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Quotidiano di informazione – Anno 36 n° 167

Archive for 13 dicembre 2015

“Oggetti che parlano. L’Arte Cinese del XVIII secolo svela i segreti del successo dell’Impero Qing”

Posted by fidest press agency su domenica, 13 dicembre 2015

arte cineseTorino 15 dicembre 1015 alle ore 18,00 MAO di Torino Ingresso libero fino ad esaurimento dei posti. Durante l’incontro l’esperta del Dipartimento di Arte Cinese di Londra, Benedetta Bottino terrà una lecture, in italiano, dal titolo L’Arte Cinese del 18° secolo, prodotta ad uso e consumo da parte della corte imperiale straniera della dinastia Qing, comprende alcuni dei più pregevoli esempi di porcellane, oggetti in metallo, incisioni in pietre preziose e semi-preziose, tessuti. Per forma e decorazione, gli oggetti presi in esame durante la lecture denotano la rilevante influenza derivante dalla cultura tradizionale cinese cosiddetta Han. Sarà approfondito il modo in cui tipici elementi Han furono ingegnosamente utilizzati dai conquistatori stranieri Manchu quali importanti simboli di potere, che influirono nel consolidamento di uno dei regimi più floridi della storia cinese.Incarnando le personalità degli antichi monarchi Confuciani e promuovendo i valori cinesi del passato, i regnanti stranieri dei Qing riuscirono a governare con successo un popolo di più di 150 milioni di sudditi e ad assicurare alla Cina un lungo periodo aureo che durò per quasi tre secoli. (foto: arte cinese)

