A cura di Flora Dishnica, Investment Manager di Pictet Asset Management. Dopo un primo trimestre alquanto movimentato, il mese di aprile è stato sorprendentemente calmo, sia per i mercati azionari sia per quelli obbligazionari. Rimane, invece, complesso e ricco di sfumature il quadro macroeconomico. Le tensioni nel sistema bancario statunitense non risultano ancora esaurite, seppur circoscritte nell’ambito delle banche regionali, contesto che al momento rimane più che gestibile, come dimostrato dalla recente acquisizione di First Republic da parte di JPMorgan e il susseguirsi di notizie su possibili operazioni strategiche o di interventi sul capitale di altre banche regionali di minore importanza. L’inizio di maggio prevedeva altresì importanti appuntamenti sul fronte macroeconomico. La Fed ha effettuato, come da attese, quello che sembra poter essere l’ultimo rialzo di questo ciclo, sicuramente memorabile per la sua rapidità: ha portato il tasso di riferimento al 5,25% per un totale di 500 punti base in poco più di anno da marzo 2022. Il messaggio di Powell ha cercato di essere il meno vincolante possibile su giugno, concedendo la possibilità di una pausa, ma rimarcando al contempo il principio di “data dependency”, quindi di dipendenza delle future decisioni dai dati che saranno pubblicati. Ritiene tuttavia inverosimili i tagli prezzati dal mercato. Considerando la solidità del mercato del lavoro, oltre mezzo punto nella seconda parte di quest’anno e un altro punto e mezzo nel 2024, condividiamo la sensazione che la pausa, se confermata come possibile già a giugno, sarà probabilmente prolungata. Infatti, il terminal rate è lievemente più basso di quanto si pensasse a fine febbraio, ridimensionato a causa del rischio bancario, non per questo però i tagli seguiranno rapidamente, a meno che non vi sia una decisa restrizione del credito. Questo diventerà chiaro solo nei prossimi mesi. L’inflazione sta rientrando, ma a un ritmo ancora lento sulla componente dei servizi core, quelle più sensibili alle dinamiche del mercato del lavoro. Il surriscaldamento dei mesi passati sembra rientrare, infatti, rallenta il ritmo delle nuove posizioni aperte e il tasso delle dimissioni volontarie. L’economia però continua ad aggiungere nuovi occupati, più di 250.000 ad aprile, seppur confermando il rallentamento della media degli ultimi tre mesi. Sui salari si conferma la tendenza meno convincente degli ultimi mesi, dopo il rientro dai picchi del 2022, per ora si viaggia intorno al 4.4% annuale: è stato questo l’aumento di aprile degli Average Hourly Earnings. Nel primo trimestre, la crescita era buona, meno delle attese per via delle scorte, ma ancora ben sostenuta dai consumi. L’indicatore di fiducia sul lato servizi arresta per ora la forte discesa dei mesi scorsi, mentre si conferma il rallentamento del manifatturiero. Nel complesso, la tenuta dell’economia è incoraggiante, indubbiamente in rallentamento senza però mostrare i segnali di una recessione imminente, a conferma della plausibilità di una prossima pausa per la Fed senza tagli per quest’anno. Il prossimo mese, inoltre, vedrà sempre più protagonista il tema del tetto del debito e la necessità per il Congresso degli Stati Uniti di trovare un accordo sul livello in vista del raggiungimento del vincolo tecnico, possibilmente già i primi di giugno. Questa è la stima conservativa comunicata dal Tesoro. Molto spesso quest’accordo risulta da negoziazioni di natura politica e non di natura economica e arriva a ridosso della scadenza, causando non poca volatilità sui mercati.
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Una pausa nel ciclo di rialzi Fed a partire da giugno potrebbe essere prolungata
Posted by fidest press agency su martedì, 16 Maggio 2023
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La BCE aumenta i tassi di 50 pb, ma abbandona ogni riferimento a rialzi futuri
Posted by fidest press agency su venerdì, 17 marzo 2023
A cura di Roberto Rossignoli, Portfolio Manager di Moneyfarm. Il principale spunto positivo derivante dal meeting della BCE è l’abbandono, da parte dell’istituto di Francoforte, di ogni preciso riferimento a rialzi dei tassi prospettici. Quindi, nonostante il rialzo dei tassi d’interesse di 50 punti base, già ampiamente preventivato dagli operatori, è lecito aspettarsi una maggiore cautela nell’impostazione della stretta monetaria. Un’altra notizia positiva riguarda le revisioni al rialzo delle stime di crescita per l’Eurozona, a segnalare un 2023 meno drammatico, per ora, del previsto.Ci preoccupano un po’ di piú l’outlook sull’inflazione, secondo la Lagarde non ancora debellata, ed eventuali indecisioni su mosse da implementare a tutela del sistema bancario, sulle quali il governatore durante la conferenza stampa è stato più vago.
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PGIM Fixed Income: BCE, bisogna ancora vedere gli effetti dei precedenti rialzi
Posted by fidest press agency su mercoledì, 15 marzo 2023
A cura di Katharine Neiss, Chief European Economist di PGIM Fixed Income. Siamo ancora convinti che l’inflazione di fondo continuerà a salire fino a primavera inoltrata, poiché i precedenti aumenti dei prezzi dell’energia si ripercuotono con ritardo su beni e servizi non energetici. In questo contesto, ci aspettiamo che la Banca Centrale Europea (BCE) fornisca indicazioni su un ulteriore rialzo dei tassi di 50 pb alla prossima riunione, e forse di qualche altro più contenuto in seguito. Detto questo, riteniamo che il mercato abbia probabilmente esagerato nello scontare una serie di rialzi dei tassi fino al 4%, o oltre. I precedenti aumenti dei tassi non hanno ancora manifestato i propri effetti e permangono le sfide per le prospettive economiche legate all’energia. Per quanto riguarda le prospettive sulla politica monetaria, negli ultimi 12 mesi i mercati hanno fatto un po’ “avanti e indietro”. Si è partiti dall’idea che le banche centrali fossero in ritardo e che i tassi di riferimento avrebbero dovuto crescere in modo significativo per riportare l’inflazione verso l’obiettivo. Poi sono stati alimentati timori dalla prospettiva che le banche centrali potessero operare una stretta eccessiva, facendo precipitare l’economia in recessione. Le opinioni si sono poi spostate su uno scenario di “atterraggio morbido”, molto più favorevole, grazie alla buona sorte: il clima più caldo ha ridotto la probabilità di razionamenti invernali nell’eurozona, abbassando allo stesso tempo i prezzi dell’energia. Il flusso costante di dati sorprendentemente positivi sull’attività economica è stato recentemente accompagnato da numeri sull’inflazione più forti del previsto. La salita dell’inflazione dei servizi nell’area dell’euro su base mensile nell’ultima stima flash è stata particolarmente notevole. A sua volta, ciò ha innescato un’ulteriore rivalutazione dei rialzi dei tassi nell’area euro, in quanto il mercato è tornato a pensare che la BCE potrebbe essere in ritardo nell’affrontare un’inflazione superiore al target. A fronte di una prospettiva così incisiva per i tassi, non saremmo sorpresi di vedere riemergere i timori di un’eccessiva stretta, con un conseguente calo delle aspettative sui tassi. Fonte: http://www.verinieassociati.com
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PIMCO: Spazio per ulteriori rialzi
Posted by fidest press agency su domenica, 19 febbraio 2023
