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Quotidiano di informazione – Anno 36 n° 167

Archive for 16 giugno 2024

1000 Miglia 2024, come Vesco e Salvinelli nessuno mai

Posted by fidest press agency su domenica, 16 giugno 2024

Si è concluso il tour the force di 2200 chilometridella 1000 Miglia 2024. I 421 equipaggi concorrenti, con i loro gioielli d’epoca costruiti fra il 1927 e il 1957, hanno percorso il classico tracciato da Brescia a Roma e ritorno in senso antiorario, come fecero gli eroi delle prime edizioni della 1000 Miglia di velocità. A ospitare i traguardi di tappa sono state Torino (per la prima volta nella sua storia), Viareggio, la Capitale e San Lazzaro di Savena, prima del ritorno a Brescia con l’ultima passerella dalla pedana di Viale Venezia.Andrea Vesco e Fabio Salvinelli hanno compiuto un’impresa intentata nella storia della Corsa più bella del mondo, laureandosi campioni per la quarta volta consecutiva a bordo della loro Alfa Romeo 6c 1750 SsSpider Zagato del 1929: un primato che sarà difficile da eguagliare in futuro. Per Vesco si tratta per la verità della quinta vittoria di fila (su 7 totali), avendo trionfato anche nel 2020 in coppia col padre.“Siamo felici, come potremmo non esserlo! – il commento a caldo di Andrea Vesco – ci prepariamo per fare grandi cose e siamo contenti perché quest’anno siamo stati davanti sin dalla prima prova e abbiamo sempre mantenuto il vantaggio. Abbiamo fatto grandi risultati e ora ci godiamo questa vittoria”.Se i campioni in carica sono stati cannibali sin dal primo blocco di prove del Castello di Brescia, alle loro spalle c’è stata battaglia: alla fine però, Gianmario Fontanella e Anna Maria Covelli si aggiudicano un meritato secondo posto con la loro Lancia Lambda Casaro VII Serie del 1927, seguiti da Alberto Aliverti e Stefano Valente, anche loro in gara con una 6C del 1929.Vincono il Ferrari Tribute Frank Binder e Giordano Mozzi con una 296 GTS, secondi Celestino e Antonio Sangiovanni su una 812 GTS. Completano il podio Gianluigi e Federico Smussi su una F355 GTS del 1996. Mirco Magni e Alessandro Ferruta si aggiudicano il primato nella 1000 Miglia Green con una Polestar 2, la 1000 Miglia Experienceinvece va a Ismaele e Marco Luigi Ghilardelli su una Mercedes AmgGt C. (Fonte adnkronos)

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Al via il Festival d’inchiesta e reportage giornalistico del CGP

Posted by fidest press agency su domenica, 16 giugno 2024

Parco del Torrione in via Prenestina 73, in collaborazione con il circolo Arci Sparwasser, A Buon Diritto e Irpi Media. Sul palco quest’anno anche ospiti internazionali: Lamine Benghazi, responsabile del programma Giustizia e Stato di diritto di Avocats Sans Frontières (ASF) in Tunisia; il giornalista palestinese Safwat Khalout, rientrato in Italia da Gaza pochi mesi fa, il direttore esecutivo di +972 Haggai Matar e la direttrice del Khanenko Museum di Kyiv Yulia Vaganova; Tra le giornaliste e i giornalisti presenti Chiara Cruciati (il manifesto), Costanza Spocci (Radio3), Giulia Siviero (Il Post), Paola Caridi, Chiara Avesani (Presadiretta), Veronica Fernandez (RaiNews), Daniele Raineri (La Repubblica), Luca Chianca (Report).Tutti gli eventi serali, a partire dalle 20:30, saranno tradotti simultaneamente in lingua italiana dei segni.Fire inizia il 18 giugno alle 18:30 con “Un altro fotogiornalismo. Le storie dietro le notizie”, la presentazione delle mostre diffuse con le autrici e gli autori Natàlia Alana, Valerio Muscella, Daniela Sala e Giovanni Culmone. Alle 20:30 si parla di Nord Africa, con giornalisti e inviati esperti del tema che si interrogheranno sui profondi cambiamenti in corso negli ultimi anni, tra repressione e resistenza. Mercoledì 19 giugno si riparte alle 18:30 con un incontro sulla questione del caro affitti e della precarietà abitativa a Roma, dando voce alle realtà sociali del territorio. Alle 20:30, invece, un dibattito sul carcere e la vita delle persone LGBTQIA recluse, con Mauro Palma, già Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, testimonianze e associazioni che si occupano del tema. Giovedì 20 è il turno della mostra fotografica “Senza Segnale” che racconta alcuni dei territori più periferici del paese, dimenticati dai media. Poi spazio alla proiezione della partita Italia-Spagna degli Europei di calcio. Venerdì 21 giugno, alle 18:30, giornaliste e attiviste tra Italia, Polonia e Argentina discuteranno dell’attacco ai corpi delle donne, delle persone trans* e delle soggettività non conformi e di pratiche di resistenza . Alle 20:30, focus sul ruolo del giornalismo alla luce di quanto sta accadendo nella Striscia di Gaza, e sul problema della censura e dell’autocensura all’interno della narrazione mediatica, con ospiti internazionali e giornalisti e giornaliste palestinesi.Il festival si concluderà il 22 giugno con due talk. Il primo, alle 18:30, sui costi dell’estrazione di combustibili fossili, a partire dalla causa intentata da Greenpeace e Re:Common nei confronti di ENI. A seguire, alle 20:30, un incontro dedicato alla questione ucraina e alla normalizzazione della narrazione giornalistica della guerra negli ultimi mesi, con uno sguardo ampio sugli scenari futuri.

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G7: non solo guerre ma anche il debito

