Fidest – Agenzia giornalistica/press agency

Quotidiano di informazione – Anno 36 n° 136

Archive for 17 luglio 2018

Lavoro festivo: Di Maio sconfessa in un solo colpo i suoi sottosegretari al Lavoro e allo Sviluppo Economico

Posted by fidest press agency su martedì, 17 luglio 2018

Ieri sera, durante la trasmissione Bersaglio Mobile di Enrico Mentana, Luigi Di Maio incalzato dal conduttore ha sconfessato la proposta di Legge presentata in Parlamento da Sottosegretario allo Sviluppo Economico Crippa, e presentata ai Cobas dal Sottosegretario al Lavoro Claudio Cominardi. Di Maio ha parlato genericamente di 6 giorni festivi da scegliere sui 12 che ricorrono nell’anno e non ha fatto accenno al lavoro domenicale.”Il Ministro del Lavoro sembra non abbia letto né la proposta di Legge del suo stesso sottosegretario né tanto meno i giornali di questi giorni. Quanto dichiarato da Di Maio, dopo la speranza che in questi giorni serpeggiava nella categoria, ha provocato una reazione rabbiosa e sdegnata in milioni di uomini e donne impiegati nel commercio.”, dichiara Francesco Iacovone, dell’esecutivo nazionale Cobas.”Ora ci spieghino a che gioco stanno giocando – prosegue il rappresentante sindacale – perché noi non ci faremo di certo portare in giro dal Governo. Cominardi mi ha consegnato una Proposta di Legge, un atto Parlamentare, che va in senso opposto alla blanda dichiarazione di Di Maio a Bersaglio Mobile, che rappresenta pedissequamente la vecchia mediazione con il PD della scorsa legislatura. Se vogliono davvero risolvere questo annoso problema facciano subito un Disegno di Legge e lo portino in Parlamento.”Abbiamo già contattato la Segreteria del Ministro e chiederemo un nuovo incontro. La nostra lotta e quella di milioni di lavoratori di certo non si conclude oggi, ma prosegue al fianco dei milioni di lavoratori “senza domeniche” conclude Iacovone. (fonte Cobas lavoro privato)

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In the Arctic, remembering airship Italia

Posted by fidest press agency su martedì, 17 luglio 2018

Gianluca CasagrandeThe European University of Rome will participate in the PolarQuest 2018 expedition The voyage is planned in July-August this year, and it will cross the area where airship ITALIA was lost in 1928 after reaching the North Pole. The expedition will be conducted onboard sailboat NANUQ (“polar bear” in Inuit), a 60-foot vessel designed by Peter Gallinelli and built by Swiss company Sailworks. NANUQ, created as part of the “Passive Igloo” project, is conceived so as to minimize environmental impact. Project Leader of the expedition is Paola Catapano, science communicator at CERN and science journalist. Technical coordination is managed by Michael Struik, engineer at CERN.
Along her journey, NANUQ will be equipped as a sailing laboratory, fitted with appropriate instrumentation. Observations and experiments will be conducted onboard. MANTANET, by ISMAR-CNR, is focused on microplastics in the Arctic ocean and it will cover 60 sampling stations along the route. POLARQUEEEST, directed by Centro Fermi Rome, in cooperation with the Italian National Institute of Nuclear Physics INFN and CERN, will measure the cosmic ray flow at latitudes never reached before.
Gianluca Casagrande, geography professor at the European University of Rome and Scientific Director of GREAL (Geographic Research and Application Laboratory) will take part in the expedition as the scientist in charge of project AURORA (Accessible UAVs for Research and Observation in Remote Areas). His work will include geographic and environmental observations along the Northern coasts of Svalbard.
“For our University and for GREAL – prof. Casagrande explains – participation in this expedition is very important. It will be possible to validate a series of methodologies which we have been working on for the past few years, and to do so in a most relevant geographic and environmental context. Furthermore, we will be cooperating with some important scientific institutions”.
Among the scientific activities planned for the expedition by GREAL will be the experimental mapping of a small areas of the Arctic Ocean’s floor by the use of an innovative multibeamer sonar developed by Norwegian company NORBIT. The areas designated for such test are among the less studied in the region and one of the potential locations where the wreck of lost airship ITALIA might be found. Airship N4, renamed Italia, flew from Svalbard to the North Pole in 1928 and was lost during the re-entry towards Ny Aalesund. Although 8 survivors were finally located and rescued, the wreck of the airship and other 6 crewmembers were never found over the following 90 years.
The purpose of PolarQuest 2018 underwater research is summarized by Prof. Casagrande:
“The use of this innovative sonar will enable us to obtain new data about a seafloor area which is known in its general features but at a lower level of detail. It will therefore be a real exploration, albeit of a small area. We do not know whether the wreck of the ITALIA is actually there. If this should be the case, and the remnants should be within a maximum depth of 300 meters, it could be theoretically possible to detect them. The leadership of the project has therefore decided to give this technological test a highly symbolical value. PolarQuest 2018 is the first expedition to actually search for the wreck of the ITALIA after 90 years of oblivion”.
“The probabilities of success are scarce, but this is the first targeted attempt and worth doing. At least, as a contribution to the memory of that important scientific and explorative endeavor” –said Paola Catapano, Polarquest2018 project leader.
The expedition will depart on July 21th from Isafjordur, in north-western Iceland. The first leg will be a crossing of the Greenland Sea, with a possible brief stop-over in Jan Mayen. NANUQ will then arrive in Longyearbyen, the main settlement of Svalbard, on August 1st. On August 4 it will cast off to reach the scientific base of Ny Ålesund where, on August 5, a commemoration will be held, in the presence of some descendants of the crew of ITALIA on the very spot where Nobile’s expedition departed to reach the North Pole.
On August 6th, NANUQ will then leave the base to attempt a circumnavigation of Spitsbergen and Nordaustlandet islands. Return to Longyearbyen is planned for August 24th. From August 26th, then, the expedition will leave Svalbard and head for continental Norway, with a final arrival at Tromsø, on September 4th.

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Sulle tracce del dirigibile Italia

Posted by fidest press agency su martedì, 17 luglio 2018

L’Università Europea di Roma parteciperà alla spedizione Polarquest2018 (www.polarquest2018.org) programmata per i prossimi mesi di luglio e agosto nella regione artica, sulle tracce del dirigibile ITALIA, scomparso nel 1928.
Il viaggio sarà compiuto a bordo del veliero NANUQ (“orso polare” in lingua Inuit). Il natante, della lunghezza di 18 metri, è stato progettato dall’architetto e skipper Peter Gallinelli e costruito dalla società svizzera Sailworks in base a criteri di architettura passiva ed elevata ecosostenibilità.
Project leader di PolarQuest 2018 è la Dott.ssa Paola Catapano, giornalista scientifica e responsabile della comunicazione audiovisiva del CERN di Ginevra; il coordinamento tecnico è svolto da Michael Struik, ingegnere del CERN.
Durante il suo viaggio, NANUQ sarà attrezzata come un vero e proprio laboratorio navigante, dotato di un’apposita strumentazione. A bordo saranno condotte osservazioni ed esperimenti: il primo, MANTANET, è organizzato dall’ISMAR-CNR e prevederà la raccolta di campioni di microplastiche galleggianti in 60 diversi punti della navigazione. Il secondo, POLARQUEEEST, è diretto dal Centro Fermi in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e col CERN; si tratta in questo caso di un programma di misure di raggi cosmici effettuate ad alte latitudini. Alla spedizione prenderà parte, fra gli altri, Gianluca Casagrande, professore dell’Università Europea di Roma e direttore del Geographic Research and Application Laboratory (GREAL) presso lo stesso ateneo. E’ lui il referente del programma AURORA (Accessible UAVs for Research and Observation in Remote Areas), che condurrà una serie di rilievi e osservazioni ambientali lungo le coste settentrionali delle Svalbard. “Per la nostra Università e per il GREAL – spiega il docente – è molto significativo partecipare a questo progetto. Sarà infatti possibile dar seguito a una serie di studi metodologici che abbiamo intrapreso negli anni scorsi, in un contesto geografico e ambientale di grande interesse. Inoltre, ci troveremo a collaborare con alcune importanti istituzioni scientifiche.”Un caso particolare, fra gli esperimenti scientifici che saranno svolti, consisterà nell’osservazione di un piccolo tratto di fondale marino mediante un sonar multibeamer di nuova concezione sviluppato dall’azienda norvegese NORBIT. La zona osservata rientra fra quelle meno studiate dell’area ed è appunto nella regione dove si suppone che sia scomparso il dirigibile ITALIA.La ragion d’essere di questa sperimentazione è sintetizzata dal Prof. Casagrande:
“L’utilizzo di questo sonar innovativo permetterà di ricavare informazioni inedite su una zona complessivamente nota, ma non in modo così dettagliato, del mare a nord-est delle Svalbard. Si tratterà quindi di una vera e propria esplorazione, benché limitata ad una piccola zona. Non sappiamo se in quell’area si trovi effettivamente il relitto dell’ ITALIA. Se così fosse, e i resti giacessero entro una profondità di 100-300 metri, sarebbe teoricamente possibile rilevarli. La leadership del progetto ha ritenuto quindi di dare a questa sperimentazione tecnlogica una connotazione di grande valore simbolico. PolarQuest 2018 è a tutti gli effetti la prima spedizione che dopo novant’anni di oblio affronterà il tema di cercare il relitto del dirigibile”. “Benché le probabilità di successo siano scarse” ha dichiarato la Dott.ssa Catapano “è un tentativo che vale la pena di essere fatto, se non altro per contribuire al ricordo di quella grande vicenda di esplorazione e ricerca scientifica”.
Gli organizzatori informano che la spedizione partirà il 21 luglio 2018 da Isafjordur, Islanda nord-occidentale, per una traversata del Mare di Groenlandia con un’eventuale sosta a Jan Mayen. NANUQ arriverà a Longyearbyen, capoluogo amministrativo delle Svalbard, la “capitale” più settentrionale del mondo, il 1° agosto. Ne ripartirà il 4 e nei due giorni successivi sarà presso Ny Ålesund, insediamento scientifico dove si trova anche la base “Dirigibile ITALIA” del CNR. In quella sede l’equipaggio di PolarQuest 2018 parteciperà a una cerimonia commemorativa alla presenza dei discendenti dell’equipaggio dell’aeronave italiana che nel 1928 sorvolò il Polo Nord precipitando poi sulla via del ritorno.
Il 6 agosto NANUQ salperà per tentare una circumnavigazione delle Svalbard. Da quel momento la spedizione si svolgerà, compatibilmente con lo stato dei ghiacci, lungo le coste settentrionali dell’isola di Spitsbergen e della Terra di Nord Est (Nordaustlandet). La rotta quindi tornerà a costeggiare Spitsbergen, isola maggiore dell’arcipelago, fino al rientro a Longyearbyen, previsto per il 24/8. Dal 26/8, infine, sarà effettuata la traversata del mare di Barents, fino a Tromsø, nella Norvegia continentale. In quella città portuale la spedizione si concluderà prevedibilmente il 4 settembre. (foto: gianluca casagrande)