A cura di Tiffany Wilding, North American Economist di PIMCO. Martedì il Bureau of Labor Statistics (BLS) ha pubblicato il dato sull’indice dei prezzi al consumo (CPI) di gennaio. Secondo l’indagine di Bloomberg, le variazioni del dato headline e core sono state in linea con le aspettative mediane degli analisti. Tuttavia, dopo che il BLS ha incorporato i fattori di destagionalizzazione e le ponderazioni del paniere di consumo aggiornati annualmente, la traiettoria dell’inflazione rivista è risultata più “viscosa” di quanto si pensasse in precedenza e ha contribuito a far emergere dai dati economici di gennaio che l’economia statunitense è stata sorprendentemente resiliente e che la Fed farà di più per garantire una moderazione dell’inflazione. A dicembre, i funzionari della Fed avevano previsto altri due aumenti dei tassi di 25 punti base (pb), secondo la sintesi delle proiezioni economiche (SEP). Ma dopo i recenti dati, riteniamo molto probabile che la SEP della Fed venga nuovamente rivista al rialzo, in modo che la mediana rifletta un ulteriore rialzo dei tassi, con un conseguente aumento di 25 pb a marzo, maggio e giugno e un intervallo di picco dei tassi del 5,25%-5,5%. Ciò detto, le proiezioni sono ciò che sono – ovvero proiezioni – e il fatto che la Fed rispetti effettivamente questa traiettoria dei tassi rimane una questione aperta. Le condizioni finanziarie sono ancora rigide nonostante il recente allentamento, le banche stanno inasprendo le condizioni di credito e i risparmi dei consumatori stanno diminuendo. Di conseguenza, anche se i dati recenti suggeriscono che l’economia statunitense è stata più resiliente di quanto ci si aspettasse, le nostre previsioni propendono ancora per un indebolimento. In particolare, vorremmo sottolineare i seguenti punti relativi ai recenti dati economici: Un minore impulso disinflazionistico verso la fine dell’anno è una notizia sempre più deludente, anche se il tasso dell’inflazione core su base annua (a/a) ha chiaramente raggiunto il picco. In precedenza, avevamo sostenuto che passare da un’inflazione dell’8% a una del 4% sarebbe stato relativamente facile perché i vincoli dell’offerta, legati prima alla pandemia e poi alla guerra in Ucraina, insieme a un’impennata della domanda indotta dagli stimoli e ad un’accelerazione del costo unitario del lavoro, sembravano indurre un aggiustamento pluriennale del livello dei prezzi che aveva in gran parte fatto il suo corso. Anche se non abbiamo mai pensato che la disinflazione sarebbe stata una linea retta, la revisione della dinamica avalla la prospettiva che, sebbene l’inflazione sia ancora suscettibile di moderazione, potrebbe richiedere più tempo. Gli indicatori sulla produttività di gennaio suggeriscono inoltre che l’economia statunitense è stata più resiliente all’inizio dell’anno di quanto si pensasse in origine. Non si vuole mai attribuire troppo peso a un singolo rapporto, ma i dati sull’occupazione di gennaio sono stati piuttosto solidi anche dopo aver preso in considerazione le revisioni e l’aggiornamento del benchmark: analogamente al CPI, l’aggiornamento degli indicatori stagionali da parte del BLS suggerisce che la dinamica del mercato del lavoro ha mostrato maggiore forza verso la fine dell’anno. Indipendentemente da ciò, sospettiamo che i problemi legati alla destagionalizzazione abbiano anche depresso le vendite al dettaglio dichiarate a novembre e dicembre, perché i consumatori hanno effettuato acquisti prima del consueto. Questo, unito all’aumento del reddito discrezionale aggregato per gli anziani derivante dall’aumento dell’adeguamento del costo della vita nella previdenza sociale a gennaio, porterà a un notevole rimbalzo delle vendite. Tuttavia, gli indicatori prospettici non sono così rosei. Come abbiamo scritto la settimana scorsa, le condizioni finanziarie sono ancora rigide rispetto agli standard storici e dati distinti della Fed suggeriscono che le banche stanno inasprendo le condizioni di credito praticamente in modo trasversale. Inoltre, i consumatori hanno risparmi negativi in termini reali, dato che i redditi aggregati reali sono ancora inferiori del 2% rispetto al trend pre-pandemico, mentre i consumi reali sono superiori del 2%. Sebbene i consumatori possano sostenere questo livello di consumi reali per un determinato periodo di tempo, dopo aver accumulato grandi scorte di liquidità durante la pandemia, questi trend non sono sostenibili nel medio termine. Cosa significa tutto questo? La Fed ha ancora il difficile compito di bilanciare il rischio di fare troppo e indebolire inutilmente il mercato del lavoro, con il rischio di non fare abbastanza e permettere all’inflazione di perdurare. Bilanciare questi rischi è ancora più difficile se si considerano i ritardi variabili e incerti nel meccanismo di trasmissione della politica monetaria e la possibilità di cambiamenti strutturali nell’economia dopo la pandemia. La Fed ha agito correttamente moderando il ritmo dei rialzi dei tassi di fronte a queste sfide, ora che è riuscita a spostare la politica monetaria in territorio restrittivo. Tuttavia, quanto siano restrittive le condizioni attuali, e quanto a lungo dovranno rimanere tali, rimane una questione aperta, che i funzionari di politica monetaria continueranno a indagare nel corso del prossimo anno. Per il momento, i dati economici sono coerenti con l’idea che ci sia lo spazio per qualche altro rialzo e riteniamo che i funzionari della Fed coglieranno l’opportunità per confermare il riprezzamento del mercato. Abstract by http://www.verinieassociati.com
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Le banche centrali guardano alla fine del ciclo di rialzi
Posted by fidest press agency su sabato, 4 febbraio 2023
A cura di Azad Zangana, Senior European Economist and Strategist, Schroders. Sia la BCE sia la BoE hanno alzato i tassi di interesse di riferimento di mezzo punto percentuale, portando avanti il tentativo di riportare l’inflazione verso i rispettivi obiettivi del 2%. Entrambi gli aumenti sono stati in linea con le aspettative e con quanto prezzato dal mercato. Il calo del prezzo del gas naturale in Europa è stato citato in entrambe le dichiarazioni, in quanto ha contribuito in larga misura all’aumento dei tassi d’inflazione nell’ultimo anno. Il significativo calo dei prezzi dalla fine dello scorso anno è stato segnalato come un fattore molto utile per la riduzione dei tassi di inflazione nel corso del 2023. L’IPC nominale è generalmente sceso rispetto ai recenti picchi, in linea con le previsioni ufficiali. Entrambe le economie hanno registrato una crescita superiore alle aspettative, anche se si prevede un ulteriore indebolimento dell’attività nei prossimi mesi. Ciò è dovuto in gran parte all’aumento del costo della vita e all’incremento dei tassi di interesse, quest’ultimo non ancora pienamente percepito dalle famiglie. Le condizioni del mercato del lavoro rimangono rigide, con i tassi di disoccupazione che restano bassi. Sebbene lo slancio relativo alla crescita delle nuove assunzioni si sia notevolmente attenuato, sia la BCE sia la BoE si aspettano che l’inflazione salariale rimanga stabile nel breve termine, in risposta all’aumento dei tassi di inflazione. Tuttavia, dato l’allentamento della domanda di personale, i rischi di una spirale inflazionistica salariale si stanno attenuando. In modo insolito, la BCE ha deciso di dare una forte guidance sul fatto che il consiglio direttivo intende aumentare nuovamente i tassi di interesse a marzo di altri 50pb. In passato, il Consiglio ha cercato di non preannunciare cambiamenti di politica, ma in questa occasione ha ritenuto che gli indicatori attuali non avrebbero modificato il percorso nel breve termine. La BCE ha anche annunciato un piccolo quantitative tightening, il suo primo tentativo di invertire il sostegno alla liquidità. Consentirà a 15 miliardi di euro di bond di giungere a scadenza nei mesi di marzo, aprile e giugno di quest’anno. Si tratta di una cifra molto ridotta rispetto alle dimensioni del bilancio della BCE, ma è comunque un primo passo significativo per testare le acque e capire come reagiranno i mercati obbligazionari europei. In caso di successo, ci si aspetta che ne seguano altri. Per quanto riguarda la BoE, il comitato di politica monetaria (MPC) non ha fatto alcun preannuncio sul percorso futuro. Sebbene il rischio di un aumento persistente dell’inflazione nel Regno Unito rimanga estremamente elevato, la stima centrale è stata abbassata, in parte a causa del calo dell’inflazione energetica. Inoltre, le previsioni della BoE sull’inflazione IPC mostrano che se i tassi di interesse aumentassero in linea con le aspettative del mercato, l’inflazione sarebbe inferiore al target della BoE a partire dal 2024, segnalando indirettamente che il profilo è troppo alto. Pur ritenendo che l’inflazione del Regno Unito sarà più rigida rispetto alle previsioni della BoE, non crediamo che questo impedirà all’MPC di bloccare i rialzi dei tassi.