Posted by fidest press agency su domenica, 16 giugno 2024

di Mario Lettieri e Paolo Raimondi. In vista del Giubileo del 2025 la Santa Sede sta sollecitando la vasta rete delle organizzazioni internazionali, politiche, sociali e culturali, a formulare e promuovere politiche per condonare o almeno ridurre il fardello dei debiti dei paesi poveri. Pochi giorni fa, parlando al simposio “Affrontare la crisi del debito nel Sud del mondo”, organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze, papa Francesco ha rinnovato la richiesta di una moratoria sui debiti. Naturalmente non si è limitato a questo appello ma ha prospettato la necessità di “una nuova architettura finanziaria internazionale audace e creativa”, cioè “ la creazione di un meccanismo multinazionale, basato sulla solidarietà e sull’armonia tra i popoli, che tenga conto del significato globale del problema e delle sue implicazioni economiche, finanziarie e sociali”, al fine di spezzare il circolo vizioso del finanziamento che diventa indebitamento. D’altra parte è risaputo che la sola moratoria sui debiti crea un momentaneo sollievo alle economie dei paesi più poveri ma non affronta alla radice le vere cause, quali gli annosi problemi del sottoviluppo, della dipendenza e della sottomissione economica ai vecchi e nuovi colonialismi pubblici e privati. La moratoria sui debiti nei confronti dei paesi poveri era stata sollecitata anche da papa Giovanni Paolo II per il Giubileo dell’Anno 2000. Il risultato dell’iniziativa fu la cancellazione del debito per 52 fra i paesi più poveri del mondo. Nel 2005, il G8, anche con una forte azione dell’Italia, condonò debiti per 40 miliardi di dollari e varie istituzioni finanziarie lo fecero per 130 miliardi.Anche la cancellazione non basta. Infatti, passati meno di due decenni, la crisi del debito si presenta più minacciosa, soprattutto in Africa. Tra il 2013 e il 2022 la percentuale media del debito pubblico in Africa è raddoppiata, passando dal 30% al 60% del pil. Se paragonata con la media di oltre il 100% dei paesi cosiddetti avanzati o con il 138% dell’Italia, il livello africano potrebbe sembrare “virtuoso”. Per i paesi poveri, però, ripagare i prestiti è sempre più difficile e gli interessi crescono. Il debito di fatto diventa un sistema di colonizzazione che può considerarsi una vera e propria schiavitù. Il pagamento degli interessi su un debito anche di dimensioni limitate può mandare in tilt il bilancio di uno Stato. Per esempio, l’Angola deve usare il 60% del suo pil per il servizio del debito. Ogni due mesi la Guinea Bissau chiede un prestito alla Banca dell’Africa occidentale non per nuovi investimenti bensì per pagare i salari dei dipendenti pubblici. Le spese correnti vengono coperte con i debiti, creando così un meccanismo perverso. Il Papa è entrato nel merito del tipo di finanziamento finora concesso ai paesi poveri, rilevando che “ai popoli non serve un finanziamento qualsiasi, ma quello che implica una responsabilità condivisa tra chi lo riceve e chi lo concede.” Dipende dalle condizioni poste, da come viene usato e dalle specifiche situazioni in cui si trovano i singoli paesi indebitati. Infatti, troppo spesso i finanziamenti nascondono delle “trappole” mortali: condizioni di austerità insostenibili, il land grabbing, con il quale chi concede il credito si garantisce lo sfruttamento di grandi territori e delle materie prime. I finanziatori sono sempre più fondi finanziari anonimi che applicano le più ferree e dure leggi di mercato. A ciò vanno aggiunte altre perniciose tendenze interne ai paesi che chiedono e ricevono i finanziamenti, tra cui sicuramente la corruzione pervasiva, una gestione incompetente e la corsa all’acquisto di armamenti. Come ha spesso fatto nei suoi interventi, il Pontefice afferma che “il debito ecologico e il debito estero sono le due facce di una stessa medaglia.” Al di la delle controversie circa gli studi sull’ambiente e sul cambiamento climatico è indubbio che i paesi occidentali abbiano un grande debito ecologico nei confronti dei paesi poveri, dovuto a molti decenni di sfruttamento incondizionato delle risorse. Esempi tangibili sono le miniere scavate senza alcun rispetto per l’ambiente. Per non dire della manodopera locale sfruttata e senza neanche i minimi diritti.Che il Papa parli di questi argomenti è molto importante. Ci auguriamo che i governi del G7 e le grandi istituzioni internazionali, che hanno proprio la responsabilità politica di affrontare queste sfide, lo ascoltino. Purtroppo, temiamo che anche il G7 di Borgo Egnazia in Puglia possa restare muto di fronte a queste emergenze. Il problema però c’è ed è di prima grandezza! Mario Lettieri già sottosegretario all’Economia e Paolo Raimondi economista

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Stabilità del quadro politico dall’Italia all’Europa e crisi di sistema

Posted by fidest press agency su domenica, 16 giugno 2024

By Enrico Cisnetto direttore terza Repubblica. Stabilità o meno del governo, evoluzione (o involuzione) a sinistra, nascita di un partito nuovo, non ancillare ai due poli: tutto questo molto dipenderà da come si evolveranno le cose a Bruxelles, che a loro volta saranno la diretta conseguenza di ciò che accadrà a Parigi e Berlino. Macron e Scholz hanno avuto due reazioni opposte alle rispettive débâcle, figlie di temperamenti agli antipodi. L’inquilino dell’Eliseo, preso atto di aver ottenuto meno della metà dei consensi del Rassemblement National di Marine Le Pen e del giovanissimo Bardella (15% contro 31,4%), si è prodotto nella “mossa del cavallo”: ha sciolto l’Assemblea Nazionale e ha indetto elezioni anticipate a stretto giro, il 30 giugno il primo turno, il 7 luglio il secondo. Qualcuno ha parlato di mossa suicida, e può darsi che alla fine le destre porteranno a casa la maggioranza dei 577 seggi parlamentari e Macron sarà costretto alla cosiddetta cohabitation. Ma attenzione, la legge elettorale prevede che al primo giro passino solo i candidati che nei 577 collegi uninominali in cui è divisa la Francia abbiano ottenuto la maggioranza assoluta, mentre in caso contrario, accedono al ballottaggio coloro che hanno ottenuto almeno il 12,5%. Questo meccanismo fa sì che il partito che ha ottenuto più voti al primo turno non necessariamente abbia un peso corrispettivo nella futura Assemblea. Per esempio, nel 2022 la Le Pen ottenne il 18,6% dei voti al primo turno, senza a riuscire ad eleggere alcun deputato. E al secondo si possono fare alleanze “anti”. È così che finora il fronte repubblicano ha sempre tenuto lontano dal potere l’ultra-destra. Certo, ora i gollisti (quel che ne resta) si sono spaccati, ma la partita è comunque aperta. E io confido che Macron sappia offrire una sponda all’emergente Raphaël Glucksmann (con il suo movimento “Place Publique” e il Partito socialista è arrivato al 14%, poco sotto Renew), specie ora che ha rifiutato di irregimentarsi con la gauche d’antan di Jean-Luc Mélenchon.Sull’altra sponda del Reno, Scholz ha invece scelto la via, solo apparentemente più prudente, di far finta di nulla. Certo, ha ammesso la sconfitta – ma non poteva fare diversamente, visto che i tre partiti che sostengono il governo hanno ottenuto complessivamente quanto la Cdu all’opposizione (31%) e l’Spd è stata scavalcata dai neonazisti e filo-putiniani dell’Afd, che sfiorano il 16% diventando il secondo partito (con un radicamento fortissimo, non a caso nella vecchia Germania Est) – ma ha rimandato tutto a fine legislatura, tra poco più di un anno. Così, però, è costretto a guardare in modo passivo i cristiano democratici aprire ad accordi per le amministrative d’autunno con Afd in Sassonia e Turingia, dove i neo-nazi hanno il 30%. Per ora il leader della Cdu, Merz, prova a frenare, ma certo l’immobilismo di Scholz sta spingendo la parte più conservatrice dei popolari verso l’estrema destra. L’opposto di quello che sta accadendo in Francia.Ora restano da vedere tre cose. La prima: se il Ppe confermerà o meno l’indicazione di Ursula von der Leyen come candidata alla presidenza della Commissione Ue. È molto probabile, ma i nemici (interni al Ppe) non mancano. La seconda: per la sua riconferma, come anche per un eventuale candidato diverso, ci si baserà solo sull’attuale maggioranza o, nel timore di franchi tiratori, si vorrà aprire ad altre alleanze? E in questo caso, i Verdi, che pur avendo perso 19 seggi conservano un pacchetto di 53 voti, oppure a una parte delle destre, come per esempio i 26 parlamentari di Fratelli d’Italia e chi degli altri 47 che si iscriveranno al gruppo capeggiato dalla Meloni (in totale Ecr ha 73 seggi) vorrà eventualmente seguirli? Terza questione: che maggioranza si formerà nel Consiglio Europeo, che riflette la condizione politica degli Stati nazionali? Meloni preferirà un accordo con la Le Pen e Orban per mettersi alla testa di un grande rassemblement della destra europea, con ciò isolando l’Italia in Europa in modo devastante, o sceglierà di votare la sua amica Ursula (o chi per essa) anche solo con un appoggio esterno? Da questo non facile incrocio di interessi da comporre e volontà da conciliare, così come dal risultato del voto francese (e, potrà sembrare strano, anche da quello inglese, il 4 luglio) dipenderà il futuro dell’Europa e quindi il nostro. Mentre noi ci trastulleremo con premierato e autonomia regionale, nell’illusione di esorcizzare i motivi che tengono la maggioranza degli italiani lontani dalle cabine elettorali.

