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Quotidiano di informazione – Anno 36 n° 126

Posts Tagged ‘liberismo’

Dalle ideologie ai valori

Posted by fidest press agency su giovedì, 1 marzo 2018

Capitalismo, liberismo, finanza creativa, marxismo e libera idea del marxismo di Lenin ecc, sono i pezzi composti e scomposti delle ideologie che si sono imperniate nel XX secolo dopo averne elaborato il pensiero nei secoli precedenti. Ora siamo arrivati, a mio avviso, a un punto di non ritorno. Dobbiamo, quindi, andare avanti e trovare al tempo stesso un nuovo modello di società con cui convivere e far convivere i nostri nipoti e pronipoti.
Nello stesso tempo il passato non si cancella con un tratto di penna perché anche i pensieri seguono il principio fisico che nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma, si rimodella. Oggi possiamo estrarre dal “culto delle ideologie” il “culto per i valori” e capire che se una società è cresciuta, a volte molto in fretta e in altri con forti ritardi da un contesto geofisico mondiale variamente espresso nelle sue particolarità, bisogna ora ricucire le varie correnti di pensiero e dare ad esse una risposta diversa e più articolata partendo dal presupposto che i cambiamenti non solo sono tecnologici, industriali, sociali e culturali, ma investono una sfera ben più intima e che si richiama al ruolo dell’essere umano nel suo rapporto con la natura e nel suo complesso con il pianeta Terra che lo ospita.
D’altra parte l’uomo rappresenta l’ultimo anello della catena alimentare e in tale fattispecie è la natura a richiamare la nostra attenzione sulla necessità di rispettare un limite demografico necessario per non alterare l’equilibrio che è stato, si può dire da sempre, sancito per evitare il collasso del sistema.
Oggi per fare un esempio pratico stiamo andando verso la stagione nella quale trovare un lavoro diventa un privilegio di pochi, così come l’istruzione universale invece di elevare culturalmente le popolazioni le deprime poiché non offre allo studio un adeguato corrispettivo lavorativo.
Sono, a ben considerare, due aspetti dirompenti che da soli potrebbero provocare cadute rovinose nei rapporti sociali e negli equilibri istituzionali delle nazioni. Per non parlare d’altro, ovviamente. E queste cose non sono, purtroppo, rinviabili. E’ bene farsene una ragione. (Riccardo Alfonso)

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Dalle ideologie ai valori

Posted by fidest press agency su lunedì, 25 settembre 2017

leninCapitalismo, liberismo, finanza creativa, marxismo e libera idea del marxismo di Lenin ecc, sono i pezzi composti e scomposti delle ideologie che si sono imperniate nel XX secolo dopo averne elaborato il pensiero nei secoli precedenti. Ora siamo arrivati, a mio avviso, a un punto di non ritorno.
Dobbiamo, quindi, andare avanti e trovare al tempo stesso un nuovo modello di società con cui convivere e far convivere i nostri nipoti e pronipoti.
Nello stesso tempo il passato non si cancella con un tratto di penna perché anche i pensieri seguono il principio fisico che nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma, si rimodella.
Oggi possiamo estrarre dal “culto delle ideologie” il “culto per i valori” e capire che se una società è cresciuta, a volte molto in fretta e in altri con forti ritardi da un contesto geofisico mondiale variamente espresso nelle sue particolarità, bisogna ora ricucire le varie correnti di pensiero e dare ad esse una risposta diversa e più articolata partendo dal presupposto che i cambiamenti non solo sono tecnologici, industriali, sociali e culturali, ma investono una sfera ben più intima e che si richiama al ruolo dell’essere umano nel suo rapporto con la natura e nel suo complesso con il pianeta Terra che lo ospita. D’altra parte l’uomo rappresenta l’ultimo anello della catena alimentare e in tale fattispecie è la natura a richiamare la nostra attenzione sulla necessità di rispettare un limite demografico necessario per non alterare l’equilibrio che è stato, si può dire da sempre, sancito per evitare il collasso del sistema.
Oggi per fare un esempio pratico stiamo andando verso la stagione nella quale trovare un lavoro diventa un privilegio di pochi, così come l’istruzione universale invece di elevare culturalmente le popolazioni le deprime poiché non offre allo studio un adeguato corrispettivo lavorativo.
Sono, a ben considerare, due aspetti dirompenti che da soli potrebbero provocare cadute rovinose nei rapporti sociali e negli equilibri istituzionali delle nazioni. Per non parlare d’altro, ovviamente. E queste cose non sono, purtroppo, rinviabili. E’ bene farsene una ragione. (Riccardo Alfonso)

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Se il Reich avesse controllato….!