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Prezzi: Unc, i rialzi alimentari del 2022 in euro
Posted by fidest press agency su domenica, 22 gennaio 2023
L’Unione Nazionale Consumatori ha elaborato i dati Istat dell’inflazione media del 2022, per stilare la classifica dei prodotti alimentari e delle bevande analcoliche che hanno pesato maggiormente sulle tasche degli italiani, in termini di spesa aggiuntiva rispetto al 2021.Se in media una famiglia italiana nel 2022 ha speso 513 euro in più per mangiare e bere, guardando alle sottoclassi di prodotto sono i Vegetali freschi a vincere la classifica dei rincari, con una spesa supplementare di 63,30 euro rispetto al 2021, a fronte di un’inflazione media del 14,3%.Al secondo posto la Frutta fresca che, con un’inflazione del 7,3%, costa 32,30 euro in più per una famiglia media. Medaglia di bronzo per Formaggi e latticini, con una stangata rispetto a due anni fa pari a 32,10 euro (+8,6%).Appena giù dal podio il Pollame (+13,5%, pari a 31,20 euro), poi il Pane (+11%, +28,80 euro), al sesto posto la Pasta (+17,3%, +24,30 euro). Seguono la Carne bovina (+5,9%, +22,40 euro), Prodotti di pasticceria e panetteria come crackers, piadine, fette biscottate (+7,8%, +20,20 euro) e Pesce fresco (+8,3%, +18,30 euro). Chiudono la top ten i Salumi (+5,1%, +15,10 euro). Si segnalano poi gli Altri oli alimentari (diversi da olio di oliva) che segnano il record dell’inflazione (Tabella n. 2) con +51,5%, ma che sono “solo” in 12° posizione in quanto a incremento di spesa (+12,50 euro), le Uova (+12,8%) e l’Olio di oliva (+8,2%) ex aequo con +9,60 euro. La Pizza l’abbiamo pagata 9,10 euro in più (16° posto, +6,9%), i Gelati 8,80 euro (17°, +13,1%), il Caffè 8,10 euro (19°, +5,7 euro). Chiude la top 20 il Burro con 7,90 euro, al 2° posto in quanto a inflazione (+28,2%). Si segnalano poi il Riso con +7,60 euro, la Farina con 7,5 euro (al 4° posto per inflazione), il Latte fresco parzialmente scremato con 7,20 euro (che sommato a quello intero e conservato portano la stangata a 14,70 euro), lo Zucchero, medaglia di bronzo per inflazione con +18,8% e un aggravio per le famiglie pari a 4 euro.
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Prezzi: Unc, le classifiche dei rialzi annui e mensili
Posted by fidest press agency su sabato, 29 ottobre 2022
‘Unione Nazionale Consumatori ha elaborato i dati Istat sull’inflazione di ottobre per stilare le classifiche dei rialzi sia annui che mensili. Per i rincari annui, non solo vince per la seconda volta l’Energia elettrica del mercato libero, ma il prezzo quadruplica rispetto a ottobre 2021 con un pazzesco +329%, oltre tre volte e mezza la luce del tutelato, ferma a +91,5%.Per gli aumenti mensili il record spetta sempre al mercato libero, con il gas al 1° posto con un astronomico +63,9% sul mese precedente, a fronte di una variazione congiunturale nulla del gas del mercato tutelato.Per la top 40 dei rialzi annui (tabella n. 1), dopo il primato dell’Energia elettrica del mercato libero (+329%), al 2° posto i Voli internazionali che volano del 113,2% su base annua. Medaglia d’argento per il Gas di città (libero + tutelato) con +105,7%, ma con il tutelato che si ferma a meno della metà con +43%.Al 4° posto Energia elettrica mercato tutelato con +91,5%, meno di un terzo rispetto al libero. Al 5° l’Olio diverso da quello di oliva, che con +56,1% vince per gli alimentari, seguito dal Burro, 2° per il cibo con +42,9%.Seguono i Voli nazionali (+40%), in ottava posizione il Gasolio per riscaldamento (+36,4%), poi lo Zucchero, medaglia di Bronzo per il cibo con +35,9% su ottobre 2021. Chiude la top ten il Riso (+30,6%). Si segnalano poi il Latte conservato (11°, +29,4%), Margarina (12°, +28,2%), Gpl e metano (14°, +27,2%), Vegetali freschi (16°, +25,1%), Farina (18°, +23,7%), la Pasta (fresca, secca e preparati di pasta), al 19° posto con +22,5%, le Uova (21°, +18,7%), Latte fresco parzialmente scremato (23°, +18,3%), Pollame (24°, +18%), Gasolio per mezzi di trasporto (29°, +16,8%), Pane (32°, +15,9%), Vegetali surgelati (34°, +15,3%), Latte fresco intero (36°, +14,8%). Chiudono la top 40 Alberghi, motel, pensioni e simili con +13,7%.Per la top 10 dei rincari mensili, dopo il record del Gas mercato libero con +63,9% su settembre 2022, al 2° posto si colloca sempre il mercato libero, questa volta della luce, con +62,7%. Sul gradino più basso del podio l’Energia elettrica del mercato tutelato con +51,9% sul mese precedente.In 4° posizione lo Zucchero, primo per gli alimentari con +14,5%, seguito dai Vegetali freschi che in un solo mese costano l’8,2% in più. Si segnala poi il Latte conservato, in ottava posizione con +3,9%. “Non solo l’inflazione non rallenta la sua corsa, ma accelera in maniera esponenziale, con un balzo del 3,5% in appena un mese, che in termini di aumento del costo della vita significa una stangata a famiglia pari in media a 975 euro su base annua, 107 per cibo e bevande, 874 per abitazione, elettricità e combustibili. Se poi si considera l’inflazione tendenziale, pari a +11,9%, la mazzata annua vola in media a 3324 euro, 2016 per l’abitazione, 761 per mangiare e bere” afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori.