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Il quadro politico italiano

Posted by fidest press agency su domenica, 16 giugno 2024

By Enrico Cisnetto direttore terza Repubblica. In queste ore post-elettorali si sono dette anche altre tre cose: che il governo si è rafforzato; che il campo largo del centro-sinistra può finalmente nascere perché ora sarà la Schlein a realizzarlo; che per colpa di Calenda e Renzi il cosiddetto Terzo Polo (ma andrebbe scritto con due elle) è definitivamente morto e sepolto. Spiace deludere i tanti (anche gente stimabile, mannaggia) che si sono spesi per queste tre circostanze, ma le cose non stanno proprio così. Il governo è appeso, né più né meno di prima, alle convulsioni interne che lo attraversano, e che dipendono sì dai capricci di Salvini, ma soprattutto dalle contraddizioni politiche che dividono chi lo compone su questioni fondamentali, a cominciare dalla politica estera e in particolare la collocazione in Europa e il rapporto con la Russia di Putin. Non v’è chi non veda che le scelte da fare per dare un assetto alle istituzioni comunitarie, gli sviluppi della guerra in Ucraina, il posizionamento da prendere nei confronti di Israele, le conseguenze dell’eventuale ritorno di Trump alla Casa Bianca e la manovra di bilancio da fare con margini strettissimi e sotto procedura d’infrazione Ue per deficit e debito eccessivi, rappresentano altrettanti passaggi cruciali, e a dir poco difficili, cui il governo Meloni dovrà far fronte, e possibile fonte di incrinature interne. Se Meloni sceglierà di fare fronte comune con la Le Pen, Forza Italia potrà far finta di niente? E, viceversa, se voterà la riconferma della von der Leyen (o altro candidato indicato del Ppe), che farà Salvini? Anche sul fronte del centro-sinistra, le contraddizioni di ieri sono rimaste quelle di oggi. Il Pd conta su 5,6 milioni di italiani contro i 5,3 delle politiche – ergo le cromie di Elly valgono 300 mila voti scarsi, la metà di quelli di Vannacci tanto per dirne una, e comunque la differenza l’hanno fatta i cosiddetti “cacicchi”, a cominciare da Decaro, l’ex sindaco di Bari – e non ha fatto un passo avanti nella definizione di una seria agenda di governo. Per fortuna in Europa sono andati prevalentemente esponenti riformisti, ma la segreteria Schlein, che era barcollante, si è ovviamente consolidata, e considerata la performance del duo Bonelli-Fratoianni – unici veri vincitori delle elezioni – ora guarderà ancor più di ieri a sinistra per costruire quella che è già chiamata “l’alternativa antifascista”. Che alternativa non è perché come ha notato Marco Follini, “senza un’area moderata non c’è una colazione in grado di vincere”. Dovremmo consolarci con la sonora sconfitta di Conte, grazie alla quale l’avvocato del popolo non potrà più esercitare la primazia nel “campo largo” che con gran tromboneria aveva rivendicato? Francamente l’unico motivo per rallegrarci sarebbe la definitiva sconfitta del grillismo, oltre che la scelta del Pd di smettere di considerare i 5stelle un soggetto di sinistra (in realtà rappresentano solo un populismo politicamente asessuato) e dunque un interlocutore con cui allearsi. D’altra parte, se il centro-destra si è trasformato in destra-centro, così il centro-sinistra non può che essere sinistra-centro, o addirittura sinistra-sinistra. È la polarizzazione forzata, che fa perno sulle ali anziché sul centro. Oltretutto, a sinistra manca la gamba centrista, che dall’altra parte è rappresentata da Forza Italia e suoi aggregati. Può darsi la faccia Calenda (auguri), o può essere che rinasca la Margherita (magari). Ma intanto stiamo a zero. Così come lo siamo, a zero, nella rappresentazione dell’area centrista, intesa come chi ha un progetto alternativo ad entrambi i poli e vuole la fine del bipolarismo estremizzato. Lo spazio politico c’è e quello elettorale pure (recuperando i tanti moderati sfiduciati e stanchi di non avere un’offerta politica adeguata), anzi è una prateria sconfinata, ma né Azione né Italia Viva sono più praticabili. Deve per forza nascere un soggetto politico nuovo, non più espressione di un singolo promotore, ma un partito vero con una leadership contendibile nato dall’adesione di più personalità ad un manifesto politico-culturale e programmatico. Qualche segnale c’è, per esempio ne è arrivato uno dall’ottimo Luigi Marattin, ma ne parleremo più avanti, quando la cosa si farà più matura.

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Elezioni europee e consensi elettorali