Posted by fidest press agency su lunedì, 28 settembre 2015

berlinoSe il Reich nello specifico, ma lo Stato in generale, esercitasse e avesse esercitato il diritto/dovere di controllare i regimi fiscali, finanziari e operativi delle aziende che gravitano nel suo territorio, lo scandalo della Volkswagen in Germania non avrebbe le dimensioni che sta assumendo, tali da stroncare la più importante azienda automobilistica d’Europa e del mondo. E’ più che probabile che sotto sotto ci siano manovre speculative da parte della concorrenza che opera in un regime liberista, nel quale l’assenza dello Stato finisce con il favorire manovre speculative. Ma, in ogni caso, tutto ricade nell’assenza del controllo statale, che, secondo il liberismo innestato dal capitalismo e dall’imperialismo, deve rimanere estraneo alle manovre di mercato, nella pia illusione che il mercato di regolamenta da solo.
Si è visto come l’assenza dello Stato, in Italia predicata e messa in atto dai governi Berlusconi, favorisca il generale pregresso e lo sviluppo!!! E’ così che nascono e vengono favoriti le evasioni fiscali, le corruzioni, i falsi in bilancio, le turbative d’asta, i latrocini, ormai non più occulti, bensì generalizzati.Si tratta di una moderna criminalità che non trova ostacoli in uno Stato che esercita il suo diritto/dovere di controllo; è una criminalità che da organizzata è diventata istituzionalizzata, la cui regia non è più di pertinenza delle varie “cupole” mafiose, bensì degli uomini-chiave che sono riusciti a entrare nelle posizioni strategiche delle istituzioni.
Il Reich tedesco pagherà a carissimo prezzo l’assenza del controllo, pur avendone avuto tutte le ragioni, ma ha preferito tacere, con una sorta di omertà che difficilmente potrà essere messa tacere, e se dovesse accadere sarebbe lo scandalo più grave del secolo.
Sulla medesima strada si ritrovano tutte le nazioni occidentali che hanno abbracciato il liberismo; a cominciare dagli USA dove i repubblicani premono per tornare ad amministrare la Casa Bianca, come ai vecchi tempi della consorteria Bush (padre, figlio e adesso anche il fratello). In Italia non stiamo per niente meglio; abbiamo ancora l’ombra infelice di Berlusconi che agisce e opera per interposta persona e si sta organizzando per…perdere le elezioni nazionali.
Renzi è l’asso nella manica delle pretese dell’ex premier Berlusconi, che si alleerà con Salvini per fargli perdere le elezioni, e di questo gliene siamo grati; l’alternativa sarà Renzi, con la scusante di non dare il potere in mano a Grillo. Con la vittoria di Renzi sarà Berlusconi il vero “deus ex machina” che deciderà le sorti della nazione e di se stesso. Così tornerebbe il liberismo con lo Stato “leggero” che si occuperà di sanatorie, condoni e scudi fiscali, tutto per proteggere il capitalismo che non gradisce il sistema democratico, privilegiando uno Stato autoritario che controlla le masse.L’esempio della Germania non servirà a chiarire i limiti democratici del liberismo, neanche quando altri scandali seguiranno quello attuale, perché la mobilitazione è generalizzata per coprire, con colpevoli silenzi, i danni che verranno e che colpiranno l’intera Europa, ma quello che più preoccupa sono i possibili risvolti che potrebbero ledere i principi democratici.

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Inizia la fine del liberismo?