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Prezzi: Unc, la top 30 dei rialzi
Posted by fidest press agency su martedì, 4 ottobre 2022
L’Unione Nazionale Consumatori ha elaborato i dati Istat resi noti ieri sull’inflazione tendenziale di settembre per stilare la top 30 dei rialzi e la top 20 dei prodotti alimentari e bevande.Per la top 30 relativa a tutto il paniere, vincono i Voli internazionali decollati del 118,3% su settembre 2021, al 2° posto l’Energia elettrica (libero + tutelato), più che raddoppiata in un anno con +103,4%. Medaglia di bronzo al Gas naturale e gas di città con +63,7% Al 4° posto l’Olio diverso da quello di oliva con +60,5% che vince per gli alimentari. Seguono Gpl e metano (+46,4%), Gasolio per riscaldamento (+43,7%), al 7° posto il Burro (+38,1%), medaglia d’argento tra gli alimentari, seguito dalla Margarina che con +26,5% si colloca sul gradino più basso del podio per il cibo e dal Riso (+26,4%). Chiude la top ten generale il Latte conservato (+24,5%), 5° tra gli alimentari.Si segnalano poi la Farina (11°, +24,2%), la Pasta (fresca, secca e preparati di pasta) con +21,6% (13°), il Gasolio per mezzi di trasporto (14°, +19,8%), lo Zucchero (15°, +18,4%), gli Alberghi, motel, pensioni e simili che con +18,3% rispetto alla scorsa estate sono al sedicesimo posto della classifica generale ma al 1° posto per le voci legate alle ferie, tolti i trasporti e limitandosi alle vere voci tipicamente legate alle vacanze e all’estate, ossia alle divisioni di spesa Ricreazione, spettacoli e cultura e Servizi ricettivi e di ristorazione. Dopo i Gelati (+18,2%), chiudono la top 20 i Vegetali freschi con +16,7% (10° posto per gli alimentari).Per il cibo, poi, si segnalano le Uova (11°, +16,6%), Pollame (12°, +16,5%), Latte fresco parzialmente scremato (13°, +15,3%) e il Pane (15°, +14,6%)Chiudono la top 20 degli alimentari le Acque minerali con +12,9%.”Urge un nuovo bonus per le famiglie di 600 euro, così da coprire almeno i rincari dei prodotti alimentari, che essendo saliti dell’11,8% determinano una maggior spesa annua pari in media a 665 euro in più su base annua. Una stangata che sale a 907 euro per una coppia con 2 figli, 819 per una coppia con 1 figlio, 1084 euro per le coppie con 3 figli. Inutile, invece, tagliare l’Iva del 4% sui beni alimentari, non solo perché matematicamente, calcolatrice alla mano, la riduzione della spesa sarebbe pari appena a 90 euro e 3 centesimi per una famiglia media, 122 euro e 78 cent per una coppia con 2 figli, ma perché non è detto affatto che i commercianti, dovendo abbassare i prezzi solo del 3,846%, li ritocchino effettivamente. Con tutta probabilità lascerebbero invariati i loro listini. Insomma, una misura che andrebbe a solo vantaggio dei commercianti e non dei consumatori” afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori.
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Prezzi: Unc, le top 20 dei rialzi
Posted by fidest press agency su sabato, 16 luglio 2022
L’Unione Nazionale Consumatori ha elaborato i dati Istat resi noti ieri sull’inflazione tendenziale di giugno per stilare 3 classifiche dei rialzi: prodotti alimentari, caro vacanze e quella relativa a tutti i beni e servizi. Per la top 20 annuale relativa a tutto il paniere Istat, vincono i Voli europei decollati del 139% su giugno 2021, al 2° posto l’Energia elettrica del mercato libero (+87,5%) che oramai si è adeguato con gli interessi agli aumenti scattati a partire da un anno fa nel mercato tutelato, al punto che ora il libero batte nei rincari il servizio di maggior tutela che invece resta in 5° posizione con +67,6%. Medaglia di bronzo ai Voli intercontinentali (+70,7%).Poi in 4° posizione l’Olio diverso da quello di oliva (+68,7%, in sesta il Gas con +67,3%. Seguono il Gasolio per riscaldamento (+52,9%), Gpl e metano (+38,2%), Noleggio mezzi di trasporto (+35,5%). Chiudono la top ten i Voli nazionali (+33,3%).In 11° posizione il gasolio per mezzi di trasporto (+32,3%). Si segnalano poi la benzina (14°, +25,3%), alberghi e motel (15°, +22,8%), la pasta al 16° posto (+22,6%). Chiude la top 20 il trasporto marittimo (+18,7%). Per quanto riguarda la top 20 dei prodotti alimentari, il record dei rialzi annui spetta all’Olio diverso da quello di oliva che si impenna del 68,7% rispetto a giugno 2021. Al secondo posto il Burro che si surriscalda del 28,1%. Sul gradino più basso del podio il cibo simbolo dell’Italia, la Pasta (fresca e secca) che lievita del 22,6%. Seguono la Farina (+20,6%), i Pomodori che costano il 19,4% in più su base annua, le Pesche (+18,4%), la Margarina (+17,3%), all’ottavo posto le Pere (+17,2%), poi entra in classifica la frutta fresca tipicamente estiva come i Meloni e i cocomeri (+16,1%). Chiude la top ten il Pollame (+15,1%), la carne più rincarata.Nella top 20 le arance con +15%, il riso in 13° posizione con +13,6%, il pane confezionato e le uova, entrambi al 15° posto con +13,3%, i gelati in 19° con +12,8%, chiude la classifica il latte conservato con +11,9%. Fuori classifica si segnalano i vegetali freschi con +11,7%, frutta fresca +10,8% e pane fresco +10,5%.Considerando l’insieme dei prodotti alimentari e delle bevande analcoliche l’inflazione al 9% di questa divisione si traduce, per una coppia con due figli, in una batosta pari a 692 euro, 625 per una coppia con 1 figlio, 508 euro per una famiglia media, 827 euro per una coppia con 3 o più figli.Nulla di buono anche per chi si appresta a partire per le ferie, specie se il luogo di villeggiatura è lontano (tabella n. 3). Nei primi posti della top ten dei rincari sulle vacanze ci sono, infatti, i voli: europei (al 1° posto con +139%), intercontinentali (2° con +70,7%), e nazionali (4° con +33,3%. Il noleggio dei trasporti è sul gradino più basso del podio con +35,5%. Al quinto posto Alberghi e motel con +22,8%, poi il trasporto marittimo con +18,7%, pensioni (+11,2%), in ottava posizione i pacchetti vacanza internazionali (+6,2%), il pasto in pizzeria (+5,1%). Chiudono la top ten i ristoranti con +4,5%.
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I rialzi dei tassi colpiscono i mercati
Posted by fidest press agency su venerdì, 24 giugno 2022
A cura di Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm. Le ultime due settimane sono state particolarmente movimentate per i mercati finanziari, con una serie di notizie che hanno portato agitazione in un contesto già incerto. Il primo dato che ha colpito gli investitori è stata la pubblicazione dell’inflazione USA a maggio. Il Bureau of Labour Statistics ha pubblicato un dato sopra le aspettative, all’8,6%, contro un consensus di Bloomberg dell’8,3%. Il dato risente sicuramente della crescita del prezzo di alimentari ed energia (esacerbati dal contesto internazionale), ma anche l’inflazione core è stata particolarmente sostenuta. La crescita dei prezzi sta cominciando a riflettersi anche nelle aspettative di inflazione di medio termine (che restano comunque vicine alla soglia del 2%) mostrando una crescente, seppur non ancora allarmante, sfiducia dei mercati nella capacità delle Banche Centrali di gestire la situazione. Di fronte a questa situazione le Banche Centrali, nonostante segnali di maturità e rallentamento del contesto economico, hanno reagito “con la mano pesante”, effettuando e annunciando una serie di rialzi che hanno contribuito a determinare il ritracciamento di breve termine dei mercati finanziari. La Fed ha confermato di voler spingere sull’acceleratore, contraddicendo le sue stesse linee guida e aumentando i tassi di 75 punti base, come non succedeva dal 1994. Sebbene a maggio Powell avesse fondamentalmente escluso un aumento di tale portata, gli ultimi dati sull’inflazione più alti delle attese (8,6% annuale a maggio) hanno forzato una retromarcia, con appunto un aumento di tre rialzi, pur accompagnato da commenti per rassicurare sull’eccezionalità della misura.Anche la Banca Centrale Europea ha annunciato l’aumento dei tassi a partire da luglio. La decisione ha creato tensione sui mercati obbligazionari governativi e ha indebolito l’Euro, facendo aumentare gli spread. L’istituto di Francoforte, complice la pressione da parte dei governi, ha dovuto annunciare un piano per garantire la stabilità dell’Eurozona, prima