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Libro: La scuola di Spoleto

Posted by fidest press agency su domenica, 13 dicembre 2015

maestro di cesiTrevi (PG) Venerdì 18 dicembre 2015, a , alle ore 18, presso la Chiesa di San Francesco, si terrà la presentazione del volume “LA SCUOLA DI SPOLETO. IMMAGINI DIPINTE E SCOLPITE NEL TRECENTO TRA VALLE UMBRA E VALNERINA” di Alessandro Delpriori, Editore QUATTROEMME.
L’evento, organizzato in collaborazione con il Comune di Trevi, vedrà dialogare due storici dell’arte: l’autore del volume e Vittoria Garibaldi. La pubblicazione, oltre i contenuti di Alessandro Delpriori, comprende un saggio iniziale di Andrea De Marchi, gli apparati, la bibliografia e le referenze fotografiche.
Formato cm. 30 x 24 cartonato – pagine 292 – cartine e piante 6 – foto a colori 295 – foto in b/n 72 – prezzo di copertina in libreria 75,00 euro.Il fiume Nera nasce nelle Marche, nel Comune di Castelsantangelo, attraversa Visso, accarezza Preci e la splendida Val Castoriana, il territorio di Norcia, Cerreto di Spoleto, Vallo di Nera, Sant’Anatolia di Narco, supera Terni e conclude la sua corsa nel Tevere nei pressi di Orte. Un viaggio che attraversa una delle regioni più belle d’Italia, ricche di emergenze naturalistiche e artistiche. Un territorio non esageratamente antropizzato che conserva ancora leggibili i segni del suo passato.Spoleto è la capitale storica di tutta la zona, sua è la Diocesi, suo il dialetto, suo, se vogliamo, il linguaggio artistico Maestro di Sant’Alòche dalla fine del XII secolo fino a tutto il Cinquecento fa della Valnerina un laboratorio artistico atipico, a volte anche straordinario per qualità e importanza.
A partire dalla fine del XIII secolo gli artisti di Spoleto e della Valnerina adottano un linguaggio singolare, di lavori tutti in superficie, vibranti di passaggi cromatici forti: così è la Croce di Alberto Sotio ora al Duomo di Spoleto, così è la Croce di Petrus di Campi. Uno stile che informa tutti gli artisti del Duecento, da Simeone e Machilone, al Maestro di San Felice di Giano fino a Rinaldetto di Ranuccio e che crea una vera e propria scuola del Ducato di Spoleto.
Col passaggio del secolo, la situazione non cambia. I maestri spoletini del Trecento, purtroppo tutti ancora anonimi, si nutrono delle novità assisiati ma le declinano secondo un gusto particolare, creando così una sacca culturale autonoma e pressoché sconosciuta che comprende una grande parte dell’Italia centrale. Giovanni Previtali, studiando la scultura lignea, aveva creato l’Umbria alla sinistra del Tevere, un territorio sovra–regionale che va da Spoleto all’Aquila e che arriva fino a Rieti, Teramo e Ascoli Piceno. Qui si costruisce un Trecento totalmente alternativo ai grandi centri di produzione italiana, come Firenze, Siena, Venezia o Rimini. Ad esempio le pale d’altare non sono mai i polittici scompartiti gotici, così diffusi tra la Toscana e il Veneto, ma sono i tabernacoli monumentali, oggetti che hanno una scultura in legno centrale racchiusa da ante apribili dipinte con storie. Notevole è anche l’autonomia iconografica di questi pittori, si trovano scene narrative inedite anche in contesti minori e defilati, come le storie della Vergine dell’abside della collegiata di Visso, dove è presente il banchetto nuziale della Madonna e San Giuseppe, oppure la famosa Processione dei Bianchi di Cola di Pietro a Vallo di Nera.In tutta la zona manca una vera e propria scultura in pietra, probabilmente tutto si faceva in legno e così nascono delle piccole meraviglie come il gisant di San Ponziano proveniente dall’omonima Basilica spoletina che faceva parte di un allestimento dello spazio sacro che era un vero e proprio teatro sacro, su modello della Basilica di Assisi.Maestro della Madonna di Visso
Il Maestro di Cesi, il Maestro della Croce di Trevi, il Maestro di Fossa, sono protagonisti di una stagione straordinaria, capace di piccoli capolavori come il Dittico Cini o il dossale di San Francesco a Montefalco, ora nella coll
ezione personale del Papa. Una ricerca sul patrimonio di pittura e scultura tardo medievale ancora oggi sconosciuto, un capitolo di storia dell’arte importante e sottostimata, tante le opere ancora inedite che sono sul territorio: centinaia di metri quadri di affreschi, decine di sculture lignee e soprattutto nuovi contesti da riconsiderare e studiare a fondo.
La chiesa di Santa Maria di Vallo di Nera, quella di San Lorenzo a Borgo Cerreto
per non pensare a Sant’Agostino a Norcia o San Francesco a Cascia, in zone di palinsesti di affreschi, sono dei veri e propri laboratori di studio sul campo.
Negli ultimi vent’anni la Soprintendenza ai Beni Storico Artistici dell’Umbria ha provveduto al restauro di una grandissima quantità di opere, documentando tutto con rilievi e campagne fotografiche.Si tratta di una importante operazione di studio e di recupero dell’enorme mole di materiale che è emerso e continua ad emergere, auspicabile non solo per la documentazione dell’esistente, ma anche, e soprattutto, per la valorizzazione di un tessuto culturale importante, per la ricostruzione di un contesto storico artistico sconosciuto alla maggior parte degli studiosi e degli appassionati, che però ha dei caratteri specifici, particolari e molto spesso importanti non solo nel panorama locale.L’esauriente ricerca iconografica del volume, è stata effettuata sia in Italia (Bordighera, Firenze, Milano, Ravenna, Roma, Venezia, Città del Vaticano) che all’estero (Berlino, Bryan Athyn, Esztergom, Kiev, Londra, Parigi, Worchester), presso quei Musei che detengono ad oggi significative testimonianze di opere provenienti appunto dal territorio umbro preso in esame nello studio (oltre naturalmente a realizzare una campagna fotografica effettuata proprio a Spoleto, in tutta la Valnerina e nelle altre località interessate: Cerreto di Spoleto, Vallo di Nera, Borgo Cerreto, Orsano, Preci, Campi di Norcia, Forsivo, Lenano, Eggi, Campello, Trevi, Castel Ritaldi, Montefalco). (foto:Maestro di Sant’Alò, maestro di cesi, Maestro della Madonna di Visso)

