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Posts Tagged ‘ovaio’

In Italia il cancro dell’ovaio è considerato uno dei cosiddetti “big killers”

Posted by fidest press agency su domenica, 24 marzo 2024

Roma, 27 marzo 2024 (11.30-12.30) Hotel Nazionale Piazza di Monte Citorio, 131. Rappresenta circa il 30% delle neoplasie ginecologiche e occupa il decimo posto tra tutte i tumori femminili. Per questo è nato l’Ovarian Cancer Commitment (OCC), un’iniziativa europea promossa da AstraZeneca insieme alla Società Europea di Oncologia Ginecologica (ESGO) e la Rete Europea dei Gruppi di Advocacy sul Cancro Ginecologico (ENGAGe). Si pone l’obiettivo di migliorare la qualità di vita e la sopravvivenza delle pazienti colpite da carcinoma ovarico. Il board dell’OCC è composto da clinici, rappresentanti delle istituzioni e delle associazioni dei pazienti. A breve si riunisce per discutere e avanzare alcune proposte per un migliore e più equo accesso alle cure più avanzate. A seguito di questo meeting si terrà una conferenza stampa durante la quale verrà anche presentata una nuova campagna informativa sul tumore ovarico. Si terrà a a Roma il prossimo 27 marzo (alle 11.30 presso l’Hotel Nazionale di Piazza di Monte Citorio, 131). Interverranno: Sandro Pignata (Direttore Divisione Oncologia Medica, Dipartimento di Uro-Ginecologia – Istituto Nazionale Tumori IRCCS Fondazione G. Pascale, Napoli); Nicoletta Colombo (Direttore di Ginecologia oncologica medica dell’IEO e Professore Associato di Ostetricia e Ginecologia presso l’Università di Milano-Bicocca); Nicoletta Cerana (Presidente di Acto Italia – Alleanza contro il Tumore Ovarico ETS); Anna Fagotti (Professore Ordinario di Ostetricia e Ginecologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, Direttore Unità Operativa Complessa presso Fondazione Policlinico Universitario A.Gemelli IRCCS); Alessandra Dorigo (Head of Oncology di AstraZeneca Italia) e Annarita Patriarca (Membro della XII Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati).

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Sindrome dell’ovaio policistico