attraverso il reinvestimento dei rimborsi ottenuti dalle obbligazioni acquistate durante il piano anti-pandemia PEPP e poi addirittura annunciando la possibilità di mettere in campo nuovi strumenti straordinari.Anche la Banca d’Inghilterra ha continuato nel percorso di rialzo dei tassi e la Cina ha messo sul piatto nuove misure anti-Covid che hanno contribuito a creare sconforto sui mercati. Insomma, la “tempesta perfetta” ha colpito sia la parte azionaria, sia la parte obbligazionaria dei portafogli e le prospettive di inflazione, il rallentamento dell’economia e il rialzo dei tassi (che probabilmente continuerà nei prossimi mesi) disegnano un contesto sicuramente non facile per gli investitori.In questa situazione, riteniamo sia importante concentrarsi su alcuni elementi positivi che aiutino ad immaginare una prospettiva per i prossimi mesi, almeno in un’ottica di medio termine. Il mercato del lavoro rimane incredibilmente forte negli Stati Uniti e generalmente robusto o in rafforzamento in Europa. Gli Usa si trovano in una situazione di piena occupazione, con i disoccupati che rappresentano solo il 3,6% della forza lavoro. Per quanto i segnali di rallentamento dell’economia non vadano sottovalutati, non si può ignorare la situazione di relativa forza da cui si parte, dunque non è da escludersi uno scenario in cui il percorso di rialzo dei tassi si risolva con conseguenze non eccessivamente drammatiche per l’economia e in cui una ripresa per i mercati finanziari sia possibile. Le aspettative di inflazione di medio termine, anche se hanno cominciato a crescere nell’ultimo periodo, sono rimaste relativamente stabili, il che lascia ben sperare sul fatto che i mercati abbiano ormai prezzato gli scenari peggiori. Se questa tendenza continuerà, è lecito non attendersi altre sorprese al rialzo, specialmente in uno scenario nel quale l’economia mostra segnali di rallentamento. Con gli ultimi rialzi, le Banche Centrali si sono garantite un piccolo margine di manovra per gestire i prossimi mesi con maggiore flessibilità. In questo senso è importante ricordare che, almeno in Europa, i mercati stanno prezzando più rialzi rispetto a quelli dichiarati dalla forward guidance delle Banche Centrali, riducendo il rischio di sorpresa negativa nei prossimi mesi anche sul lato obbligazionario a basso rischio.Le valutazioni dell’azionario da inizio anno sono crollate in modo sostanziale e ad oggi i mercati azionari hanno prezzi più convenienti rispetto a gennaio, che considerano in gran parte il cambio di politica monetaria delle principali Banche Centrali.Queste considerazioni offrono una prospettiva, ma non suggeriscono necessariamente che la fase di mercato negativa sia prossima alla fine. Nel breve termine l’economia globale dovrà affrontare numerose sfide e la volatilità sui mercati potrebbe accompagnarci ancora per qualche tempo. Come gli investitori più navigati sapranno, i mercati finanziari vivono di cicli. Dal dopoguerra ad oggi abbiamo attraversato 17 mercati ribassisti e quello che stiamo vivendo adesso non sarà certamente l’ultimo. Nonostante ciò, dopo le fasi negative, gli investitori sono sempre stati ricompensati con performance positive e crescita. Non si può fare nulla per cambiare la natura del mercato, per quanto questo sia difficile da accettare e non offra troppo conforto all’investitore che vede le perdite in portafoglio. Ciò non significa che non esistano strumenti per navigare questa fase: i ribilanciamenti dei portafogli che Moneyfarm ha effettuato negli ultimi mesi hanno ridotto il rischio in modo graduale dallo scorso luglio, aumentando le materie prime e l’esposizione al dollaro. È essenziale monitorare continuamente la situazione, per non farsi trovare impreparati quando la ripresa riporterà inevitabilmente in alto i valori azionari. Il consiglio agli investitori è sempre lo stesso: evitare di agire d’impulso e tenere a mente il fatto che cercare di anticipare il mercato porta con sé il rischio di perdere le giornate positive, compromettendo il risultato di un piano di investimento di lungo termine.
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Prezzi: Unc, la top ten dei rialzi alimentari
Posted by fidest press agency su lunedì, 20 giugno 2022
L’Unione Nazionale Consumatori ha elaborato i dati Istat resi noti ieri per stilare la classifica dei prodotti alimentari che a maggio hanno registrato i maggiori rialzi annui. Il record dei rincari spetta come sempre all’Olio diverso da quello di oliva che si impenna del 70,2% rispetto a maggio 2021 e che certo risente dell’effetto Ucraina e del blocco dell’import dell’olio di girasole. Al secondo posto della top 10 il Burro che svetta del 23,3%. Sul gradino più basso del podio la Pere che salgono del 22,9% in un anno.Al quarto posto i Pomodori (+20,6%), poi il cibo simbolo dell’Italia, la Pasta (fresca e secca) che lievita del 20,5%. Seguono la Farina (+18,7%), il Pollame, che costa il 13,8% in più su base annua, la Margarina (+12,8%), Altra frutta come i meloni e i cocomeri (+12,6%). Chiudono la top ten le Uova (+12,3%).Nella top 20, si segnalano i vegetali (+11%), i gelati (+11%), il pane confezionato (+10%), e quello fresco (+9,4%)
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“Capital Group: Come investire nell’obbligazionario con i tassi al rialzo”
Posted by fidest press agency su venerdì, 27 Maggio 2022
A cura di Keiyo Hanamura, Investment Director di Capital Group. Con le principali banche centrali all’opera per contrastare l’inflazione, i rendimenti obbligazionari hanno già scontato un inasprimento delle politiche monetarie. Negli Stati Uniti i rendimenti dei Treasury nel segmento a 10 anni della curva si trovano su livelli osservati l’ultima volta prima della pandemia alla fine del 2019, con gli investitori che scontano un aggressivo ciclo di rialzo dei tassi nel corso dei prossimi due anni. Nell’eurozona, invece, il rendimento dei Bund tedeschi a 10 anni è tornato prepotentemente in territorio positivo per la prima volta da tre anni a questa parte. Perfino in Giappone, baluardo di lunga data dei tassi d’interesse ultra-bassi, il rendimento del titolo decennale di riferimento ha raggiunto il proprio massimo degli ultimi sei anni mentre i mercati stanno cercando di testare il limite superiore del target stabilito dalla Bank of Japan. Sebbene ci troviamo solamente all’inizio del nuovo ciclo di rialzo dei tassi, sembra che i mercati stiano già sperimentando una certa volatilità; ciononostante, gli asset a reddito fisso continuano a fornire stabilità ai portafogli e nell’attuale contesto di mercato possono fornire notevoli benefici agli investitori.
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Cereali, prezzi in rialzo e buona qualità in avvio di campagna
Posted by fidest press agency su mercoledì, 14 luglio 2021
La campagna cerealicola 2021/2022 inizia con segnali positivi sul fronte dei prezzi, in rialzo rispetto all’avvio della scorsa campagna, sia per il grano tenero (+18%) che per l’orzo (+25%).Questo lo scenario in cui è partita la campagna dei cereali, secondo le elaborazioni di BMTI sui prezzi all’ingrosso delle Camere di Commercio e delle Borse Merci nazionali.Nello specifico, con la raccolta ancora in corso al Nord e con i buoni riscontri sia per le rese che per la qualità della granella (l’insieme dei chicchi di grano e di altri cereali, separati dalla paglia dopo la trebbiatura), i prezzi del grano tenero destinato alla panificazione hanno esordito tra i 216 e i 220 €/t. A sostenere i prezzi del grano tenero sta contribuendo, in parte, l’aumento della domanda proveniente dagli allevamenti orientati sul grano tenero piuttosto che sul mais, aumentato del 48% rispetto al 2020, con prezzi sui 260 €/t. Per quanto riguarda il raccolto dell’orzo si registra una situazione molto variabile per le rese, con buoni riscontri al Nord e qualche difficoltà, invece, nel Lazio e in Umbria. Buona, in generale, la qualità.Le gelate di Aprile e le scarse precipitazioni di Maggio hanno inoltre impattato sulle rese della raccolta del grano duro, soprattutto al Sud, da dove proviene gran parte della produzione nazionale, rialzando lievemente i prezzi di inizio campagna a 315-320 €/t, in linea con i valori di un anno fa.