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La moneta cinese entra nei diritti speciali di prelievo del Fmi

Posted by fidest press agency su domenica, 13 dicembre 2015

renminbiIl renminbi cinese (rmb) entra a far parte dei diritti speciali di prelievo (dsp), la moneta internazionale di riferimento del Fondo Monetario Internazionale composta da un paniere di valute. Sino ad oggi vi partecipano soltanto il dollaro, l’euro, lo yen giapponese e la sterlina britannica. I dsp sono la moneta virtuale di riserva internazionale creata dal Fmi nel 1969, nel contesto del sistema di cambi fissi di Bretton Woods, per affiancare le riserve monetarie (allora solo dollaro e oro) e per supportare l’espansione del commercio mondiale e i relativi flussi finanziari. Il Fmi li ha usati anche per prestiti di emergenza verso i Paesi membri. I dsp possono essere scambiati con le altre valute normalmente usate. A fine novembre di quest’anno erano in circolazione 204 miliardi di dsp, pari a circa 285 miliardi di dollari. La ripartizione sarà così: il dollaro avrà il 41,73%, l’euro il 30,93%, il renminbi il 10,92%, lo yen l’8,33% e la sterlina l’8,09%. Questa nuova composizione entrerà in vigore il prossimo 1 ottobre 2016.
Interessante notare che la suddivisione delle quote del 2011 era: 41,9% per il dollaro, 37,4% per l’euro, 11,33% per la sterlina e 9,44% per lo yen. Balza evidente che, nonostante il ridimensionamento dell’economia americana, il dollaro mantiene la posizione dominante. Chi viene ridimensionato è in particolare l’euro. Si noti che, quando il Fmi venne creato nel dopo guerra, il pil americano era equivalente al 50% di quello mondiale, oggi è il 22%. Venti anni fa il pil della Cina rappresentava soltanto il 2% del totale, oggi è il 12%. Si consideri che la Cina detiene circa 1,3 trilioni di dollari in buoni del Tesoro americano.
Nonostante queste enormi trasformazioni dell’economia mondiale la quota di partecipazione assegnata alla Cina nel Fmi è simile a quella del Belgio. Del resto non si può ignorare che il Congresso americano nel 2010 votò contro la revisione delle quote e che tale opposizione si è poi ripetuta ad ogni summit del G20. In ogni caso la decisione sui dsp è un importante passo in avanti nella creazione di un nuovo sistema monetario internazionale basato su un paniere di monete. La nuova composizione dei dsp dovrebbe perciò preparare una grande evoluzione verso un sistema multipolare nella sua dimensione politica, economica, commerciale e, quindi, anche monetaria.
La Cina e gli altri Paesi del BRICS sono stati i grandi fautori di una riforma globale in modo crescente a partire dalla crisi finanziaria del 2008. Già nel marzo del 2009 il governatore della Banca Centrale Zhou Xiao Chuan aveva sollecitato la creazione di una moneta di riserva internazionale non più sottomessa a una singola moneta nazionale, il dollaro. Oggi la Banca centrale cinese saluta la decisione come “un miglioramento dell’attuale sistema monetario internazionale e un risultato vincente sia per la Cina che per il resto del mondo”
Adesso la Cina sarà certamente sottoposta a crescenti pressioni e la sua economia e il suo sistema finanziario saranno analizzati e valutati con cura. Si stima che inizialmente ciò dovrebbe determinare un modesto aumento nella domanda internazionale di valuta cinese, equivalente a circa 30 miliardi di dollari. Comunque chi commercia con la Cina sarà sollecitato a tenere quantità crescenti di rmb.
La riduzione delle allocazioni di portafoglio in dollari a seguito della decisione di riconoscere al rmb un ruolo di moneta di riserva potrebbe nel tempo essere maggiore di quanto si possa oggi pensare. Il processo di internazionalizzazione di una moneta è lento, procede infatti per tre stadi: viene prima usata in operazioni commerciali, poi può diventare oggetto di investimenti da parte di privati e infine può essere accettata come riserva per il mercato regionale e globale. Si ricordi che nel 2014 il rmb era incluso nelle riserve monetarie di 38 Paesi soltanto. E rappresentava circa 1,1% di tutte le riserve monetarie. L’euro contava per il 21%.
Negli anni recenti la Cina ha sottoscritto accordi di swap monetari con più di 40 banche centrali, in Asia, in Europa e in America Latina. Ciò ha facilitato l’uso dello rmb e ha favorito la concessione di quote di partecipazione nei programmi cinesi di investimenti esteri.
Si stima che nei prossimi 10 anni questa evoluzione potrebbe portare ad un flusso di circa 2-3 trilioni di dollari verso la Cina. Soprattutto le economie emergenti avranno un immediato interesse verso il rmb e il suo nuovo ruolo internazionale.
Ci si augura che l’Europa abbia piena consapevolezza delle oggettive implicazioni strategiche che il cambiamento in questione avrà. Non vorremmo che ancora una volta essa subisca certi processi rinunciando al protagonismo che la sua realtà economica e politica richiede. (di Mario Lettieri già sottosegretario all’Economia e Paolo Raimondi economista)