Posted by fidest press agency su martedì, 24 aprile 2012

L’esito delle elezioni in Francia segnano l’inizio di una svolta epocale, comunque vada a finire il ballottaggio; la condanna della politica di Sarkozy è plateale, come lo fu la condanna del governo Berlusconi che lo costrinse a velocissime dimissioni, a sua detta “eleganti”. La volontà di scardinare i principi portanti della democrazia ha generato l’attuale crisi che sta colpendo, innanzitutto, le fasce più deboli delle popolazioni occidentali, peggiorando anche le condizioni delle nazioni del quarto mondo. Aveva visto bene la Chiesa, quando il Pontefice Paolo VI promulgò l’enciclica Populorum Progressio, dove veniva condannata la separazione del mondo in ricchi e poveri, produttori e consumatori, creditori e debitori. L’evoluzione del pensiero sociale della Chiesa proseguì con la seconda parte del pontificato di Giovanni Paolo II, che inaugurò la sociologia del Nuovo Umanesimo.
Purtroppo l’elezione di Ratizinger sta vanificando le conquiste evolutive, per regredire nel pianeta medievale dei privilegi, dei servi della gleba, dei vassalli, valvassori e valvassini.
Ma se l’ispiratore laico di Paolo VI fu Jacques Maritain, del quale si legge l’impronta nella Populorum Progressio, ecco spuntare l’ispiratore laico dell’attuale pontefice nell’ateo e razzista Marcello Pera, del quale Benedetto XVBI ha innalzato le lodi tessendo una teoria di affermazioni che contraddicono il Magistero Sociale, il Concilio Vaticano II e le attese del mondo dei cattolici. Una responsabilità gravissima, avendo contribuito troppo efficacemente all’affermazione di un governo che per 18 lunghi anni ha tradito la democrazia instaurando un regime della maggioranza in grado di legiferare esclusivamente per il tornaconto del premier e negli interessi della classe opulenta che lo ha sostenuto.
Per questo salutiamo con grande speranza lo scivolone di Sarkozy, prevedibile e preventivato dopo la defenestrazione di Berlusconi dal governo italiano.
Per equilibrio internazionale adesso dovrebbe essere il turno della Merkel, solo così sarà accantonato il liberismo finanziario per proporre un diverso modello culturale, economico, politico e sociale, che renda giustizia all’uomo e, quindi a tutti gli uomini e al lavoro che rappresenta la sua funzione prioritaria.
Un riepilogo mi appare opportuno e tempestivo.
La lunga strada del Nuovo Umanesimo, pur con un itinerario ben definito e in piena evoluzione, ha capisaldi remoti, che non si sono voluti ascoltare e che oggi si preferisce ignorare, nella speranza che possano transitare nell’oblio. Uno di questi capisaldi è certamente la Populorum Progressio di Paolo VI; due sono le chiavi di lettura dell’Enciclica di Paolo VI:
• la prima nella scia del percorso già iniziato con la Rerum Novarum, agganciando e completando le tematiche degli altri documenti più importanti che seguirono al RN e che precedettero la PP;
• la seconda che si caratterizza per l’innovazione degli argomenti che l’hanno resa di perenne attualità, essendo rivolta non più soltanto alle classi disagiate per riconoscere loro diritti precedentemente disconosciuti, ma perché si rivolge a tutti gli uomini nei loro rapporti interpersonali con tutti i popoli della terra.
I diritti che con le Encicliche sociali venivano riconosciuti alle classi, con la PP vengono dilatati a livello universale, perché tali diritti o sono universali o non sono più diritti, ma diventano privilegi di pochi, sostenuti e mantenuti solo con il fragore della forza che soffoca tutte le legittime esigenze, che sono analoghe sotto tutti i cieli del pianeta, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti, perché il popolo dei vinti non tollera più di restare tale per destino scritto da altri nella loro storia; per questo la PP è anche profetica e, a volte, apocalittica.
La PP si presenta, così, non solamente come una pastorale pietistica, che fa appello alla carità cristiana, ma si trasforma nella nuova sociologia dell’umanesimo integrale (la collaborazione di J. Maritain alla stesura dell’enciclica è ormai informazione accettata), ponendo una pietra miliare nel pensiero sociale della Chiesa, destinato a tutti gli uomini, senza differenze di censo, cultura, religione o colore della pelle.
Ne scaturisce anche il concetto di un diverso e nuovo peccato: il peccato sociale.
Anche nella sua impostazione la PP si diversifica dalle precedenti lettere Encicliche delle quali ha assimilato l’itinerario per portarlo ad un più ampio compimento.
A cominciare dal dossier personale del Pontefice, elaborato fin dai primi giorni di pontificato e, per la prima volta, reso pubblico per dare agio agli studiosi interessati di ripercorrere la strada seguita per giungere alle affermazioni finali dell’Enciclica.
Altra novità è rappresentata dalle collaborazioni richieste per approfondire le tematiche più urgenti, come quella del domenicano P. Lebret, esperto nei problemi del terzo mondo e autore del programma di sviluppo del Senegal, quindi le stesure successive dell’Enciclica, ben sette, con le annotazioni personali del Pontefice, che documentano l’iter travagliato, perché nessuna parola doveva essere occasionale, ma frutto di meditazione per esprimere quel preciso pensiero. Si è potuto, così, assistere da parte di tutto il mondo alla nascita del documento e disporre di maggiori elementi per comprenderne lo spirito.
Gli studiosi del pensiero sociale della Chiesa poterono ricavare spunti preziosi per la ricerca delle fonti e l’esplorazione del retroterra culturale, che aveva ispirato lo spirito dell’Enciclica.
Poiché vi sono le basi per la nuova sociologia universale, anche nelle citazioni la PP si differenzia dagli altri documenti pontifici; precedentemente erano citati passi del Vecchio e Nuovo Testamento, affermazioni dei Padri e Dottori della Chiesa, con la PP si apre al mondo laico, infatti sono citati sacerdoti e laici come P. Lebret, J. Maritain, Colin Clark, mons. Larrain, Pascal, De Lubac.
L’itinerario della PP, anche se rappresenta la dilatazione a universale delle precedenti Encicliche, cosa che ci fornisce una spiegazione intellettuale dell’evoluzione, non può essere compresa nella sua intima essenza se si prescinde dall’itinerario umano del sacerdote Montini, che ci fornisce il chiarimento spirituale. Non potrei non cominciare da quella baracca trasformata in Chiesa dove l’Arcivescovo di Milano, mons. Montini, celebrò la Messa di Natale il 25 dicembre del 1955; quel giorno documentò al mondo che la Chiesa è nata tra i poveri ed è destinata ai poveri, ed è la sola voce che può e deve levarsi forte per sostenere i diritti dei più deboli e dei più fragili, di quelli che non hanno voce per farsi sentire.
Come Arcivescovo mons. Montini visitò l’America Latina e l’Africa, ma non si fermò ad ammirare i superbi reperti archeologici dei conquistadores, ma guardò la realtà dell’indio e del negro, come realtà di uomini sofferenti in mezzo ad altri uomini opulenti ed egoisti; lì dovette maturare la convinzione del nuovo peccato commesso ogni giorno da quanti non vedono nel prossimo bisognoso la presenza di quell’Uomo che porta una Croce non Sua in giro per il mondo, appesantita dall’egoismo di tanti uomini, in una nuova Via Crucis dove si rinnova, stazione dopo stazione, il peccato sociale. Ricordando la pastorale del Natale 1955, in quel gelido tugurio dove il Cristo era presente nei derelitti di una Milano occupatissima a celebrare non il rinnovarsi del mistero della Natività, ma il rito del cenone, e la lettera Enciclica PP, ritroviamo tutto l’itinerario dell’uomo Montini e la dilatazione degli orizzonti operata dall’assunzione della paternità universale.
L’esigenza di toccare con mano la miseria che affligge una grande parte del mondo, condusse Paolo VI, , eletto al Pontificato, a visitare la Chiesa dei poveri in un pellegrinaggio che lo portò, innanzitutto, in Palestina nel 1964, in quella terra travagliata e contesa; era solo il 1964, ancora l’esercito israeliano non aveva scatenato quella che la storia ricorderà come ’la guerra dei sei giorni’, quando con un’azione aggressiva quanto fulminea occupò i territori che l’ONU aveva assegnato ai palestinesi, dalla striscia di Gaza a Sud, alla Cisgiordania a Nord, alle alture del Golan, insediando i coloni e schierando l’esercito a difesa dei territori occupati. Furono oltre 2 milioni i palestinesi costretti a fuggire dalle loro case, dai loro villaggi, dalle loro cittadine, riparando nelle nazioni arabe vicine, come profughi non sempre ben tollerati.
Un ulteriore viaggio fra i poveri portò Paolo VI fra gli orgogliosi grattacieli di New York, illuminati quotidianamente a festa, simboli tangibili di un’opulenza che mortifica tutta quella larga parte del mondo dei vinti, utilizzando la illusorietà del benessere, destinato, però, solo a pochi privilegiati. A New York il Santo Padre non si soffermò a compiacersi della esibizione di ricchezza, andò a cercare i più deboli in quei ghetti dove il colore della pelle marchia, ancora oggi, escludendoli dal consorzio del benessere, gli emarginati di Harlem; l’eccezione di Condoleeza Rice ne è la riprova, in quanto, giunta ai massimi vertici del potere si è schierata con il più forte dimenticando la storia che la riguarda personalmente.
Queste esperienze ci indicano le profonde motivazioni che portarono Paolo VI a inserire nella Sua PP gli esempi di uomini che nel silenzio della propria coscienza si erano adoperati con gli altri e per gli altri, come Charles de Foucauld, il martire della donazione al Terzo Mondo, padre Chenu, il grande teologo sostenitore dei preti-operai, che si ’fracassarono le reni’ nei miserabili sobborghi fra algerini e italiani sfruttati dalla grande industria, e ancora padre Lebret, che consacrò il suo genio al servizio dei popoli del Vietnam, del Senegal e del Nord-Est del Brasile.
Venne citato più volte il profetico e terribile documento del Concilio ’Gaudium et Spes’, Gioia e Speranza, lì dove assicura gioia e speranza a chi riconosce nel povero l’immagine di Cristo, escludendo coloro i quali, nazioni, popoli o singole persone, hanno privilegiato l’accaparramento delle ricchezze in contrapposizione alla distribuzione della solidarietà; fu una citazione profetica e apocalittica, con una promessa e una condanna. (Rosario Amico Roxas)