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Benzina: dati Mise, prezzi risalgono ancora
Posted by fidest press agency su mercoledì, 17 marzo 2021
Secondo i dati settimanali del ministero dello Sviluppo Economico appena pubblicati salgono ancora i prezzi dei carburanti, che si attestano 1,566 euro al litro per la benzina e a 1,436 euro per il gasolio.”Un’impennata inarrestabile che dura ininterrottamente da 4 mesi. In soli sette giorni un pieno da 50 litri costa 82 cent in più per la benzina e 74 cent per il gasolio. Dall’inizio dell’anno, un pieno da 50 litri è aumentato di 6 euro e 23 cent per la benzina e di 5 euro e 85 cent per il gasolio, con un rincaro, rispettivamente, dell’8,6% e dell’8,9%. Su base annua è pari ad una mazzata ad autovettura pari a 150 euro all’anno per la benzina e 140 euro per il gasolio” afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori.”Dal 9 novembre, ultima settimana senza rialzi, in poco più di 4 mesi c’è stato un volo del 13,6% per la benzina e del 15% per il gasolio. Su un pieno di 50 litri l’aggravio è di oltre 9 euro: 9 euro e 39 cent per la benzina e 9 euro e 37 cent per il gasolio. Su base annua è pari a una stangata ad autovettura pari a 225 euro all’anno sia per la benzina che per il gasolio” conclude Dona.
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Benzina: ritocchi al rialzo
Posted by fidest press agency su sabato, 4 gennaio 2020
Secondo Quotidiano Energia ci sono movimenti al rialzo sulla rete carburanti italiana dopo la pausa delle festività.”No a speculazioni sul rientro degli italiani o a rialzi dei carburanti legati al raid Usa a Baghdad” afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori.”Non c’è alcun motivo per il balzo del petrolio già registrato in alcune Borse. Per ora, infatti, non c’è stato alcun annuncio da parte degli iraniani sul lato dell’offerta di petrolio. E’ prematuro anche parlare di venti di guerra o di escalation militari o, comunque, operare ed intervenire sui mercati come se la guerra fosse già alle porte” conclude Dona.Di seguito i suggerimenti dell’Unione Nazionale Consumatori per risparmiare sul rientro dalle vacanze:
· Non entrate nel primo distributore che vi capita appena si accende la spia della benzina, ma cercate il prezzo più basso.
· Prediligete le pompe bianche, senza insegne famose (no logo), o quelle della grande distribuzione.
· Preferite il self service al servito
· Verificate la corrispondenza tra i prezzi esposti nei cartelli e quelli effettivamente praticati
· I distributori in autostrada hanno prezzi mediamente più alti, quindi, prima di partire per il viaggio di rientro, fate il pieno.
· Guardate i benzacartelloni
· Confrontate i prezzi attraverso il sito carburanti.mise.gov.it
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“L’economia mondiale tra nuove minacce di protezionismo e rialzi dei tassi Usa”
Posted by fidest press agency su venerdì, 27 luglio 2018
di Andrea Delitala, Head of Investment Advisory di Pictet Asset Management. Il protezionismo torna a dominare la scena macroeconomica, mentre si fa strada la possibilità che i tassi reali Usa non andranno oltre lo 0,5% in un biennio. Due elementi destinati a influenzare il modo in cui dovranno essere strutturati i portafogli nelle prossime settimane.Quanto al protezionismo, Pictet Asset Management aveva ipotizzato che Donald Trump usasse l’argomentazione come un espediente negoziale e che quindi non dovesse essere preso alla lettera: oggi lo scenario potrebbe essere mutato, anche se non è chiara la strategia che muove la rinnovata aggressività del presidente Usa; un proseguimento di questa politica di chiusura procurerebbe un danno tendenzialmente enorme. A febbraio 2016 l’Accordo di Shanghai aveva previsto che la Fed non alzasse i tassi troppo rapidamente se la Cina avesse evitato di svalutare aggressivamente. Attualmente siamo a un punto critico: da un lato lo yuan cinese sta vivendo una fase di rapido deprezzamento, dall’altra in Usa persino Powell ha assunto un atteggiamento da “America First”, negligendo il contesto internazionale nei suoi commenti.
Sul fronte macro questo contrasto è stato acuito da una serie di eventi:il Goldilocks (crescita elevata, inflazione moderata) di fine anno scorso ha lasciato il passo a uno scenario diverso: i leading indicators – una quarantina di indicatori economici elaborati dai nostri economisti – non lasciano adito a particolari dubbi interpretativi. Il momentum macro si è impoverito e questo fenomeno ha una dimensione piuttosto globale. Dunque anche dal punto di vista degli investimenti sostanzialmente dobbiamo rivedere le aspettative tenendo conto della debolezza osservata nei primi tre mesi del 2018;
è ricomparsa l’inflazione com’è tipico nelle fasi finali del ciclo economico ed è stata accolta come una sorpresa in quanto assente nello scenario Goldilocks caratterizzato appunto da una crescita sopra il potenziale e da variazioni dei prezzi che non superavano il target delle banche centrali. Adesso siamo di fronte a un mix in cui entrambi i termini sono deteriorati: dunque la ripresa rischia di rallentare, mentre l’inflazione è tornata – Pictet AM la stima a un livello ancora leggermente più elevato rispetto al consenso;
le Banche Centrali non possono più rimandare una normalizzazione della liquidità, sentiero su cui la Fed si è già incamminata dopo un 2017 anomalo per generosità, nella creazione di Base Monetaria. Il giro di boa è compiuto e gli analisti di Pictet AM temono che si sia intrapreso un sentiero così impegnativo per le condizioni finanziarie USA da potersi ipotizzare un ripensamento nella normalizzazione prevista dei tassi di interesse chiave (Fed funds) fissati da parte della FED.
E giungiamo al secondo punto: i tassi reali Usa. A inizio anno le previsioni sui tassi incorporata nei futures sui Fed funds era molto bassa e fissata al 2% dopo due anni (fine 2019): in quella situazione ritenevamo il mercato vulnerabile con una prospettiva di adeguamento verso la FED, cosa puntualmente avvenuta in gennaio. L’attuale spostamento delle previsioni FED verso l’alto, questa volta, non produrrà un allineamento del mercato: al contrario oggi è quest’ultimo che sembra poter esercitare maggior forza di attrazione e potrebbe indurre un cambiamento di rotta alle decisioni della Banca Centrale Usa.A supporto di questa convinzione, dobbiamo anche considerare elementi aggiuntivi che riteniamo non siano ancora totalmente a fuoco. Il più rilevante è la composizione del nuovo Board della Fed, composto oggi da personalità con idee piuttosto forti su come si debba misurare il tenore della politica monetaria. In particolare John Williams, economista a Berkeley, sostiene che i tassi di interesse debbano essere guidati da un tasso naturale che, nel caso dell’economia USA, è calato strutturalmente dopo la grande recessione e non mostra di fatto di voler risalire nel prossimo futuro. Secondo Williams, l’impatto delle manovre fiscali sul Natural rate non va oltre lo 0,25%. Se il professore diventasse un leader all’interno del FOMC, il punto di neutralità a cui si tendere non andrebbe oltre lo 0,5%, in termini di tassi reali, valore che si raggiungerebbe con due o tre rialzi e quindi nel giro di un anno. In Pictet AM ci attendiamo questo, insieme al dissolversi del paventato overshooting che, a queste condizioni, non è giustificato neppure dall’inflazione. Sulla base di queste attese, Pictet AM ha già ricomprato la parte centrale della curva americana e intende, in caso Williams comunicasse posizioni ancora più estremiste, aumentare in portafoglio la quota di inflation-linked, che sarebbero i grandi beneficiari delle idee del professore.Per la BCE la situazione è completamente diversa: abbiamo appreso che giunge a conclusione il quantitative easing ma il mercato ha interpretato, probabilmente correttamente, le parole di Mario Draghi come la promessa che il rialzo dei tassi non sarà mai contemplato nella sua politica economica.Su bond e azioni gli effetti sono i seguenti:
Le scommesse più aggressive, dal punto di vista degli investimenti, sono sulla conclusione del flattening della curva americana se la Fed rinuncia all’overshooting dei fed funds (previsti dalla stessa Fed al 3,375% prima di ripiegare verso il punto d’arrivo di lungo termine al 2,875%) come atteso; mentre sulla parte intermedia della curva si potrebbe tentare di trarre profitto da uno spread contro l’Europa.