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A Caserta la prima edizione del Premio Althea

Posted by fidest press agency su domenica, 13 dicembre 2015

villa altheaPonte Volturno, Bellona – Caserta 27 dicembre dalle 16 a Villa Althea cerimonia di consegna del premio per i migliori ricercatori impegnati nella lotta alle malattie genetiche, le eccellenze del territorio, personalità coinvolte attivamente nel rilancio dell’alto casertano e esperti di enogastronomia. Nel corso dell’evento sarà anche inaugurata l’Orangerie: la nuova ala del complesso che va ad arricchire una struttura unica nel suo genere nel Sud Italia con i suoi 5 ettari di parco totalmente dedicati agli eventi e i suoi 500 metri quadri di laboratori dedicati ad una cucina biologica nella quale vengono privilegiati i prodotti a chilometro zero scelti all’interno di una filiera accuratamente selezionata.”La nascita del Premio- dichiara il direttore marketing di Villa Althea Lara Parente – coincide con lo sviluppo del nostro progetto imprenditoriale che ci vede sempre più impegnati nel creare opportunità di lavoro e di rilancio del territorio grazie agli eventi che ospitiamo.Quest’anno infatti inauguriamo l’Orangerie e nel corso del 2016 i nostri giardini diventeranno, in raccordo con il mondo universitario, un vero e proprio orto botanico a tutela della biodiversità e la nostra pista per elicotteri diventerà un eliporto a disposizione, non solo dei nostri eventi, ma anche del territorio.”L’evento sarà seguito dalla terza edizione di “I Dolci della tradizione”, la degustazione dei panettoni artigianali realizzati dal laboratorio di pasticceria di Villa Althea. (foto: villa althea)

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Cop21: l’accordo di Parigi non ci salverà dal Climate Change