Posted by fidest press agency su domenica, 16 giugno 2024

By Enrico Cisnetto direttore terza Repubblica. Prima di analizzare il risultato delle elezioni europee, vanno anteposte due questioni metodologiche. La prima: in termini politici, occorre considerare il numero assoluto dei consensi, non le percentuali rispetto ai voti espressi, anche se nulla toglie alla legittimità della rappresentanza che da esse deriva. La seconda: un conto sono le sensazioni e un’altra è la realtà dei fenomeni elettorali e delle loro conseguenze; sono entrambe degne di uguale attenzione, ma non vanno confuse. Detto questo, occhio perché nulla è come sembra. Considero anch’io, come per molti, deludenti e per certi versi preoccupanti queste elezioni. Ma per motivi del tutto diversi da quelli che sono stati fin qui evocati. La delusione nasce dal fatto che non si è compreso, più o meno in egual misura a ogni latitudine del Continente, l’importanza di questa consultazione elettorale rispetto alla dimensione dei problemi che abbiamo davanti e all’epocalità del contesto storico. L’Europa è in una fase di pre-guerra e rischia di interrompere dopo 80 anni il formidabile ciclo di “pace, sviluppo, progresso e benessere” iniziato nel 1945 con la fine del secondo conflitto mondiale. Cosa ci può essere di più forte e coinvolgente per fare una campagna elettorale incentrata su questi temi (e invece si è parlato di tutt’altro), per essere indotti ad andare a votare (e invece la media europea è stata del 51%, con oltre la metà dei paesi con più cittadini rimasti a casa di quelli andati ai seggi, fino al massimo di astensione del 77% in Croazia) e per votare i partiti sinceramente europeisti (in maggioranza è stato così, ma il risultato dei sovranisti francesi, tedeschi e in parte italiani allarma). Insomma, se queste elezioni dovevano rappresentare una risposta ferma e decisa ai disegni imperialisti di Putin, così non è stato. E qui sta la mia preoccupazione. Perché se è vero che quella della “marea nera che sommerge l’Europa” è solo una (brutta) sensazione solo molto parzialmente suffragata dai numeri, e che in fondo dalle urne è emersa una “continuità nella discontinuità”, con la vecchia maggioranza europeista composta da Popolari, Socialisti e Liberali un po’ indebolita (il PPE guadagna 8 seggi, ma Renew ne perde 23 e il S&D 5) ma sufficientemente solida, visto che con 400 seggi complessivi conserva un margine di 39 voti parlamentari sui 361 necessari per avere il controllo dell’europarlamento, tuttavia nulla toglie alla gravità della sconfitta patita da Macron e Scholz e all’indebolimento europeo che genera, considerato che Francia e Germania sono stati fin qui il cuore e il motore del Vecchio Continente. Ma alle categorie della delusione e preoccupazione non sfugge neppure l’Italia, anzi. Intanto per il livello raggiunto dall’astensionismo. Da noi ha votato solo il 49,69% degli aventi diritto, percentuale che scende a poco più del 48% se si considerano gli elettori italiani all’estero e al 42% nei luoghi dove non c’erano anche elezioni amministrative (lì il traino ha portato il voto al 62%). Nella prima elezione a suffragio universale dell’europarlamento, nel 1979, andò a votare oltre l’85% degli italiani. Poi via via il numero è sceso: nel 1994 al 74,6%, nel 2009 al 66,4% fino al 56% la scorsa volta nel 2019. Una curva discendente che riflette anche l’andamento elettorale nazionale, fino alle ultime elezioni politiche del 25 settembre 2022 quando a votare andò il 63,9%, o il 60% se si considera anche il voto estero. Ma mai nella storia repubblicana l’astensione aveva superato la metà degli aventi diritto. Sintomo indubitabile che la nostra democrazia non stia per niente bene e che l’importanza cruciale dell’Europa, specie in un momento come questo, non sia stata compresa. Dunque, i risultati del voto di sabato e domenica scorsa non possono che essere esaminati alla luce di questo dato. E quindi guardando il numero assoluto dei voti, e non le percentuali. Così facendo si scopre che rispetto a due anni fa Fratelli d’Italia ha perso 577 mila suffragi (6 milioni 724 mila contro 7 milioni e 301 mila voti), la Lega 371 mila (e qui bisogna anche considerare che Vannacci ha portato oltre 550 mila voti personali) e Forza Italia ne ha persi 290 mila. Ergo le forze di governo hanno avuto complessivamente 1 milione e 238 mila voti in meno. Aggiungete gli oltre 2 milioni di voti persi dai 5stelle e il milione e 316 mila persi complessivamente dal trio Calenda, Renzi, Bonino, senza i quali nessuno di loro ha potuto superare lo sbarramento del 4%, e avrete il quadro di una vera e propria fuga degli italiani dalla politica. Gli unici ad incrementare il bottino, sempre rispetto alle politiche, sono stati l’Alleanza verdi-sinistra, oltre mezzo milione di voti in più, e il Pd, che però partiva dal livello più basso della sua storia e ha aggiunto solo 287 mila voti. Insomma, ciascuno è libero di dire di aver vinto, guardando alle sole percentuali, e il governo può rivendicare la propria stabilità, ma deve essere chiaro che si è vinto perdendo voti e che chi vince resta decisamente minoritario nel Paese. E tutto questo perché siamo dentro una crisi del sistema politico che viene da lontano, e che più la si ignora, accontentandosi di vincere perdendo, e più si aggrava. Crisi che certo non si risolverà con la presunta “rinascita del bipolarismo” (che poi, quello vero non è mai nato e quello malato inventato da Berlusconi nel 1994 non è mai morto). D’altra parte, per capire di che pasta sia fatto il bipolarismo al femminile, il Giorgia-Elly di cui tanto si sproloquia, basta osservare (con raccapriccio) le scene parlamentari di questi giorni (gli stessi in cui si ricorda, poco e male, Giacomo Matteotti).

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J. SAFRA SARASIN: Né Trump né Biden affronteranno il deficit fiscale

Posted by fidest press agency su domenica, 16 giugno 2024

A cura di Raphael Olszyna-Marzys, International Economist di J. Safra Sarasin. Entrambi i candidati riconoscono che i deficit fiscali sono troppo elevati, ma ciò che hanno proposto o che finiranno per fare manterrà il debito su un percorso insostenibile, a nostro avviso. I grandi squilibri di bilancio richiedono più che cambiamenti politici incrementali. Ma non sembra esserci consenso tra l’opinione pubblica o all’interno di Washington sulla necessità di fare presto scelte politiche e sacrifici difficili. Il Presidente Trump, e il suo entourage, sembrano essere impegnati in un piano fiscale “trickle-down”. Secondo l’America First Policy Institute, il think tank che sta dietro al programma di politica pubblica di Trump, i tagli alle tasse, le politiche fiscali a favore del lavoro e un ritmo più lento di crescita della spesa federale dovrebbero rilanciare la crescita economica reale al 4%. I repubblicani prevedono che i tagli fiscali saranno almeno in parte autofinanziati. Trump cercherà sicuramente di rendere permanenti i tagli fiscali del TCJA del 2017 (la cui scadenza è prevista per la fine del 2025). Secondo il CBO, l’estensione completa dei tagli fiscali del TCJA costerebbe circa 4,5 milioni di dollari nel prossimo decennio e aumenterebbe il deficit primario di oltre l’1% del PIL nel prossimo decennio. Cosa potrebbe fare un’amministrazione Trump: I repubblicani hanno solo 11 seggi al Senato in corsa per la rielezione, contro i 23 dei democratici. Inoltre, secondo la società di consulenza Cook Political Report, solo due di questi seggi potrebbero diventare competitivi. D’altra parte, 7 dei seggi dei Democratici saranno probabilmente un testa a testa o molto combattuti. È quindi probabile che i repubblicani riprendano il controllo del Senato. Ed è possibile che anche la Camera rimanga sotto il loro controllo. Questo, in teoria, darebbe mano libera a Trump e al suo team per modificare la legge. Tuttavia, alcuni repubblicani fiscalmente responsabili probabilmente si opporranno a grandi tagli fiscali non finanziati o a nuove spese, dato il cattivo stato delle finanze pubbliche statunitensi. Trump erediterebbe un deficit fiscale molto elevato, una spesa per interessi in aumento e un’economia più incline all’inflazione. Un’altra serie di tagli fiscali consistenti e non finanziati potrebbe riaccendere l’inflazione e aumentare le preoccupazioni sulla sostenibilità del debito. Inoltre, dato che la spesa discrezionale è già vicina ai minimi storici, è difficile immaginare che i tagli alla spesa per il sistema giudiziario, i trasporti, l’istruzione e i servizi sociali saranno sufficienti a spostare l’ago della bilancia del deficit. Cosa hanno detto i Democratici: Il Segretario al Tesoro Janet Yellen ha definito la “Bidenomics” come una moderna economia dell’offerta. Essa dà priorità all’offerta di lavoro, al capitale umano, alle infrastrutture pubbliche, alla ricerca e sviluppo e agli investimenti in un ambiente sostenibile, finanziati da aumenti delle tasse sulla fascia alta della distribuzione del reddito e sulle imprese. Biden probabilmente aumenterà la spesa. Non sembra avere il desiderio di affrontare la continua pressione al rialzo esercitata dai cambiamenti demografici sulla spesa per la sicurezza sociale, Medicare e Medicaid. Vorrebbe invece rafforzare alcuni altri programmi sociali volti a migliorare l’accesso all’istruzione e all’assistenza all’infanzia. Questa Amministrazione continuerebbe a perseguire l’obiettivo di ridurre i rischi delle catene di approvvigionamento e di dare impulso ai settori verdi incentivando gli investimenti. Lael Brainard, consigliere economico nazionale, ha dichiarato che l’obiettivo minimo di una nuova amministrazione è che qualsiasi estensione dei tagli fiscali sia interamente pagata attraverso l’aumento delle entrate. Cosa potrebbe fare un’amministrazione Biden: Se Biden vince la Casa Bianca, è improbabile che i democratici controllino il Congresso. Come già detto, è probabile che i repubblicani abbiano la maggioranza al Senato. Quindi Biden avrà probabilmente le mani legate. Probabilmente sarebbe in grado di finanziare un aumento della spesa sociale attraverso un aumento delle tasse, lasciando scadere alcuni dei tagli fiscali del TCJA. È quindi improbabile che il percorso del deficit si discosti troppo dalle attuali proiezioni di base del CBO. La conclusione è che è improbabile che il deficit si riduca molto con entrambi i candidati. Nel migliore dei casi potremmo vedere il deficit scendere a circa il 5% e il debito salire al 105% entro la fine del mandato. In effetti, entrambi i candidati hanno rinunciato a qualsiasi idea di riformare veramente i diritti (sotto Trump, potrebbero solo crescere a un ritmo leggermente più lento). Entrambi i candidati utilizzeranno la spesa pubblica per rilocalizzare le attività manifatturiere e strategiche negli Stati Uniti. Trump userebbe i sussidi per incentivare l’energia di origine nucleare, mentre Biden li userebbe per sostenere ulteriormente la transizione verde. La politica fiscale allentata e le dinamiche insostenibili del debito dovrebbero esercitare una pressione sui tassi d’interesse attraverso alcuni o tutti i seguenti canali: stimolare la domanda aggregata, eventualmente ritardando i tagli dei tassi; alzare il premio a termine, attraverso un aumento dell’inflazione e dei premi per il rischio fiscale, nonché una maggiore volatilità macroeconomica e escludere gli investimenti privati e alzare il tasso d’interesse di equilibrio di lungo periodo. Infine, è improbabile che i tagli alle imposte sulle società di Trump possano stimolare la crescita in modo duraturo e probabilmente aumenteranno il deficit. Altre politiche sbandierate dai repubblicani – un limite all’immigrazione, una tariffa del 10% su tutte le importazioni, tentativi di politicizzare la Fed – probabilmente danneggerebbero la crescita a lungo termine, peggiorando la dinamica del debito. Non si può escludere l’emergere di un premio per il rischio fiscale nel mercato dei Treasury statunitensi durante un secondo mandato di Trump.