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Mostra “Risonanza Cinese”

Posted by fidest press agency su martedì, 17 luglio 2018

Jin Shangyi_Huang BinhongRoma Dal 19 luglio al Complesso del Vittoriano – Ala Brasini va in scena Risonanza Cinese, la più importante e ricca mostra di pittura a olio cinese mai allestita a Roma. Il Vittoriano torna a ospitare un evento che porta per la prima volta nella Capitale i più rappresentativi maestri cinesi del ‘900, sulla base del rapporto consolidato tra Arthemisia e l’Ufficio Culturale dell’Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese in Italia e dopo il grande successo ottenuto nel 2017 dalle rassegne dedicate all’arte contemporanea cinese come la collettiva “Arte e Pace. L’arte contemporanea cinese” e le monografiche “Epos. La lirica della luce” di Chao Ge, “The timeless dance. Beyond the mountains” di Mao Jianhua e “The eternal melody of chubby lady” di Xu Hong Fei. Dopo il grande successo di pubblico di Parigi al Palais Brongniart e in Cina presso il Museo dell’Accademia di Belle Arti di Cina (Hangzhou), con oltre 150 opere e 62 diversi artisti, la mostra Risonanza cinese – curata dallo storico dell’arte e saggista Claudio Strinati, dal critico d’arte editore e direttore di Segni d’Arte Nicolina Bianchi e da Zhang Zuying, Direttore dell’Istituto di Pittura a olio dell’Accademia Nazionale cinese di Pittura – offre una panoramica completa sulla pittura a olio contemporanea cinese e sulla sua progressiva evoluzione, favorita anche grazie alla decisa azione riformatrice e strutturale che ha visto la Cina protagonista negli ultimi 30 anni. Il percorso espositivo, contraddistinto da una sequenza interrotta da capolavori assoluti, oltre che specchio di una civiltà in continuo fermento, simboleggia il tracciato vivido di profondi cambiamenti sociali e culturali che hanno segnato la storia di una Nazione. La mostra Risonanza Cinese con il consenso del Ministero della Cultura della Repubblica Popolare Cinese, con il Patrocinio dell’Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese in Italia, della Regione Lazio e di Roma Capitale – Assessorato alla Crescita culturale, è organizzata dall’Accademia Nazionale Cinese di Pittura e dalla Fondazione Letteraria ed Artistica Cinese, realizzata dall’Istituto di Pittura a Olio dell’Accademia Nazionale Cinese di Pittura. L’esposizione gode del supporto accademico dell’Accademia Nazionale di San Luca, dell’Accademia di Belle Arti di Roma e dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, con la collaborazione della Casa Editrice Conoscenza Mondiale, della Galleria d’Arte Han Yuchen di Handan, di Comunicazione e Cultura Jiarun Srl di Weihai e di Comunicazione e Cultura Shihua Srl. Gestione e organizzazione Complesso del Vittoriano – Ala Brasini a cura del Gruppo Arthemisia.

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Da uno dei miei primi libri “L’ultima Frontiera”

Posted by fidest press agency su martedì, 17 luglio 2018

Durante la mia permanenza in Australia mi trovai a toccare quasi per mano, si fa per dire, un evento tra i più tragici della nostra umanità: un’esplosione atomica sotterranea. Questa volta si verificò per ragioni sperimentali in un poligono situato nel deserto australiano ad un paio di centinaia di chilometri da dove mi ero fatto “sorprendere”. Non si trattò, quindi, di un atto aggressivo come era già avvenuto anni addietro in due città giapponesi. Ma fu lo stesso un fatto traumatico e gravido di implicazioni sull’ambiente e sugli uomini che abitavano nei pressi.
Tale deflagrazione, esaltata dalla “vicinanza”, divenne ben presto, per me, il tema dominante nel quale riversai, per anni, tutta la mia attenzione. Esso mi coinvolgeva, con milioni di altri simili, e poneva interrogativi a non finire. Incominciai ad indagare in proposito e mi accorsi che molta gente era a digiuno delle nozioni scientifiche che diedero vita ad un simile esperimento e mostravano la loro ignoranza pure sugli effetti perversi che provocavano, sia sull’ambiente circostante che a grandi distanze, e per i danni che arrecavano alla salute dei viventi e di riflesso sulle generazioni future.
Così un po’ alla volta maturò in me l’idea di scrivere un libro sull’argomento. Da allora trascorsero degli anni prima che l’idea potesse concretizzarsi. Avevo bisogno di approfondire alcuni aspetti del problema, di fare delle ricerche, di consultare testi spesso non tradotti in italiano e di rappresentare il tutto in un ben definito disegno organico dove la fisica si sarebbe inevitabilmente mescolata alla sociologia, alla religione e a tutti gli altri nostri pensieri maturati, macinati ed esternati e tramandati per farci crescere ma anche con il rischio di ricondurci a forme di nanismo culturale e civile. Nel frattempo dovevo procurarmi di che vivere e la ricerca di un lavoro diventava la risposta più ovvia per soddisfare queste esigenze primarie anche se mal si conciliava con tutto il resto in specie se si trattò, come lo fu, di un impiego non congeniale alle mie inclinazioni. Ma a dispetto del contingente continuai a scrivere e a meditare su queste cose. Mi resi conto, tra l’altro, che non vi era alcuna differenza tra gli atomi, la politica e il comportamento sociale degli uomini. Tutti insieme facevano derivare la loro origine dalle “grandi molecole” che pascolano negli infiniti spazi intergalattici. Infatti all’interno della nube “Sagittarius B2”, nella nostra stessa galassia e ad un anno luce da noi, è stata individuata non solo la glicina, (acido aminoacetico) il più semplice degli aminoacidi che costituiscono molte proteine, ma anche svariate altre molecole che rappresentano i primi gradini verso la materia vivente. Dobbiamo, quindi, dedurre per prima cosa che la chimica della terra “prebiotica” (quella che è precedente alla comparsa di ogni organismo vivente) è analoga a quella di tutta la galassia o di molte altre più distanti o attigue alla nostra. Sono conseguenze che coinvolgono il mondo scientifico in pari misura con quello del pensiero. Esse danno un senso alla vita, in una sorta di “intelligenza centrale e derivata” che garantisce la sopravvivenza del tutto. Con siffatti aggregati molecolari e chimici la natura umana fa derivare i pensieri. Sono il loro frutto e talvolta diventano capaci di provocare una tempesta che in apparenza sembra coinvolgerci per annientarci ma che in effetti è solo capace di toccare il livello del mare o qualche metro più in giù ma nello stesso tempo non è in grado di scendere in profondità. Sul fondo degli oceani a centinaia o migliaia di metri dalla superficie le acque restano calme ed insensibili al turbinio degli elementi che si agitano al di fuori di esse. Ed è il primo aspetto che distingue l’uomo, con il suo egocentrismo, dalle leggi della natura e lo proietta in uno spazio temporale limitato concettualmente e fisicamente. Sono fenomeni naturali e a volte conseguenti alle azioni dell’uomo ma che lo definiscono. Vi sono esseri umani che si sentono inviati dalla provvidenza, ritengono che tutto ciò che fanno è segnato dal destino e che il loro, in particolare, è baciato dalla fortuna e dall’infallibilità. Ma per essi, come per tutti i restanti loro simili, sopraggiunge il comune destino che ci affratella e va al di là delle fortune e delle sfortune, delle gioie e dei dolori e ci scompone in tante infinite parti fino a dissolverci nel nulla. Siamo il frutto della terra e alla terra ritorniamo come polvere. Resta ciò che si matura e si evolve nell’abbandono del proprio io vorace per avvicinarci all’essere universale. Così un’esplosione atomica e la meraviglia, il timore e le paure ataviche si sono intrecciate e mi hanno spinto ad altri più sorprendenti e inquietanti approfondimenti. (Riccardo Alfonso)

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Dirigenti scolastici, tra 6 giorni parte il concorso che finirà tra un anno