Posted by fidest press agency su venerdì, 16 febbraio 2024

Le linee guida (LG) pubblicate nel 2018 sull’inquadramento diagnostico-terapeutico della sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) raccomandano l’utilizzo dei contraccettivi orali combinati (COC) nella gestione dell’iperandrogenismo e/o dei cicli irregolari (Teede HJ, et al. Fertil Steril 2018). «Tuttavia, tali raccomandazioni non suggeriscono né specifici dosaggi, né specifiche combinazioni dei principi attivi» fa notare Irene Biondo, insieme ai componenti della Commissione Endocrinologia Ginecologica AME (Associazione Medici Endocrinologi) coordinata da Cecilia Motta.«I COC contengono due componenti attivi: un estrogeno e un progestinico. L’estrogeno più comunemente utilizzato è l’etinilestradiolo (EE). I progestinici sono stati classificati nelle diverse generazioni, a seconda del momento in cui sono stati introdotti in commercio e in base alle proprietà strutturali» aggiunge Biondo. «Gli estrogeni contenuti nei COC migliorano l’iperandrogenismo, aumentando la sintesi epatica delle globuline, comprese quelle leganti gli ormoni sessuali (SHBG), che, a loro volta, si legano al testosterone circolante e riducono la concentrazione di testosterone libero. L’aumentata sintesi proteica epatica promossa dagli estrogeni (in particolare dall’EE) porta, però, anche a ipercoagulabilità, con conseguente aumento del rischio di eventi trombotici venosi (TEV). Infatti, l’utilizzo dei COC aumenta il rischio di TEV da 2-10 eventi/10.000 donne-anno delle non utilizzatrici a 7-10 eventi/10.000 donne-anno (ESHRE Capri Workshop Group. Hum Reprod Update 2013; de Bastos M, et al. Cochrane Database Syst Rev 2014). Tale rischio è direttamente proporzionale alla dose di EE, che è stata pertanto progressivamente ridotta nel corso degli anni, fino al dosaggio di 20-35 µg/die di EE contenuto nei contraccettivi orali moderni. Uno studio recente ha, inoltre, evidenziato che il rischio di TEV delle formulazioni contenenti estrogeni naturali sembra inferiore rispetto a quello delle formulazioni contenenti EE». (Heikinheimo O, et al. Acta Obstet Gynecol Scand 2022)I progestinici variano nella loro attività androgenica a seconda dell’affinità di legame con il recettore degli androgeni, dell’effetto sui livelli di SHBG e del grado di legame all’SHBG stessa, prosegue Biondo. «In donne sane» specifica la specialista «è dimostrato che i progestinici di ultima generazione danno risultati migliori sull’aumento dell’SHBG rispetto a quelli di 2a generazione (Zimmerman Y, et al. Hum Reprod Update 2014). I progestinici possono anche avere effetti metabolici, principalmente sull’aumento dei lipidi, condizione rilevante nella PCOS, che già di per sé è ad alto rischio metabolico» (Bastianelli C, et al. Expert Rev Clin Pharmacol 2017). Recentemente, segnala Biondo, è stata condotta una metanalisi sui COC utilizzati nella PCOS, finalizzata all’aggiornamento delle relative LG internazionali del 2023 (Teede HJ, et al. Eur J Endocrinol 2023). Questi i risultati, riporta Biondo. «a) confronto tra COC contenenti 30-35 μg vs 20 μg di EE: l’unico esito comune era la valutazione dell’irsutismo (scala di Ferriman-Gallwey), ma non sono state dimostrate differenze significative nei due gruppi; b) confronto tra COC con progestinico di 1a generazione vs 4a generazione (prevalentemente drospirenone): DHEAS, androstenedione, colesterolo totale e PCR erano più bassi con progestinico di 4a generazione, mentre SHBG, testosterone e irsutismo non differivano tra i due gruppi; c) confronto tra COC con progestinico di 2a generazione vs 3a generazione: miglioramento nei livelli di FAI (Free Androgen index), DHEAS e SHBG con progestinico di 3a generazione; d) confronto tra COC con progestinico di 2a generazione vs 4a generazione: livelli inferiori di FAI, DHEAS e aumento dell’SHBG con progestinico di 4a generazione, senza differenze nel grado di irsutismo; e) confronto tra COC con progestinico di 3a generazione vs 4a generazione: BMI, testosterone totale e LDL erano inferiori con progestinico di 4a generazione, mentre i livelli di HDL erano più alti; f) confronto tra COC contenenti CPA vs altri progestinici: nelle pazienti che utilizzavano EE+CPA erano inferiori BMI, irsutismo, testosterone e FAI, mentre non c’erano differenze in termini di rapporto vita-fianchi, SHBG, DHEAS e androstenedione, glicemia, insulina, HOMA-IR, HDL e PCR, ma erano aumentati colesterolo totale e LDL; g) confronto tra COC vs progestinico in mono-terapia: uno studio ha rilevato livelli più bassi di FAI e livelli più alti di SHBG dopo COC rispetto al solo progestinico, che si associava invece a valori di trigliceridi più bassi. Irsutismo e qualità della vita non differivano tra i due gruppi».Questa metanalisi ha evidenziato che nella PCOS l’associazione EE+CPA ha un effetto migliore sull’irsutismo e sull’iperandrogenismo biochimico rispetto ai COC contenenti altri progestinici, osserva Biondo. «Tuttavia», continua, «si associa a un aumento del rischio metabolico legato all’incremento dei livelli di colesterolo totale e LDL. In questi studi tutti i COC con EE+CPA avevano, però, un’elevata concentrazione di EE (35 µg), che potrebbe aver influenzato sia i risultati che il profilo di rischio, compreso quello di TEV. Per quanto concerne l’azione delle diverse generazioni di progestinici, non sembrano esserci differenze in termini di riduzione dell’iperandrogenismo clinico, ma i progestinici più recenti, a minor potere androgenico, influenzerebbero in minor misura la concentrazione ematica di lipidi rispetto a quelli di 1a generazione».Le combinazioni contenenti dosaggi superiori di EE (30 µg) sono associate a livelli di SHBG più elevati rispetto alle combinazioni contenenti meno EE (20 µg), commenta la specialista. «Tuttavia, dopo 12 mesi, non sono state evidenziate differenze nell’irsutismo, nella tolleranza glucidica o nei livelli lipidici» aggiunge.Negli ultimi decenni, sono state introdotte nuove formulazioni di COC contenenti estrogeni naturali (17βestradiolo, estradiolo valerato ed estetrolo). «Nelle donne senza PCOS, questi estrogeni naturali non sembrano avere alcun effetto negativo sul metabolismo glucidico, ma anzi un effetto benefico sul metabolismo lipidico» rileva Biondo. «Pertanto, questi tipi di COC sono di particolare interesse per le donne affette da PCOS, ma non vi sono ancora dati disponibili in merito». Una possibile opzione terapeutica da analizzare in futuro per la PCOS, aggiunge, potrebbe essere anche una combinazione di CPA con una dose inferiore di EE o con un estrogeno naturale, ma ad oggi non sono ancora disponibili formulazioni di questo tipo.In conclusione, dichiara Biondo, «ad oggi non è ancora possibile fornire raccomandazioni specifiche in merito al trattamento più adeguato alle pazienti con PCOS, né in termini di scelta della formulazione, né in termini di dosaggio. L’obiettivo futuro è, quindi, condurre ulteriori studi per raccogliere indicazioni più precise sugli effetti delle diverse combinazioni di estro-progestinici, per scegliere il trattamento più adeguato e al dosaggio più efficace, personalizzato in base al quadro clinico individuale». (Fonte in abstract by Endocrinologia33)