Infine la normalizzazione delle politiche monetarie provoca un vento contrario alle valutazioni di tutti i risky asset: in particolare il price/earning che a inizio anno era quotato a 18 in America, è rientrato a fine febbraio a seguito della correzione del mercato indotta che ha accompagnato la crisi delle strategie venditrici di volatilità (VIX “squeeze”). I mercati emergenti (azionari e a reddito fisso) sono stati le vittime più vistose del 2018, penalizzati dal rialzo dei rendimenti americani, dal dollaro forte e, più recentemente, dall’escalation delle tensioni commerciali. Non è chiaro se il movimento correttivo dei mercati azionari sia del tutto esaurito. Riteniamo comunque le attuali valutazioni accettabili e pertanto la scommessa sull’azionario dovrebbe basarsi sulle attese in merito agli utili che restano però vulnerabili alla minaccia della guerra commerciale. Sul fronte dei mercati emergenti, riteniamo che ulteriori correzioni dai livelli attuali possano rappresentare interessanti opportunità di acquisto. In portafoglio l’esposizione ai mercati emergenti è al momento limitata mentre sull’equity globale appena al di sotto della neutralità (27% contro un 30% tipico di esposizione azionaria) ma con protezioni che derivano dalla duration americana, dallo Yen giapponese sul fronte valutario e da una quota, per ora non ancora rilevante, di volatilità.
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La Fed promette rialzi e il mercato non le crede. Effetti dello scollamento su macro e portafogli
Posted by fidest press agency su venerdì, 4 agosto 2017
A cura di Andrea Delitala, Head of Euro Multi Asset di Pictet Asset Management. Pare proprio che le banche centrali navighino a vista, almeno agli occhi del mercato che non comprende il modus operandi o, peggio ancora, lo ignora. A nostro giudizio, come minimo, possiamo dire che la loro funzione di reazione all’economia sia difficile da decifrare.
Abbiamo avuto un’ondata di liquidità che ha garantito una proroga della repressione finanziaria nel primo trimestre 2017 – 450 miliardi di dollari trasferiti dal conto disponibilità del Tesoro presso la Fed al mercato (Banche private) ed altre fonti internazionali. L’orientamento prevalente rimane tuttavia (anzi, a maggior ragione) per un riassorbimento di tale liquidità (tapering dei reinvestimenti in titoli e rialzi dei tassi) il che non agevola le decisioni di investimento.
Pictet ha elaborato tre spiegazioni possibili dello scollamento tra previsioni delle banche centrali, ad esempio quelle della Fed che segnala 7 rialzi di 25pb in 2 anni, e aspettative del mercato (che ne prezza 2).
La prima spiegazione è che non siano cambiate le previsioni mediane, ma sia diminuita l’incertezza autorizzando toni più aggressivi. Curiosamente però, l’ultimo rialzo dei tassi a metà giugno da parte della Fed è stato accompagnato da una flessione dell’inflazione core che Yellen ha definito di natura temporanea e non significativa, attribuendola al dumping nei prezzi della telefonia mobile e delle prescrizioni mediche. Di fatto la Fed ha quindi definito un nuovo indice d’inflazione super core: non considerando i piani tariffari dei cellulari ed alcuni farmaci, questo indice arriva all’1,7% anziché l’1,4% dell’inflazione core tradizionale e potrebbe giustificare il tono aggressivo della Fed in giugno. A onor del vero, Yellen ha poi decisamente ammorbidito i toni nel suo intervento al Congresso del 12-13 luglio. A giugno si è visto un curioso allineamento nella comunicazione delle maggiori banche centrali, da Bce a BoE alla banca canadese, con Draghi che passa da un easing bias, coerente con rischi deflazionistici, a timori di pressioni reflazionistiche. Le possibilità sono due: o la Fed ha ragione a trascurare l’attuale flessione dell’inflazione, oppure siamo in prossimità di un errore di policy, come sembrano suggerire i mercati del reddito fisso.
La seconda possibile spiegazione del comportamento divergente della Fed rispetto al mercato è che la Fed tenga conto delle condizioni finanziarie complessive dell’economia (Financial Conditions Index, FCI). Queste non dipendono solo dai Fed Funds rates ma sono funzione anche dei rendimenti sui corporate bond, oltre che del cost of equity. Questi ultimi sono fattori delicati che incorporano fattori di mercato al di fuori dal controllo della Fed e che instaurano meccanismi complessi da gestire, soprattutto in presenza di un governatore come Janet Yellen che agli occhi del mercato sta perdendo autorevolezza (e credibilità) se non altro perché in scadenza (febbraio 2018). Questa situazione crea una rottura nel buon funzionamento del rapporto tra Fed e mercato.
La terza spiegazione è la più accettabile: la banca centrale potrebbe anticipare variazioni plausibili in tema di regolamentazione finanziaria. In particolare sul tema Dodd-Frank e, al suo interno, la Volcker rule. Tale norma ha operato la distinzione tra attività di lending e trading e fissato i fattori limitativi dell’attività di lending legati alle restrizioni di capitale e leva, con la conseguente inibizione dei moltiplicatori monetari. La rimozione di queste norme libererebbe circa 200 mld di dollari di capitale di vigilanza delle banche USA, il quale a sua volta potrebbe tradursi in una maggiore creazione di credito fino a 1 trn di dollari. La pressione politica intorno al tema è fortissima. Il comportamento della Fed potrebbe essere perciò una reazione a questa consapevolezza: l’eventuale effetto espansivo della rimozione delle norme in questione, dovrebbe essere contrastato. A quanto sembra la Fed vuole farlo agendo sui tassi e non affrettando la contrazione del bilancio (tapering dei reinvestimenti) che sembra indirizzato verso una tabella di marcia lenta e prevedibile (ma dopo il cambio al vertice Fed sarà ancora così?). Gli scenari possibili, partendo da queste spiegazioni, sono quattro. In tutti per i bond il quadro non è roseo, mentre c’è uno spazio per le azioni che però va declinato in modo attento dal punto di vista regionale e settoriale.
Il primo è che il miglioramento macro coerente con le azioni di policy prospettate si verificherà. Questo è l’unico caso in cui siamo ottimisti sulle azioni, soprattutto sui settori ciclici, e negativi sui bond che devono scontare la correzione di quello che prezzano, ovvero l’errore di policy, più il miglioramento macro. Si perde tanto sulla parte a lungo mentre e sugli indicizzati all’inflazione si può essere premiati.
Il secondo scenario è che la Fed stia dialogando con il mercato per condurlo a valutazioni più caute (maggiori premi di rischio): questa ipotesi, in assenza di miglioramenti macro, è al massimo neutrale o negativa per le azioni e un po’ meno negativa che nel primo caso per i bond. Il settore It sarebbe vulnerabile mentre per le Banche sarebbe un contesto migliore per via del rialzo dei tassi. Sulla componente bond ristabilire premi al rischio vuol dire ristabilirne anche sul credito e quindi i perdenti saranno proprio sullo spread di credito.
La terza ipotesi è che effettivamente la Fed sappia qualcosa in più di noi sul fronte regolamentare. Dal punto di vista delle implicazioni di mercato, questa è una situazione intermedia ai primi due scenari esaminati: la conseguenza è un posizionamento neutrale per le azioni e negativo per i bond. La rimozione della Dodd Frank comporta uno stimolo monetario indiretto, scenario che per le azioni è neutrale e per le banche è festa, mentre è negativo per la curva rendimenti e neutrale per gli indicizzati.