Posted by fidest press agency su martedì, 17 luglio 2018

Il 23 luglio si svolgerà la prova preselettiva nazionale, primo atto che entro un anno dovrebbe decidere quali degli oltre 36 mila partecipanti meritano di passare dalla docenza alla dirigenza scolastica. In mezzo, prima che si concludano le operazioni dell’atteso concorso e la formazione degli idonei, per la prima volta condotta dallo stesso Miur, da affrontare un altro anno scolastico. Il quale si caratterizzerà per un numero di reggenze record: alle attuali 1.400 scuole autonome senza capo d’istituto, si aggiungeranno almeno altri 300 pensionamenti, che però non potranno essere coperti con il turn over perché le graduatorie dei vecchi idonei sono nel frattempo pressoché esaurite. Ecco perché sarebbe utile riaprire, col decreto ‘Dignità’, presto all’esame delle Camere per essere convertito in legge, il corso riservato ai ricorrenti della selezione 2011: centinaia di docenti incredibilmente esclusi da una norma della Legge 107/2015 che, nel prevedere la procedura riservata per il reclutamento, vi ha ammesso i ricorrenti del concorso 2004 o quelli del 2011 solo se destinatari di un provvedimento di primo grado favorevole. L’Anief ha chiesto, invece, di estendere l’accesso al concorso riservato a tutti i ricorrenti. Del caso si occuperà la Corte Costituzionale il prossimo 20 novembre
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): Ecco perché chiediamo una modifica al Decreto Legge “Dignità”, al fine di ammettere al corso-concorso riservato i ricorrenti del 2011, in modo da neutralizzare pure un eventuale provvedimento che renderebbe illegittima l’assunzione disposta a seguito delle procedure riservate disposte dal D. M. n. 499 del 20 luglio 2015. Ma questa modifica deve giungere subito, prima che la Consulta si pronunci sulla legittimità della legge 107/15 e porti al licenziamento dei 500 dirigenti assunti. L’emendamento che sarà preparato dal nostro ufficio legislativo risolverebbe anche il problema delle reggenze e della mancata copertura delle attuali 1.400 sedi, a cui aggiungerne almeno 300 per effetto dei prossimi pensionamenti. La domanda da porsi, quindi, è solo una: Cui prodest in autunno, trovarsi con una scuola su quattro scoperta? È un’operazione che darebbe giustizia a tanti candidati presidi rimasti fuori senza motivo e scongiurerebbe anche il rischio di lasciare allo sbando migliaia di scuole, che si ritroverebbero con un preside costretto a dividersi tra più istituti autonomi e un alto numero di plessi distanti anche decine e decine di chilometri uno dall’altro.

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Allarme Inps su cancellazione riforma Fornero

Posted by fidest press agency su martedì, 17 luglio 2018

L’Istituto nazionale scrive che se già dal 2019 entrasse in vigore la cosiddetta “Quota 100” per il pensionamento anticipato, i costi per le casse dell’Istituto di previdenza viaggerebbero tra i 4 e i 14 miliardi di euro l’anno. I quattro “scenari” apocalittici prodotti, anche con soglie di accesso minime a 65 anni, starebbero già producendo effetti negativi nei componenti del governo. Marcello Pacifico (Anief-Cisal): Piuttosto che creare allarmismo e realizzare proiezioni tutte da verificare, l’Inps dovrebbe spendersi per tutelare le posizioni di chi ha lavorato una vita e ora chiede solo di vedere asaudito un suo diritto. L’Istituto non può solo pensare di gestire i loro soldi rimandando ad oltranza la loro uscita dal lavoro. Gestisca correttamente le pratiche del personale della scuola, visto che settembre è vicino e 5mila docenti ancora non hanno la certezza di andare in pensione, fatto increscioso mai accaduto. Sarebbe anche bene che l’Inps richiedesse i contributi figurativi mai versati e riprogrammi davvero un sistema più vicino all’Europa, dove si va in pensione a 63 anni – in Francia ancora prima e in Germania con 25 anni di insegnamento – e non a 67 anni come ha confermato qualche mese fa il governo Gentiloni. Perché si vive per lavorare, ma non si deve morire lavorando. Infine, anziché creare terrore psicologico, l’Inps aggiorni il suo sistema d’archivio, valutando il servizio svolto per 365 giorni e non 360 giorni, poiché con questo sistema si beffano ulteriormente dei lavoratori già vessati da riforme e controriforme che hanno sempre più assottigliato la portata dei loro contributi previdenziali. È bene, infine, che si valuti una volta per tutte il precariato svolto, perché l’onere di aver fatto una supplenza breve o annuale non può essere un aggravio per il lavoratore.Per tutti questi motivi, Anief ribadisce il suo sì a Quota 100, senza vincoli o paletti dell’ultima ora richiesti a gran voce dall’Inps.

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Essere giovani nel tempo

Posted by fidest press agency su martedì, 17 luglio 2018

Da “ragazzetto diciassettenne” marinavo la scuola per andare ad ascoltare presso la locale Corte d’Appello l’arringa del principe del foro che giungeva appositamente dalla “lontana Napoli”, mentre i miei occasionali compagni d’avventura si limitavano a brevi commenti, io, al contrario, sentivo l’impulso di dover “arricchire” tale esperienza lasciando un messaggio scritto in proposito e corredandolo con le mie note di commento. Ero diventato, e lo sono tuttora, un grafomane. Qualsiasi argomento mi affascina e in ciascuno di essi debbo dire la mia. Diventavo persino un baciapile per ascoltare le prediche che nella settimana santa famosi uomini di Chiesa degnavano, i miseri peccatori, della loro saggezza con frasi infarcite di citazioni latine. Nonostante ciò essi avevano il merito, non certo di convincermi, ma di far esplodere tutto il mio anti-clericalismo. Mi facevo un motivo d’onore nel ribattere punto su punto quelle pur “dotte” prediche ed apparentemente inoppugnabili. Un altro “diletto” era quello di partecipare ai comizi, in specie se l’atmosfera si riscaldava ed arrivavano da “fuori” i pezzi da novanta della politica nazionale, e la piazza fremeva per gli applausi e gli entusiasmi partigiani e gli zittii imposti agli oppositori che si facevano notare per i loro mugugni e fischi. I miei beniamini erano Almirante, Nenni e un parlamentare liberale locale, un certo Avv. Colitto. Ciascuno di essi militava in un partito politico diverso, ma avevano in comune una oratoria brillante e convincente che seduceva. Eppure non mi sentivo né missino, né liberale, né socialista. E da questo mio vagabondare, impegni scolastici permettendo, tra le aule di giustizia, i sagrati e le navate delle Chiese e le piazze “mondane” delle mia città, trassi la prima lezione di vita appresa fuori dalle mura domestiche e il chiuso delle “segrete” scolastiche.
Imparai che non sempre la verità è in ciò che si dice o nel modo come viene sostenuta. Nei Tribunali dell’uomo un innocente o un colpevole viene assolto o condannato se il suo difensore risulta convincente o meno, abile nell’insinuare un dubbio o maldestro nel tralasciare un elemento che potrebbe scagionarlo. Lo stesso fa il predicatore in Chiesa nell’esaltare il sacrificio di Cristo per l’uomo per poi perdersi dietro regole che lo umiliano e finiscono con il riverberare una luce ambigua sullo stesso Redentore. Ed il politico non è da meno. Egli fa prevalere gli interessi di parte alla ragione di tutti e in opposizione ai valori di più alto contenuto che pur dichiara di voler professare. A tutto ciò vi aggiunsi, per un breve periodo di tempo, le ritrovate letture, dimenticate per anni in cantina, delle prediche di un mio lontano parente sacerdote, trascritte manualmente con una grafia nitida e ordinata su fogli raccolti a libro ma di ardua lettura in quanto il testo era in più parti rosicchiato dai topi ed ingiallito dal tempo e mostrava tutto il suo cattivo stato di conservazione dato il luogo dove l’avevo ritrovato.
Ascoltare e leggere, meditare e commentare stavano diventando il mio pane quotidiano. Questo modo di recepire i messaggi che provenivano dall’esterno e di manipolarli, riproponendoli in forma scritta, mi indussero a fare scelte di vita e professionali più congeniali alle mie inclinazioni. Tant’è che preferivo scrivere al parlare in pubblico. Tuttavia non lesinavo la conversazione ma doveva riguardare un argomento che mi era gradito e servirmi poi da stimolo per riprenderlo nei miei scritti. (Riccardo Alfonso)

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Scrivere è una vocazione?

Posted by fidest press agency su martedì, 17 luglio 2018

Ricordo che il mio primo salto di qualità fu l’acquisto, con molti sacrifici, di una macchina da scrivere. Era una Olivetti portatile e, nonostante le sue caratteristiche, era pesante ed ingombrante. Insieme ci recammo da un capo all’altro del mondo: dall’Australia a Singapore, dall’Africa a Londra e sotto quei cieli, ora afosi ed ora freddi e nebbiosi, il ticchettio dei tasti divenne il mio più fedele ed insostituibile accompagnatore. E come accade ad un principiante che incomincia a strimpellare le prime note, i miei solfeggi segnavano i progressi che facevo nella tecnica narrativa e mi davano la misura del difficile cammino che avevo intrapreso posto davanti ad innumerevoli ostacoli che riguardavano la ricerca di uno stile e di una esposizione della trama al tempo semplice ed avvincente. Incominciai a sfornare una quantità enorme di argomenti e tra i più disparati. Mi cimentavo con fatti di costume e di politica, di cultura e di critica, di sport e di finanza internazionale, ma i destinatari ai quali indirizzavo tutto questo imponente materiale, e che erano di preferenza i quotidiani ed i periodici sia nazionali che italiani all’estero, sembravano indifferenti e poco interessati ad una eventuale pubblicazione. Alla fine la mia caparbietà veniva premiata anche se si trattava per lo più di qualche “trafiletto” ora firmato ed ora siglato o anonimo. Il tutto veniva compendiato solitamente con 20/25 righe tipografiche e per colonne striminzite. Per contro la mia produzione, su quel tema specifico, era 1000 se non 10mila volte superiore. Avrei dovuto trarne un bilancio scoraggiante ed invece mi sentivo stimolato a proseguire. Chiunque, al mio posto, avrebbe tirato i remi in barca e si sarebbe lasciato trascinare dalla corrente alla deriva. Sarebbe stata la cosa più ovvia da fare. In effetti di tanto in tanto venivo colto dallo scoramento, e in quell’istante avrei volentieri mollato ogni cosa, ma tutte le volte riuscivo a superare, tale momento critico, con una brillante ripresa. Era sufficiente immergermi in qualche buona lettura. Si trattava a volte di un libro o di articoli di giornale. Pure le conversazioni, con un amico o un semplice conoscente, diventavano uno stimolo per rinverdire la mia passione di sempre e ciò a prescindere dagli argomenti trattati. In questo modo riprendevo con inusitata vigoria i rapporti, così bruscamente interrotti per qualche… ora, con la tastiera della mia macchina.
Quel “mostro meccanico” rappresentava tutto per me. Potevo persino fare a meno di mangiare e di dormire e sovente saltavo un appuntamento con gli amici per non perdere il filo dei miei pensieri e di tradurli in lettere stampate, per dare ad essi un senso di concretezza. Oggi che uso il p.c., in luogo della vecchia portatile, l’antica passione non si è affievolita. Essa è rimasta ben radicata dentro di me fin dagli anni della fanciullezza e sembra non sia giunta ancora l’ora del tramonto. (Riccardo Alfonso)