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Tumore dell’ovaio in fase avanzata

Posted by fidest press agency su giovedì, 15 settembre 2022

Migliora la sopravvivenza a lungo termine delle pazienti colpite da tumore dell’ovaio in fase avanzata. Ogni anno, in Italia, sono 5200 le nuove diagnosi. La sopravvivenza a 5 anni è ancora bassa, pari al 43%, anche perché troppe donne, circa l’80%, scoprono la malattia in fase avanzata. Inoltre, in questa patologia, mancano efficaci strumenti di screening. Oggi però vi sono terapie mirate. In presenza di specifiche mutazioni genetiche, questa neoplasia può essere trattata con una terapia mirata, olaparib, capostipite della classe dei PARP inibitori, in grado di tenere sotto controllo la malattia e di cambiare la pratica clinica, grazie agli ottimi risultati evidenziati negli studi scientifici presentati al Congresso della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO), in corso a Parigi. I risultati positivi del follow-up a lungo termine degli studi di Fase III PAOLA-1 (Abstract # LBA29) e SOLO-1 (Abstract # 517O) hanno mostrato significativi miglioramenti clinici nella sopravvivenza globale e nella sopravvivenza libera da progressione con olaparib in combinazione con bevacizumab, un farmaco antiangiogenico, per le pazienti positive al deficit di ricombinazione omologa (HRD), rispetto a bevacizumab, e con olaparib in monoterapia, per le pazienti con mutazioni BRCA, rispetto a placebo. Entrambi gli studi, che sono stati condotti in pazienti con nuova diagnosi di tumore ovarico avanzato selezionate tramite biomarcatori, nel setting di mantenimento in prima linea hanno inoltre dimostrato un profilo di sicurezza coerente con i risultati precedenti. I risultati dello studio SOLO-1 sono stati pubblicati sul Journal of Clinical Oncology. Il carcinoma ovarico è uno dei tumori ginecologici più comuni, con la prognosi peggiore e il tasso più elevato di mortalità. Più di due terzi delle pazienti presenta malattia avanzata alla diagnosi e circa il 90-60% di queste muore entro cinque anni. Una donna su cinque con carcinoma ovarico avanzato presenta una mutazione BRCA, e circa la metà è affetta da tumori HRD positivi (che comprendono i tumori con una mutazione BRCA).Il carcinoma ovarico è l’ottavo tumore più comune nelle donne a livello mondiale. Nel 2020 sono stati diagnosticati oltre 313.000 nuovi casi di carcinoma ovarico con più di 207.000 decessi. Il tasso di sopravvivenza a cinque anni delle pazienti con nuova diagnosi di carcinoma ovarico avanzato è generalmente del 30-50%. Circa la metà delle donne con carcinoma ovarico avanzato presenta tumori positivi al deficit di ricombinazione omologa (HRD), che comprende quelli con una mutazione BRCA, e una su cinque ha una mutazione BRCA. L’obiettivo primario del trattamento di prima linea è ritardare il più possible la progressione di malattia con l’intento di raggiungere la remissione a lungo termine.