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Le contraddizioni di Benedetto XVI

Posted by fidest press agency su domenica, 1 gennaio 2012

Il Papa: umanità lacerata da ingiustizie, (Il Messaggero del 31 dic. 2011) E Rosario Amico Roxas commenta: “Le ingiustizie che lacerano l’umanità sono provocare dal sistema economico occidentale basato esclusivamente sul maggior reddito, meglio se si esclude la costosa incombenza del lavoro attraverso l’economia della finanza. Si è finalmente capito che il liberismo dominante, che si è affermato nel sistema democratico, impadronitosi del potere ha rinnegato la democrazia, per privilegiare un sistema autoritario, in grado di controllare le masse sempre più sfruttate.
Che Benedetto XVI oggi constati la lacerazione delle ingiustizie ci costringe a evidenziare che si tratta di una costatazione fuori tempo, anacronistica, contraddittoria, arrivando solo oggi, ma dopo che il medesimo pontefice ha esaltato il liberismo tessendone le lodi in quella lettera di presentazione al libro di Pera “Perchè dobbiamo dirci cristiani”; ha avuto l’ardire di paragonare il liberismo al cristianesimo, come se Cristo non avesse cacciato i mercanti dal Tempio, ma avesse cercato di instaurare una comunione di interessi.Si tratta di un ripensamento?
Se è così dovrebbe, coerentemente, rinnegare quello scritto e tornare ad aprire il Tabernacolo del cuore ai bisogni della povera gente, che quel liberismo ha condannato alla miseria, riconoscendo la centralità religiosa della Teologia della Liberazione, ingiustamente messa all’indice, colpevole di identificare Cristo nei derelitti del mondo, vittime sacrificali di logiche che non si possono accettare. (Rosario Amico Roxas)

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Referendum: Vittoria di popolo

Posted by fidest press agency su martedì, 14 giugno 2011

“E’ stata, invece, trasformata in modo indecente dai soliti speculatori della sinistra che tentano come sempre di strumentalizzare i cambiamenti epocali, oggi a vincere è stato il sociale nei confronti del liberismo, le cui tesi sono state il traino dell’azione politica anche dello stesso Bersani quindi non capisco proprio le motivazioni della loro esultanza, Via le bandiere rosse dalle piazze, ma soprattutto il centro destra rimetta al centro della propria azione politica, quelle tematiche sociali che noi riteniamo essere le uniche, in grado di arginare i rigurgidi di una sinistra radicale ormai superata e sconfitta dalla storia. Noi della Fiamma Tricolore unica Destra Sociale nel panorama politico Italiano siamo pronti ad affrontare la nuova stagione politica che si è appena aperta, con la che solo tornando tra la gente, ascoltandone la voce e interpretandone le istanze si potrà invertire questa tendenza e fare della partecipazione popolare l’unico motore della Politica. Adesso tocca a noi difendere il più antico dei beni comuni ovvero quella socialità espressa anche in termini valoriali, unica e vera fonte ideale per tutti gli Italiani”. Lo ha dichiarato Lamberto Iacobelli coordinatore regionale del Lazio Fiamma Tricolore.