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Debito high yield: il bond picking è fondamentale

Posted by fidest press agency su domenica, 16 giugno 2024

A cura di Tim Crawmer, Global Credit strategist di Payden & Rygel. Nel 2023 il debito high yield ha registrato performance eccezionali a livello globale, con rendimenti intorno al 12-13% che sarà difficile replicare nel 2024. Tuttavia, nello scenario attuale non mancano fattori positivi a sostegno del comparto high yield: le aziende vantano fondamentali solidi, supportati da condizioni macroeconomiche favorevoli, e la domanda per questo tipo di emissioni è superiore all’offerta disponibile sul mercato, il che determina un movimento al rialzo delle valutazioni. Per questo riteniamo che nel corso dell’anno i rendimenti dell’asset class si aggireranno intorno al 5-7%. Nell’universo high yield il bond picking è fondamentale: per questo in Payden abbiamo un team dedicato che svolge un’accurata analisi bottom-up dei fondamentali a livello globale, esaminando gli emittenti high yield statunitensi, europei ed emergenti in ciascun settore e riuscendo così ad individuare le migliori opportunità di investimento. Ad oggi vediamo valore soprattutto nel sistema bancario e, in particolare, nei titoli con rating subordinato di alcuni degli istituti più solidi a livello sistemico che offrono valutazioni interessanti rispetto ad altri emittenti high yield non bancari. A tenere basse le valutazioni del settore bancario hanno contribuito senza dubbio i timori scatenati dalla crisi e dalla conseguente operazione di salvataggio del colosso Credit Suisse nel 2023. Al momento, i principali rischi che individuiamo nel comparto high yield sono legati al fatto che le attuali valutazioni riflettono già i dati fortemente positivi dal punto di vista dell’analisi tecnica e dei fondamentali. Dunque, il sentiment è già positivo e la dispersione è relativamente bassa. Allo stesso tempo, però, gli emittenti high yield devono fare i conti con un costo del debito più elevato, che pensiamo avrà un impatto negativo soprattutto per i titoli di qualità inferiore e per le aziende più indebitate, che magari hanno aumentato la leva finanziaria confidando nel fatto che i tassi d’interesse sarebbero rimasti bassi e che ora potrebbero trovarsi in serie difficoltà. Questo materiale è stato approvato da Payden & Rygel Global Limited, società autorizzata e regolamentata dalla Financial Conduct Authority del Regno Unito, e da Payden Global SIM S.p.A., società di investimento autorizzata e regolamentata dalla CONSOB italiana. Questo articolo ha uno scopo puramente illustrativo e non è da intendersi come consulenza fiscale, legale o finanziaria professionale. Vi invitiamo a rivolgervi al vostro consulente fiscale, legale e finanziario per esaminare la vostra situazione specifica. Le dichiarazioni e le opinioni qui riportate sono aggiornate alla data del presente documento e sono soggette a modifiche senza preavviso. Inoltre, le opinioni espresse in questo articolo non sono necessariamente indicative dell’opinione di Payden & Rygel. Questo materiale non può essere riprodotto o distribuito senza l’autorizzazione scritta di Payden & Rygel. Con oltre 162 miliardi di dollari in gestione, Payden & Rygel è leader nella gestione del risparmio e annovera tra i suoi clienti banche centrali, fondi pensione, imprese di assicurazione, università, banche private e fondazioni di varia natura. Società di gestione indipendente e non quotata, Payden ha sede a Los Angeles con uffici a Boston e hub di gestione a Londra e a Milano. By BC Communication

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Rates playbook: look to add duration risk

Posted by fidest press agency su domenica, 16 giugno 2024

We did not learn anything new about the Fed’s strategy, forecasts, or balance of risks from the June FOMC. Inflation continues to track around 2.5-3%. I think the constellation of growth/labor/inflation data over the past 12 months should allow us to incrementally build more confidence that the Q1 spike in inflation was a statistical anomaly and the disinflation process remains largely intact; and above-trend domestic demand growth and robust employment are not translating into upside risks to inflation and wage growth.The bulk of excess inflation today remains a function of legacy shocks and shifts (see below). This supports the Fed’s core view that the stance of monetary policy is sufficiently restrictive to generate a sustainable decline in underlying inflation to 2%. To get a sense of where inflation is going, we (and the Fed) must work with contemporaneous and forward-looking data. Roughly, this will be some combination of inflation expectations (stable around 2%), economic growth (stable around 2.5%), labor market dynamism (slowing rapidly), and wage growth (slowing but around 1%pt above where the Fed wants to see it relative to productivity growth). I think this mix gives us most of the ingredients to start normalizing rates this year, perhaps as early as September. At this stage, our focus should shift to the trajectory for front end rates in 2025. We’re priced for around 75bp of cuts next year, with a terminal rate of 4% in this easing cycle. My base case is that this is too high, even with the Fed’s estimates of long-term neutral rates drifting higher towards 3-3.5% from 2.5% in 2018/19. Powell sketched out three scenarios under consideration at the FOMC this year: stay on hold to build more confidence in inflation trending lower; cut because inflation is sustainably approaching 2%; and cut because unemployment is rising quickly. I see Q2 inflation data supporting a small shift in probabilities from option 1 to 2. More importantly, odds of the Fed resuming hikes to offset rising inflation expectations or an acceleration in wage growth continue to recede, despite a significant easing in financial conditions since last October. This should give us more confidence of a durable ceiling on longer end Treasury yields around 4.5-5%, with the upper end of that range likely to require a deterioration in the fiscal outlook/higher term premium