Posted by fidest press agency su domenica, 13 dicembre 2015

n-COP21-largePARIGI – L’accordo globale per la lotta al Cambiamento Climatico siglato oggi a Parigi non curerà la malattia del pianeta. Mentre media e capi di Stato parlano di “enorme successo” e del compimento di un passo decisivo contro il riscaldamento globale e il Big business – ossia le grandi imprese mondiali – saluta quello che definisce uno “storico accordo”, scienziati e attivisti sono impegnati a denunciarne limiti di merito e di metodo.Che le grandi compagnie private siano felici non è mai un buon segno. In ogni caso l’accordo presenta nella forma alcuni punti ambiziosi: si definisce vincolante e ambisce a stabilizzare l’aumento della temperatura al di sotto dei 2°C “compiendo gli sforzi possibili per raggiungere gli 1,5°C” (art.2). Sin qui tutto bene: ma a invalidare ogni possibilità di efficacia concorrono alcuni elementi che non è possibile ignorare.Al di la degli indirizzi generali contenuti nel testo presentato stamani, il cuore della strategia di riduzione è contenuto degli Indc, gli impegni specifici dei singoli paesi. Tali impegni, calcolati complessivamente, sono completamente insufficienti a garantire il raggiungimento dell’ambizioso obiettivo. La revisione degli accordi si farà ogni 5 anni, prima verifica prevista nel 2023. Anche se tutti i paesi facessero la loro parte – cosa non scontata, visto che mancano ad oggi concreti strumenti di controllo e sanzione – la temperatura salirebbe comunque sopra i 3°.Esperti del Tyndall Centre for Climate Change Research (Inghilterra), del Center for International Climate and Environmental Research di Oslo, del Potsdam Institute tedesco e di altri istituti di Svezia e Austria avvertono che così com’è l’accordo non basta: non si prevede un anno specifico per il picco emissivo, ma occorre ridurre di almeno il 70% le emissione entro metà del secolo sui livelli del 2010 e per farlo dovremmo iniziare a ridurre adesso, immediatamente, e non nel 2020, quando entrerà in vigore l’accordo. Con queste premesse il riferimento vaghissimo alla “neutralità delle emissioni” da raggiungere senza fretta, la seconda metà del secolo, è poco più di una formula di rito.La verità è che mentre eravamo tutti concentrati sui dettagli dell’accordo, abbiamo perso di vista il punto di fondo: la sostanziale mancanza di una volontà politica condivisa per agire drasticamente ed immediatamente che vuol dire abbandonare i fossili, tagliare i sussidi, convertire il modello produttivo attraverso una transizione giusta per i lavoratori e indispensabile per il pianeta. La Cina, mentre i cittadini di Pechino soffocano sotto una coltre di smog con concentrazioni di particelle sottili che ha superato di oltre 30 volte la soglia di allarme dell’OMS, annuncia che inizierà a ridurre solo dal 2030. L’India non ha alcuna intenzione di rinunciare al carbone. L’Italia dice di sposare, per voce del Ministro Galletti, l’obiettivo del 1,5° e intanto impone dall’alto progetti estrattivi e infrastrutture energetiche lungo tutta la penisola, in terra e in mare. Sono solo alcuni esempi delle contraddizioni che si annidano tra proclami e politiche energetiche, tra ambizione e impegno.
Nel testo di 31 pagine votato a Parigi neppure una volta vengono nominati i termini “petrolio”, “carbone” o “combustibili fossili”. Neppure un cenno alla necessità di tagliare i 5.300 miliardi di dollari l’anno di sussidi ai combustibili fossili. Aviazione civile e trasporto marittimo, che rappresentano il 10% delle emissioni, sono fuori dall’accordo. Si parla di trasferimento di tecnologie ma non si mette mai in discussione del diritto di proprietà intellettuale. Il meccanismo Loss&Damage, per sostenere le popolazioni piu vulnerabili per le perdite subite a causa del cambiamento climatico, non è definito nel sistema di indennizzi. La conferma del meccanismo dei Redd+ mette in pericolo l’obiettivo di sviluppo sostenibile della deforestazione zero entro il 2020. Si ribadisce, a livello di finanziamento, l’impegno per 100 miliardi l’anno da qui al 2020, cui i paesi in via di sviluppo (India e Cina comprese) potranno contribuire su base volontaria, anche se dal 2010 – anno in cui il Fondo Verde per il Clima è stato istituito – solo il 10% delle promesse di erogazione sono state mantenute.In definitiva i governi – e di conseguenza i negoziatori – non hanno avuto il coraggio di inchiodare alle loro responsabilità le grandi imprese, e chiedere loro di pagare per i danni provocati e per finanziare una transizione climaticamente sostenibile.La cosa peggiore è che si grida al successo mentre la barca affonda. Mentre la scienza dice che non c’è più tempo, l’Oim avverte che a causa del clima ci saranno 250milioni di profughi ambientali nel 2050, il FMI ribadisce che il cambiamento climatico è una minaccia anche per la stabilità dei mercati, i capi di stato brindano per un accordo che entrerà in vigore non ora, ma tra 5 anni. Con il tempo potrebbe essere scaduto.Per protestare contro l’accordo diverse mobilitazioni hanno attraversato oggi la blindatissima città di Parigi. Durante la mattinata oltre 3.000 persone hanno partecipato all’azione che ha prodotto sul satellite l’enorme scritta Climate Justice Peace.
Alle 12.00 15.000 attivisti hanno sfidato il divieto della prefettura e composto una enorme linea rossa sulla Rue della Grande Armèe, vicino all’Arco del Trionfo, zona piena di ambasciate, per ribadire che la linea rossa del cambiamento climatico, ovvero il punto di non ritorno, non va oltrepassato per nessuna ragione.
Alle 14.000 oltre 20.000 si sono ritrovate al Champs de Mars, molte le quali sono arrivate dall’Acro di Trionfo, improvvisando un corteo non autorizzato. Sotto la Torre Eiffel si è formata una enorme catena umana. Dal palco, e durante i lavori delle organizzazioni sociali che per tutte e due le settimane hanno discusso parallelamente al vertice, si è parlato della necessità di rilanciare la vertenza globale per la giustizia climatica affinché a cambiare alla fine sia “il sistema, non il clima”.È chiaro che timidi correttivi non saranno sufficienti, e che serve invece una alternativa radicale. Per questo è molto importante che dopo Parigi l’impegno si sposti sui fronti di vertenza nazionale, contro ogni singolo impatto contaminante. Dalle infrastrutture energetiche ai nuovi campi petroliferi, al fracking, alle sabbie bituminose, alle centrali al carbone, all’incenerimento di rifiuti, alla cementificazione. Dopo le giornate di Parigi c’è bisogno di tornare ciascuno a casa e di cominciare a tessere la rete della battaglia contro la distruzione del pianeta. In Italia come negli Usa, in Nigeria, in Canada, in India e in ogni altro paese del mondo, c’è da costruire un quadro globale radicalmente alternativo fatto di migliaia di lotte territoriali.Perché per vincere la guerra, e quella contro il cambiamento climatico lo è, bisogna vincere ogni battaglia possibile. (Marica Di Pierri Giornalista, attivista di A Sud e presidente del CDCA fonte: HUFFINGTON POST ITALIA)