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Geronzi: una caduta annunciata

Posted by fidest press agency su venerdì, 8 aprile 2011

Palazzo delle Assicurazioni Generali

Image by CyberMacs via Flickr

A leggere la cronistoria di Geronzi, giubilato dalla presidenza delle Generali, si assiste ad una vita trascorsa tra i numeri, in una ginnastica geometrica dove ha dominato il circuito del denaro, simbolo stesso del capitalismo d’assalto sostenuto da un anacronistico liberismo esportato nel terzo mondo e nei paesi in via di sviluppo come se si trattasse di quella vantata esportazione di democrazia. Nulla accade per caso, come non è un caso che lo scivolamento di Geronzi si verifichi contestualmente agli scontri in Libia per disarcionare Gheddafi, grande finanziatore delle manovre economiche dell’ex presidente delle Generali. Non è nemmeno un caso se quella  testa ruzzola a terra nel periodo più nero del presidente del consiglio, stretto all’angolo dalle difficoltà politiche e correttamente inseguito dalla magistratura che lo accusa di reati umilianti per chi dovrebbe elevarsi a pubblico esempio per una nazione. Non è nemmeno un caso se la liquidazione di Geronzi avviene nel momento in cui si attualizza la punta massima della crisi mondiale che segna l’inizio della fine del capitalismo globale. Con gli eventi in fase evolutiva nell’Africa del Nord e del Medio Oriente, nonché di quell’Iperuranio rappresentato dai paesi produttori di petrolio, dove i governanti si ritrovano ingolfati di petroldollari, mentre il popolo, tenuto a freno da una politica autoritaria, si è trovato letteralmente alla fame. Che cade una testa preziosa come quella di Geronzi non deve meravigliare, anche se si tratta di una caduta sul velluto, ammorbidita da una liquidazione  di 16,6 milioni di euro, pari alla liquidazione di  175 pubblici dipendenti, considerando, con ampia generosità, una liquidazione di 100.000 euro. In realtà è il segnale  del declino della supremazia dell’Occidente sostenuta dal circuito del denaro, incurante di promuovere il circuito del lavoro, indispensabile per spalmare la ricchezza di una nazione su tutti i cittadini.  Con i limiti imposti dal circuito del denaro assistiamo al paradosso di una azienda che chiude il bilancio in passivo e vede le proprie quotazioni in borsa apprezzarsi al punto da garantire lauti guadagni ai possessori (ogni riferimento alla FIAT  di Marchionne è puramente voluto); non è il miracolo del lavoro, bensì il miracolo del denaro che genera se stesso attraverso le variabili utilizzate e sfruttate nelle economie di mercato; il guaio è che tale metodo viene percepito come una spirale senza fine, e non si considera che prima o poi il giochetto non potrà più funzionare, avendo esaurito tutte le scorte fantasiose della finanza creativa. La crisi si è acuita perché nel mercato tanto decantato, è venuta meno la spesa da parte dei grandi capitali, che hanno preferito  tenere sotto controllo il circuito  del denaro, senza produrre un solo posto di lavoro, anzi sottraendo lavoro dal mercato della produzione, in modo da tenere sotto controllo le masse popolari, proprio con il ricatto del lavoro, per imporre contratti capestro accettati in nome dello stato di necessità. Nei paesi islamici, oggi in rivolta, è stata usata anche l’arma subdola della religione, in quanto i capi di Stato o di governo si sono fatti anche capi religiosi di una delle tante varianti imposte alla genuinità del Corano; lì le teste che cadono non lo fanno sul velluto ! In Occidente  è stata l’alta borghesi del capitale a imporre le sue regole, seguita a ruota dalla piccola e media borghesia che si illudeva di poter fare il gran salto, e lo ha fatto, andando a sfracellarsi nel burrone  che si era aperto tra il capitale e il lavoro; oggi piccola a media borghesia e il grande bacino dei lavoratori, sopravvivono perché non hanno dato ascolto alle sirene al governo che invitavano a spendere per neutralizzare la crisi, … anche a costo di ipotecare la casa pur di mantenere il medesimo tenore di vita; non hanno ascoltato dedicandosi al risparmio e, così, salvando la nazione, esibendo un montante di rieparmio privato in grado di ridimensionare il debito pubblico. Il governo, con la consueta ipocrisia, si è vantato in proprio dell’esistenza di questi risparmi, che, invece avrebbe voluta dilapidare in nome di un ottimismo, figlio naturale dell’incoscienza patologica . Geronzi è solo il primo a cadere, anche se sul morbido. (Rosario Amico Roxas)

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Lucio Colletti e i problemi del liberalismo

Posted by fidest press agency su martedì, 5 aprile 2011

Bologna 6 aprile alle ore 18 presso la Sala Conferenze del Quartiere Santo Stefano, in via Santo Stefano 119 (Baraccano) la Scuola del Pensiero Liberale 2011 di Bologna ospiterà la conferenza del Prof. Luciano Albanese sul tema Lucio Colletti e i problemi del liberalismo. Professore di Teorie della conoscenza morale presso la facoltà di Filosofia dell’Università “La Sapienza” di Roma, Luciano Albanese è stato allievo e collaboratore di Lucio Colletti, e fa parte del comitato scientifico del Centro Studi “Lucio Colletti” ONLUS. Fra le sue numerose pubblicazioni, segnaliamo il recente contributo al volume collettaneo Galvano Della Volpe, Lucio Colletti e il materialismo italiano (Fahrenheit 451, 2005).