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Post FED: tassi a rischio duration

Posted by fidest press agency su domenica, 16 giugno 2024

Dal FOMC di giugno non abbiamo appreso nulla di nuovo sulla strategia, sulle previsioni o sull’equilibrio dei rischi della Fed. L’inflazione continua a mantenersi intorno al 2,5-3%. L’insieme di dati su crescita, lavoro e inflazione degli ultimi 12 mesi potrebbe aumentare la fiducia nel fatto che l’impennata dell’inflazione del 1° trimestre è stata un’anomalia statistica e il processo di disinflazione rimane in gran parte intatto; e (2) la crescita della domanda interna superiore al trend e la solida occupazione non si stanno traducendo in rischi al rialzo per l’inflazione e la crescita dei salari. La maggior parte dell’inflazione in eccesso oggi rimane una conseguenza degli shock e degli spostamenti precedenti (vedi sotto). Ciò sostiene l’opinione di fondo della Fed, secondo cui l’orientamento della politica monetaria è sufficientemente restrittivo da generare un calo sostenibile dell’inflazione sottostante fino al 2%. Per capire l’andamento dell’inflazione, occorre lavorare con dati contemporanei e prospettici. Indicativamente, si tratterà di una combinazione di aspettative di inflazione (stabili intorno al 2%), crescita economica (stabile intorno al 2,5%), dinamismo del mercato del lavoro (in rapido rallentamento) e crescita dei salari (in rallentamento ma circa l’1% al di sopra di quanto la Fed vuole vedere rispetto alla crescita della produttività). L’insieme di questi elementi crea i presupposti per iniziare a normalizzare i tassi quest’anno, forse già a settembre. Alla luce di ciò, la nostra attenzione dovrebbe spostarsi sulla traiettoria dei tassi finali nel 2025, con una quotazione di circa 75 punti base di tagli il prossimo anno, con un tasso finale del 4% in questo ciclo di allentamento. Il nostro scenario di base è che si tratti di un livello troppo elevato, anche se le stime della Fed prevedono un aumento dei tassi neutrali a lungo termine verso il 3-3,5% rispetto al 2,5% del 2018/19. Powell ha delineato tre scenari che verranno presi in considerazione dal FOMC di quest’anno: (1) rimanere in attesa per aumentare la fiducia nel trend al ribasso dell’inflazione; tagliare perché l’inflazione si sta avvicinando in modo sostenibile al 2%; e tagliare perché la disoccupazione sta aumentando rapidamente. I dati sull’inflazione del 2° trimestre supportano molto più probabilmente la seconda opzione. Soprattutto, le probabilità che la Fed riprenda i rialzi per compensare le aspettative di inflazione in aumento o un’accelerazione della crescita salariale continuano a diminuire, nonostante un significativo allentamento delle condizioni finanziarie dallo scorso ottobre. Questo dovrebbe farci sperare in un limite massimo duraturo per i rendimenti dei Treasury a più lungo termine, intorno al 4,5-5%, con l’estremità superiore di tale intervallo che probabilmente richiederà un deterioramento delle prospettive fiscali e un premio a termine più elevato.

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Is America afraid of China’s scientific power?

Posted by fidest press agency su domenica, 16 giugno 2024

By Edoardo Carr Deputy editor The Economist. For many years the West has looked askance at the science coming out of China. Researchers there were accused of mass-producing poor-quality work. They were seen as imitators and intellectual-property thieves, rather than as innovators. Our cover this week seeks to lay these old stereotypes to rest. China is now a leading scientific power. Its scientists produce some of the world’s best research, particularly in chemistry, physics and materials science. They contribute to more papers in prestigious journals than their colleagues from America and the European Union and they produce more work that is highly cited. China’s best universities are world-class.That poses a dilemma for America and its allies. Cutting-edge science produces knowledge that benefits all humanity. However, a more innovative China may also thrive in fields with military uses, such as quantum computing or hypersonic weapons. Is the rise of Chinese science welcome or worrying? Finally, in case you missed it, we launched our American presidential election model this week. Alarmingly, our forecast says Donald Trump has a two-in-three chance of winning in November. The race could be no coin flip.

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L’America ha paura del potere scientifico della Cina?

Posted by fidest press agency su domenica, 16 giugno 2024

By Edoardo Carr Vicedirettore The Economist. Per molti anni l’Occidente ha guardato con sospetto la scienza proveniente dalla Cina. I ricercatori sono stati accusati di produrre in serie lavori di scarsa qualità. Erano visti come imitatori e ladri di proprietà intellettuale, piuttosto che come innovatori. La nostra copertina di questa settimana cerca di mettere a tacere questi vecchi stereotipi. La Cina è oggi una potenza scientifica leader . I suoi scienziati producono alcune delle migliori ricerche al mondo, in particolare nel campo della chimica, della fisica e della scienza dei materiali. Contribuiscono a più articoli su riviste prestigiose rispetto ai loro colleghi americani e dell’Unione europea e producono più lavori altamente citati. Le migliori università cinesi sono di livello mondiale. Ciò pone un dilemma per l’America e i suoi alleati. La scienza all’avanguardia produce conoscenza a beneficio di tutta l’umanità. Tuttavia, una Cina più innovativa potrebbe prosperare anche in campi con usi militari, come l’informatica quantistica o le armi ipersoniche. L’ascesa della scienza cinese è positiva o preoccupante? Infine, nel caso te lo fossi perso, questa settimana abbiamo lanciato il nostro modello per le elezioni presidenziali americane . In modo allarmante, le nostre previsioni dicono che Donald Trump ha due possibilità su tre di vincere a novembre. La gara non potrebbe essere il lancio di una moneta.