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Tumore dell’ovaio: Programma terapeutico

Posted by fidest press agency su lunedì, 6 luglio 2020

Al via il primo programma di supporto a domicilio per le donne colpite dal tumore ovarico, in grado di rispondere a 360 gradi alle loro esigenze: dalla televisita di controllo, alla consegna del farmaco fino al prelievo ematico a domicilio per l’esecuzione del test BRCA. Un numero verde permetterà alle pazienti di organizzare e svolgere le visite di controllo da remoto e, al contempo, infermieri specializzati saranno disponibili per supportare la gestione di eventuali effetti collaterali.
AstraZeneca si occuperà, inoltre, della consegna a casa delle pazienti di Olaparib, terapia orale per il trattamento del tumore ovarico BRCA mutato.Un servizio che assume particolare rilevanza in questi mesi di emergenza sanitaria per la pandemia causata dal coronavirus, nei quali è auspicabile fare in modo che i pazienti oncologici seguano il loro percorso di cura, riducendo però il più possibile i tempi di permanenza negli ospedali per il rischio di contagio. Un servizio che però guarda anche oltre: l’innovazione tecnologica può infatti contribuire a una riorganizzazione dell’assistenza sanitaria anche dopo l’emergenza.
Il progetto è realizzato grazie al supporto di AstraZeneca e MSD, in collaborazione con Domedica, e ha ricevuto l’egida delle principali Associazioni di Pazienti impegnate nel tumore ovarico: Acto Onlus, Loto Onlus e Salute Donna Onlus.I primi centri a partire saranno l’Istituto Europeo di Oncologia di Milano e la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma.“In 5 anni i nuovi casi di tumore dell’ovaio, in Italia, sono aumentati dell’8%: erano 4.900 nel 2014, ne sono stati stimati 5.300 nel 2019. È di fondamentale importanza mantenere un rapporto costante con le pazienti e un programma completo di supporto a distanza è la via da seguire per garantire la sicurezza delle donne colpite da tumore ovarico durante questa emergenza – afferma la Prof.ssa Nicoletta Colombo, Professore Associato presso l’Università Milano-Bicocca e Direttore del Programma di Ginecologia Oncologica dell’Istituto Europeo di Oncologia.La visita di follow-up da remoto è eseguita e refertata grazie alla tele assistenza su una specifica piattaforma condivisa da oncologo e paziente.Il programma è indirizzato alle pazienti con tumore ovarico in trattamento con gli inibitori di PARP.

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Il tumore dell’ovaio fa meno paura