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Roma, l’Italia e l’unità

Posted by fidest press agency su venerdì, 7 gennaio 2011

Roma 10 gennaio, Lungotevere Sanzio 9 la Scuola 2011 di Liberalismo, con Romolo Augusto Staccioli terrà una lezione su “Roma e l’Italia nelle prima e nella seconda unità”, un tema “archeologico” per dimostrare che l’Italia, nel 1861, non è sorta ma risorta. Altrimenti perché si parla di Risorgimento? Il guaio (per noi liberali unitari) è che anche la Padania è già esistita. Come la mettiamo? Ne discuteremo alle ore 18 nella sede di Rubbettino Editore..

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Liberismo berlusconiano e anarchia capitalista

Posted by fidest press agency su lunedì, 13 dicembre 2010

Rosario Amico Roxas in risposta ad un commento su Il Secolo d’Italia del  10.12.2010 si chiede: “Chi mi da una chiave liberale alle due scottanti affermazioni di Fini?? 1) Fini disse : “Chi crede che da qui alla fine della legislatura si potranno tagliare le imposte per le famiglie e per le imprese evidentemente crede a Babbo Natale”. Forse invece del Tea Party è stato al De Pretis Party. Poi ha parlato di tassare i risparmi: “La tassazione delle rendite finanziarie – ha detto il fondatore di Fli – non è né di destra né di sinistra”. Io aggiungerei, non è neanche liberale!!!” “Io non sono berlusconiano – precisa Rosario –  e non intendo difenderlo,voglio solo analizzare le frasi che ha detto Fini (Bocchino ha detto che si definiscono liberali). Bisogna riuscire a capire la profonda differenza esistente tra liberalismo ( da cui “liberale”) e l’attuale liberismo berlusconiano che sfocia nell’anarchia capitalista. In atto esiste un vero e proprio muro di gomma a difesa dei grandi patrimoni finanziari, proprio quelli che producono ricchezza finanziaria ma improduttiva e parassitaria, non generano nessun posto di lavoro, non promuovono il progresso e lo sviluppo, non sostengono la ricerca, non garantiscono la sicurezza nel posto di lavoro. Secondo le nuove teorie degli economisti il «neoliberismo» si distinguerebbe dal capitalismo «liberale» di ieri dal fatto che, mentre rivendica, oggi come ieri, l’utilizzo dello Stato come «capitalista collettivo» al servizio dell’economia nazionale, ripudia lo stato interventista nell’economia privata. Ciò ha come primo risultato lo smantellamento dello stato sociale e la svendita dei servizi pubblici alle imprese private con lo scopo di trasformare, quelli che erano considerati costi sociali, in occasione di sfruttamento e realizzazione di profitti. La privatizzazione neo-liberista non guarda in faccia nessuno: i servizi fondamentali, i trasporti, l’istruzione, la salute l’energia e le telecomunicazioni, tutto ciò che fino a poco tempo fa era considerato, pur se demagogicamente, bene collettivo, viene sottomesso alla logica del mercato. La proposta liberista 3montiana attualmente monopolizzatrice degli intendimenti di questo governo, ha origini remote, attuali quando nacquero ma oggi dichiarate obsolete dall’andamento economico delle nazioni occidentali. Il periodo liberista, iniziato dopo la crisi strutturale degli anni ‘70 e inizio degli ‘80 si caratterizza per la ritornata egemonia della proprietà del capitale sulla sua gestione. Il periodo precedente, entrato in crisi e chiamato “compromesso keynesiano”, è durato pochi decenni. La fase attuale del capitalismo, di ripresa della egemonia di quello che chiamano “finanza” (la finanziarizzazione), presuppone modifiche alla forma della proprietà sul capitale, con il suo trasferimento nelle grandi istituzioni finanziarie, gestite della professionisti specializzati. Con il liberismo 3montiano è in corso la grande operazione del capitalismo: esige la libertà del mercato e nel mercato; sostiene che il mercato si regolamenta da solo; impone le sue regole, le sue alleanza, impone i suoi cartelli per oscurare la concorrenza, provoca la svalutazione della moneta e la rivalutazione dei beni di consumo che vengono “spinti” da compiacenti campagne pubblicitarie, gode della depenalizzazione del falso in bilancio, evade il fisco senza nessun rischio di essere perseguito…..poi arriva la crisi che il capitalismo stesso ha generato…allora si rivolge allo Stato, alle sovvenzioni, agli aiuti e aiutini, finanziamenti, utilizzando il più turpe dei ricatti: i posti di lavoro. O ci date i quattrini oppure licenziamo. Potrebbe fare lo stesso anche la mafia: “interrompete la lotta alla mafia oppure licenziamo gli esattori del pizzo, i killer, i capibastone, i picciotti”. Il paragone è provocatorio ma non blasfemo. Se una azienda come la FIAT, che distribuisce dividenti e, nello stesso tempo, si rivolge alla Cassa integrazione, venisse “socializzata” (non nazionalizzata) e affidata per reparti a cooperative degli stessi operai e impiegati, consorziati fra di loro, con una programmazione produttiva elaborata da tecnici con stipendi “normali”, con partecipazione a parte di utili e incremento di posti di lavoro con il resto, si raggiungerebbero gli scopi qualitativi che l’interesse parassitario degli investitori azionari non hanno. Si tratterebbe di un “capitalismo sociale” incomprensibile in questa italietta, che marcia rapidamente verso l’argentinizzazione dell’economia: grandi capitali in mano a pochissime persone, Stato autoritario, limitazioni delle garanzie costituzionali, mediocrità al governo (così non creano problemi)”. (Rosario Amico Roxas)