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”Il trapianto epatico nelle metastasi al fegato dei tumori solidi: realtà e prospettive”

Posted by fidest press agency su domenica, 16 giugno 2024

Torino Venerdì 28 giugno alle ore 21, l’Accademia di Medicina di Torino terrà una seduta scientifica, sia in presenza, sia in modalità webinar, dal titolo ”Il trapianto epatico nelle metastasi al fegato dei tumori solidi: realtà e prospettive”. Si potrà seguire l’incontro sia accedendo all’Aula Magna dell’Accademia di Medicina di Torino (via Po 18, Torino), sia collegandosi da remoto al sito http://www.accademiadimedicina.unito.it. Dopo l’introduzione a cura di Alessandro Comandone, Primario di Oncologia alla ASL di Torino e Socio emerito dell’Accademia di Medicina, interverranno Massimo Aglietta, Professore di Oncologia all’Università di Torino e Renato Romagnoli, Direttore della Struttura complessa di Chirurgia Generale 2 e del Centro Trapianti di Fegato dell Città della Salute e della Scienza di Torino, entrambi Soci dell’Accademia di Medicina. Circa il 50% dei carcinomi del colon retto, che rappresenta un grave problema epidemiologico e sociale (sono circa 50.000 i nuovi casi all’anno in Italia) si presenta o diventerà metastatico (più comunemente al fegato) entro cinque anni. La classificazione ESMO (European Society of Medical Oncology) riconosce tre diverse situazioni: metastasi operabili immediatamente (sopravvivenza del 35-45% a 5 anni), metastasi operabili dopo terapia medica neoadiuvante (sopravvivenza 20%-30% a 5 anni), metastasi non resecabili (sopravvivenza <5% a 5 anni e sopravvivenza mediana di 12 mesi). I risultati delle varie terapie mediche sono positivi, con risposte obiettive del 45%, mentre le forme operate radicalmente hanno una possibilità di ricaduta superiore al 50%. Di conseguenza, la possibilità di trattare questi pazienti con metastasi con il trapianto epatico apre nuove possibilità di cura in un campo purtroppo cristallizzato nei risultati da oltre 10 anni. Mentre per i più rari tumori neuroendocrini maligni del tratto gastro-entero-pancreatico il trapianto di fegato ha già guadagnato da alcuni anni un ruolo nella cura di alcuni pazienti affetti da metastasi epatiche non resecabili, per la più ampia coorte di soggetti affetti da metastasi epatiche da neoplasie colo-rettali il trapianto epatico ha ricevuto solo recentemente la consacrazione quale terapia salva-vita in pazienti selezionati affetti da lesioni non altrimenti resecabili chirurgicamente. E' infatti recentissima la pubblicazione dei dati del primo studio prospettico randomizzato TransMet al congresso ASCO (American Society of Clinical Oncology) di Chicago, nel quale la sopravvivenza registrata nei pazienti nel braccio chemioterapia + trapianto epatico rispetto a quelli nel braccio solo chemioterapia è risultata straordinario (sopravvivenza a 5 anni intent-to-treat 57% vs 13%, per protocol 73% vs 9%).

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Bankitalia: debito pubblico aprile a 2.905,7 miliardi

Posted by fidest press agency su domenica, 16 giugno 2024

Secondo Bankitalia, nel mese di aprile il debito delle Amministrazioni pubbliche è aumentato è aumentato di 11,5 miliardi rispetto al mese precedente, risultando pari a 2.905,7 miliardi. “Ennesimo nuovo record storico! Oramai la soglia di 3 mila miliardi di debito pubblico non appare più così distante, non è uno spettro ma una realtà che incombe su di noi. Anche se la riduzione dei tassi da parte della Bce può contribuire a ridurre il peso di questo macigno, con un abbassamento degli interessi pagati, è evidente che se il debito non comincia a scendere anche in valore assoluto saremo sempre esposti ai capricci dei mercati e a possibili attacchi speculativi come accadde nel 2011″ afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori.”Se fosse un debito a italiano si tratterebbe di una cifra pari a 49 mila e 251 euro: da non dormirci la notte” conclude Dona.

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Presentato a Udine il report Banca d’Italia

Posted by fidest press agency su domenica, 16 giugno 2024

Nella Sala Valduga della Cciaa Pn-Ud, alla presenza del presidente Da Pozzo e del direttore della sede triestina di Banca d’Italia Marco Martella «Siamo felici che Banca d’Italia abbia accettato il nostro invito a presentare il report anche a Udine, estendendo così il contatto diretto con le realtà imprenditoriali e di categoria di questo territorio e nella sede della Cciaa, “casa” di oltre 70mila sedi di imprese, circa 92mila contando anche le localizzazioni, che animano, rendono vitale e fanno crescere la nostra regione». Il presidente della Camera di Commercio Pordenone-Udine Giovanni Da Pozzo ha introdotto così la prima presentazione del report Banca d’Italia nella sede camerale di Udine, alla presenza, in Sala Valduga, dei principali stakeholder, referenti dell’economia del territorio (associazioni di categoria, rappresentanti istituzionali, referenti delle partecipate, imprenditori e professionisti). A fianco del presidente c’era Marco Martella, direttore della sede di Trieste di Banca d’Italia e, a presentare il report, Paolo Chiades e Daniel Mele, economisti della divisione analisi e ricerca economica territoriale della sede triestina di Banca d’Italia. «Il rapporto – ha aggiunto Da Pozzo – ci fornisce nel dettaglio tutti i principali e più aggiornati indicatori che ci aiutano a leggere e interpretare la nostra dimensione economica e a programmare le prossime azioni, tanto come imprenditori quanto come istituzioni». Da Pozzo ha evidenziato «il permanere dell’azione di traino del terziario e in particolare dei servizi», che secondo i dati Centro Studi Cciaa Pn-Ud sono cresciuti del 2,1% in termini di imprese nell’ultimo anno (di cui +3,1% attività professionali scientifiche e tecniche, +2,4% attività finanziarie e assicurative), e «il perdurare del buon andamento delle costruzioni», che segnano +1,8%, sempre in termini di sedi d’impresa. Da Pozzo ha poi segnalato il dato dell’andamento del credito, che nell’ultimo anno è stato particolarmente contratto, soprattutto verso le imprese, come poi hanno sottolineato anche gli approfondimenti dei ricercatori di Banca d’Italia (comunicato completo e slide in allegato).

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Contratti energetici indesiderati. Tar è scappatoia per violatori seriali?

Posted by fidest press agency su domenica, 16 giugno 2024

Il Tar del Lazio ha confermato la modesta multa di 900mila euro che Antitrust aveva comminato al gestore “Servizio energetico nazionale”. Lo scorso febbraio l’Autorità aveva sanzionato questo gestore perché rifilava contratti senza consenso delle vittime che, quando se ne accorgevano, avevano anche difficoltà a farselo annullare. Non è la prima conferma e non sarà l’ultima che arriva dal tribunale amministrativo a cui, tutti coloro che vengono multati da Antitrust, si rivolgono sperando, almeno, di far diminuire l’importo della sanzione. E spesso il tribunale accoglie le istanze per la riduzione di questi importi. In questo caso, però, non ha funzionato. E auspichiamo che sia di lezione per tutti coloro (e sono tanti) che fanno business nel settore ingannando gli utenti e, quando vengono cuccati, cercano di farsi meno male con la “clemenza” delle corti. Già gli importi delle multe comminate sono talmente bassi che quasi tutti quelli che vengono cuccati preferiscono pagare multe che, a tornaconto, sono di valore inferiore ai ricavi che comunque hanno… se a questo ci si aggiunge anche il Tar, va da sé che il deterrente delle multe è lieve. Ma oggi il Tar ha confermato e, sperando che faccia pagare anche salati costi legali per aver impegnato l’aula giudiziaria amministrativa, di certo la sentenza di totale rifiuto delle istanze del ricorrente potrà servire di lezione. Ovviamente, tutto sarebbe più semplice se le sanzioni non fossero così modeste ma, per esempio, adeguate ai bilanci di chi infrange le norme. Vincenzo Donvito Maxia – presidente Aduc http://www.aduc.it

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Parma ultimo seminario sul diritto allo studio delle persone rifugiate