Posted by fidest press agency su sabato, 9 marzo 2019

Rappresenta la quinta causa di morte per cancro nelle donne 50-69enni in Italia, ma i decessi legati alla malattia diminuiscono: nel 2015 (ultimo anno disponibile) sono stati 3.186, nel 2013 ne erano stati registrati 3.302, con un calo del 3% in due anni. Il merito è da ricondurre a terapie sempre più efficaci, che permettono di controllare la malattia anche nello stadio metastatico. Tra queste, si annoverano anche i farmaci inibitori di PARP, oggi utilizzabili sia nelle pazienti BRCA mutate che non mutate. “Le armi contro il tumore dell’ovaio spaziano dalla chirurgia alla chemioterapia fino alle terapie mirate, in cui rientrano gli inibitori di PARP – spiega Fabrizio Nicolis, Presidente Fondazione AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) -. Conoscere lo stato mutazionale dei geni BRCA è sempre molto importante ed il test dovrebbe essere effettuato su tutte le pazienti (con le caratteristiche indicate nelle Raccomandazioni AIOM-SIGU-SIBioC-SIAPEC-IAP 2019) al momento della diagnosi. È questa la via da seguire per definire le migliori strategie terapeutiche e iniziare il percorso familiare che potrebbe permettere l’identificazione di persone sane con mutazione BRCA, nelle quali impostare programmi di sorveglianza o di chirurgia (annessiectomia bilaterale) per la riduzione del rischio di sviluppare il tumore ovarico. Ma, ancora oggi, non tutte le pazienti che dovrebbero essere sottoposte al test BRCA lo eseguono. Inoltre, in Italia, il regime di rimborsabilità per questo esame varia nelle diverse Regioni, con la conseguenza che viene effettuato solo nel 65,2% delle donne che ricevono la diagnosi”. Oncologi e pazienti, in una conferenza stampa che si svolge oggi al Ministero della Salute, chiedono alle Istituzioni di uniformare le modalità di accesso al test BRCA sul territorio nazionale.
Lo studio “Every Woman”, promosso dalla World Ovarian Cancer Coalition, condotto su 1.531 pazienti di 44 Paesi ha evidenziato che, in Italia, prima della diagnosi il 56,5% delle donne non aveva mai sentito parlare di questa neoplasia e solo il 65,2% è stato sottoposto al test genetico. La mancata consapevolezza troppo spesso porta infatti le donne a sottovalutare i sintomi iniziali e ad arrivare alla diagnosi quando la malattia si è già diffusa ad altri organi”. Il trattamento delle forme precoci è chirurgico, ma, di fronte a un rischio di recidiva del 25-30%, in molti casi viene prescritta una terapia chemioterapica precauzionale, dopo l’intervento. Nella malattia avanzata, è indicato un approccio chirurgico quanto più possibile radicale, seguito da chemioterapia. In alcuni casi, può essere necessario far precedere l’intervento chirurgico da alcuni cicli di chemioterapia (di solito tre) per ridurre la malattia e rendere la successiva chirurgia meno complessa.
“Sono poche le strategie efficaci per prevenire il tumore dell’ovaio – continua Valentina Sini, oncologa presso il Centro Oncologico ‘Santo Spirito-Nuovo Regina Margherita’ ASL Roma 1 -. Fra i fattori protettivi, la multiparità, l’allattamento al seno e un prolungato impiego di contraccettivi orali. In particolare, donne con pregresse gravidanze multiple presentano una riduzione del rischio di circa il 30% rispetto a coloro che non hanno partorito. Una recente indagine ha dimostrato che l’uso prolungato di anticoncezionali riduce il rischio di incidenza di tumore ovarico nella popolazione generale, in particolare nelle donne portatrici di mutazione dei geni BRCA”. Quattro società scientifiche, AIOM, SIGU (Società Italiana di Genetica Umana), SIBioC (Società Italiana di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica) e SIAPEC-IAP (Società Italiana di Anatomia Patologica e Citologia Diagnostica), hanno firmato le “Raccomandazioni per l’implementazione del test BRCA nelle pazienti con carcinoma ovarico e nei familiari a rischio neoplasia”. È importante che queste alterazioni genetiche siano individuate tempestivamente anche attraverso provvedimenti specifici di politica sanitaria aumentando la percentuale di identificazione nelle persone sane con mutazione BRCA secondo indicazioni di accesso al test uniformi sul territorio nazionale e percorsi dedicati. È inoltre essenziale che la presa in carico delle persone sane e delle pazienti BRCA mutate avvenga in centri altamente specializzati. Prima di decidere se sottoporsi al test, la donna deve essere adeguatamente informata delle eventuali conseguenze dell’esame, con un immediato supporto psicologico”.

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Novità del tumore ovaio dal congresso americano ASCO

