmente qualificanti per gli investimenti. Quando si passa da questi allo S&P 500 (eliminando quindi dai dati medi le piccole capitalizzazioni e tutto quanto il mondo delle società private) le cose potrebbero cambiare nuovamente. Negli ultimi 60 anni, le dinamiche del monte utili di contabilità nazionale e quelle dell’indice S&P500 sono state abbastanza convergenti, ma quando andiamo a investire sull’indice stesso, si passa alla logica dell’utile per azione, che a sua volta dipende dall’emissione o ritiro di azioni da parte delle società. Questo dipende in buona parte quindi da una variabile ulteriore, ovvero quella dei buyback. Il monte utile totale dello S&P500 è stimabile in due trilioni per il 2023; nel 2022 un trilione viene speso dalle quotate per ricomprare azioni proprie, con un effetto potentemente inflattivo sull’utile per azione. In conclusione, pare evidente che gli scenari macro siano tanto rilevanti quando quelli micro. Per i destini del mercato, è quindi cruciale analizzare l’operatività finanziaria delle società, soprattutto di quelle grandi, le vere protagoniste dei buyback. Abstract by BC Communication)

Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: , , | Leave a Comment »

La proattività delle Banche Centrali dei paesi emergenti

Posted by fidest press agency su giovedì, 23 marzo 2023

La crescita degli EM è stata abbastanza resistente anche a fronte di una situazione sfavorevole legata all’economia cinese nel corso del 2022. Ma con la riapertura del Dragone e la fine della politica “Zero-COVID”, assistiamo a buone prospettive per la crescita cinese, con il settore immobiliare che dovrebbe stabilizzarsi. Questo è un fattore particolarmente importante, poiché i risultati di crescita degli EM sono sempre più legati alla Cina. Anche una eventuale recessione in USA o in Europa più modesta del previsto porterebbe dei benefici alla galassia EM (L’Economic Team di Payden & Rygel non vede comunque una recessione acuta negli Stati Uniti, dato il buon livello di crescita del settore privato). La riapertura della Cina, infine, dovrebbe essere positiva anche per il petrolio e le materie prime, per le quali vediamo un rimbalzo della domanda dopo un periodo di debolezza protratto fin dal 2020.A livello tecnico, prima del rally di ottobre-novembre 2022, i gestori delle obbligazioni emergenti detenevano posizioni di liquidità storicamente elevate, con deflussi consistenti per otto mesi consecutivi. Ma così come i dati tecnici hanno esacerbato il sell-off per la maggior parte del 2022, ora potrebbero essere utili nel contesto di una ripresa. Le valutazioni, infatti, favoriscono il debito EM: i vantaggi nell’attuale contesto sono rappresentati da valutazioni convincenti e anche da un’interessante opportunità di reddito a lungo termine. Il tempismo d’ingresso nei bond emergenti, in tale contesto di volatilità, è, allo stesso tempo, un’opportunità e una sfida per gli investitori. Sebbene non sia possibile prevedere il picco dei tassi USA o degli spread EM, esiste un argomento storico a favore delle obbligazioni EM. Quando gli spread sovrani EM superano i 500 punti base rispetto ai Treasury USA, infatti, il rendimento medio annuo triennale è stato dell’8,9%. A questo proposito, per quanto riguarda alcuni titoli sovrani ad alto rendimento, vediamo valutazioni interessanti.Per i mercati locali EM, le opportunità che si prospettano sono brillanti. L’inflazione sembra rallentare, le Banche Centrali hanno aumentato i tassi di interesse in modo aggressivo e le valute degli EM hanno mostrato una certa resistenza. Le valutazioni del dollaro statunitense, inoltre, sono sotto pressione e l’aggressiva politica di inasprimento monetario da parte della Fed andrà probabilmente rallentando nel corso del 2023. La componente valutaria dei mercati locali può essere soggetta a volatilità, in quanto le Banche Centrali non si oppongono alla tendenza al deprezzamento delle valute; tuttavia, in molti mercati locali è possibile ottenere un reddito solido anche se si coprono i rischi valutari.

Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: , , | Leave a Comment »

Le banche centrali devono trovare un equilibrio

Posted by fidest press agency su mercoledì, 22 marzo 2023

A cura di Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm. Dopo la fusione di UBS con Credit Suisse, le principali banche centrali hanno rilasciato dichiarazioni rassicuranti e iniettato ulteriore liquidità per stabilizzare i mercati. Dopo l’accordo i titoli di Stato sono generalmente risaliti, poiché gli investitori si aspettano che le banche centrali siano più caute nel rialzare i tassi d’interesse, per evitare di mettere sotto pressione il settore bancario, anche se l’inflazione rimane ben al di sopra del target. L’attenzione si sposterà sulla Fed mercoledì e sulla BoE giovedì in vista delle prossime mosse sui tassi di interesse.In un contesto in cui si assiste all’allontanamento dagli asset più rischiosi, i prezzi del petrolio sono scesi al livello più basso degli ultimi due anni a causa delle preoccupazioni sulla salute dell’economia globale, mentre l’oro è salito sopra i 2.000 dollari l’oncia per la prima volta dopo oltre un anno.

Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: , | Leave a Comment »

Le banche centrali guardano alla fine del ciclo di rialzi

Posted by fidest press agency su sabato, 4 febbraio 2023

A cura di Azad Zangana, Senior European Economist and Strategist, Schroders. Sia la BCE sia la BoE hanno alzato i tassi di interesse di riferimento di mezzo punto percentuale, portando avanti il tentativo di riportare l’inflazione verso i rispettivi obiettivi del 2%. Entrambi gli aumenti sono stati in linea con le aspettative e con quanto prezzato dal mercato. Il calo del prezzo del gas naturale in Europa è stato citato in entrambe le dichiarazioni, in quanto ha contribuito in larga misura all’aumento dei tassi d’inflazione nell’ultimo anno. Il significativo calo dei prezzi dalla fine dello scorso anno è stato segnalato come un fattore molto utile per la riduzione dei tassi di inflazione nel corso del 2023. L’IPC nominale è generalmente sceso rispetto ai recenti picchi, in linea con le previsioni ufficiali. Entrambe le economie hanno registrato una crescita superiore alle aspettative, anche se si prevede un ulteriore indebolimento dell’attività nei prossimi mesi. Ciò è dovuto in gran parte all’aumento del costo della vita e all’incremento dei tassi di interesse, quest’ultimo non ancora pienamente percepito dalle famiglie. Le condizioni del mercato del lavoro rimangono rigide, con i tassi di disoccupazione che restano bassi. Sebbene lo slancio relativo alla crescita delle nuove assunzioni si sia notevolmente attenuato, sia la BCE sia la BoE si aspettano che l’inflazione salariale rimanga stabile nel breve termine, in risposta all’aumento dei tassi di inflazione. Tuttavia, dato l’allentamento della domanda di personale, i rischi di una spirale inflazionistica salariale si stanno attenuando. In modo insolito, la BCE ha deciso di dare una forte guidance sul fatto che il consiglio direttivo intende aumentare nuovamente i tassi di interesse a marzo di altri 50pb. In passato, il Consiglio ha cercato di non preannunciare cambiamenti di politica, ma in questa occasione ha ritenuto che gli indicatori attuali non avrebbero modificato il percorso nel breve termine. La BCE ha anche annunciato un piccolo quantitative tightening, il suo primo tentativo di invertire il sostegno alla liquidità. Consentirà a 15 miliardi di euro di bond di giungere a scadenza nei mesi di marzo, aprile e giugno di quest’anno. Si tratta di una cifra molto ridotta rispetto alle dimensioni del bilancio della BCE, ma è comunque un primo passo significativo per testare le acque e capire come reagiranno i mercati obbligazionari europei. In caso di successo, ci si aspetta che ne seguano altri. Per quanto riguarda la BoE, il comitato di politica monetaria (MPC) non ha fatto alcun preannuncio sul percorso futuro. Sebbene il rischio di un aumento persistente dell’inflazione nel Regno Unito rimanga estremamente elevato, la stima centrale è stata abbassata, in parte a causa del calo dell’inflazione energetica. Inoltre, le previsioni della BoE sull’inflazione IPC mostrano che se i tassi di interesse aumentassero in linea con le aspettative del mercato, l’inflazione sarebbe inferiore al target della BoE a partire dal 2024, segnalando indirettamente che il profilo è troppo alto. Pur ritenendo che l’inflazione del Regno Unito sarà più rigida rispetto alle previsioni della BoE, non crediamo che questo impedirà all’MPC di bloccare i rialzi dei tassi.

Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: , | Leave a Comment »

Banche Centrali e mercato obbligazionario: i tassi non hanno ancora raggiunto il picco

Posted by fidest press agency su martedì, 31 gennaio 2023

A cura di Jeffrey Cleveland, Chief Economist di Payden & Rygel. Nelle ultime settimane, i tassi d’interesse globali sono saliti, ma il picco potrebbe rivelarsi ancora una volta prematuro. Storicamente, i tassi – sia che si parli di buoni del Tesoro a 3 mesi, di Treasury a 2 anni o di Treasury a 10 anni – raggiungono il picco quando la Federal Reserve raggiunge il suo tasso terminale. La nostra view è che, a causa di un’inflazione “appiccicosa”, la Fed continuerà ad aumentare il tasso sui Fed Funds fino al secondo trimestre 2023, portandolo al 5,5%.A ragione di ciò, il picco dei tassi potrebbe verificarsi verso il secondo trimestre. Tuttavia, se ci saranno indizi da parte dei policymakers della Fed che un una pausa del ciclo di rialzo sia più imminente di quanto anticipato, allora potremmo cambiare il nostro scenario di base.È opinione diffusa che il tasso dei fondi federali non tenda a rimanere al picco del ciclo per lungo tempo. La realtà, però, è che la Fed ha iniziato a pubblicare il target solo nel 1994. Nei quattro cicli di rialzo susseguitisi da allora, la Banca Centrale americana ha atteso in media 9 mesi tra il raggiungimento del tasso finale e il suo primo taglio dei tassi. Tuttavia, durante il ciclo di metà anni Duemila, la Fed si è fermata per 14 mesi.Ancora più importante è il fatto che i cicli precedenti rappresentano gli scenari che la Fed sta espressamente cercando di evitare. La Banca Centrale americana, infatti, ha dichiarato vittoria contro l’inflazione troppo prematuramente nel 1980 tagliando i tassi, per poi riprendere i rialzi nel 1981 a causa di una risalita della pressione inflattiva. Inoltre, nessuno dei cicli successivi al 1994 è stato caratterizzato da alta inflazione: questo elemento potrebbe infatti ritardare il taglio dei tassi da parte della Fed. Non scommetteremmo sulla narrazione popolare per cui “i tagli dei tassi seguiranno presto il picco della Fed”, a meno che l’inflazione non crolli velocemente. Infine, l’inflazione non è stata più un problema a partire dagli anni ’80. Nei cicli passati, la Fed poteva tagliare rapidamente perché il PCE core si aggirava intorno al 2%. Con l’inflazione core PCE ben tre volte superiore al target Fed, il rischio è che i tagli dei tassi siano più lenti anche in una recessione, semmai si verificheranno. Anche in questo caso, monitoriamo attentamente un elemento chiave che potrebbe cambiare il nostro scenario di base: se il PCE core tornasse rapidamente al 2% in tempi brevi, la Banca Centrale americana, allora, potrebbe allentare la politica monetaria.

Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: , , | Leave a Comment »

Banche Centrali: questa settimana grandi riunioni, cosa aspettarci? – l’analisi LGIM

Posted by fidest press agency su martedì, 31 gennaio 2023

Commento a cura di Hetal Mehta, Senior European Economist di LGIM. Quella che ci apprestiamo ad affrontare sarà una settimana molto importante per i principali istituti di credito centrali, con la Banca del Canada che ha annunciato l’interruzione dei rialzi dei tassi d’interesse – muovendosi verosimilmente verso dei tagli – e la Reserve Bank of Australia sembra essere in procinto di prendere provvedimenti molto simili. La Banca Centrale Europea, invece, si è legata le mani da sola quando, poco prima di Natale, ha indicato ai mercati – anche in modo abbastanza esplicito – che ad inizio 2023 si sarebbero dovuti attendere ulteriori rialzi per almeno 100 punti base. Sebbene in passato le direttive della Bce sia state spesso soggette a bruschi capovolgimenti, riteniamo che l’inflazione elevata e la forte pressione salariale faranno sì che si realizzi quanto è stato annunciato. Inoltre, se l’inflazione core dovesse mantenersi su livelli ritenuti insostenibili, i rialzi potrebbero perdurare per tutto l’anno e anche oltre.La Bank of England, infine, si ritrova ad affrontare lo scenario peggiore, in quanto alla bassa crescita economica si affiancano un’inflazione e una pressione salariale ancora più alte di quelle osservate sul continente. In un contesto del genere, non sorprende riscontrare un disaccordo molto elevato all’interno della Monetary Policy Committee, dove recentemente si sono venute a creare tre diverse spaccature; un evento a cui verosimilmente assisteremo di nuovo in futuro. Sebbene non ci troviamo in disaccordo con il mercato che sta prezzando il percorso che dovrebbero seguire i tassi d’interesse, bisogna tenere in considerazione l’offerta totale di Gilt, influenzata dal quantitative tightening della stessa BoE. Infatti, la nostra posizione verso i Gilt è ottimistica, in quanto rappresentano una questione ormai ben nota e il Debt management Office dovrebbe essere flessibile su come rispettare le scadenze.

Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: , | Leave a Comment »

Banche centrali in regime “cruise control adattivo”, fino ai primi meeting del 2023”

Posted by fidest press agency su venerdì, 25 novembre 2022

A cura di Antonio Cesarano, Chief Global Strategist di Intermonte. La tipica correlazione negativa bond/equity quest’anno non ha portato i benefici degli anni passati, in un contesto di rapido cambio di regime sui tassi indotto dalla fase iperinflattiva in atto. Se si passa ad osservare più direttamente il mercato azionario US, si può notare come l’indice S&P500 abbia segnato i minimi dell’anno a metà anno, aggiornandoli marginalmente ad ottobre, ma di fatto segnando un doppio minimo con i livelli di giugno La variabile rimasta relativamente costante è stato il range di oscillazione della volatilità, con l’indice VIX ricompreso nel range 20/35 Ex post tale range è stato reso possibile principalmente dall’alternanza di toni duri/morbidi della Fed: a metà anno aveva accennato all’ipotesi di rallentamento del ritmo di rialzi (che il mercato ha scambiato per pivot imminente) a fine agosto riferimento all’ “andremo avanti anche con la recessione” ad ottobre il richiamo maggiore ai rischi di stabilità finanziaria, anche alla luce del caso fondi pensione Uk di settembre. Questo atteggiamento della Fed a ben vedere è stato recepito dagli operatori che progressivamente hanno iniziato a coprirsi sempre di meno contro rischio estremi, ad esempio di un avvitamento continuativo al ribasso dei mercati A testimonianza di ciò il fatto che è sceso il costo (ossia la volatilità) contro l’assicurazione da rischi estremi, come testimoniato dalla cosiddetta SKEW in prossimità dei minimi storici In altri termini gli operatori han percepito la necessità di coprirsi da acquazzoni (ossia cali limitati e controllati dell’equity) ma non uragani (alias cali continuativi ed incontrollati). Aggiungiamo un altro ingrediente: l’accelerazione del ritmo del rialzo tassi nella seconda parte dell’anno ha progressivamente interessato sempre di più la parte a breve termine della curva mentre quella a lungo termine ha seguito un percorso autonomo fino a intraprendere un sentiero dicotomico (tassi a breve al rialzo e tassi a lungo termine in calo) In altri termini le curve dei tassi si sono sempre più invertite soprattutto in US. Tutti questi fattori possono essere i primi ingredienti utilizzabili per provare a tracciare lo scenario mercati fino ai primi mesi del 2023, ossia fino ai primi incontri FED/BCE del prossimo anno, rispettivamente 1 e 2 febbraio Le banche centrali, Fed in testa, potrebbero continuare a cercare di controllare la volatilità dei mercati, nel tentativo di evitare sia avvitamenti eccessivi al ribasso sia anche eccessi di euforia: nel primo caso il rischio sarebbe quello di innescare uno dei tanti rischi di stabilità finanziaria, nel secondo caso (euforia) quello di vanificare parte degli intenti restrittivi, costringendo le stesse banche centrali a dover rincorrere i mercati alzando ulteriormente i tassi e/o accentuando il QT, il che a sua volta aumenterebbe i rischi di stabilità finanziaria (difficoltà da parte di alcune categorie di operatori, carenza di collaterale, illiquidità crescente dei mercati obbligazionari, ecc) Di fatto un regime che metaforicamente potremmo definire di “cruise control adattivo” dove le banche centrali adattano i loro toni/manovre non solo ai dati macro, ma sempre più al comportamento dei mercati, con in mano la bussola rappresentata dalla volatilità che potrebbe continuare ad oscillare nel range 20/35 visto nel corso del 2022 Tutto questo almeno fino ai primi mesi del 2023, in attesa di verificare l’andamento dell’inflazione e l’impatto delle manovre restrittive fin qui implementate. Sul fronte tassi i livelli fin qui raggiunti aprono lo spazio per opportunità di inserimento graduali e progressive innanzitutto di bond govies e corporate in portafoglio, in vista di un primo approdo sui tassi a febbraio in area 5% Fed e 2,75/3% BCE, che il mercato ha di fatto incorporato nelle attese In questo caso la bussola per operatori e banche centrali potrebbe essere il monitoraggio dei tassi reali che stanno iniziando a dare segnali di top raggiunto. Il tasso reale Us 10y (in blu nel grafico) si è infatti fermato al massimo dal 2010 in area 1,70%, mentre il tasso nominale 10y (in bianco nel grafico) si è spinto fino a segnare il top dal 2008 in area 4,35% (abstract – fonte: The Intermonte)

Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: , | Leave a Comment »

Schroders: cos’altro possono fare le banche centrali emergenti per proteggere le loro valute?

