L’impatto della seconda (e terza) ondata della pandemia risulta essere stato più pesante rispetto alla prima ondata in termini di contagi in ambito lavorativo, con una incidenza del periodo ottobre 2020-febbraio 2021 che è il doppio rispetto a quella del trimestre marzo-maggio 2020 e a rilevarlo è l’ultimo Report di Inail, proposto di recente sul sito. Intanto, sempre da Inail sono stati diffusi i risultati di uno studio, pubblicato su PlosOne, in cui emergono, tra gli altri aspetti, le ricadute delle misure di distanziamento, protezione individuale e sicurezza messe in atto nei luoghi di lavoro, come le farmacie, che, essendo essenziali, sono rimasti aperti durante tutta la crisi sanitaria.”Le infezioni di origine professionale segnalate all’Istituto dall’inizio della pandemia fino a fine febbraio” si legge sul 14esimo Report “sono 156.766, pari a circa un quarto del complesso delle denunce di infortunio sul lavoro pervenute all’Inail dal gennaio 2020 e al 5,4% del totale dei contagiati comunicati dall’Istituto superiore di sanità (Iss) alla stessa data. Rispetto alle 147.875 denunce rilevate dal monitoraggio mensile precedente, i casi in più sono 8.891 (+6,0%)”. A emergere il fatto che la seconda ondata “ha avuto un impatto più intenso della prima anche in ambito lavorativo: il periodo ottobre 2020-febbraio 2021 incide, infatti, per il 64,4% sul totale delle denunce di infortunio da Covid-19, esattamente il doppio rispetto al 32,2% del trimestre marzo-maggio 2020. Le denunce si sono concentrate nei mesi di novembre (24,5%), marzo (18,1%), ottobre (15,3%), dicembre (15,2%), aprile (11,7%), maggio (2,4%) e settembre (1,2%) del 2020, e nei mesi di gennaio (7,7%) e febbraio (1,7%) del 2021, per un totale del 97,8%. Il restante 2,2% riguarda gli altri mesi dell’anno scorso: febbraio (0,7%), giugno e agosto (0,6% per entrambi) e luglio (0,3%), oltre a 19 casi relativi al gennaio 2020”. Per quanto riguarda la distribuzione territoriale, “l’analisi evidenzia la distribuzione delle denunce del 44,6% nel Nord-Ovest (prima la Lombardia con il 26,5%), del 24,3% nel Nord-Est (Veneto 10,7%), del 14,5% al Centro (Lazio 6,1%), del 12,1% al Sud (Campania 5,5%) e del 4,5% nelle Isole (Sicilia 3,0%). Le province con il maggior numero di contagi dall’inizio della pandemia sono Milano (10,2%), Torino (7,1%), Roma (4,8%), Napoli (3,7%), Brescia (2,7%), Varese e Verona (2,6% per entrambe) e Genova (2,5%). Milano è anche la provincia che registra il maggior numero di infezioni di origine professionale accadute nel solo mese di febbraio 2021”.Intanto, sempre dall’Inail sono stati diffusi i risultati di uno studio per la classificazione del rischio nei luoghi di lavoro pubblicato nei giorni scorsi sulla rivista scientifica Plos One: “L’andamento dell’emergenza sanitaria legata alla diffusione del virus Sars-CoV-2” si legge nella nota “ha evidenziato l’importanza del fattore lavorativo come elemento sostanziale da considerare sia nell’implementazione di strategie volte a contenere il contagio sia nella definizione delle azioni necessarie per una ripresa economica sostenibile. In questo contesto, i ricercatori del Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale (Dimeila) hanno sviluppato una metodologia per valutare il rischio di infezione da Sars-CoV-2 negli ambienti di lavoro. Una procedura che integra complessivamente l’analisi del processo lavorativo e la prossimità tra i dipendenti, il rischio di infezione connesso al tipo di attività svolta e il coinvolgimento di soggetti terzi con conseguente aggregazione sociale”. In particolare viene ricordato che “in Italia, l’adozione di diverse misure di contenimento ha comportato durante la prima ondata la sospensione temporanea della maggior parte delle attività commerciali, con una conseguente riduzione di circa il 75% dei lavoratori presenti sul posto di lavoro”, mentre a livello Paese, “è stato stimato che circa il 25% dei dipendenti, come quelli impegnati in strutture sanitarie o nelle forze dell’ordine, o in presidi farmaceutici e alimentari, ha frequentato fisicamente il proprio posto di lavoro”. Proprio questi luoghi di lavoro e lavoratori sono oggetto di particolare attenzione e nella ricerca “viene descritto il metodo messo a punto per stimare il rischio di infezione da Sars-CoV-2, tenendo conto sia delle caratteristiche specifiche dei processi produttivi e dell’impatto dell’organizzazione del lavoro sul rischio”, che può portare o meno a una prossimità all’interno del team di lavoro, “sia dello stretto contatto per alcune attività con soggetti esterni”. Il rischio “occupazionale di contagio virale è stato quindi classificato sulla base di tre variabili: esposizione, prossimità e aggregazione”. In generale, “i risultati hanno supportato le attività di indirizzo del Comitato tecnico scientifico (Cts), istituito dal Governo presso il Dipartimento della Protezione civile, nella individuazione degli interventi progressivi di mitigazione per il superamento dell’emergenza epidemiologica. Oltre, quindi, a gestire e a contenere il contagio nei luoghi di lavoro, l’inclusione della dimensione lavorativa nello sviluppo delle misure di prevenzione e protezione nel controllo della pandemia si è configurata una misura utile anche per la gestione del rischio collettivo nel suo complesso. Questo risultato, concludono i ricercatori, potrà essere utile anche nella fase attuale dell’emergenza epidemiologica e nella prospettiva della campagna vaccinale nei luoghi di lavoro”. Per quanto riguarda le farmacie, se è vero che gli operatori della sanità risultano avere un rischio in media alto, a emergere, in generale, è anche un impatto delle misure di sicurezza. In particolare, per tutte le attività, grande importanza viene data all’uso di dispositivi di protezione individuale, di cui, nella prima fase della crisi, c’è stata carenza, ma un peso è rivestito anche da tutte le misure messe in atto per regolamentare l’accesso e il contatto con l’utenza esterna e per tenere sotto controllo fenomeni di aggregazione all’interno del luogo di lavoro. By Francesca Giani fonte Farmacista33