Posted by fidest press agency su martedì, 6 giugno 2017

chicagoChicago. Alopecia, modifiche nel colore della pelle, aumento di peso e menopausa sono cambiamenti che comportano la perdita della propria identità e immagine corporea nelle donne colpite da tumore dell’ovaio. Le cure spesso innescano nella mente di una paziente un circolo vizioso: oltre alla patologia, molto spesso ci si ammala di solitudine, di isolamento, di depressione. La malattia mette ‘ko’ anche perché quel 30% dei casi in cui il carcinoma non è asportabile completamente o perché è troppo avanzato o perché localizzato in sedi dove l’accesso è chirurgicamente difficile, bisogna passare alla chemioterapia e spesso gli effetti collaterali sono pesanti e le recidive dietro l’angolo. Nel 70-80% dei casi infatti la malattia si ‘riaccende’ e nonostante i farmaci la mediana di sopravvivenza è ferma a circa 4 anni. Per dare una risposta proprio a queste pazienti e migliorare la terapia è in corso lo studio ‘Inovatyon’ (INternational OVArian cancer patients Trial with YONdelis), che coinvolge 598 pazienti in tutta Europa. L’Italia è capofila del progetto con oltre cento Centri deputati all’arruolamento delle donne e con l’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano tra i più attivi: «E’ uno studio di strategia terapeutica, per capire la capacità della trabectedina nell’aumentare la sensibilità alla tradizionale chemioterapia con il platino. L’obiettivo è dare una risposta alle donne che oggi recidivano e che noi vogliamo portare a una maggiore sopravvivenza», spiega Nicoletta Colombo, Direttore Programma Ginecologia Oncologica dello IEO in occasione del Congresso Americano di Oncologia (ASCO), che riunisci in questi giorni a Chicago oltre 30mila tra medici, specialisti, infermieri, associazioni e figure coinvolte nella lotta al cancro. Lo studio si muove dal presupposto che ci sia un ‘effetto sequenza’ positivo tra la trabectedina, una molecola che deriva da un piccolo organismo invertebrato marino, prodotta da PharmaMar, e il platino. Al momento in caso di recidiva del tumore infatti il medico sceglie una delle due opzioni. Con ‘Inovatyon’ si vuol capire e dimostrare che l’utilizzo della trabectedina possa aumentare l’efficacia della chemioterapia standard e quindi aumentare gli anni di vita e anche la qualità di vita delle pazienti. «La molecola di PharmaMar, infatti, si è rivelata efficace e ben tollerata, anche per periodi molto lunghi e ad oggi il suo utilizzo rappresenta un’opzione strategica nella terapia del cancro ovarico recidivante –specifica la dott.ssa Domenica Lorusso, dirigente medico primo livello alla fondazione Irccs Istituto nazionale dei tumori di Milano- È un farmaco attivo anche in pazienti che hanno ricevuto diversi trattamenti precedenti ed ha un profilo di sicurezza accettabile. Il 30% delle pazienti parzialmente sensibili alla chemioterapia standard e il 44% di coloro che sviluppano reazioni allergiche al platino in seconda linea quando c’è la ricaduta possono giovarsi del beneficio aggiunto con trabectedina e PLD (doxorubicina liposomiale pegilata). Oggi è l’unica combinazione non platino autorizzatai per pazienti platino sensibili che funziona e il vantaggio di questa combinazione non è vincolata alla prima recidiva ma si può usare anche dopo più recidive». In questo modo si offre alle pazienti un’alternativa sicura ed efficace, soprattutto per quelle forme che non rispondono ai trattamenti standard o per coloro che non li sopportano. Inoltre consente un recupero dalla tossicità della chemioterapia precedente, rendendo il corpo più sensibile a un trattamento successivo. «La trabectedina ha la caratteristica unica di non avere una tossicità cumulativa, e questo la differenzia da altri chemioterapici, che vanno sospesi dopo un po’ perché non vengono più sopportati- aggiunge Colombo- Le terapie convenzionali presentano invece tossicità cumulative e persistenti, come la tipica neurotossicità, piuttosto invalidante perché causa formicolii alle mani e ai piedi, crampi e dolori, difficoltà a percepire il terreno sotto i piedi come se si camminasse su un terreno instabile. L’alternanza della combinazione con trabectedina consente di “smaltire” le tossicità delle terapie precedenti e potrebbe incrementare l’efficacia antitumorale della strategia terapeutica. Inoltre questo trattamento non dà neuropatia e non fa perdere i capelli». Sebbene quest’ultimo effetto collaterale in genere venga considerato lieve dal medico, rappresenta un problema per le donne che devono conviverci.
In Italia vivono oltre 45mila donne con pregressa diagnosi di tumore dell’ovaio, il 2% di tutte le pazienti con tumore. Oltre il 60% dei casi prevalenti ha affrontato la diagnosi da oltre 5 anni. La proporzione maggiore di casi prevalenti si osserva nella fascia di età 60-74 anni (326/100mila). E’ un vero e proprio ‘killer silenzioso’, responsabile ogni anno della morte di oltre 140 mila donne in tutto il mondo, oltre 3 mila in Italia. Rientra tra le prime 5 cause di morte per tumore tra le donne in età inferiore a 50 anni (quarto posto, 6% del totale dei decessi oncologici) e tra le donne con 50-69 anni d’età. Questo tumore rappresenta circa il 30% di tutti i tumori maligni dell’apparato genitale femminile e occupa il decimo posto tra tutti i tumori nelle donne, con il 3% di tutti i casi. Le forme epiteliali hanno un’incidenza del 60% e rappresentano il 30% dei carcinomi del tratto genitale femminile. I tumori germinali dell’ovaio sono diagnosticati per il 40-60% in età inferiore a 20 anni, al contrario quelli epiteliali colpiscono sia le donne in età riproduttiva sia quelle in età avanzata. La maggior parte dei tumori ovarici epiteliali è sporadica, tuttavia nel 5-10% si riscontra un pattern familiare o ereditario. I fattori di rischio biomolecolari riguardano le mutazioni nei geni BRCA1 e BRCA2. Il gene BRCA1 e BRCA2 risultano mutati nel 15% delle pazienti con insorgenza del cancro entro i 70 anni ed è appannaggio delle forme sierose. L’aggressività e la diagnosi spesso tardiva di questi tumori condizionano la prognosi: il 37% delle donne che hanno contratto un tumore dell’ovaio nella seconda metà degli anni Duemila risultano ancora in vita a 5 anni dalla diagnosi. Rispetto al decennio precedente la speranza di vita appare comunque migliorata (+4-5%).