Posted by fidest press agency su giovedì, 10 novembre 2022

A cura di David Rees, Senior Emerging Markets Economist, Schroders. Le banche centrali dei mercati emergenti sono sempre più sensibili al deprezzamento delle valute e molte di esse hanno venduto una parte significativa delle loro riserve valutarie per rallentare il ritmo del declino.La maggior parte dei mercati emergenti dispone di riserve sufficienti per evitare crisi, ma l’ulteriore pressione sulle valute potrebbe indurre alcuni a intraprendere azioni più aggressive per evitare un ulteriore deprezzamento. Le linee di swap e i rialzi dei tassi d’interesse sono la linea d’azione più probabile; tuttavia, alcuni potrebbero prendere in considerazione i controlli sui capitali se il dollaro USA continuerà a salire. Tuttavia, la liquidità in valuta estera – in particolare in dollari USA – è chiaramente sotto pressione a causa degli aggressivi rialzi dei tassi d’interesse nei mercati sviluppati, del deterioramento della domanda per le esportazioni degli emergenti e del sentiment di risk-off che hanno determinato deflussi di capitali. A dire il vero, è proprio questo il motivo per cui si tengono le riserve valutarie. Vengono accumulate nei periodi di congiuntura favorevole per essere utilizzate nei periodi più difficili. Intervenire sul mercato dei cambi vendendo le riserve può aiutare a evitare il tipo di mosse impulsive che tendono a far vacillare la fiducia nella valuta di un Paese. Inoltre, disporre di ampie riserve consente alle banche centrali di intervenire più a lungo e in modo più aggressivo. Tuttavia, se da un lato la vendita di riserve può aiutare a smussare gli aggiustamenti del tasso di cambio, dall’altro questa politica raramente cambia completamente la direzione di marcia. Di conseguenza, ulteriori deflussi di capitale e pressioni sulle valute costringeranno probabilmente le banche centrali emergenti a cercare modi alternativi per sostenere le loro valute e prevenire dislocazioni dei mercati finanziari che danneggerebbero l’economia nazionale. È probabile che i policymaker prendano in considerazione tre linee d’azione. La Federal Reserve è anche diventata più proattiva nel creare linee di swap con i Paesi emergenti durante l’era della pandemia, per evitare tensioni sul mercato dei Treasury statunitensi, dato che una vendita indiscriminata di asset di riserva esercita una pressione al rialzo sui rendimenti. Secondo alcune voci, la Corea del Sud avrebbe cercato di accedere a una nuova linea di swap e altri Paesi che detengono ingenti quantità di Treasury potrebbero prendere accordi. Tali linee di swap possono accrescere la fiducia nella convertibilità della valuta di un Paese, anche se da sole è improbabile che impediscano un ulteriore deprezzamento della moneta. Una seconda opzione è quella di effettuare ulteriori aumenti dei tassi di interesse. La speranza è che, rendendo più attraente investire in valuta locale, i deflussi di capitale si attenuino e che si verifichi un ritorno degli afflussi. La terza opzione per le banche centrali emergenti sottoposte a forti pressioni sarebbe quella di imporre controlli sui capitali. La “trinità impossibile” dice che i Paesi non possono avere tutte e tre le cose: un tasso di cambio fisso (o gestito), una politica monetaria sovrana e la libera circolazione dei capitali. Su questa base, se le banche centrali non sono disposte ad alzare aggressivamente i tassi di interesse – o addirittura cercano di allentare la politica a causa della debolezza dell’attività interna – i controlli sui capitali potrebbero entrare in agenda. Alcuni Paesi emergenti dispongono già di controlli sui capitali proprio per questo motivo, in particolare la Cina, e altri, come la Turchia, potrebbero seguirne l’esempio in caso di deflussi più consistenti. I controlli sui capitali non sono più un tabù e il FMI ritiene che in alcuni casi siano giustificati. Tuttavia, si tratta dell’ultima risorsa per le banche centrali dei Paesi emergenti, dato il danno a lungo termine causato alla credibilità, ed è improbabile che vengano utilizzati su larga scala. http://www.verinieassociati.com

Posted in Economia/Economy/finance/business/technology | Contrassegnato da tag: , , , | Leave a Comment »