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Quotidiano di informazione – Anno 36 n° 162

Obama sfida Wall Street

Posted by fidest press agency su martedì, 4 Maggio 2010

“Vi cito un articolo del Time Magazine che ho appena letto: “La settimana scorsa qualcosa sembra aver stravolto le banche di Manhattan. I banchieri si guardavano l’un l’altro con rabbia e sorpresa. Dicevano che una legge, appena approvata, avrebbe riversato contro le loro banche un sistema di regole che ritengono mostruoso. Che li avrebbe derubati del loro orgoglio professionale e avrebbe messo in ginocchio l’intera industria bancaria.”…. Questo era apparso nel giugno del 1933 sul Time Magazine. Il sistema che provocò tanta costernazione era il Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC), l’ente che ha garantito con successo i risparmi e i depositi di intere generazioni di americani”   Questo è stato l’incipit del discorso, che il presidente Obama ha recentemente tenuto nella storica scuola di Ingegneria, Architettura e Arte “ Cooper Union” di New York, a pochi passi da Wall Street. Egli, suscitando applausi e risa, ha così magistralmente sintetizzato lo scontro in atto tra il suo governo e le banche e i loro lobbysti, che con “tentativi furibondi”, stanno cercando di sabotare la riforma finanziaria.  Come nel 1933, quando F.D. Roosevelt affrontò di petto le banche e le speculazioni che avevano gettato l’America nella Grande Depressione e nella disoccupazione di massa, oggi, molte banche rifiutano di accettare l’imposizione di regole, che garantirebbero stabilità all’economia e allo stesso mondo bancario.   Le regole di Obama, note come  “Volker Rule”, dal nome del capo dei consiglieri economici della Casa Bianca, Paul Volker, già presidente della Federal Reserve nel periodo 1979-87, formano l’ossatura della riforma della finanza in USA. Prima di tutto, prevedono il divieto di futuri salvataggi (bailout) delle banche con i soldi dei contribuenti, attraverso l’imposizione di un limite alla dimensione delle banche stesse e ai rischi che esse possono sottoscrivere. Ciò impedirebbe il ricatto del “too big to fail”.  Il secondo punto, il più controverso, riguarda la trasparenza dei mercati finanziari ed il ridimensionamento e la regolamentazione dei derivati, a partire dagli OTC. Al riguardo Obama non ha risparmiato attacchi molto duri contro i “banditi” ed il “gioco d’azzardo”, che hanno manipolato milioni di persone, lasciandole poi sul lastrico e mandato in tilt l’intero sistema.  La riforma prevede anche la creazione di un’agenzia per proteggere i risparmiatori e i consumatori. Si garantisce, altresì, un maggiore potere di controllo e una maggiore capacità decisionale agli azionisti delle banche e delle società, in modo da ridimensionare l’abusato ruolo dei manager.  Queste regole sono in discussione al Congresso americano e meritano di essere approvate al più presto. Sarebbe opportuno che ciò accadesse anche in Europa. Non si comprende perciò i ritardi dei paesi europei. Forse, presi dalla morsa del debito sovrano della Grecia e del rischio di un suo contagio verso altri paesi, sottovalutano l’urgenza della riforma finanziaria.  Ci si chiede infatti a cosa serva il Financial Stability Board, istituito a suo tempo dal G20, se poi ogni singolo paese, anche se importante come gli USA, procede per proprio conto, ignorando che una finanza globale esige regole condivise e globali.  Eppure, si dovrebbe sapere che la crisi americana e quella europea sono figlie delle stessa madre. Vi sono forse delle manifestazioni differenti, ma le cartolarizzazioni sono uguali dappertutto, lo stesso vale per la speculazione, per i derivati, per i debiti.   I discorsi di Obama, importanti e finalizzati all’approvazione della riforma interna al suo paese, hanno questo limite. Ignorano, infatti, l’esigenza di uno stretto coordinamento con l’Europa e gli altri paesi, di fatto, indebolendo il ruolo del G20.    Certo vi sono anche delle responsabilità  dei governanti europei, che anziché accelerare sulla strada delle riforme, ritengono che il mercato sia capace di auto riformarsi. Essi infatti ancora confidano sulla capacità di valutazione delle agenzie di rating, che sono tornate prepotentemente a distribuire pagelle ai governi europei. Quelle agenzie di rating che, invece, negli USA sono oggetto di indagine della Sottocommissione del Senato, guidata dal democratico Carl Levin, che ha affermato: “Esse hanno permesso a Wall Street di lasciare la sua impronta sulle loro analisi, sulla loro indipendenza e sulla loro reputazione di serietà”. (Di Mario Lettieri Sottosegretario all’Economia nel governo Prodi  e Paolo Raimondi Economista)

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