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Quotidiano di informazione – Anno 36 n° 136

L’equazione Alfano

Posted by fidest press agency su domenica, 31 gennaio 2010

Editoriale Fidest. Il ministro della giustizia Angelino Alfano nel suo intervento all’inaugurazione dell’anno giudiziario ha sottolineato un rapporto tra i poteri dello Stato evidenziando l’ovvietà: i magistrati sono sottoposti alle leggi e le leggi le fa il parlamento quale espressione democratica del popolo sovrano che lo ha eletto. Significa quindi che non ha senso che la magistratura cerchi d’influire sulle decisioni del legislatore poichè l’unico giudice riconosciuto, in queste cose, è il popolo che elegge i suoi rappresentanti. Questo primato, ne conveniamo, non può essere messo in discussione eppure non va considerato automatico. In democrazia abbiamo una maggioranza e una minoranza e la possibilità di una alternanza, alla guida del Paese, è possibile. Questo significa che s’impongono dei parametri di riferimento condivisi, una sorta di paletti, entro i quali tutte le forze politiche debbano riconoscersi. Lo devono alla natura composita del sistema. Abbiamo pensato che lo è la Costituzione, ma ora ci rendiamo conto che non è sufficiente sia perché alcuni suoi articoli sono stati messi in discussione e si paventa una loro modifica, sia perché alcune leggi sfidano apertamente gli stessi dettati costituzionali con forzature di varia natura, sia perché si ha la pretesa che la legge debba sostituirsi alla Costituzione per difetto di forma o per una sorta di vacatio. Ciò significa che si rischia di mettere in discussione tutto e diventare partigiani di una fazione che, con leggi proprie, le rende arbitrarie agli occhi dell’opposizione, salvo poi, invertire la tendenza allorché la minoranza ridiventa maggioranza e così via. Il tutto si trasforma in un gioco al massacro. Sul fondo è depositata l’anarchia e, ancor più, non tanto l’ingovernabilità quanto la perdita della credibilità agli occhi dell’opinione pubblica con un Parlamento che fa e disfa a colpi di maggioranza, gli arbitri istituzionali che sono ridicolizzati, la convinzione che l’essere partigiani di una fazione al potere significa fare il bello e il cattivo tempo anche in violazione delle stesse leggi che il Parlamento ha espresso. E tutto questo sale di tono se si pensa che da 15 anni a questa parte abbiamo trasformato la politica in spettacolo e abbiamo reso il Parlamento incapace di reggere alla messa in scena mediatica dove la politica e il dibattito esercitano un ruolo egemone negli studi televisivi e su internet. Tanto che lo stesso presidente del consiglio, che in quanto a suggestioni mediatiche la sa lunga, ebbe a chiedersi se il parlamento non avesse raggiunto il suo punto di saturazione. (Riccardo Alfonso http://www.fidest.it)

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