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La destra italiana nella continuità

Posted by fidest press agency su martedì, 17 luglio 2018

«Fratelli d’Italia gode di ottima salute ed è l’unico partito che è sempre rimasto nel centrodestra: non è andato con il Pd, non si è alleato con i Cinquestelle. Non facciamo scappatelle, noi. Stiamo avendo un periodo di crescita mai visto in passato e abbiamo appena presentato l’adesione di 220 amministratori. Parliamo di sindaci, consiglieri regionali, consiglieri comunali che si sono candidati mettendoci la faccia, hanno chiesto agli elettori di scrivere il loro nome sulla scheda. È gente che ha consenso. Non sono i deputati eletti nella lista bloccata di partito. Vengono da Forza Italia? È vero, alcuni vengono da lì ma molti altri vengono da esperienze nel campo del civismo. C’è un mondo enorme che il centrodestra non ha saputo rappresentare adeguatamente in questi anni e che si è organizzato sul territorio indipendentemente dai partiti. Oggi scelgono noi per la nostra proposta seria e credibile».
E’ quanto afferma il presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, in un’intervista pubblicata oggi dal quotidiano “Libero”.«La nostra è un’opposizione patriottica. Non siamo pregiudizialmente contro il governo – spiega Meloni – non siamo acriticamente a favore. Valutiamo il merito. Sull’immigrazione Abbiamo visto un cambio di passo e stiamo dando una mano. Poi, secondo me, le soluzioni che il governo sta individuando sono insufficienti: l’unica cosa che funziona è il blocco navale perché impedisce ai barconi di partire. Non capisco perché non lo si voglia fare. Abbiamo presentato una risoluzione che chiedeva il blocco navale nel Mediterraneo e ci hanno votato contro in Aula. Anche la Lega si è opposta e ci sono rimasta di stucco».«I primi provvedimenti promossi dal M5s dimostrano che quel partito rimane strutturalmente di sinistra. Sono distanti dalla mia visione del mondo – continua Meloni- . Noi abbiamo sempre detto che il lavoro non si crea per editto e che la precarietà non si combatte per decreto. La contrapposizione “padrone-dipendente” è una roba che neanche l’ultimo partito comunista in circolazione propugna più. I provvedimenti ideati con la mentalità della Cgil non li voto. Nel decreto dignità ci leggo l’ideologia della sinistra degli anni Settanta. Se la Lega avrà difficoltà? No so come faranno a spiegare questo provvedimento. Noi proporremo la reintroduzione dei voucher e faremo varie altre proposte. Vediamo come saranno accolte. Se non si chiudono a riccio e le ascoltano, si può contribuire. Negli ultimi giorni purtroppo non è andata così. Ci hanno votato contro in maniera assurda. Ad esempio sulla Commissione Antimafia: avevamo chiesto che si occupasse anche delle mafie nigeriane e cinesi. Ci hanno votato contro. Si sono astenuti quando abbiamo chiesto che la Commissione Diritti Umani si occupasse di accendere i riflettori sul più grande genocidio in atto nel mondo, quello dei cristiani. Cose curiose… Per le Europee Salvini propone una internazionale dei sovranisti? Il tema del sovranismo ci Interessa sempre e per questo ci presentiamo al Parlamento europeo per rappresentare gli interessi degli italiani. Poi non so cosa significhi nello specifico il progetto di Salvini: lo valuteremo quando ne sapremo di più».

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La popolazione mondiale e i mutamenti del pensiero logico

Posted by fidest press agency su martedì, 17 luglio 2018

Ciò che appariva logico in passato, in fatto di popolazione e di credo religioso, oggi non lo è più. Pensiamo alla proliferazione delle nascite. Le conseguenze gravi che derivano ci fanno, probabilmente, comprendere meglio del perché, ad esempio, nel 13° o 14° secolo si dovevano fare le “guerre sante” per uccidere i barbari ed i miscredenti anche se tali infedeli in realtà esprimevano la loro religiosità in nome di una fede altrettanto rispettabile rispetto a quella dei loro detrattori. E il XX secolo non è da meno se constatiamo i danni provocati dagli “integralismi” religiosi che si traducono facilmente in odi razziali e accesi e irragionevoli fanatismi. E se la terra si metteva a ruotare su se stessa diventava un altro delitto contro la lesa maestà di un creato modellato secondo tradizioni empiriche pianificate per diventare immutabili in ogni epoca e in ogni cultura.Oggi ci troviamo a che fare con l’ingegneria genetica, il culto di una natività pianificata e perfetta dove non è permesso l’accesso all’handicappato o al ritardato mentale. Dovremmo anche in questo caso prendere per buoni gli aspetti esaltanti di queste scelte tecnologiche nell’impianto dei soggetti umani e non intravederne solo e comunque i pericoli e le insidie. Essi, ovviamente, non mancano, ma non è certo in una acritica ripulsa che si fa cultura e si scelgono le strade del nostro divenire.A questo riguardo ci sembra opportuno richiamare l’attenzione del lettore sulle iniziative condotte dalla Fondazione Lanza di Padova indirizzate alla ricerca di un confronto interdisciplinare sui principi conduttori che regolano i rapporti interumani dagli antichi paradigmi filosofici, e la loro costellazione classica, a quelli odierni con l’avvento della tecnologia e le sue applicazioni ai confini della vita e della morte. Si tratta anzitutto di processi dinamici, se stiamo alle parole del prof. Corrado Viafora coordinatore del progetto Etico della Fondazione, dove i confini consueti della nascita e della morte subiscono una diluizione, se non una indeterminazione. Sembra proprio che quanto più la medicalizzazione si impossessa dei limiti dell’esistenza, tanto più quei limiti tendono a divenire incerti. Non ultimo è il paradosso di un “progresso scientifico – osserva Giancarlo Zizola – che rischia nella secolarizzazione estrema del nascere e del morire, di smarrire il significato ontologico, ma anche l’anagrafe obiettiva.” Dobbiamo arguire che la qualità della persona può essere riconosciuta solo per l’autocoscienza di cui è dotata, per la razionalità e per un minimo senso di moralità, insomma per l’autonomia. E poiché non tutti gli esseri umani sono autocoscienti, razionali e capaci di concepire la possibilità di biasimare e di lodare, la conclusione è che i feti, i neonati, i ritardati mentali gravi e coloro che sono in coma senza speranza costituiscono esempi di non persone umane.
Il rischio che ne deriva l’ha tracciato il teologo Francesco Compagnoni osservando che in questa misura noi costruiamo un modello di società “dominata solo dai più forti, scaltri, intelligenti, astuti, magari coalizzati in una specie di mafia eugenetica. E’ gente che accetta un neonato e scarica il nonno in una casa di cura per lungo degenti dichiarandolo non più persona”. Ma è anche un presente e un futuro che si abbevera nel passato sia pure riscrivendolo secondo i canoni delle nostre convenienze. Non ci hanno insegnato, ad esempio, gli spartani che i figli generati male andassero gettati in un dirupo dal sommo di una montagna? Ed ancora che il ramo cadetto, di una numerosa famiglia nobile, venisse sterilizzato attraverso una obbligata vocazione religiosa? Due facce, una crudele e l’altra ipocrita, per assicurare un avvenire a danno degli altri. E la logica dei trapianti, se esasperata, ci porta ad analoghe, sconsiderate prestazioni, dove si mutilano e si uccidono “ragazzi di strada” ritenuti dalla società ingombranti e fonte di turbativa dell’ordine pubblico, per assicurare qualche anno di vita in più al benestante. Anche in questo caso ci troviamo davanti a delle scelte fondamentali proprio perché la tecnologia ha permesso miracoli di questo genere.
Si possono, infatti, sostituire integralmente le funzioni cardiorespiratorie, quelle omeostatiche del tronco encefalico e molte altre ancora assicurando il funzionamento dell’organismo come un tutto, anche dopo la distruzione dell’encefalo. Nonostante ciò la morte della persona non verrà mai impedita, essa resta solo una questione di….. tempo! La bioetica vorrebbe a questo punto stemperare le azioni dell’uomo davanti a situazioni contingenti anticipandole il più possibile per cercare di prevederle e scongiurarle. Il progresso, dunque, tende a queste finalità. Nello stesso tempo siamo indotti a porci problemi in modo diverso rispetto alla tradizione. Osservava a questo riguardo il prof. Sebastiano Maffettone, bioetico di chiara fama internazionale, che “Come risultato delle nuove ricerche sugli embrioni potremo raggiungere traguardi impensati: coppie non fertili potranno avere figli e qualcuno di noi sarà curato con l’uso di tessuti prenatali.” Ma operare sugli embrioni implica però decidere di sacrificarne alcuni. E’ moralmente lecito farlo e fin dove? Parlare in questa circostanza di bioetica significa fissare i limiti entro i quali essa deve muoversi. Si deve, ad esempio, dare risalto ai casi di “frontiera” nella fissazione dei codici genetici e del loro uso strumentale oppure limitarsi ad affrontare i problemi più generali come la prevenzione e le condizioni del malato negli ospedali? Sono interrogativi che implicano, senza meno, una risposta etica che esce dai ristretti ambiti delle rispettive coscienze professionali degli addetti ai lavori e diventa costume di vita e di civiltà per l’intera umanità. Ma non sono le sole frontiere che possono essere attraversate o meno dall’uomo. Pensiamo più in generale all’evoluzione scientifica dettata dall’accresciuto potenziale tecnologico che di continuo perfezioniamo ed affiniamo. (Riccardo Alfonso)

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Logiche consumistiche e uso dei materiali