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Tumore dell’ovaio: “uno sconosciuto” che si può sconfiggere

Posted by fidest press agency su lunedì, 19 dicembre 2011

Napoli Arriva senza farsi sentire e spesso lo si scopre casualmente. Tra i fattori di rischio l’età, la maggior parte dei casi viene identificata dopo l’ingresso in menopausa, la menopausa tardiva e il non aver avuto figli ma anche la predisposizione familiare. Il carcinoma ovarico è un tumore che colpisce le ovaie. In Italia ogni anno si registrano 5.000 casi, ossia 1 donna su 97. È al nono posto tra le forme tumorali e costituisce il 2,9% di tutte le diagnosi di tumore. Si tratta di uno dei tumori femminili più pericolosi: circa il 70% delle diagnosi avviene in fase avanzata, perché rimane asintomatico per un lungo periodo. Eppure le italiane lo conoscono poco e fanno ancora meno per prevenirlo: 7 su 10 non ne conoscono i segnali e solo l’11% sa che l’ecografia transvaginale è fondamentale per la diagnosi. I sintomi di esordio della malattia sono spesso di lieve intensità, tali da essere confusi con le più banali e frequenti alterazioni dell’apparato gastrointestinale: sensazione di gonfiore addominale, difficoltà digestive, nausea, aumento della circonferenza addominale. “Questa è una delle malattie più difficili da controllare poiché non sono stati identificati strumenti efficaci di screening e di diagnosi precoce” spiega il dottor Sandro Pignata, direttore della Struttura Complessa di Oncologia Medica, Dipartimento Uroginecologico dell’Istituto Nazionale Tumori – IRCCS “Fondazione Pascale” di Napoli. “Per quanto concerne lo screening, a differenza di quanto accade con il pap-test nei confronti del tumore del collo dell’utero, oggi non è disponibile un valido metodo di screening per una diagnosi precoce di carcinoma ovarico. Per questo motivo, le pazienti spesso arrivano in reparto quando la neoplasia è già in stato avanzato. Una visita ginecologica accurata ed effettuata con regolarità rimane il metodo migliore per lo screening del carcinoma ovarico”. L’Istituto Nazionale Tumori di Napoli è uno dei centri all’avanguardia e tra i più qualificati a livello nazionale per il trattamento del tumore dell’ovaio. Il dipartimento ha sviluppato un percorso di cura specializzato per questa patologia, poiché la collaborazione stretta tra la struttura di Oncologia Medica e quella di Ginecologia permette una gestione della malattia completa e tempestiva. A causa della mancanza di avvisaglie chiare, solo in 1 caso su 4 questa neoplasia viene diagnosticata in una fase precoce, quando con un intervento chirurgico le possibilità di guarigione sono intorno al 80-90%. “Il primo passo è l’intervento chirurgico per la riduzione della massa tumorale, un aspetto fondamentale dal quale dipende l’intero percorso di cura” chiarisce il dott. Pignata. “L’intervento chirurgico viene eseguito dagli specialisti dell’Unità di Oncologia ginecologica, mentre la chemioterapia viene gestita dalla mia équipe”.
In circa il 70% delle pazienti però il tumore si ripresenta dopo un certo periodo: capire il meccanismo che genera le recidive e individuare le pazienti a rischio di ricaduta è uno degli obiettivi dei ricercatori. “Le strutture funzionali del Dipartimento Uroginecologico collaborano con i ricercatori del nostro istituto per condurre protocolli di ricerca di tipo traslazionale. Questo tipo di collaborazione, oltre a sviluppare ricerca, offre vantaggi ai pazienti poiché permette di garantire un elevato standard di cura con l’uso di farmaci innovativi. Il nostro dipartimento coordina il Gruppo Mito, (Multicenter Italian Traials in Ovarian cancer), impegnato a sviluppare una collaborazione di ricerca in ambito di ginecologia oncologica. Secondo Pignata si può spostare in avanti la frontiera della qualità della vita attraverso terapie sempre più personalizzate, tecniche chirurgiche poco invasive e farmaci meno tossici. “Oggi in oncologia si parla molto di farmaci biologici, che rappresentano la nuova frontiera contro i tumori. Per la neoplasia dell’ovaio sono arrivati più tardi” conclude Pignata, “ma molti sono in via di sviluppo. Nel nostro centro diversi sono in fase di sperimentazione”.