L’ultimo scenario (residuale) è un errore di politica monetaria (restrizione ingiustificata) e questo si scarica negativamente sulle azioni ed è l’unico caso in cui i bond non perdono terreno, avendo già incorporato questa idea nei prezzi. I cicli già cheap diventano ancora più a buon mercato. In questo scenario deflazionistico, la parte lunga della curva tenderà a guadagnare di fronte a una possibile recessione con inflazione bassa. (foto: Andrea Delitala)
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Fondi flessibili, attenzione alle nuove proposte
Posted by fidest press agency su giovedì, 18 giugno 2015
Noi sconsigliamo in generale i fondi comuni d’investimento a gestione attiva poiché, nella stragrande maggioranza dei casi, distruggono valore a causa dei costi ingiustificati.Questo vale un po’ per tutto il settore del “risparmio gestito”. I fondi comuni non sono neppure i peggiori strumenti se pensiamo a molte polizze unit-linked, gestioni patrimoniali, prodotti strutturati, ecc.Recentemente ci è capitato di analizzare più proposte di “Fondi Flessibili” che stanno partendo adesso e si pongono un preciso orizzonte temporale. La favoletta con la quale piazzano questi prodotti (il più delle volte riuscendoci anche molto bene) è che si da la possibilità al gestore di gestire “dinamicamente” il rischio cogliendo le “opportunità d’investimento più interessanti”. Belle parole…In pratica si da carta bianca al gestore purché rimanga, senza alcuna garanzia, all’interno di un certo intervallo di rischio misurato con un indicatore statistico (assolutamente discutibile) che si chiama VaR.
Il presupposto di questo ragionamento è che più libertà si lascia al gestore e meglio esso può operare. Presupposto assolutamente indimostrato e considerato l’andamento passato dei fondi flessibili assai discutibile.Alcuni di questi fondi si danno degli obiettivi di rendimento, ma questi obiettivi non sono in alcun modo vincolanti ed in passato, nella grande maggioranza dei casi sono stati disattesi.Sono, sostanzialmente, solo degli specchietti per le allodole.Visti i bassissimi rendimenti, ai giorni d’oggi va molto di moda la parola “cedola” ed allora questi fondi flessibili promettono una “cedola” che altro non è se non una distribuzione di parte degli attivi del fondo, senza alcuna garanzia né dell’ammontare di questa distribuzione né del fatto che la distribuzione stessa vi sia, ma – sopratutto – nessuna garanzia circa il fatto che questa distribuzione non intacchi il capitale investito.Per fare due esempi di fondi di questo tipo, assolutamente sconsigliabili, possiamo citare il fondo “Anima Selezione Dinamica 2020” ed il fondo “Eurizon Soluzione Cedola Giugno 2020”. La sottoscrizione del primo termina il 25 Giugno prossimo, mentre la sottoscrizione del secondo termina il 23 Giugno (ma non affrettatevi!).Oltre alle commissioni di gestione, questi fondi hanno delle commissioni di sottoscrizione (nel caso del prodotto Anima ben il 4,25%!) che sono però “mascherate” nel senso che non si vedono direttamente ma sono a carico del fondo. Nel caso in cui un investitore decida di uscire prima del 2020 deve pagare una penale.Oltre all’aspetto dei costi (cosa comunque determinante e sufficiente a sconsigliarne la sottoscrizione) c’è anche da fare una considerazione più generale legata alla fase dei mercati. Non possiamo certo sapere quando i mercati finanziari inizieranno la loro fase discendete (se questa sia già iniziata, oppure se presto si riprenderanno e toccheranno nuovi massimi), ma quello che sappiamo per certo è che i rendimenti obbligazionari sono ridicoli (sebbene in queste settimane siano leggermente rialzati) ed i prezzi delle azioni sono, mediamente, cari. Investire su un fondo che parte adesso con un orizzonte temporale di 5 anni significa investire in una fase particolarmente difficile nella quale i rendimenti attesi a scadenza non coprono neppure le commissioni di gestione. E’ una cosa assolutamente insensata.State alla larga da questi fondi e da tutti i fondi, flessibili o meno, che partono in questa fase.Ancora di più se hanno una commissione d’ingresso e peggio ancora se tale commissione è “mascherata” a carico del fondo con penale di uscita. (Alessandro Pedone, responsabile Aduc Tutela del Risparmio)
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Si arresta la corsa dei frumenti
Posted by fidest press agency su lunedì, 14 marzo 2011
Si arresta la corsa al rialzo dei prezzi dei prodotti cerealicoli nel mese di febbraio 2011. Sulle principali piazze di scambio nazionali le quotazioni del frumento duro fino hanno registrato una flessione del 2,2% rispetto al mese di gennaio. Sostanziale stabilità per le quotazioni del frumento tenero, sia nazionale che estero, su base mensile (rispettivamente +1,9% e +4,2%). Una decisa inversione di tendenza nella seconda parte del mese ha, infatti, quasi interamente azzerato i rialzi messi a segno nella prima metà del mese. Tengono le quotazioni del mais (+1,1%). Rispetto al mese di febbraio dello scorso anno i prezzi dei prodotti cerealicoli si attestano su livelli decisamente più elevati. Le quotazioni del frumento tenero panificabile (nazionale) sono più che raddoppiate rispetto alle quotazioni di un anno fa (+108,8%), superando i valori record della prima parte del 2008. Variazione tendenziale fortemente positiva anche per il mais secco nazionale (+70,1%) e per il frumento tenero North-Spring (+49,7%). Quasi raddoppiate, infine, le quotazioni del frumento duro fino rispetto al mese di febbraio 2010 (+90,5%).
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Petrolio: rialzi speculativi
Posted by fidest press agency su martedì, 1 marzo 2011
Gli Indipendentisti di lu Frunti Nazziunali Sicilianu ribadiscono il convincimento che le rivoluzioni e le guerre civili in corso nel Nord-Africa (ed in Libia in particolare) non possano e non debbano costituire un pretesto per fare scattare automaticamente i prezzi del petrolio e dei carburanti in genere. Non nel mercato internazionale, non in Europa, non in Italia, non – soprattutto – in Sicilia. L’FNS “Sicilia Indipendente” ritiene – pertanto – che sia giunto il momento di procedere alla DEFISCALIZZAZIONE, in tutto il territorio siciliano, del prezzo della benzina e degli altri derivati del petrolio. A tal proposito, sono doverose alcune riflessioni ed alcune dichiarazioni d’intenti:
1. Una iniziativa del genere costituirebbe un minimo di risarcimento per la Sicilia, che ha dovuto subire la destinazione “Coloniale” ad area di produzione e di raffinazione del Petrolio.
2. La Sicilia ha diritto alla defiscalizzazione in quanto area “periferica” e di confine dell’Unione Europea. Il Sicilia il prezzo della benzina (ripulito delle accise, delle imposte, dei balzelli eccetera) non dovrà superare i 50 centesimi a litro.
3. La defiscalizzazione del prezzo della benzina contribuirebbe, in modo specifico, a ridurre i disagi provocati, in ogni famiglia, dall’incontrollato (ed incontrollabile) aumento dei prezzi dei generi di prima necessità (benzina compresa).
4. Tutto ciò si dovrà realizzare senza mai deflettere dall’obiettivo di far diventare la Sicilia punta avanzata della ricerca e della produzione di fonti energetiche alternative al petrolio. e potenziando gli interventi rivolti al recupero della integrità ambientale, nel senso più ampio del termine.
5. Non dobbiamo mai perdere di vista l’obiettivo della migliore qualità della vita.
6. in quanto siciliani, abbiamo l’esigenza ed il “diritto-dovere” di gestire meglio (anzi: di gestire una buona volta) il settore petrolifero siciliano nella sua interezza. nonché di adottare una specifica strategia siciliana per l’economia e per l’ambiente.
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