Posted by fidest press agency su martedì, 17 luglio 2018

Ma se al contrario ci rituffiamo nella nostra realtà quotidiana ci rendiamo conto che la validità delle cose che ci circondano, e che a volte potenziamo con spese elevate, un giorno diventeranno inutili. Intanto hanno il primato non certo edificante di farci solo perdere tempo prezioso e caricandoci, per giunta, di alti consumi di energia. E’ tutto sommato il prezzo che noi paghiamo alla mancanza di una programmazione seria, ad una visione chiara sul futuro che ci attende e ad una concezione dei nostri rapporti sociali fondata su vecchie e stantie regole.
Oggi, ad esempio, molti prodotti come le auto, il frigo ecc. sono stati concepiti per non durare più di tanto. Il loro rinnovo comporta alti consumi di energia per la fabbricazione e pesanti oneri a carico dell’ambiente con la dispersione dei rottami inquinanti o per il loro riciclaggio. La svolta, anche in questo campo, è quella di avere manufatti di qualità con una vita media di gran lunga più lunga e costituiti da materiali puliti e riciclabili solo per i componenti nel senso che si può cambiare un pezzo ed il motore continuare a funzionare ancora per molto. Anche per i prodotti alimentari la linea di tendenza dovrebbe essere un’altra. Vanno in questo senso sollecitati incentivi per un ritorno all’agricoltura organica senza rischi chimici dato che è oramai scontato che i pesticidi ed i fertilizzanti non fanno altro che avvelenare la terra e con essa le falde idriche.
Anche questa volta dovremmo fermarci all’ora “X” e configurare una società che di colpo si priva delle sue fabbriche di armamenti, smantella l’industria chimica e riduce del 35% l’intera produzione industriale puntando a beni durevoli e di elevata qualità. La disoccupazione andrebbe alle stelle a meno che non si riduca a due o al massimo tre ore giornaliere l’attività lavorativa. Ma quest’ultimo aspetto potrebbe essere scongiurato, o per meglio dire limitato, e digerito senza traumi se riuscissimo a trovare dei lavori alternativi e nello stesso tempo a ridurre drasticamente la popolazione sulla terra.
Il primo punto potrebbe essere facile da adottare se pensiamo alle estese opere di riconversione industriale e di bonifica delle aree inquinate da porre mano in tutti i settori delle attività umane e negli ambienti in cui si vive, ma il secondo è terribilmente complicato.
Non si tratta solo di ragioni etico-religiose. Lo dimostra la frenesia di quanti si sottopongono a pratiche, a volte rischiose per la propria incolumità fisica, per avere un figlio. Una maternità ed una paternità sovente sentita più come uno sfogo ai propri egoismi che dettata da altre motivazioni. Dovremmo convincerci che non si ama prolificando, ma rinunciando a mettere al mondo creature senza un avvenire o capaci solo di condurre una vita grama fatta di stenti e di rinunce. E l’emarginazione sociale è la prima droga assunta dai giovani che vivono questa esperienza e a poco servirà l’amore se lo trasformiamo in un surrogato e per giunta molto scadente rispetto all’originale. (Riccardo Alfonso)

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Centri storici nel cuore delle megalopoli e nuove tecniche di costruzione

Posted by fidest press agency su martedì, 17 luglio 2018

I problemi che riguardano in particolare i centri storici, non riguardano solo la loro manutenzione ordinaria e straordinaria. Ci troviamo, da una parte, a dover gestire abitazioni bisognose di opportuni rifacimenti interni ed esterni oltremodo costosi per garantire la migliore esposizione al sole dei locali, l’impiego dei materiali isolanti, i doppi vetri oltre alle varie innovazioni tecniche che vanno a toccare le strutture stesse dei fabbricati anche senza dover arrivare alla loro trasformazione con tetti dalla linea ad ala d’aereo per creare un microclima favorevole e l’autoventilazione estiva.
Si tratta, in quest’ultimo caso, di un genere di costruzione già realizzata con i 5 villaggi bio-climatici in Val d’Oise (Parigi) e progettati dal londinese Richard Rogers ed altri similari ideati dall’italiano Renzo Piano. Ciò che intendo dire è che abbiamo inserito in maniera a dir poco sbrigativa edifici con tecniche di costruzione diversissima, a partire dai complessi dei centri storici, con il risultato che si sono trasformati in altrettante trappole per chi si è trovato a doverli utilizzare in epoche successive a cavallo tra il rispetto per i beni archeologici e la necessità di renderli funzionali alle esigenze dei giorni nostri.
I tetti delle nuove case di Amsterdam e Berlino, ad esempio, sono rivestiti con una particolare tegola fotovoltaica che trasforma la luce in elettricità. L’alto costo di questa tegola viene sostenuto dal Land e dalla compagnia elettrica in cambio del diritto di usare l’energia eccedente a costo zero. Eppure in tutti questi processi di trasformazione e di adattamento alle nuove esigenze dell’uomo contemporaneo non si è tenuto nemmeno conto, se non in minima parte, dello sviluppo delle autostrade telematiche. In altri termini noi possiamo comunicare con il mondo esterno in due modi: o prendendo la macchina o i mezzi pubblici per andare al lavoro e per fare delle commissioni o collegandoci con la rete telematica. Quest’ultima può contemperare molte cose messe insieme: il lavoro, lo svago, lo shopping, la comunicazione e lo sviluppo dei rapporti sociali. E’ un sistema, tutto sommato, che ha il vantaggio di ridurre il bisogno di mobilità all’interno della cerchia urbana per non parlare di quella esterna. Nello spirito di questa logica informatica Il cittadino potrà avere a domicilio servizi inediti: ottenere certificati e documenti, fare operazioni bancarie, prenotare biglietti per viaggi e spettacoli e lavorare su commissione.
Se ad una determinata ora “X” in una metropoli introducessimo tutte insieme queste novità ci troveremo con un “centro storico” meta solo di turisti per visitare gli edifici, i musei e le sue bellezze architettoniche e per la restante parte della città ci imbatteremmo in una circolazione limitata e per lo più non inquinante e con il 30% della popolazione che preferisce non muoversi da casa poiché nella propria residenza può fare di tutto.
Inoltre in queste magione – ufficio si può proprio dire che l’efficienza e la funzionalità è di …casa. Sono edifici che possono richiedere un 60% in meno di energia totale rispetto a quelli tradizionali e capaci di riciclare anche fino all’80% i rifiuti che produce. Inoltre si possono avere dei climatizzatori d’aria senza l’adozione dei cfc e per l’isolamento del tetto alla pavimentazione delle cantine si può far uso di materiali da costruzione riciclati o quantomeno prodotti con tecnologie rispettose dell’ambiente.
A loro volta gli interni sono dotati di un sistema di fotorivelatori e sensori di movimento in grado non solo di aggiustare la luminosità a seconda delle necessità ma addirittura di spegnere automaticamente le luci in una stanza quando non è più occupata. I risparmi di illuminazione e per gli usi domestici si riflettono doppiamente sui costi di gestione. Infatti ogni watt in meno, bruciato da una lampadina, significa anche una riduzione del lavoro dei sistemi di raffreddamento. Le finestre, a loro volta, con i doppi vetri ed imbottite di uno strato polimerico in grado di bloccare i raggi infrarossi, possono in estate riflettere gran parte del calore proveniente dall’esterno ed in inverno conservare il proprio calore con altri consistenti risparmi energetici.
I mobili sono anch’essi concepiti con l’intento di non causare la deforestazione ai tropici, le piastrelle sono prodotte con il vetro di lampadine rotte e il rivestimento interno dei pavimenti in luogo dell’usuale compensato imbevuto di formaldeide è costituito da omasote, un materiale ottenuto dal riciclaggio dei giornali vecchi. I giapponesi a loro volta, proprio perché stimolati dalla loro endemica scarsità di territorio, possono fornirci soluzioni a base di città galleggianti e di abitati sotterranei. Saranno città “intelligenti” completamente informatizzate con reti Isdn (Integrated Service Digital Network) che controlleranno la climatizzazione ed il sistema di trasporto.
Le autovetture elettriche pubbliche saranno più accessibili, di quanto non lo siano ora, e saranno dotate di carta magnetica e con pagamento diretto sul conto dell’utilizzatore. Inoltre il controllo computerizzato assicurerà tempi certi di spostamento. In questa misura per muoversi da un capo all’altro della città il tempo massimo previsto potrà essere non superiore ai 15 minuti per settori distanti 25/30 Km.
Ma a questo punto ci troveremmo con un altro genere di esigenze come quelle di avere più spazi verdi, più svaghi serali per smaltire le lunghe ore trascorse in casa ma senza dover necessariamente, per tale genere di aspettative, far ricorso all’auto per coprire talune distanze. Dovremmo, in pratica, avere tutti questi “centri servizi” nell’ambito dei propri insediamenti abitativi per cui muoversi a piedi diventerebbe agevole anche per i più anziani. Questo potrebbe essere un modello di città futura senza dover attendere molto tempo per vederla realizzarsi. Una sua presentazione, in dettaglio per chi ne vuole sapere di più, la troveremo illustrata in un altro mio lavoro titolato “Vulnus”. (Riccardo Alfonso)

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Le megalopoli hanno un loro fascino o sono solo una necessità?