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Dalla povertà alla miseria, grazie al liberismo

Posted by fidest press agency su venerdì, 29 ottobre 2010

Due notizie campeggiano sulla stampa, almeno in quella che osa descrivere la realtà attuale con la maggiore credibilità possibile:
• la prima riguarda le dichiarazioni del governatore della Banca d’Italia Draghi che denuncia una crescita italiana ai minimi europei, la perdita di ulteriori posti di lavoro, l’incombenza di una crisi economica che vede l’Italia inattiva e follemente stimolata ad un ottimismo irrazionale, mentre la Comunità europea colloca l’Italia tra le nazioni fortemente a rischio.
• la seconda che descrive l’ultimo scandalo che investe la Presidenza del consiglio, il cavaliere, il governo, le istituzioni e la credibilità internazionale.
In mezzo c’è il presidente del consiglio che nega l’evidenza, anzi, come ha sempre fatto, nega principalmente l’evidenza, forte dei suoi giornali, delle sue TV, dei suoi rotocalchi, sostenuto dai vari Feltri, Belpietro, Fede, Vespa, e comunicatori vari. E il peggio deve ancora arrivare. La gran massa verrà fuori con le grandi opere, il ponte sullo stretto, l’uso dei capitali rientrati con lo scudo fiscale, la riforma della giustizia, la privatizzazione degli interessi collettivi, trasformati in interessi privati: privatizzazione dell’acqua, trasformazione della Protezione Civile in una avida e spregiudicata spa che stimola alla gioia l’avverarsi di eventi calamitosi per la gran parte della popolazione, ma altamente remunerativi per gli uomini dell’entourage. Il dibattito sulla riforma della giustizia rischia di trasformarsi in uno scontro epocale, stante il fatto che a tale riforma il cavaliere delega la sua stessa sopravvivenza politica, alla quale è legata la sopravvivenza del suo discutibile e discusso patrimonio.Intanto l’Italia del benessere, si trasforma e subisce, quasi con pazienza, la trasformazione della povertà in miseria, grazie al liberismo imposto, a titolo personale, da questo presidente del consiglio e dal suo governo.
Nei paesi ad economia avanzata, come l’occidente, ritenuto opulento, il passaggio dalla povertà alla miseria è diventato un itinerario considerato usuale. Vengono fornite statistiche di ricchezza prodotta, di reddito pro capite, di consumi, che dovrebbero dare la misura di un livello della qualità della vita superiore alle impressioni dirette che si ricavano dall’osservazione quotidiana.  Le statistiche confondono la realtà con le ipotesi, i numeri con gli algoritmi del possibile o dell’immaginario.  L’itinerario è segnato, anche perché è stato programmato.  Ogni 1.000 persone che transitano dalla povertà alla miseria, solo una transita dal benessere alla ricchezza, ma si tratta di una ricchezza che compensa l’altrui povertà, ma non negli effetti, bensì nelle ipotesi; così l’operaio, il pensionato che non arriva a soddisfare più le esigenze primarie, si vede attribuire, dalle statistiche, un reddito pro capite di 18.000 euro l’anno ma solo perché quel solo arricchito ha un reddito tale da compensare i deficit altrui.
Ci sentiamo uno dei primi dieci paesi ricchi del pianeta, mentre la povertà incombe sulla maggioranza delle famiglie che vive nell’economia del lavoro, mentre i pochissimi che vivono nell’economia della finanza, che non produce, non da lavoro, non crea benessere indotto, sfruttano tutte le ipotesi appositamente preparate per evitare la triste incombenza di contribuire ai costi dello Stato secondo le proprie possibilità, evadendo regolarmente i propri doveri, per sfruttare al massimo i propri diritti. Appare chiaro il disegno che si vorrebbe perseguire: la argentinizzazione dell’Italia, l’Italia come l’Argentina, con l’80% del patrimonio in mano al 15% della popolazione, mentre in atto è “solo” il 50% del patrimonio nazionale in mano al 20%  della popolazione. (Rosario Amico Roxas – in sintesi)

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Tremonti e l’economia sociale di mercato

Posted by fidest press agency su domenica, 13 giugno 2010

Di Rosario Amico Roxas Dopo 15 anni di imporre un liberismo inquinato da libertinaggio, Tremonti scopre l’aria fritta e la chiama economia sociale di mercato.  In bocca a Tremonti questa ipotesi, che dovrebbe prevedere un totale stravolgimento dell’attuale sistema, diventa un esercizio di parole  buone solo a tacitare sindacati e sindacalisti creduloni. L’economia sociale di mercato, per essere concretamente applicata dovrebbe coniugare insieme il capitale/denaro con il capitale/lavoro, elevando quest’ultimo alla medesima dignità del denaro, ponendo  sul medesimo piano l’imprenditore (onesto per rinnovata vocazione!) con il prestatore d’opera (onesto per impossibilità del contrario). Si tratterebbe di reinventarsi il rapporto tra diritti e doveri, e ridisegnare la geografia umana dell’intera nazione, con l’eliminazione dei privilegi assurdi e delle privazioni forzate. Ma Tremonti non tiene in nessuna considerazione il fatto che il liberismo berlusconiano  (ci ha fatto una Università apposta per tramandare ai posteri il suo alato pensiero), non può coniugarsi con alcuna politica sociale  (non socialista), in quanto si basa sulle disuguaglianze che vengono premiate e non scoraggiate. Come consueto, nel suo discorso, Tremonti ha recitato una formula, ma non il piano di applicazione, rimanendo così  Tremont..agne  di parole, utili ad una ulteriore presa per i fondelli,  buona solo per rinviare di qualche giorno o mese la legittima reazione delle vittime del liberismo del capitale, che è e rimane capitalismo sfrenato (Rosario Amico Roxas)