Posted by fidest press agency su domenica, 16 giugno 2024

Parma. Martedì 18 giugno alle 14 l’incontro nell’Aula Bandiera della Sede centrale dell’Ateneo e prenderà il via dopo i saluti istituzionali della Prorettrice al Diritto allo studio e ai servizi agli studenti Isotta Piazza. È l’ultimo appuntamento del ciclo di seminari Il diritto allo studio: dall’ingresso in Italia all’accoglienza in università e sul territorio organizzato dall’Ateneo (Tavolo rifugiati, Clinica sociologico-giuridica “Migrazioni e frontiere”, Tavolo di coordinamento delle azioni di giustizia sociale) in collaborazione con CIAC Onlus ed Escapes (Laboratorio di studi critici sulle migrazioni forzate).Dal 2015 il Tavolo Rifugiati dell’Ateneo porta avanti numerose iniziative a favore delle studentesse e degli studenti rifugiati. Da alcuni anni l’Università di Parma è uno dei partner del progetto UNICORE, finalizzato a garantire l’accesso allo studio delle persone rifugiate, attraverso corridoi umanitari attivati da UNHCR. Il ciclo di seminari ha l’obiettivo di riflettere sul percorso del Tavolo, di condividere le progettualità in corso con la Clinica sociologico-giuridica “Migrazioni e frontiere” dell’Ateneo e CIAC Onlus e di interrogarsi sul significato del “diritto allo studio” in tutte le sue componenti: dall’ingresso regolare, all’accoglienza in università, all’inclusione nel territorio. Interverranno Giovanna Cavallo (Forum “Per cambiare l’ordine delle cose”), l’avvocata Nazzarena Zorzella (ASGI-Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione), l’avvocata Stella Arena, Michela Semprebon e Vincenza Pellegrino (Università di Parma) e Chiara Marchetti (Ciac Onlus). Coordinamento scientifico: Michela Semprebon, Vincenza Pellegrino, Chiara Marchetti Coordinamento organizzativo: Michela Semprebon, Vincenza Pellegrino, Eugenia Blasetti, Jacopo Anderlini

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“Bisogna insegnare educazione motoria dal primo anno della scuola primaria”

Posted by fidest press agency su domenica, 16 giugno 2024

La Commissione Cultura ha svolto l’audizione del Ministro per lo Sport e i Giovani, Andrea Abodi, nell’ambito dell’esame del decreto 71/2024, recante disposizioni urgenti in materia di sport, di sostegno didattico agli alunni con disabilità, per il regolare avvio dell’anno scolastico 2024/2025 e in materia di università e ricerca. Nel corso del proprio intervento il ministro ha sottolineato come sia “importante intanto garantire le pari opportunità e la parità di genere” Come riporta il decreto, all’articolo 6, in via straordinaria e transitoria, tenuto conto del fabbisogno di docenti specializzati e in aggiunta agli ordinari percorsi, si riporta che si potrà conseguire la specializzazione, fino al 31 dicembre 2025, attraverso il superamento di percorsi di formazione attivati dall’Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa (INDIRE). Anief intanto continua a sostenere che l’educazione motoria a scuola sia di fondamentale importanza. Marcello Pacifico, presidente del giovane sindacato Anief, ha affermato che “il sindacato chiederà al decreto scuola e sport l’introduzione dell’educazione motoria sin dal primo anno della scuola primaria, non solo per le classi quarte e quinte. Anief presenterà degli emendamenti che porteranno avanti questo punto richiesto da tanto tempo.

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Scuola: Docenti di sostegno scelti dalle famiglie, tutto confermato tutto da rifare

Posted by fidest press agency su domenica, 16 giugno 2024

Il Governo non sembra volere tornare indietro sulla conferma dei docenti di sostegno precari attraverso la richiesta del parere alle famiglie degli alunni con disabilità e con valutazione del dirigente scolastico: l’intenzione è stata ribadita dal Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, audito nelle ultime ore dalla Commissione Cultura della Camera nell’ambito dell’esame del decreto legge 71/2024, che contiene disposizioni urgenti in materia di sport, sostegno didattico agli alunni con disabilità e regolare avvio dell’anno scolastico 2024/2025. Nel corso dell’audizione, il Ministro ha detto che questa disposizione nasce dalla volontà di realizzare sempre più un’istruzione inclusiva e di qualità, attraverso un “rapporto virtuoso che metta al centro lo studente. La continuità didattica ha un valore imprescindibile da tutelare con tutti gli strumenti possibili,” ha dichiarato Valditara, sottolineando l’importanza di garantire una solida e costante relazione, tra gli alunni con disabilità e i loro insegnanti di sostegno, che permetterà alle famiglie di mantenere i docenti che hanno già instaurato un rapporto di fiducia e conoscenza approfondita delle esigenze dei loro figli. “Siamo fortemente contrari con la decisione governativa di confermare a settembre il docente di sostegno supplente nella stessa scuola dove ha svolto servizio nel precedente anno scolastico su richiesta della famiglia dell’alunno con disabilità, sentendo anche il parere del dirigente scolastico – dice Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief -, la reputiamo una decisione illogica e che non guarda al merito: perché si aggirano le graduatorie vigenti, frutto dei titoli acquisiti negli anni e dei servizi svolti, per fare spazio ad una modalità di reclutamento annuale che ha il sapore della chiamata diretta? Come si fa a fare decidere ad una famiglia se un insegnante merita di continuare a rimanere in una classe piuttosto che in un’altra? Quali conoscenze e competenze possono avere le famiglie per una scelta così importante?” Il sindacato Anief, pertanto, ritiene che con questa modalità di reclutamento degli insegnanti precari di sostegno si arrivi a produrre più confusione di oggi. Anche perché si andranno anche a contrastare le indicazioni della normativa vigente che regola la materia: il docente di sostegno, leggi alla mano, deve essere assegnato alla scuola attraverso GLO e associato ad uno o più alunni in base al Piano educativo personalizzato. “La vera risposta davvero utile da attuare – conclude il presidente Pacifico – è sempre quella: tramutare gli attuali 100.000 posti in deroga in cattedre di diritto e nel contempo specializzare in didattica speciale i 90.000 insegnanti che affiancano oltre 136mila alunni privi di insegnante specializzato. Tutte le altre decisioni sono dei meri palliativi”.

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Scuola: Sostegno alunni con disabilità

Posted by fidest press agency su domenica, 16 giugno 2024

Il ministro dell’istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, ha spiegato piega perché vuole specializzare 85mila docenti con Indire. Valditara conferma la volontà di affrontare la carenza di docenti specializzati sul sostegno didattico agli alunni con disabilità: intervenendo in audizione nella Commissione Cultura della Camera, il Ministro ha illustrato le misure previste nel decreto legge 71/2024, che rappresenta anche una risposta allo sbilanciamento tra domanda e offerta di docenti specializzati, con una carenza più accentuata al Nord Italia. Per Anief va bene ma con tutte le cattedre in organico di diritto, mentre ripete il proprio ‘no’ al prof. scelto dalle famiglie. Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale del sindacato rappresentativo, “i corsi abbreviati su sostegno partiranno per colpa della mancata volontà degli Atenei di adeguare il numero programmato del Tfa alle effettive esigenze. Il vero scandalo sono i 108 mila posti in deroga, la metà dell’organico, per l’80% assegnato a docenti non specializzati”.

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