Posted by fidest press agency su martedì, 17 luglio 2018

Se mettiamo da parte l’eventualità che le grandi città debbano crescere ulteriormente per l’aumento globale della popolazione, dato che lo prefiguriamo come il peggiore dei mali, ci rimane la necessità di dover risolvere alcuni aspetti contingenti di grande rilevanza. Non dimentichiamo che un quinto dell’umanità brucia l’87% dell’energia oggi disponibile e che in Europa l’80% della popolazione è concentrata nelle aree urbane. Solo questi due dati ci danno la dimensione, resa all’attualità, del complesso fenomeno delle città e degli abitanti della terra. La circostanza ci fa altresì capire il perché diventa sempre più difficile schiudere agli altri il ristretto club delle società avanzate. Per altro già ora, nel suo ambito, vengono esercitate nella popolazione residente selezioni di ordine culturale, politico e sociale di per se gravemente discriminanti e che hanno già provocato, e continueranno a farlo ancor più in futuro, grossi conflitti esistenziali e di ordine pubblico. Questo si spiega con il fatto che non tutta la popolazione che risiede in una città, o quella pendolare proveniente dalle aree attigue, è in grado di alimentarsi con il lavoro disponibile all’interno della cinta urbana. E’ uno stato di cose che fa coesistere pericolosamente grosse sacche di disoccupazione o di sotto occupazione, che provocano instabilità e turbative di ogni genere, e si contrappongono ad un benessere che il consumismo rende più evidente e stridente.Ad essi si somma un “valore aggiunto”, che si vuole far pagare di più alle classi meno abbienti, data la loro minore redditività, e derivante dai supposti vantaggi che essi traggono dalla vita in comune. Questo criterio finisce con il provocare un più elevato costo per l’uso dei mezzi pubblici, per l’acquisto dei prodotti alimentari, per l’approvvigionamento dell’energia domestica e la disponibilità delle abitazioni. La metropoli, quindi, rappresenta, da una parte, una soluzione in tempi brevi e medi irrinunciabile per l’uomo, nonostante le difficoltà d’ambientazione esistenti, ma che entro un arco di tempo, diciamo tra 10/20 anni, non permetterà miglioramenti sostanziali e meno che mai definitivi. Tale prospettiva, nell’immediato, ci fa correre il rischio di vedere “esplodere” i fenomeni di intolleranza prima ancora che si fissino le regole per una nuova stabilità pianificata.La ragione è che ci troviamo, in specie in Europa, in città cresciute troppo in fretta intorno ad un nucleo molto antico con un sistema viario ed un complesso di abitazioni concepite con criteri inadeguati alle esigenze attuali in termini di circolazione, abitativi e per impiegarli in luoghi di lavoro permanenti e con la pretesa di volerli, da subito, funzionali. Sarebbe più opportuno isolare del tutto questi centri storici e spostare la “city”, e con essa le attività commerciali ed imprenditoriali che vi ruotano intorno, in aree esterne e ben al di là degli attuali complessi abitativi che nel frattempo si sono aggiunti a macchia d’olio intorno e talvolta dentro al “vecchio borgo”. E’ un isolamento che risolverà alcuni aspetti logistici e consentirà alla gente di visitare tali luoghi, che si sono fermati nel tempo, come meritano: a piedi o al massimo in bicicletta o in carrozza. Una soluzione che può darci due risposte pratiche legate la prima al trasporto e la seconda all’uso più razionale delle abitazioni e degli uffici nonché agli insediamenti commerciali e dei servizi pubblici e privati. Va poi aggiunta un’altra considerazione se passiamo ad esaminare il tipo di trasporto pubblico da adottare. (Riccardo Alfonso)

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La mia mente sembra essersi “illuminata d’immenso”

Posted by fidest press agency su martedì, 17 luglio 2018

Sono le parole del famoso verso di Ungaretti aprendo la finestra al primo sole mattutino. Svegliarsi dopo un sonno profondo, appagati dal ritrovato riposo, pone la mente nella posizione ideale nel mettere le cose in una sorta di sintonia creativa con quelle che ancora non sono: arte, natura e armonia con la scrittura. E’ forse così che nasce la cultura dominante e a portare a fondo una certa visione del mondo. E’ la visione di Nietzsche, teorico del superuomo, e la visione di Heidegger teorico della morte dell’uomo. E’ come imprimermi nella mente la locuzione latina “Cogito ergo sum” (penso dunque sono) richiamata da Cartesio per esprimere la certezza che l’uomo ha di se stesso poiché soggetto pensante.
Io sono sveglio, la vita scorre intorno a me, c’è chi accanto mi sorride e mi parla dolcemente, il pendolo segna l’ora, i rumori della casa si fanno sentire con l’acqua del rubinetto che scorre per chi si sta lavando, del frigorifero il cui motore si mette in moto con un brontolio e ancora il cigolio di una porta che si apre e la televisione che entra in funzione per comunicarci le notizie dell’ultima ora.Ma questi due aspetti per essere compresi vanno analizzati meglio. Incominciamo con il dire che le cosiddette “megalopoli”, una parola coniata da Gottmann, un geografo che ai problemi dell’urbanesimo ha dedicato l’intera vita ed è l’autore di un libro “La città invincibile” (editore Calogero Muscarà) , non sono più il frutto della rivoluzione industriale che è degenerata nelle black Countries inglesi. Oggi si presentano in modo diverso perché accolgono non solo la grande metropoli, che si identificano nell’organismo forte dell’insieme, ma anche la città media e la città piccola e persino il villaggio. Sono delle “entità legate – per il geografo Eugenio Turri – ad una molteplicità di funzioni dentro un quadro unitario che sembra richiamare il sinecismo greco. Nel loro tessuto ciascuna di esse non contiene solo edificazioni senza respiro, ma anche spazi verdi, parchi e tutte quelle differenti infrastrutture per la produzione, lo studio, lo sport, il tempo libero, che consideriamo gli imprescindibili servizi del moderno vivere urbano. Megalopoli come spazio dell’uomo e per l’uomo e in altre parole: il suo spazio di massima umanizzazione, tutto predisposto per i suoi molteplici bisogni.”
E sempre per Turri “Il fatto stesso che la megalopoli sia costruita di città piccole e grandi sta a testimoniare che essa tende di per sé a rifuggire dalla grande inumana concentrazione. Essa ha il suo punto focale nelle cities, nei centri fitti di grattacieli, dove la contiguità è indispensabile per quelle attività quaternarie, direttive, transnazionali, internazionalizzanti, che stanno al vertice dell’organismo megalopolitano. “Tutte queste considerazioni vogliono dire una sola cosa per noi. Stiamo portandoci, un poco alla volta, ad una seconda trasformazione delle megalopoli dopo quella succedutasi all’era della rivoluzione industriale. La stessa fuga dei cittadini verso le aree verdi denota la nostra incapacità di pervenire ad una riformulazione delle aree urbane, densamente popolate, in tempi brevi. Una tendenza che è invece considerata da qualcuno come un primo tentativo di rarefazione da parte degli uomini alla concentrazione. In pratica essa è in atto ma si verifica dentro l’area delle megalopoli come per dire che il criterio della urbanizzazione non va rinnegato ma ciò che si chiede in più è uno spazio maggiore nel rapporto uomo-ambiente. Oggi le distanze possono essere ricoperte agevolmente e in minor tempo rispetto al passato con i nuovi mezzi di comunicazione e questo facilita la creazione di trame urbane continue. Oggi lo sono già le aree periferiche alle grandi città o le distanze che rientrano in una fascia di 35/60 km dal suo centro storico. Pensiamo ad esempio a Parigi con i suoi treni a grande velocità per raggiungere la “banlieue” che si allunga rispetto al centro della capitale francese di almeno 40/50 Km. e forse più.
Un altro criterio di sviluppo delle “megalopoli” è quello legato alla “ecumenopoli” immaginata da Doxiadis con la definitiva trasformazione della terra in città dell’uomo ovvero la definitiva sistemazione dell’antroposfera dentro la biosfera. Un criterio che immagina una massiva presenza dell’uomo e non quella, di certo, di un contenimento o riduzione della sua presenza numerica. Per altri l’immagine di riferimento, come nei primi racconti di Marco Polo a Kublai Kan, è quella dataci da Italo Calvino nelle sue Città invisibili, “All’uomo che cavalca lungamente per terreni selvatici viene desiderio di una città”. Una città, dunque, immaginata come rifugio e conforto dalle asprezze della vita primitiva tant’è che se ci soffermiamo sui numeri della precedente tabella notiamo che le metropoli che crescono di più sono proprio quelle dei paesi sottosviluppati o in via di industrializzazione come la Cina. Per tutti questi Paesi la vita “rurale” è ai limiti della sopravvivenza. Ma questa “tendenza” sembra invece affievolirsi negli altri grandi aggregati umani. Lo dimostra l’incessante flusso di persone che sceglie il pendolarismo. Pare di notare che da una parte la città è vista come un miraggio da toccare e godere e dall’altra vi è chi fugge da essa come da un inferno. Probabilmente è un fatto soggettivo. Dipende per lo più dal come la città viene percepita e, a sua volta, dalla sua capacità di offrire dei servizi validi e ben distribuiti. Resta, infatti, un dato oggettivo. Le grandi aree metropolitane non possono affrontare i fenomeni di “gigantismo” senza dotarsi di efficienti strutture dove lo spazio dell’uomo deve rendersi più a sua misura e non essere soffocato dalle costruzioni, dal traffico, dalle carenze dei servizi ed in primo luogo dei trasporti. Nello stesso tempo è impensabile che le grandi città debbano farsi carico delle conseguenze dell’incremento demografico mondiale che, a nostro avviso, ha già superato la linea di guardia. Lo dimostrano gli slums a ridosso dei grattacieli, i ghetti con la povertà spinta sino alla miseria e all’abiezione e la stabile presenza dell’accattone all’angolo di strada sia nei quartieri residenziali che in quelli popolari. Per non parlare della minicriminalità, delle micro rivolte sociali e via dicendo. Così mentre il discorso sulle possibili trasformazioni delle nostre megalopoli diventa “accademico” noi, con più realismo ci stiamo appuntando quelli che sono già i nuovi segnali che provengono dall’uso che facciamo di tali insediamenti urbani, dai rischi oltre che dai vantaggi che presentano per capire le strade possibili da percorrere e che l’uomo, forse inconsapevolmente, sta tracciando per incamminarvisi per raggiungere un futuro prossimo o remoto che sia e che oggi purtroppo riusciamo solo a mescolare confusamente. (Riccardo Alfonso)

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Tempo d’estate, tempo di letture