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Esaltazione del liberismo

Posted by fidest press agency su domenica, 14 febbraio 2010

Il liberismo si afferma ogni giorno di più e sempre con maggiore incisività, in questo 2010. Tocca adesso alla privatizzazione dell’acqua, non più dono del cielo, elemento vitale, ma bene commerciabile.  L’acqua diventa proprietà privata, che provvederà alla distribuzione capillare, previo pagamento di una bolletta triplicata a fronte dell’attuale gestione pubblica. E’ stato calcolato che si tratta di un affare di 8/9  miliardi di euro spalmati come costi sull’intera popolazione e, quindi, concentrati su una modesta ma selezionata congrega di “imprenditori”. Ci sarà da decidere che fine farà l’acqua di pozzi artesiani privati, nonché quella raccolta in cisterne da acqua piovana; probabilmente sarà perfezionata una legislazione che prevederà per i proprietari di tali risorse l’accusa di appropriazione indebita.A quando la privatizzazione dell’aria che, abusivamente, respiriamo,  oppure della visione dei panorami che ci offre la natura? (Rosario Amico Roxas)

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Il liberalismo è una teoria universalistica?

Posted by fidest press agency su sabato, 30 gennaio 2010

Bologna 2 febbraio alle ore 20.00, presso la sede di Casa dell’Angelo di via San Mamolo 24, la Scuola del Pensiero Liberale 2010 ospiterà la lezione di Giovanni Giorgini dedicata a Passioni e interessi. Il liberalismo è una teoria universalistica? Professore ordinario di Filosofia Politica presso l’Università di Bologna, dove è stato allievo di Nicola Matteucci, Giovanni Giorgini ha dedicato la propria ricerca alla filosofia greca antica, al liberalismo novecentesco e alla ripresa del pensiero politico classico nella filosofia contemporanea. Su questi temi, ha pubblicato Liberalismi eretici (Edizioni Goliardiche, 1999) e I doni di Pandora. Filosofia, politica e storia nella Grecia antica (Bonomo, 2002). Ha inoltre curato l’edizione italiana di alcuni classici antichi e moderni del pensiero politico, fra cui L’intelligenza delle emozioni di Martha C. Nussbaum (Il Mulino, 2004).

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Slavoj Žižek In difesa delle cause perse

Posted by fidest press agency su mercoledì, 29 aprile 2009

zizekTorino 6 maggio – alle ore 21.00 presso il Circolo dei Lettori – Via Bogino 9  nell’ambito della manifestazione Lingua Madre Slavoj Žižek incontra Gianni Vattimo per presentare il suo libro. Il tema affrontato è di grande attualità. L’autore nel suo libro si pone, innanzitutto, questo interrogativo: La rivoluzione globale è una causa persa? I valori universali sono reliquie di un’età perduta o di un’epoca superata? Per paura dell’orrore totalitario che abbiamo alle spalle, siamo costretti a rassegnarci a una misera terza via fatta di liberismo in economia e di pura amministrazione dell’esistente in politica? Nella sua opera maggiore degli ultimi anni, che ha acceso feroci controversie nel mondo inglese e ne ha consacrato il successo presso un vasto pubblico, il cecchino filosofico Slavoj Žižek mira all’ideologia regnante, sostenendo che dobbiamo invece riappropriarci di numerose “cause perse” e cercare un nocciolo di verità nelle politiche totalitarie della modernità. Perché se è vero che i Terrori di Robespierre, di Mao e dei bolscevichi si sono rivelati catastrofici fallimenti, questo giudizio non racconta tuttavia l’intera storia: in ciascuno di essi è presente un’aspirazione di “redenzione”, che va del tutto persa nelle società liberaldemocratiche, con il loro (proclamato) rifiuto dell’autoritarismo e la loro (ipocrita) esaltazione di una politica soft, consensuale e decentralizzata. Le ricette? Žižek non lesina massimalismi e ripropone in declinazioni contemporanee ma senza attenuazioni le categorie di giustizia rivoluzionaria e uguaglianza universale. Il risultato è una salutare staffilata d’utopia, un balsamo di rara forza per i nostri giorni angusti e le nostre menti rese asfittiche dal pensiero unico, un libro capace di guardare con occhi nuovi ai più vari fenomeni culturali e politici del mondo d’oggi e di farci “pensare l’impensabile” con strumenti impensati. Un libro che rischia molto, certo, e che sfida la possibilità della disfatta, in nome di quanto scriveva Samuel Beckett in Worstward Ho: “Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio”. (Ponte alle Grazie pp. 640 – euro 26.00)
Slavoj Žižek è oggi fra i più noti e discussi filosofi al mondo. Insegna all’università di Lubiana e in molti atenei americani ed europei. Tra le sue opere recentemente pubblicate in Italia: Benvenuti nel deserto del reale (2002), Tredici volte Lenin (2003), Il soggetto scabroso (2003), L’epidemia dell’immaginario (2004), Credere (2006), Il cuore perverso del cristianesimo (2006), Contro i diritti umani (2006), La violenza invisibile (2007), La fragilità dell’assoluto (2007). Molti suoi articoli sono tradotti in Italia su Internazionale. http://www.circololettori.it (foto Žižek)

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