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Tumore dell’ovaio e recidive

Posted by fidest press agency su mercoledì, 13 ottobre 2010

Si aprono nuove strade nel trattamento del tumore dell’ovaio, che ogni anno in Italia colpisce circa 4500 donne (nella forma più frequente, quella epiteliale) e provoca 3000 decessi. Il bevacizumab, farmaco biologico che agisce inibendo l’angiogenesi, ha infatti dimostrato di aumentare del 15% a un anno la probabilità per le donne di vivere più a lungo senza che la neoplasia peggiori. Un risultato importante per un tipo di cancro che nell’80% delle pazienti tende a recidivare. I dati vengono dallo studio internazionale ICON7 e sono stati presentati oggi, suscitando grande interesse dei 15mila esperti riuniti, al 35° Congresso della Società europea di oncologia medica (ESMO) in corso fino a domani a Milano, il più importante appuntamento continentale del settore. Lo studio ICON7 ha coinvolto 1528 donne, suddivise in due gruppi: al primo è stato somministrato il trattamento standard, al secondo la chemioterapia tradizionale associandola a bevacizumab.
I dati dello studio ICON7 presentati all’ESMO sono ancora preliminari (quelli definitivi saranno disponibili tra due anni), ma confermano fortemente i risultati positivi già evidenziati dal trial GOG 0218 al Congresso americano di oncologia medica (ASCO) dello scorso giugno. I ricercatori americani hanno infatti dimostrato che bevacizumab somministrato durante e dopo la chemioterapia è in grado di ritardare la recidiva di mesi rispetto alle pazienti trattate con sola chemio. Il carcinoma ovarico è il sesto tumore più diffuso fra le donne, ma i sintomi sono difficili da individuare, in particolare in stadio iniziale e spesso vengono scambiati per altri disturbi di minore entità. La collaborazione tra ginecologo e oncologo è fondamentale perché il carcinoma ovarico è una patologia per la quale sono essenziali sia la componente chirurgica sia la terapia medica”. Bevacizumab agisce inibendo l’angiogenesi, cioè la crescita di nuovi vasi sanguigni, e limitando ulteriormente l’apporto di sangue al tumore. Il farmaco è già approvato in Europa per il trattamento degli stadi avanzati di 4 tipi di tumori: il carcinoma del colon-retto, del seno, del polmone e del rene.

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