Posted by fidest press agency su martedì, 17 luglio 2018

Una mia amica mi diceva, qualche giorno fa, non aspetto l’ora di andare in vacanza, prendere un buon libro e mettermi sotto l’ombrellone. Finalmente – soggiungeva – posso dedicarmi alla lettura lasciando a casa il mio cellulare, almeno per un paio d’ore e se mi va proprio bene per tutta una mattinata. Io la guardo e penso d’invidiarla avendo da qualche anno ridotto di molto le mie letture. Eppure se dovessi chiedermi quanti libri ho letto, sino ad oggi, mentre sono seduto sullo scranno dei miei anni dall’età scolare e ancor prima per merito di chi me li ha letti dalle favole a quelli un po’ più impegnativi, ma in edizione per bambini e con tante immagini come pinocchio, cenerentola, ecc., la risposta non riuscirei a darla.Ora una loro parte è lì a fare bella mostra sugli scaffali delle mie librerie da quella del salotto all’altra nella camera di mio figlio e persino nella mensola in cucina o in una piccola étagère nella mia stanza da letto o nei riposti angoli degli armadi.
Non li ho contati, con certosina precisione, ma mi sono fatta l’idea che non fossero meno di tremila. Li ho letti tutti? Non credo anche perché alcuni sono gli acquisti fatti da mio figlio e gli argomenti non sempre mi attiravano. Di certo non saprei disfarmene a cuor leggero anche se per talune pubblicazioni ne avrei la voglia avendo, nel frattempo, cambiato gusti e interessi.
Avrei voluto dar loro un certo ordine raccogliendoli per tematiche per consentirmi una più facile lettura o consultazione, ma alla fine è prevalso un altro modo di tenerli raccolti conservando con maggior cura le edizioni più vecchie a prescindere dagli argomenti trattati. Con mio figlio, poi, ho dovuto convivere con libri scritti in Inglese, spagnolo e francese. Egli, man mano che approfondiva lo studio in queste lingue, preferiva entrare in possesso dei classici che prima aveva letto tradotti in italiano. Vi sono quindi dei libri “doppiati” e per quanto avessi poca dimestichezza nella lingua, che non fosse la mia, ogni tanto cercavo di leggerli anche avvalendomi del fatto che l’avevo già fatto in italiano. Mio figlio, poi, a volte s’intrometteva spiegandomi che alcuni traduttori avevano fatto un uso non preciso di talune parole e di talune espressioni idiomatiche e mi aveva convinto della necessità che per leggere correttamente un autore straniero era molto importante sapere chi lo aveva tradotto.
Così con quest’andante adagio finivo con ritrovarmi con una pila di libri sul mio comodino pronti per essere letti e che a volte mi limitavo a scorrere le prime pagine prima di passare a un altro autore.
Ho sempre letto di tutto: narrativa, saggistica, letteratura, filosofia, ecc. In particolare dopo che mio figlio si era iscritto alla facoltà di psicologia il mio interesse per questa materia, si era accresciuto. Arrivò ad avere tra testi universitari e letture di riferimento non meno di centotrenta volumi.Dopo che abbandonò, all’ultimo momento la facoltà di psicologia, gli mancava solo un esame e la tesi di laurea che aveva per altro già preparata e attendeva il parere del relatore, decise di vendere alcuni testi. Erano quelli più specialistici.
Così ora, con qualche aggiustamento, continua il rapporto con questa raccolta frutto del pensiero, dell’impegno e della passione di tanti autori e del loro vissuto. Da qui la mia voglia di ritrovarmi con questi libri freschi di stampa o ingialliti dal tempo toccandoli, sfogliandoli e riprendendo il percorso di mio figlio che aveva avuto cura di segnare la pagina con striscioline di carta e di servirsene con qualche piccolo commento.
Io, invece, ero criticabile perché le pagine che m’interessavano, e potevo poi trarne lo spunto per un mio articolo, si distinguevano dalle altre perché rilevavo a matita i periodi che intendevo riprendere per una citazione e a margine vi aggiungevo, a volte, anche qualche mia breve riflessione.
Era un modo di fare che mio figlio disapprovava e che alla fine ne riconoscevo la ragione e facendo violenza alle mie malsane abitudini ho poi cercato di ovviarvi dotandomi di alcuni foglietti dove annotavo gli argomenti che m’interessavano e riuscivo anche ad aggiungervi qualche laconico commento. Tutto questo lo sto dicendo ora che credo di essere vicino al capolinea della mia esistenza se non altro per ragioni anagrafiche.Se invece mi chiedo da dove è venuta questa voglia di leggere, ma anche di scrivere non saprei con franchezza fissare una data precisa.
Posso solo pensare che vi sono state circostanze fortuite che alla fine hanno fatto scattare la scintilla dell’interesse e prima ancora della curiosità.Di certo una delle concause può essere stata la voglia di leggere i libri che per imitazione suscitavano nei compagni di giochi e di confidenze un qualche interesse. Penso al primo libro che mi spinse a fuggire di casa perché mia madre non volle assolutamente comprare. Fu una reazione decisamente esagerata se si pensa che si trattava delle “Mie prigioni” di Silvio Pellico e per giunta in edizione economica. Mia madre si era convinta che non era fatto per la mia età. Mio padre, in quel periodo, era di stanza con il suo reggimento in un’altra città.Un altro indizio, qualche anno più tardi, lo potrei individuare nella mia scoperta di una vecchia libreria messa da qualche tempo in cantina che conteneva molti libri e persino scritti di un prozio di mio padre che era abate in convento di frati francescani e che aveva lasciato in eredità alla famiglia.
Così scoprii le opere integrali di alcuni autori dell’antica Grecia e romani con il testo in greco e in latino e di lato la traduzione in italiano. Fu anche il tempo in cui mi dedicai a trascrivere con la mia calligrafia le prediche del mio bisavolo e a prendere confidenza di una prosa molto infiorata di parole che non conoscevo e di citazioni in latino.Si aggiungeva, altresì, la circostanza che alcuni miei amici avevano dei genitori appassionati di letture per cui le loro biblioteche erano una fonte inesauribile di curiosità e d’interessi.Così mi trovai al cospetto di una palese contraddizione, dove disdegnavo il libro scolastico ma mi abbeveravo ad altre fonti in un certo senso più specialistiche e meno commentate dove diventava più facile che incorressi in errori di valutazione e di non avere un quadro d’insieme della storia letteraria e filosofica dalle sue origini a oggi. Così sono maturati i miei pensieri e la mia grande sete di sapere e ora di averli in libera uscita. (Riccardo Alfonso)

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Dopo i vitalizi, le pensioni d’oro: così Di Maio smantella i diritti acquisiti

Posted by fidest press agency su martedì, 17 luglio 2018

di Marzio Dalla Casta edito sabato scorso da Secolo d’Italia. Ve l’avevamo detto che il taglio dei vitalizi degli ex-deputati era solo il grimaldello per far saltare lo scrigno dei diritti acquisiti. E così è stato: archiviata la pratica degli ex-onorevoli, Luigi Di Maio rincara la dose e annuncia una bella sforbiciata alle pensioni «dai 4000 euro in su». Giustizia sociale? Ma no: solo l’asineria, l’ennesima, di un presuntuoso che si crede Robin Hood mentre è solo un incruento Pol Pot con accento napoletano. Non vuole togliere ai ricchi, ma solo rendere tutti più poveri. Diversamente, avrebbe ridotto l’indennità ai parlamentari in carica, non tranciato le pensioni di un centinaio di vegliardi già con un piede nella fossa. Ora punta a quelle «d’oro», ma il prezioso metallo c’entra poco e niente. Già, perché sul punto Di Maio è solo un esecutore della “dottrina Boeri“, inteso come Tito, economista, bocconiano e gran teorico dello smantellamento graduale del nostro sistema previdenziale. Uno, per intenderci, che ha scritto un libro – Meno pensioni, più welfare – il cui titolo è già tutto un programma. Non per caso Matteo Renzi, che avrebbe affidato l’Avis a Dracula, lo ha messo a capo dell’Inps. Per Boeri una pensione è d’oro non per il suo importo mensile, ma per quanto essa si discosta dai contributi effettivamente versati. Ne consegue che è «d’oro» anche un assegno di 2500 euro che però il ricalcolo contributivo fisserebbe a 1800. E l’eccedenza va tagliata. Giustizia sociale? Mica tanto: il sistema contributivo è stato introdotto dalla legge Dini del 1996, per cui gran parte dei pensionati italiani gode almeno di un trattamento misto, cioè in parte anche retributivo. Di Maio taglierà retroattivamente anche quelle agitando la prospettiva del reddito di cittadinanza. Ma è un imbroglio. È come voler prosciugare il mare con un secchiello: se dovesse andargli tutto bene, ma proprio bene bene, tra vitalizi, pensioni d’oro e frattaglie varie non risucchierebbe infatti che un paio di miliardi scarsi. Niente rispetto ai 19 necessari a finanziare la misura. Nel frattempo, milioni di pensionati italiani che sulla scorta della parola dello Stato hanno contratto mutui e assunto impegni si ritroveranno con meno soldi e meno diritti. Un vero capolavoro, ministro Di Maio. (n.r. Ma i pensionati ne hanno la consapevolezza? E’ che già stanno iniziando le manovre disinformative per rendere i nostri pensionati più sordi e più ciechi davanti a questo vero e proprio salasso “istituzionale” per altro illegittimo e incostituzionale)