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Egitto: distrutti 20 tunnel al confine con la Striscia di Gaza

Posted by fidest press agency su domenica, 13 dicembre 2015

tunnelLa forze armate egiziane hanno distrutto a novembre 20 tunnel ai confini con la Striscia di Gaza. Lo ha riferito il portavoce militare egiziano, il generale Mohamed Samir, tramite un comunicato pubblicato sulla pagina Facebook delle forze armate.
Ai confini tra l’Egitto e la Striscia di Gaza sono presenti numerose gallerie sotterrane che vengono utilizzate per trasportare materiali, tra cui armi e medicinali, per aggirare i controlli delle autorità egiziane. I tunnel vengono anche utilizzati per far entrare in Egitto terroristi e miliziani jihadisti provenienti dalla Striscia.
Nel corso delle operazioni condotte lo scorso mese, le forze armate egiziane hanno anche sequestrato enormi quantità di munizioni e materiali esplosivi, oltre a 15 tonnellate di sostanze stupefacenti. Nel corso dei controlli inoltre sono stati fermati 610 clandestini che tentavano di arrivare nel paese tramite queste gallerie. (Fonte: Agenzia Nova, 7 Dicembre 2015) Nell’immagine: le foto dei tunnel tra l’Egitto e la Striscia di Gaza distrutti dall’esercito del Cairo nel Novembre scorso (Emanuel Baroz)

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Soluzioni per la sicurezza energetica e la riduzione delle emissioni