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Trump dopo Trump

Posted by fidest press agency su martedì, 17 luglio 2018

by Un’analisi di Angelo Baracca sul fenomeno Trump. È completamente sbagliato a mio parere considerare semplicemente Trump come un problema – certo gravissimo – da quale dobbiamo liberarci per raddrizzare il corso della Storia. Bisogna che cominciamo a porci questo problema. Certamente prima ce ne liberemo meglio sarà, ma the Donald sta introducendo cambiamenti che in qualsiasi caso trasformeranno in modi duraturi, che lo vogliamo o no (lo vogliano o no gli americani), la mentalità della gente, i comportamenti, le dinamiche sociali, la giustizia, l’economia degli Stati Uniti, e la situazione mondiale.Il ragionamento che voglio fare è altamente ipotetico, e senza dubbio opinabile da molti punti di vista, perché nessuno ha la sfera di cristallo per vedere il futuro.Tutti gli eventi storici lasciano un segno irreversibile, perché sono generati da processi estremamente complessi, da problemi che evolvono, da nodi che vengono al pettine, da contraddizioni che si aggravano, da comportamenti di masse di persone (sulla dinamica delle masse hanno scritto studiosi autorevoli), da cambiamenti di mentalità, e via discorrendo.Per fare un esempio, il fascismo in Italia non è stata una parentesi, ha avuto complesse radici economiche e sociali, e ha lasciato un segno indelebile, ci ha lasciato comunque un’eredità che pesa ancora. Oggi ci stupiamo che negli anni ’20 e ’30 in Italia “tutti” fossero fascisti; come ci stupiamo che in Germania “nessuno” vedesse i delitti di Hitler e del nazismo. Sperando di non venire frainteso, direi che il fascismo ha cambiato l’Italia nel male e nel bene. Non è necessario che mi dilunghi sul male. Ma il fascismo anticipò quell’intervento dello Sato nell’economia che sarebbe poi diventato una caratteristica generale dello Sato moderno: per fare solo un esempio, l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) fu istituito nel 1933 per salvare le prime 3 banche italiane, due mesi dopo Roosvelt copiò l’idea, poi giocò un ruolo fondamentale nella ricostruzione postbellica, ed è stato sciolto solo nel 2002. Il fascismo creò il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche). In ogni caso, non ci siamo mai veramente “liberati” dal fascismo, basti pensare che la burocrazia italiana è rimasta quella e ha continuato (e continua) a condizionare pesantemente il nostro Paese.
Veniamo a Trump. Tutti sappiamo che per lui ha votato metà degli elettori degli Stati Uniti (per quanto nella “più grande democrazia del mondo” viga un sistema elettorale arcaico, è normale un astensionismo del 60%! Hillary aveva riscosso la maggioranza dei voti. E poi Trump denuncia la “dittatura” in Venezuela!). E dobbiamo constatare che a due anni dal suo insediamento le sue posizioni, che denunciamo come folli, raccolgono l’appoggio di una fetta molto grande della popolazione. Insomma, la trasformazione radicale era già in atto, la spaccatura della società statunitense è stata solo sancita dal voto (in realtà le spaccature sono molteplici, basti pensare a quella razziale che è riflessa molto parzialmente dal voto, poiché non sono molti gli afroamericani che possono esercitarlo, nella sostanza sono esclusi dalle scelte politiche).
Da un lato quindi Trump sta dando voce a una parte della società americana, e se pure non avesse vinto questa spaccatura avrebbe agito, anche se in modo diverso: ma il fatto che abbia avuto voce radicherà molte delle trasformazioni che Trump sta introducendo. In questi giorni egli sta sostituendo un giudice della Corte Suprema, che così virerà decisamente a destra per un tempo lunghissimo (i giudici della Corte Suprema rimangono a vita): saranno a rischio l’aborto e altri diritti civili. Se Trump non fosse stato Presidente è presumibile che il nuovo giudice sarebbe stato un altro e le cose avrebbero avuto parzialmente un altro corso.
The Donald sta cambiando in modo radicale la questione – la percezione stessa – dell’immigrazione: sono convinto che qualsiasi sarà il suo successore difficilmente potrà ripristinare la situazione precedente (ammesso che lo voglia: spesso fa comodo che qualcun altro faccia il lavoro sporco). In questi due anni anche la mentalità della popolazione degli Stati Uniti sta cambiando profondamente (come da noi Salvini sta esasperando strumentalmente problemi che si erano esacerbati ben prima di lui, basti pensare come Minniti un anno fa cambiò la mentalità e la sensibilità degli italiani con la montatura delle accuse alle ONG).Mi fermo a questi cenni perché non ho le conoscenze della società statunitense sufficienti per analizzare altri cambiamenti interni introdotti da the Donald.Ma veniamo alla situazione internazionale, che noi percepiamo più direttamente dei problemi interni agli USA. Che segni lascerà la guerra commerciale sferrata da Trump? Come cambieranno i rapporti geopolitici? Ovviamente sarà difficile discernere in futuro le mosse di Trump dalle reazioni che avranno gli altri Stati, ma il dado è tratto, e le cose non potranno comunque tornare “come prima”. Si pensi del resto che la politica della NATO di espansione, accerchiamento della Russia, e intervento militare in teatri extra europei era stata promossa dal suo predecessore, il Nobel per la Pace (!) Obama. La politica di Trump sta portando a conseguenze estreme contraddizioni con gli “alleati” che covavano da tempo, risalenti in sostanza alla subalternità accettata dal dopoguerra dagli europei, che dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale era mascherata dalla difesa contro la “minaccia comunista”, ma dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica ha messo a nudo in modo sempre più grave la mancanza di una vera politica estera da parte dei Paesi europei! Questo è vero anche per quanto poi riguarda gli armamenti nucleari, per i quali Trump ha solo esasperato un tendenza che si era già sviluppata in modo estremamente minaccioso ad opera del … Nobel per la pace Obama, il quale aveva varato un mega-programma di modernizzazione: la famigerata bomba termonucleare B-61-12 e l’F-35 sono precedenti alla presidenza Trump.Insomma, sia l’esasperazione di scelte che Trump ha ereditato dalle amministrazioni precedenti, sia le sue virate originali lasceranno un segno sulla situazione degli Stati Uniti, e del Mondo. (fonte: Pressenza international press agency)

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Diplomati magistrale: il Miur deve risarcire le maestre licenziate

Posted by fidest press agency su martedì, 17 luglio 2018

Il tribunale di Torino, chiamato ad esprimersi su due precarie, con alle spalle fino a cinque anni di contratti con scadenza il 30 giugno dell’anno successivo, già assunte con riserva e prossime al licenziamento per via dell’adunanza plenaria, emessa dal Consiglio di Stato lo scorso 20 dicembre, ha condannato l’amministrazione al pagamento di 2,5 e 3 mensilità per illegittima stipula di contratti a termine. Ora, se tale disposizione venisse applicata a tutta la platea di maestri in procinto di perdere l’immissione in ruolo, in attuazione delle decisioni della plenaria, le somme che lo Stato dovrà assegnare saranno considerevoli. Su richiesta dei legali Rinaldi, Ragusa, Ganci e Miceli, il giudice ha anche stabilito che il Miur dovrà procedere all’accreditamento degli scatti di anzianità già precedentemente decisi, più all’esborso di altri 5 mila euro complessivi di spese legali. Nella sentenza, il Tribunale di Torino cita “quanto già affermato in proposito dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza n. 187/2016”. Detto ciò, ha rimarcato che “che la gravità del danno subito dal lavoratore per effetto dell’illegittima reiterazione dei contratti a tempo indeterminato aumenti in misura proporzionale alla durata della violazione della normativa sul contratto a termine, durante la quale il lavoratore è stato illegittimamente sottratto al mercato del lavoro”. Pertanto, conclude il Tribunale, “tenuto conto della durata complessiva dei rapporti a termine in cui è ravvisabile un abuso, appare corretto liquidare il risarcimento spettante alla ricorrente nella misura 3 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto”.Marcello Pacifico (Anief-Cisal): La decisione presa dal tribunale piemontese non è di poco conto, perché qualora il provvedimento si estendesse ai 6 mila maestri immessi già nei ruoli dello Stato con riserva, con sentenza ancora non passata in giudicato, sulla base dell’anzianità di servizio effettuato, lo Stato dovrebbe tirare fuori somme considerevoli: secondo una stima del nostro ufficio studi, si va dai 50 milioni ai 150 milioni di euro. Un motivo in più, se non si vuole aggravare l’erario, per procedere in svelta alla loro conferma nei ruoli attraverso il Decreto legge ‘Dignità’ n. 87/18, superando quindi i contenuti dell’adunanza plenaria.

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In Gazzetta Ufficiale il Decreto “Dignità”

Posted by fidest press agency su martedì, 17 luglio 2018

Si prevedono, quindi, presto emendamenti Anief su riforma Buona Scuola e per aprire le GaE a tutto il personale abilitato. All’articolo 4 il “Differimento del termine di esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali in tema di diplomati magistrale”, le cui sentenze verranno quindi “eseguite entro 120 giorni decorrenti dalla data di comunicazione del provvedimento giurisdizionale al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca”: si dà indicazione al Miur di poter soprassedere all’applicazione delle possibili sentenze negative emesse sul caso dei diplomati magistrale a seguito dell’adunanza plenaria, emessa dal Consiglio di Stato lo scorso 20 dicembre. A questo proposito, Anief torna ad esortare l’invio di repentine indicazioni, da parte dell’amministrazione centrale, rivolte agli Uffici Scolastici Regionali per evitare nuovi depennamenti prima della conversione in legge o un’applicazione diversificata della disposizione di “congelamento” delle sentenze fissate dal Consiglio dei ministri. Nel frattempo, il giovane sindacato non sta di certo a guardare: dopo avere ottenuto un’importante Risoluzione del Parlamento Europeo sul precariato, la 242 del 31 maggio scorso, ha visto ammessi due reclami collettivi al Consiglio d’Europa sui precari della scuole e sui diplomati magistrale e ha presentato ricorsi alla Cedu e alla Corte di Cassazione per l’annullamento per eccesso di giurisdizione della sentenza amministrativa denunciata.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): Durante le prossime audizioni parlamentari, presenteremo una proposta organica emendativa di diversi parti della Legge 107/15 – che anche il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti ha oggi dichiarato di voler cambiare – ritenuti illegittimi e irragionevoli che riguarderanno complessivamente la riorganizzazione del sistema di reclutamento della docenza, del personale Ata, dimenticato dalla Buona Scuola, e dei dirigenti scolastici, costretti a 2mila reggenze, nonché dei Dsga per i quali non si realizza un concorso pubblico da quasi 20 anni. A seguito del Consiglio nazionale della prossima settimana, saranno comunicate le proposte di Anief che riguarderanno anche il Jobs Act.

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