Posted by fidest press agency su domenica, 13 dicembre 2015

energie rinnovabiliBrussels (Belgium) 15 dicembre 2015 h. 9,15 – 17,30 University Foundation, Rue d’Egmont 11 Due grandi sfide attendono l’Europa nei prossimi anni: diminuire la dipendenza da fonti non rinnovabili in favore di un maggiore impiego di quelle rinnovabili e garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico, oggi minacciata da scenari socio-politici in evoluzione e da questioni legate alla disponibilità soprattutto dei combustibili fossili. Per dare una risposta a queste esigenze, il progetto finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del VII Programma Quadro MILESECURE-2050 (Multidimensional Impact of the Low-carbon European Strategy on Energy Security, and socio-economic dimension up to 2050 perspective) per 2 milioni 450 mila euro e coordinato dal Politecnico di Torino, si propone di contribuire al superamento delle criticità che impediscono la riduzione di consumo di combustibili fossili e a realizzare una road map europea che aiuti a diversificare le fonti energetiche.
Sicurezza degli approvvigionamenti delle fonti energetiche, sostenibilità e competitività sono infatti i tre pilastri complementari della politica energetica europea, obiettivi riconfermati anche per la programmazione 2020-2030 su clima ed energia. Tuttavia, mentre l’Unione Europea è riuscita a istituzionalizzare una politica climatica, come confermano anche i risultati del recente vertice di Parigi, non è ancora stata in grado di formulare una politica di successo per la sicurezza energetica, nonostante il fatto che anche questo secondo elemento sia notevolmente cresciuto in importanza nell’agenda politica. Le potenziali sinergie tra il cambiamento climatico e la sicurezza energetica sono ancora poco studiate.
Risolvere le sfide dei prossimi anni richiederà trasformazioni strutturali riguardanti l’intero sistema energetico, nella fornitura di energia al modo in cui viene organizzata al livello della società. Questi cambiamenti richiedono inoltre una radicale modifica nel modo con cui pensiamo all’energia, a tutti i livelli, da quello istituzionale fino all’assunzione di responsabilità da parte di ogni singolo utente. In particolare, la maggior parte dei documenti politici si concentra su cambiamenti economici, geo-politici e tecnologici, ma non si sofferma su come i cambiamenti, a qualsiasi livello, coinvolgano il fattore umano, che invece è un’importante risorsa in una prospettiva di cambiamento come quella che dovrà riguardare tutta la popolazione europea nei prossimi anni.
“É ormai evidente che la transizione energetica è innanzitutto un processo di carattere sociale e culturale, più che di innovazione tecnologica, in quanto richiede un grande sforzo da parte di tutti i membri della società per modificare gli attuali modelli di vita e le abitudini individuali. Richiede anche un cambiamento negli attuali modelli di governance, ancora troppo legati a schemi decisionali di tipo top-down, che spesso non facilitano la presa di coscienza e la consapevolezza, da parte dei cittadini, delle azioni e innovazioni che possono essere realizzate in maniera diretta e partecipata, per dare soluzione ai problemi energetico-ambientali”, spiega Patrizia Lombardi, coordinatore del partenariato composto da 11 partner provenienti da 9 Paesi e Direttore del Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio di Politecnico e Università di Torino. “Partendo da un approccio multidisciplinare, di tipo olistico, MILESECURE-2050 ha esaminato in maniera integrata le prospettive di cambiamento nel lungo periodo e la natura co-evolutiva di questa transizione, identificando ed analizzando i principali fattori drivers e le principali barriere al cambiamento, anche grazie ad un’analisi dettagliata di casi di successo”.
Il progetto MILESECURE-2050 ha proposto un “manifesto” per creare un percorso verso le transizioni energetiche con l’inclusione, ritenuta un punto fondamentale del processo, del fattore umano per la riduzione delle emissioni di carbonio e lo sviluppo energetico sicuro, che verrà presentato nel corso del seminario internazionale “The Human Factor In Energy Transition & Security Towards 2050”

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